Hybrid - Legami Spezzati

By AlessiaSanti94

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SEQUEL "Hybrid - L'Esperimento". Può un legame forte allentarsi e dissolversi come se non fosse mai esistito... More

BOOKTRAILER HYBRID - LEGAMI SPEZZATI
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Premessa.
1. Annichilimento.
2. Apri gli Occhi.
3. Cornelius Morton.
4. L'Agente Kane.
5. La Stanza Numero 2.
6. Spegnersi.
7. Devi Ricordare
8. Nuove Collaborazioni.
9. Chi Sei.
10. Una Nuova Alba
11. Problemi di Alcool
12. La Ronda e l'Indovina.
13. Passi Falsi e Promesse
14. De Rerum Vetitae
15. La Stanza Numero 4
17. Damnatio Memoriae.
18. La Stanza del Bisogno.
19. L'Agguato Inaspettato
[Info per i lettori]
20. Sospetti.
21. Kathleen Lorelaine
22. Dolor
23. Moniti e Responsabilità
24. Scintilla
*CAPITOLO EXTRA*
25. Una Luce nel Buio
26. La Verità Viene a Galla
27. Aaron
28. Sacrificio e Connessione

16. Complicità e Tensioni.

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By AlessiaSanti94

Jared

Nella vita mi sarei aspettato di tutto, tranne di diventare un complice di un'agente di Danville, il polo di Difesa e Giustizia più importante d'America. Eppure, la mattina passata, in mezzo a quella strada ancora vuota di Henver, ho promesso a Madison Kane di custodire il suo segreto, nascondendo a tutti gli altri, anche le persone di cui mi fido di più nella Caserma, la colpa di cui si è macchiata.

Uccidere un umano per mano nostra è uno dei gesti più puniti nel mondo Celeste. Il rischio di condanna a morte non è escluso se durante la carriera lavorativa hai commesso altri sbagli, ma in ogni caso la punizione minima comporta il sollevamento da ogni tipo di incarico Celeste, che sia quello di un Guerriero, di un Alchimista o di un funzionario di Danville. L'allontanamento dalle nostre sedi è una punizione temibile, perché da un momento all'altro di trasformi in una persona qualunque, costretta a vivere come un umano qualunque.

L'agente Kane sa quello che sta rischiando, e forse proprio perché ne è al corrente ha chiesto il mio aiuto, mettendosi a mia totale disposizione in cambio di assoluto silenzio con chiunque. Dal mio punto di vista, accettare era quasi un obbligo morale: so che Madison è qui per incolpare qualcuno e punirlo con la morte, ma farle cadere addosso un macigno del genere era troppo, soprattutto per una che nella vita non aveva mai preso in mano nemmeno un pugnale o una pistola.

Adesso siamo complici, e lei è in debito con me. Questo alla fine è quello che conta.

Qualcuno bussa alla porta della mia camera. Subito dopo, si sente il tonfo di qualcosa che cade a terra rumorosamente.

Mi alzo di scatto dalla sedia della scrivania e m'infilo una maglietta in fretta e in furia, raggiungendo l'ingresso della stanza. «Ma che succede?», sbraito, aprendo la porta verso di me.

Madison Kane è accucciata per terra, paonazza in volto e intenta a raccogliere una sfilza di tomi che sono sparpagliati sul pavimento. I capelli raccolti in uno chignon preciso le mettono in mostra un'espressione chiaramente imbarazzata. Si sbriga a impilare di nuovo uno sopra l'altro i libri, mentre rimango a fissarla incuriosito, le sopracciglia corrugate in uno sguardo tra l'incuriosito e l'impietosito.

«Per fortuna che nel tuo lavoro non serve l'agilità, agente.»

Lei si rialza goffamente da terra, con una pila di testi ingombranti tra le braccia che quasi arriva a coprirle il volto. «Non volevo fare tutta questa confusione», si scusa, con il fiato corto.

«Sì, ho notato.» Sollevo un angolo della bocca e sfilo i primi libri dalla sua colonna instabile, portandomeli davanti agli occhi. «"Le 10 regole del Guerriero perfetto. Tecniche e Strategie nel Combattimento corpo a corpo"... E questi dove li hai presi?»

