Royal Thief

By Destiny_of_the_Soul

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Che una principessa fosse diventata una ladra lo sapevano tutti, ma che quella principessa fosse lei, nessuno... More

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CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
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CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLO 47
CAPITOLO 48
CAPITOLO 49
CAPITOLO 50
CAPITOLO 51
CAPITOLO 52
CAPITOLO 53
CAPITOLO 54
CAPITOLO 55
CAPITOLO 56
CAPITOLO 57
CAPITOLO 58
CAPITOLO 59
CAPITOLO 60
CAPITOLO 61
CAPITOLO 62
CAPITOLO 63
CAPITOLO 64
CAPITOLO 65
CAPITOLO 66
CAPITOLO 67
CAPITOLO 68
CAPITOLO 69
CAPITOLO 70
CAPITOLO 71
CAPITOLO 73
CAPITOLO 74
CAPITOLO 75 - Epilogo
#1 EXTRA
~Speciale
Conclusione Royal Thief II

CAPITOLO 72

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By Destiny_of_the_Soul

Quella era la fine che avrei fatto anche io se, quella volta sulla nave del Capitano, Rubyo e Gideon non mi avessero salvata. Incatenata e svenduta agli esseri dell'Altro Sole, come schiava, cavia o cena.

Tra le opzioni, l'ultima sarebbe stata la migliore.
La meno sofferente.

Lo si poteva leggere anche nei loro volti. Nessuno piangeva, urlava o si ribellava. Erano tutti apatici, con gli occhi vacui, semichiusi. Gli occhi di chi aveva perso ogni speranza e aspettava solo il momento di morire. Perchè solo la morte li avrebbe liberati da quella sofferenza, perchè tutto sarebbe stato migliore dello stato in cui si trovavano.

In quel momento, anche io, come loro, mi persi con lo sguardo, ipnotizzata dal riaffiorare dei miei ricordi.

La cella chiusa.
Il pavimento freddo.
Il pane secco.
Le catene immobili.
La focalizzazione persa.
Il ghigno di mio fratello.
I suoi occhi apatici.
La frusta stretta in mano.
Il primo schiocco.

Un dolore lancinante mi colpì la schiena e a stento riuscii a non urlare. Chiusi gli occhi. Le gambe mi tremavano. Il respiro si era fatto affannoso.

È solo un ricordo. Solo un brutto ricordo.

Ma nessuna parola era sufficiente per tranquillizzarmi. Dovevo andarmene da quel posto. Ripresi a camminare, questa volte più veloce, nella stessa direzione dalla quale ero venuta e, a stento, non inciampai negli ultimi gradini della scalinata.

Stavo ancora tremando, non riuscivo a stare in piedi. Mi accasciai alla parete: volevo sedermi, ma se lo avessi fatto avrei attirato l'attenzione di tutti. Il petto si gonfiava a fatica e nessuna quantità d'aria mi sembrava sufficiente. Sentii un improvviso bisogno di piangere.

Volevo andarmene.

Ripercorsi la strada a ritroso, facendomi guidare dalla vista dell'oceano all'orizzonte, finchè non raggiunsi nuovamente la spiaggia. Sarei arrivata a Kayl anche a nuoto, tempesta o non tempesta.

Ero arrivata a Chaot da poche ore, ma già avevo capito perchè sia Gideon che Rubyo fossero tanto d'accordo sul tenermi lontana da quest'isola. Il solo pensiero che Dollarus ci vivesse volontariamente mi fece rabbrividire. Doveva essere davvero temuto... e potente.

Il mio sogno di libertà fu però interrotto dal portale di ingresso della città. Era chiuso.

«Dove credi di andare?» Una figura, tanto alta da farmi totalmente ombra con il corpo, mi si piazzò davanti, spingendomi all'indietro.

Per poco non caddi. La forza usata era minima, ma quella lieve applicazione sarebbe bastata per farmi volare al suolo.

«Non toccarmi.» Cercai di risultare più impassibile possibile, sforzandomi di non far tremare la voce.

«È vietato il trapasso quando le porte sono chiuse.» Proseguì, senza lasciarsi intimidire.

«Lo so perfettamente. Non mi ero resa conto di che ore fossero.»

Con una smorfia infastidita, la guardia arricciò il naso, facendomi poi cenno di andarmene.
E così feci, cosciente del fatto che sarei rimasta a Chaot per la notte.

Mi avviai al più presto, in cerca di una locanda dove passare la notte, finché non incappai in una.

The good cabinet, diceva l'incisione sull'insegna penzolante.

Deglutii e spinsi la porta cigolante.

Uno scricchiolio mi accompagnò in un ambiente buio e puzzolente di alcol, la cui aria era grigia per il fumo asfissiante dei sigari.
Mi avvicinai al bancone a passo deciso, ben cosciente degli sguardi che, uno dopo l'altro, si depositavano sul mio corpo.

«Una camera. Per una notte.» Mi appoggiai sul legno marcio, pesando sull'avambraccio.

Quella posizione di finta sicurezza mi consentì di mascherare il tremolio nelle gambe.

Con un gesto disumano la lingua dell'oste si allungò, lenta e oscillante, scendendo fino al sacchetto pieno di Geldi che avevo messo sul bancone. Estrasse una moneta dorata, per poi riportarla alla bocca e deglutirla.