Lei mi passa davanti ed entra nella mia stanza senza nemmeno chiedere il permesso. Fa qualche passo impacciato prima di lasciare la presa e poggiare la pila di manuali sulla scrivania, lasciandosi andare in un sospiro di sollievo. «Me li ha dati tua madre. Sai, per la questione dell'addestramento.»

Rigiro il libro tra le mani e lo sfoglio velocemente: erano anni che non me ne passava uno davanti agli occhi. Gli ultimi ricordi che ho di questi manuali da principianti risalgono a quando con Nolan, da bambini, andavamo a frugare nella sezione riservata agli adulti della biblioteca della Caserma. Quando eravamo ancora dei semplici bambini e non dei Guerrieri. «E tu pensi davvero di imparare a combattere leggendo... questi?» Poso i libri in cima alla colonna e scuoto la testa.

Madison stringe le labbra e incrocia le braccia al petto. «So che non è sufficiente, Jared, ma credo che avere un supporto teorico non potrà che essermi utile. Guarda questo per esempio...» Sfila il terzo volume dalla pila e me lo mostra. «Questo l'ho già iniziato a studiare. Tratta nel dettaglio tutti i punti deboli di un Sottomesso, sia dal punto di vista fisico che-»

«Tu hai passato davvero troppo tempo sui libri, agente. Inizio a pensare che la tua sia deformazione professionale», la interrompo, alzando gli occhi al cielo. «Questa carta straccia è utile solo se vuoi arredare la libreria di casa tua. Se vuoi davvero imparare a combattere, a difenderti e scoprire quali siano i punti deboli di un Sottomesso, l'unica cosa che devi fare è testare sulla tua stessa pelle. Ed è questo il motivo per cui sei qui oggi... Purtroppo

Madison fa per ribattere, piccata, ma poi sembra ripensarci e posa il libro sconfitta. «È stato Clint a volere che mi dessi delle lezioni pratiche. Dice che sei il più adatto per fare formazione.»

«È chiaro che sia stato lui. David ha questa naturale propensione per me quando deve affibbiare delle gigantesche rotture di palle.» Sospiro spazientito e prendo le chiavi della stanza e il cellulare. «Forza, andiamo. Ho pensato che potremmo allenarci in giardino, visto che fuori è una bella giornata. Inizio ad avere la nausea della palestra della Caserma.»

Madison annuisce e indica i libri sulla scrivania, prima di uscire dalla stanza. «Questi posso passare a riprenderli dopo?»

«Questi li riprenderai non appena avrai montato la libreria nella tua nuova camera», replico bruscamente. «Per il momento possono tornare da dove li ha presi mia madre. Cioè nella biblioteca della Caserma, a prendere un altro po' di polvere.»

L'agente Kane mi segue per il corridoio borbottando parole di disapprovazione, probabilmente dirette ancora verso il mio atteggiamento scostante e poco educato per una precisina come lei. Me ne frego e continuo a camminare spedito verso le scale che portano al piano inferiore, con le mani nelle tasche della tuta e lo sguardo annoiato.

Il giardino della Caserma oggi è più frequentato del solito e la cosa non mi stupisce affatto: da quando i Sottomessi sono diminuiti, nelle strade di Henver, la situazione è più pacata del solito. Le Ronde si sono ridotte e l'allerta si è innalzata solo all'interno dei confini della Caserma. Molti Guerrieri hanno sfruttato l'occasione per prendere dei congedi e hanno lasciato la città per andare a trovare i propri genitori o parenti, godendo di questa piccola tregua.

Tutto il mondo sembra essersi fermato, ma – si sa – certe tregue preannunciano solo grandi tempeste.

Con Madison raggiungiamo il piccolo giardino al lato della Caserma, delineato da un piazzale rettangolare ai cui lati è stato piantato un rigoglioso roseto. Spesso ci vengo per rilassarmi e dar tregua ai pensieri, perché non è uno dei luoghi più visitato dai Guerrieri. Molti lo usano solo come scorciatoia per raggiungere il parcheggio posteriore, o magari per venire a studiare all'aria aperta nei pochi giorni dell'anno in cui a Henver non piove.

Mi fermo al centro dello spiazzo e aspetto che Madison finisca di guardarsi attorno, sempre con la solita espressione tra l'incuriosito e l'attento.