I miei occhi seguirono la scena apatici.

«Da questa parte.» La voce gracchiante dell'oste tradì la sua apparente età.

Mi condusse in una camera lugubre, senza finestre o mobili, con le pareti sottili e forate dalle tarme, il cui letto consisteva in un sacco di juta imbottito di paglia. Chiusi la porta non appena fui sola, notando, sempre più spaventata, come l'unica cosa che tenesse la porta chiusa fosse un debole gancio in ferro arrugginito. Sarebbe bastato un calcio per abbatterla.

Lasciai finalmente che le mie gambe cedessero al suolo, sotto il peso del mio corpo, chiudendomi su me stessa. Calde lacrime iniziarono a rigarmi le guance, mentre dei tremanti singhiozzi mi scuotevano il torace.

Quella notte non riuscii a chiudere occhio.

La mattina seguente uscii in fretta da quella cella, dirigendomi a passo svelto verso il portale d'ingresso. Zigzagai tra le viuzze anguste e tra le case accatastate della città, che limitavano la visuale del cielo plumbeo, aumentando la sensazione claustrofobica che mi aveva accompagnata da quando avevo messo piede a Chaot. Mi persi più volte, tra quelle case, nonostante l'oceano all'orizzonte. Poi, come uno spiraglio di luce che filtra tra le assi marcite, lo vidi. Il portale di ingresso, aperto. Le gambe ritrovarono improvvisamente la forza, i polmoni l'aria e il cuore la speranza.

Ma un'altra volta il mio sogno di libertà, divenne il mio incubo.

«Dove credi di andare?» Mi accigliai, confusa, finché non notai la mano dell'omone aperta. «Sette Geldi.»

Arricciai il naso. «Ho questi. Fatteli bastare.» Gettai nel suo palmo la manciata rimanente dalla taverna.

«Mancano due monete. Senza quelle non vai da nessuna parte.» La voce si fece improvvisamente più grave.

«Te le porteró poi. Ora fammi passare.» Insistetti.

La visione dell'oceano scintillante alle spalle del portiere stava diventando un miraggio.

L'uomo grugnì, in una risata accapponante.

«Con chi credi di avere a che fare ragazzina? Non vuoi pagare? Va bene. Allora andrai nelle segrete come tutti gli altri.»

A quelle parole mi si fermò il cuore. Finire in cella significava correre tra le braccia dei Rasseln e, di conseguenza, Markus. Avrei preferito morire piuttosto.

Mi guardai in torno: la strada era deserta come quando ero arrivata.
Sarebbe bastato uccidere quell'uomo e correre via. Nessuno mi avrebbe scoperta e sarei stata libera.

Deglutii, come ultima esitazione, poi mi decisi.

Estrassi il pugnale dallo stivale e mi gettai verso l'uomo, ma la punta non lo penetrò.
Questo mi guardò con un sorriso di scherno, come se non avesse aspettato altro, e il suo corpo si ricoprì di squame metalliche.

Merda.

Puntai alla gola, unico punto scoperto insieme al volto, ma prima che potessi raggiungerlo una mano mi scaraventò al suolo. L'impatto mi fece mancare il respiro. Strizzai gli occhi più volte, cercando di riprendere la focalizzazione mentre mi rialzavo, ma un'altro colpo mi fece ripiombare al suolo. Questa volta sputai sangue. Sgranai gli occhi, mentre un grido silenzioso mi si bloccava in gola.

Vidi l'altro colpo arrivare, e feci a malapena in tempo a rotolare sul fianco, ricoprendomi di polvere.
Non riuscivo ad alzarmi, ma la mia posizione obbligava l'uomo ad abbassarsi, scoprendo il collo. Concentrando tutte le mie forze rimanenti, tesi il pugnale verso la sua gola, ma la mano dell'essere fatato intercettò il colpo, spezzandomi il polso.

Mi si gonfiarono le vene sul collo e gli occhi mi si riempirono di lacrime per il dolore.

Mi rotolai su quell'altro lato, avvicinando la mano ferita al petto. In quello stesso istante ne approfittai per impugnare la daga con la mano non dominante, lanciandola poi verso l'uomo.

Cadde a terra con un tonfo. Lo avevo ucciso. Ce l'avevo fatta. Recuperai il pugnale, estraendolo dal pomo d'adamo. Uno schizzo di sangue mi sporcó il volto.

Un conato di vomito mi risalì l'esofago, ma mi feci forza, uscendo da quella città maledetta.

A stento mi reggevo in piedi e i polpacci mi bruciavano mentre sprofondavano nella sabbia. Raggiunsi l'acqua e la fatica aumentò ancora di più. Inciampai, poco lontana dalla riva, ma mi obbligai subito a rialzarmi. Sapevo che non ce l'avrei fatta ad arrivare a Kayl a nuoto, soprattutto in quelle condizioni. Ma dovevo provare. Forse la nave di Dollarus era ancora in mare aperto, forse mi avrebbero trovata...

Mi sollevai in ginocchio, poi qualcosa mi tirò giù.

Aprii gli occhi di scatto: due uomini, con piccoli denti sottili e aguzzi, mi guardavano sogghignando.

Fu allora che lo vidi. Sui loro colli. Lo stemma distintivo dei Rasseln.

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