«Dai, che non ho tutto il giorno.» Con la mano le faccio cenno di avanzare verso di me. «Prima di iniziare, che cosa sai del combattimento corpo a corpo?»

«Che non fa per me», risponde risoluta lei, le braccia intrecciate al petto e una distanza di sicurezza da me di almeno mezzo metro.

«Intendevo oltre le ovvietà.» Sospiro, già spazientito. Questa scena mi sembra di averla già vissuta qualche mese fa. «Ti è mai capitato di scontrarti con qualcuno o trovarti in una situazione di svantaggio fisico?»

«No, Jared. Odio mettermi in pericolo perché so di non riuscire a fronteggiare la situazione. Da piccola scappavo sempre. Per questo mi sono rifugiata dietro ai libri.»

Faccio scrocchiare le dita delle mani e sorrido. «Be', in questo caso, Madison, forse qualche libro sul potere della volontà ti aiuterebbe a prendere un po' più di coraggio. Anche perché con questi presupposti non andremo da nessuna parte.» Le faccio cenno con l'indice di avvicinarsi ancora di più. «La prima cosa che devi imparare è che devi avere fiducia in te stessa, in qualunque cosa tu faccia. Un nemico che ti vedrà titubante e intimorita è un nemico che ti avrà già battuta. Ricordatelo sempre.»

«Credo che chiunque mi guardi in faccia capirà subito di avermi battuta. Chi vogliamo prendere in giro, Evans?»

«Allo stato attuale, sì. Ma con un po' di allenamento e presa di coscienza vedrai che imparerai anche tu. Siamo partiti tutti da zero, qui dentro.»

«Anche Abby Lorelaine, vero?»

Rimango in silenzio, colpito dalla sua stoccata sottile e rapida. Corrugo le sopracciglia e trattengo un respiro teso. «Sono continuamente sotto interrogatorio con te, eh?»

Lei si stringe nelle spalle. «Sei libero di pensarla come vuoi.»

Certo, come no. E io sono nato ieri, agente.

«A dirla tutta, Abby è partita da meno di zero, visto che non aveva la più pallida idea di chi fossimo noi quando ha messo piede dentro la Caserma. E in poco tempo ha appreso molto più di quanto abbiano fatto altre persone che studiano qui», replico freddamente, ignorando la fitta leggera al petto che sento non appena pronuncio il suo nome. Quelle quattro lettere cariche di astio. «Adesso, se hai finito con i giochetti subdoli vorrei farti vedere qualche mossa base di autodifesa. Sai, nel caso in cui incontrassi qualche Sottomesso per strada e non ci fossi io a pararti il culo.»

L'agente Kane accusa il colpo in silenzio e si va più avanti con cautela. Quando si trova a pochi passi da me, proprio di fronte al mio petto, le inizio a spiegare con termini semplici i principali movimenti nella difesa personale: tenere la guardia, studiare l'avversario, alzare l'attenzione e proteggere le parti sensibili del corpo. Per ogni zona trattata le mostro delle mosse, indicando i vari punti da colpire e proteggere durante un attacco. Madison rimane concentrata sulle mie parole, attenta a captare ogni movimento delle mie braccia o del busto ogni volta che simulo una schivata o un attacco. Non fa domande, ma si limita ad annuire con serietà e, forse, anche un briciolo di apprensione.

Dopo averle mostrato come tenere la difesa alta, posizionando nel modo corretto i pugni chiusi e gli avambracci sollevati, le spiego come tirare un pugno. «Colpiscimi, forza», la esorto, sfidandola con lo sguardo.

«Che cosa?», esclama lei, la voce ridotta quasi a un gracidio.

«Colpiscimi in volto. Provaci, almeno», ripeto, annoiato. Poggio le mani sui fianchi e mi sporgo con la faccia verso di lei, schernendola.

«Non posso, Jared. Non sono-»

«Cazzate», la interrompo, prima ancora che possa portare a termine l'ennesima riluttante scusa. «Devi farlo perché te lo sto ordinando. Ho bisogno di capire quanto hai appreso finora di quello che ti ho detto. Non faremo un test scritto, se ancora non ti è chiaro.»

Madison si guarda attorno nervosa, come se temesse di essere vista da qualcuno mentre si sporca le piccole mani innocenti. Ma nel piazzale non c'è nessuno oltre a noi, così torna a guardami, sempre con la posizione di guardia impostata, e sospira. «Okay, d'accordo...» La sua espressione si fa più cupa e concentrata mentre mi studia con attenzione, poi, in una mossa tutt'altro che rapida e fluida, porta avanti il braccio destro con la mano serrata e prova a colpirmi sullo zigomo.

Chiaramente il suo tentativo non va a buon fine, perché con un solo gesto alzo il gomito e le afferro il braccio, incastrandolo dietro al mio. «Troppo lenta», mormoro, a pochi centimetri di distanza dalla sua nuca. Sento il suo respiro farsi più rapido e teso. Forse nemmeno lei si è resa conto della velocità con cui le ho bloccato la mossa e l'ho ritorta a suo sfavore.

Sorrido divertito e la lascio andare con uno sguardo quasi sprezzante, spingendola indietro verso la posizione iniziale. «Così facendo sei prevedibile e decisamente troppo macchinosa, agente. Sono convinto che se ti applichi riuscirai a fare di meglio. E ti dico un'altra cosa... Se vuoi fare davvero del male a qualcuno, non colpirlo in piena faccia. Rischierai solo di farlo incazzare da morire. Se posso darti un consiglio pratico, carica il pugno dal basso e indirizzalo verso la parte inferiore del mento, dove inizia la gola. Da sotto in sopra, ecco. Lo manderai al tappeto in quattro e quattr'otto.»

«La fai semplice, tu...», borbotta lei. Ha ancora il fiato corto e le guance le si sono tinte di rosa acceso. Sembra che stia faticando per la prima volta nella sua vita.

«È semplice. Devi solo prenderci la mano. Avanti, provaci ancora. E stavolta segui il mio consiglio.»

Madison annuisce e ritenta. Una, due, dieci volte. E in ognuna di queste fallisce, schiantandosi addosso alle mie prese immobilizzanti. L'ultimo tentativo che fa, ormai verso il tramonto del sole dietro agli abeti di confine della Caserma, sembra essere il più soddisfacente di tutto il suo primo allenamento: la traiettoria del pugno è indirizzata meglio ed ha acquisito la giusta potenza, però a mancarle è ancora la rapidità del gesto. Colto da un momento di estremo buonismo, le faccio credere di avercela quasi fatta, lasciando che il suo pugno si avvicini a pochissimi centimetri dal mio mento, ma alla le afferro il polso con uno scatto repentino e lo allontano dal volto, torcendolo in modo innaturale.

Madison impreca a voce alta, mentre ruota il busto per liberarsi dalla mia presa, lamentandosi a denti stretti. «Jared! Cazzo, mi fai male!»

Le mie dita sono strette attorno al suo polso con forza, costringendola a piegare il braccio destro in una posizione del tutto forzata, e con l'altra mano la spingo addosso a me, bloccandole ogni tipo di reazione. L'ho incastrata, dimostrandole per l'ennesima volta che ha fallito. Potrei tranquillamente lasciarla andare e farla respirare di nuovo, ma la verità è che non la sto ascoltando per niente.

No, le sue parole di lamentela mi arrivano soffuse nelle orecchie, come se provenissero da un'altra dimensione. Rimango anche io con il respiro appeso nel nulla, e tutto attorno a me si fa offuscato e pesante. Guardo un punto indefinito davanti ai miei occhi, sbarrati, e vengo invaso da una dilagante sensazione di oppressione mentale. Per un attimo non esisto più, ma percepisco solo una frase netta e chiara all'interno della mia testa.

Ti farò del male. Sentirai dolore. Tanto dolore.

Stringo ancora di più la presa su Madison e le ritorco ai limiti del possibile il polso, fino a che il suo grido quasi disumano mi fa tornare con la mente alla realtà, come se mi avessero appena gettato una secchiata d'acqua gelida in testa.

«Jared! Jared, lasciami andare!», grida con la voce strozzata, cercando di dimenarsi. Alla fine dà un calcio alla cieca dietro di sé e mi colpisce in mezzo al ginocchio, provocandomi una fitta fortissima sulla rotula che mi fa mollare la presa sul suo petto.

Guardami dentro.

«Ma che cazzo fai? Sei impazzito?» Madison si allontana da me come una furia, il respiro strozzato e la faccia paonazza. È spaventata da morire e si tiene il polso leso con l'altra mano. Proprio dove la stringevo con le mie dita è comparso un grosso segno rosso.

Faccio un passo indietro e mi passo una mano in mezzo ai capelli, sconvolto da quello che mi è appena successo. Mi trovo anche io a respirare con il fiato mozzato nel petto, e per un momento ho una paura nera di quello che ho fatto: ho perso il controllo di me stesso, rischiando di fare del male a un'altra persona. Ho perso il controllo e per un breve istante sono uscito fuori dalla mia testa.

Ma dentro a quella di chi sono entrato?

Sento una fitta sul polso, lo stesso dove avevo impresso il simbolo del Vinculum Aeternum, ma il marchio sbiadito è ancora lì, spento e quasi invisibile sulla pelle.

Non so quello che mi stia accadendo in questo periodo, ma qualsiasi cosa sia devo darci un taglio. Prima che stia troppo tardi e che le conseguenze assumano delle rilevanze concrete.

«Madison...» Faccio un passo avanti, ancora con il fiato corto, e alzo le mani in segno di scusa. Sono seriamente mortificato e credo che dalla mia espressione non si possa intendere diversamente. «Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Io-»

«Stammi lontano, Jared. Non avvicinarti più di così o giuro che mi rimetto a gridare.»

Mi fermo, a poco più di un metro da lei. Chiudo gli occhi e impreco a bassa voce. Quando li riapro, prendo un respiro modulato e calmo, anche se in realtà mi tremano le mani. Non mi era mai successo prima d'ora. «Mi dispiace, Madison. Sul serio. Non lo so cosa mi sia preso... L'attimo prima avevo la situazione sotto controllo e quello dopo...»

«Mi stavi spezzando il polso», conclude lei al posto mio, sputando fuori le parole con cattiveria. «Lo so che mi odi e odi il fatto che stia qui dentro, ma non devi necessariamente farmi del male fisico per farti andare meglio la situazione, Jared.»

La sua frase mi colpisce come un proiettile, schivo e diretto verso il bersaglio.

«Io non ti odio», riesco solo a replicare. Tutto questo è semplicemente assurdo. «Non so cosa mi sia successo. Non saprei nemmeno spiegartelo.»

«Se non vuoi insegnarmi a combattere puoi anche lasciare il compito a qualcun altro. Anzi, lo sai che cosa ti dico? Lo andrò a chiedere io a David. Anche adesso, se necessario.»

Mi passo una mano sul volto. In questo momento vorrei solo gridare per scrollarmi di dosso la sensazione negativa che mi si è appigliata nella testa. «Madison...»

«Che vuoi?», sbotta lei, ancora fuori di sé. Gli occhi blu spiccano, spaventati e furiosi. Sembrano quasi dotati di elettricità.

«Posso avvicinarmi?»

«Perché?» Si morde il labbro. È arrabbiata, ma è anche delusa da qualcosa. Forse, per qualche assurdo motivo, si fidava di me.

«Voglio vedere il tuo polso. Per favore.»

Lei non risponde, ma rimane a fissarmi con lo sguardo teso. Prendo il suo silenzio per un sì e mi avvicino cautamente. Non mi stupirei se volesse sganciarmelo adesso, un pugno in pieno volto.

Quando sono a pochi centimetri di distanza, avvicino con cautela la mano, come se avessi paura anche io. Le sfioro il polso leso e tremo dentro quando la sento sobbalzare per lo spavento. O forse per il dolore. La pelle è ancora arrossata, ma per fortuna non sembra essersi gonfiato eccessivamente.

«Quanto ti fa male?»

«È sopportabile. Adesso puoi lasciarmi.»

Non mentirmi, agente. Non sei brava a farlo.

Non appena faccio un po' più di pressione sul suo polso, Madison reprime a stento un moto di fastidio, che le fa crollare la facciata da dura.

«Mi fa male, d'accordo? Ma riesco a muoverlo. Adesso che lo sai ti senti meglio?»

«Per niente.» Sospiro di nuovo, avvilito e carico di sensi di colpa, e le accarezzo piano il palmo della mano, ancora disteso sulla mia. «Ti accompagno di Gabriel. Hai bisogno di un unguento, prima che si cominci a gonfiare.»

Madison ritrae di scatto la mano e mi fissa, disorientata dal mio gesto. La sua corazza s'incrina ancora di più. «Ci vado da sola.»

«Madison, ti prego.» L'afferro per le spalle e le faccio capire con lo sguardo quanto questa piccola accortezza possa farmi sentire un po' meno in colpa nei suoi confronti.

Dei passi tranquilli rompono il silenzio dell'atmosfera e si fermano a qualche metro di distanza da noi, quasi sorpresi di aver interrotto qualcosa. Rimango con le mani premute sulle spalle di Madison e alzo gli occhi per inquadrare la terza persona che si è inserita nella scena.

Janise si ferma di scatto nel giardino e non reprime un'espressione sorpresa: chiaramente nemmeno lei si aspettava di trovare qualcuno in questo minuscolo giardino abbandonato da tutti. La vedo fissarmi negli occhi per qualche istante, con il volto neutro di espressioni, e sfilarsi dalle orecchie gli auricolari della musica. Solo guardandola meglio mi rendo conto che è vestita con il top e i pantaloni militari che indossa di solito per andare a fare la Ronda, e sulla spalla ha uno zainetto nero dove quasi sicuramente nasconderà una pistola. Da quando hanno ferito Nolan con un'arma da fuoco, ha deciso di non uscire più dai confini della Caserma senza averne una con sé.

Janise lascia penzolare i fili bianchi degli auricolari dalle mani mentre fissa prima me poi Madison. Adesso la sua espressione è sconcertata e non prova nemmeno minimamente a nascondere il moto di sdegno che le passa negli occhi, non appena vede la mia vicinanza pericolosa all'agente... Quando nota che la sto addirittura toccando con premura. Mia sorella distorce il sorriso sul volto in un'espressione derisoria e schifata, poi scuote la testa e riprende a camminare verso il retro del parcheggio. Ogni suo passo risuona sulla ghiaia ed è carico di rabbia repressa, la stessa che l'ha contraddistinta ogni giorno di più da quando abbiamo fatto ritorno da Danville, dopo il giudizio.

«Vedo che ci metti poco ad andare avanti. Forse non ti serviva neppure che ti offuscassero la memoria.» Janise parla piano, guardando dritta avanti a sé. Come se non lo sapessi che quelle parole sono dirette a me, cariche di veleno e rancore.

Faccio cadere meccanicamente le braccia dalle spalle di Madison e mi volto verso di lei. La stessa cosa fa l'agente, che nemmeno si era accorta della sua presenza.

«Non fare la stronza, Janise. Ci stavamo solo allenando», taglio corto. Ci manca solo di intavolare una discussione con mia sorella e poi siamo a posto.

Lei rallenta il passo e ruota il busto verso di noi. Le mani sono strette attorno alle cinghie dello zaino che porta dietro alla schiena e le labbra sono distese in un sorriso tutt'altro che allegro. «Certo, come no. Adesso le insegni come tirare un calcio e domani ti ci svegli assieme nel letto. È una storia già rivista, sai? Forse dovresti valutare di aggiornare un po' il copione, fratellino. La ripetività annoia.»

Madison apre la bocca per dire qualcosa e dalla sua espressione cupa capisco già che la discussione non finirà per la meglio. Così le lancio un segnale silenzioso di monito, scuotendo appena la testa.

Non ne vale la pena, agente.

«Non stai dando una bella immagine di te, Janise.» Lancio a mia sorella un'occhiataccia, sperando che questo basti a farla tornare a pensare ai suoi affari. Ma ovviamente non funziona, anzi, la istiga ancora di più al dibattito. Infatti il suo sorriso si tende ancora di più su quel volto magro e ormai troppo serio che da un po' di tempo faccio fatica a riconoscere, e inizia a camminare verso di me, ignorando palesemente la presenza di Madison insieme a noi.

Janise si ferma di fronte a me, nel mezzo del giardino, e muove il mento in avanti in cenno di sfida. Una mossa arrogante e "alla Evans", che ha da sempre contraddistinto la nostra famiglia. «Pensi che mi interessi qualcosa fare bella figura di fronte alla tua nuova fidanzatina, Jared? Non so se te ne sei reso conto, ma stai di nuovo sbagliando tutto. Proprio come avevi fatto con Abby. Ti avvicini alle persone sbagliate e speri che chi ti sta intorno non lo noti nemmeno.»

«Attenta alle parole, Evans.» Madison s'intromette con aggressività nel discorso tra me e mia sorella.

«Madison, per favore. Lascia stare», mormoro a bassa voce.

Janise sposta di scatto l'attenzione sull'agente e si limita a fissarla per la prima volta, come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza. «Verrai anche da Danville, ma non sei nessuno qui dentro. E non sarai nessuno nemmeno per mio fratello.» Riporta lo sguardo di nuovo su di me e mi fissa con occhi duri. «Lo sai anche tu che questa è solo una farsa.»

Inveisco a bassa voce e afferro mia sorella per un braccio, forzandola a seguirmi poco lontano da Madison, in un punto del giardino dove lei non ci possa sentire. Ci fermiamo accanto a un roseto brulicante di api ronzanti. Incrocio le braccia al petto e butto fuori l'aria spazientito. «Si può sapere che diavolo pensi di fare, Jan? Vuoi davvero attaccare briga con Madison Kane? Ma ci pensi alle conseguenze di quello che fai?»

Lei alza gli occhi marroni al cielo e mantiene l'aria scocciata. «Ancora non l'hai capito che non me ne frega nulla delle conseguenze?»

«Sì, ma lei viene da Danville. E lo sai del potere che hanno, lì. Me lo hai detto tu stessa di stare attenta.»

«L'ho detto per te, Jared, per metterti in guardia, dato che ultimamente hai il cervello quasi sempre inzuppato dall'alcool. Ma io non ho alcun interesse a difendermi da lei. Non ho interesse a difendermi da nessuno, in realtà.»

Sospiro e corrugo le sopracciglia. Davvero faccio fatica a capire cosa passi nella testa di mia sorella in questo periodo... Cosa la affligga al punto da covare così tanta rabbia verso di me e verso tutto il resto della Caserma.

«Jan, non mettermi nella condizione di doverti tenere lontana da me per proteggerti da quello che ti frulla nel cervello. Ti prego

Lei ride a bassa voce, lo sguardo serio fisso verso di me. La sua voce è cupa e tagliente allo stesso tempo. «Attento a quello che fai, fratellino. Sbagliare una volta è ammissibile, ma rifarlo per una seconda...» Sposta lo sguardo su Madison, fissa a guardarci con le braccia conserte, e scuote la testa. «Prima la relazione con un Ibrido e adesso lei. Cosa ti fa pensare che stavolta finirà meglio?»

«Guarda che non c'è niente tra me e l'agente.»

«Jared, andiamo... Tu stai cercando in tutti i modi di andare avanti e lei si è letteralmente gettata a capofitto sulla tua strada. Alcune conclusioni sono facili da trarre.»

«Sei completamente fuori strada. Siamo solo obbligati a lavorare insieme.»

Janise mi guarda come se avessi appena detto una stupidaggine chiara e forte e alza le mani, arrendendosi al mio negazionismo. «Speravo che ti dimenticassi di Abby e del vostro legame, Jared. Ma non credevo che lo avresti fatto sfruttando il giochino del "chiodo scaccia chiodo"... E per giunta con una spia di Danville.» Fa per andarsene, ma la blocco per un braccio.

«Guarda che lo so che ti stai comportando da stronza con tutti perché hai qualcosa di irrisolto con qualcuno, Janise. Ti conosco bene ormai», l'addito, abbassando il tono di voce a quasi un sussurro. Lei prova a sganciarsi dalla mia presa ma le stringo ancora di più l'avambraccio. «Che succede con Nolan? Prima non facevate altro che stare insieme, mentre adesso a mala pena vi tollerate nella stessa stanza. Lui non parla più di te e sono mesi che non fate una Ronda insieme. La mia mente sarà pure stata impegnata in altri pensieri, ma mi accorgo ancora quando le cose cambiano attorno a me. Soprattutto quando riguardano mia sorella e il mio migliore amico

Janise si scrolla da me con una mossa irruenta e mi spintona indietro. Il suo sguardo è ferito e furioso allo stesso tempo. L'ho appena toccata in un punto vivo. «Fatti gli affari tuoi, Jared.»

«Stai facendo un grosso sbaglio ad allontanarlo, Jan.»

«E tu stai facendo uno sbaglio ad avvicinare lei a te.» Guarda per l'ultima volta Madison, poi sposta lo sguardo sul parcheggio nel retro e sospira. «Devo andare, adesso. Finnick mi sta aspettando.»

Per un attimo ho come l'impressione di essermi sognato le ultime parole. Sbatto le palpebre e sbarro gli occhi stupito. «Finnick? Da quando in qua fai le Ronde con Finnick, tu?»

«Da quando sembra l'unico in grado di non giudicarmi in questo periodo.» Janise si appunta meglio lo zaino in spalla e mi saluta con un cenno del mento. «Ciao, Jared.»

Mi passo una mano sulla fronte, combattuto tra quello che vorrei fare e quello che dovrei dire. L'idea che mia sorella se ne vada in giro per Henver con Spencer non mi va per nulla a genio, ma so anche che lei è in gamba e non si farebbe mai mettere i piedi in testa da un idiota irrispettoso come lui. «Tieni gli occhi aperti, Janise. Soprattutto quando stai con lui.»

Lei inclina il volto verso di me, il necessario per lanciarmi un sorriso velato e un po' triste. Una ciocca di capelli castani le copre lo zigomo e la scansa con un dito, riportandola in ordine dietro all'orecchio. «E tu non abbassare la guardia con lei, fratellino. Sono certa che nemmeno Abby vorrebbe che lo facessi.»

E con quest'ultima stoccata finale, Janise se ne va, raggiungendo il parcheggio dietro alla Caserma e lasciandomi per la prima volta senza parole con cui controbattere. Perché infilare nel discorso anche Abby con quel tono ammonitorio e quasi nostalgico? Mia sorella non ha mai accettato del tutto la presenza di Abby qui dentro né tanto meno il fatto di vederla legata in qualche modo a me. Ma adesso, a sentirla parlare, sembrava quasi che quella stessa persona con cui tanto si era battuta contro, le iniziasse a mancare.

Scuoto la testa, consapevole del fatto che non capirò mai a pieno la mente complessa di quella donna, e torno dall'agente, che mi sta aspettando impaziente al limite del giardino. Ha l'aria profondamente offesa e ogni movimento che fa trasuda nervosismo e stizza. È evidente che lo scontro con Janise l'abbia fatta infervorare.

«Dovresti dire a tua sorella di modulare i toni e di essere più rispettosa, quando si rivolge a qualcuno di superiore. Mi domando dove sia tutta questa disciplina che dicono di impartirvi nella Caserma», esordisce infatti non appena mi fermo di fronte a lei, con un'espressione carica di scuse.

«Mi dispiace... Lei è... Janise sta attraversando un periodo difficile.»

Madison inarca un sopracciglio e inizia a camminare, diretta verso l'ingresso principale della Caserma. «Lo stiamo attraversando tutti, ma non mi pare di incontrare gente che riversi il proprio odio sul prossimo non appena ne ha la possibilità. Se dovesse ricapitare, sappi che farò in modo che tua sorella venga richiamata da Danville. E non scherzo mai a riguardo», mi avverte, con il tono di voce glaciale e lo sguardo duro dritto di fronte a sé. Dopodiché si chiude di nuovo nel suo silenzio.

Anche io rimango zitto per tutto la strada che porta all'infermeria di Gabriel. In parte perché non saprei in che modo migliorare la situazione, in parte perché ho ancora le parole di Janise che mi ronzano nella testa, a mo' di avvertimento.

"Non abbassare la guardia con lei, fratellino. Sono certa che nemmeno Abby vorrebbe che lo facessi."


Angolo dell'autrice.

Con questo capitolo, vi auguro una buona pasqua! Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo... Pensate che Janise abbia ragione sulla previsione tra Jared e Madison? E perché cova cosi tanto odio nei suoi confronti? 

Nel prossimo capitolo rivedremo un vecchio personaggio... Vi ricordate ancora del dottor Gabriel? 

Commentate e lasciate un voto se il capitolo vi è piaciuto ! 

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