L'Astronauta e il Mago

By thek3nger

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Dario Vargas è l'ingegnere capo a bordo della Odyssey, la nave scientifica mandata ad esplorare un'anomalia g... More

La Odyssey
La Sirena
Terra?

Verso Migene

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By thek3nger

Chi è questa gente? Perché sono così simili agli esseri umani? Sono morto e questo l'aldilà?

Dario sedeva su un sasso davanti la sua tenda con centinaia di domande che gli guizzavano in testa come pesci in uno stagno. A dire il vero, non lo avevano mai abbandonato. Eido e il capitano gli avevano dato una tenda per riposarsi e prepararsi alla lunga marcia del giorno dopo; solo che non aveva quasi chiuso occhio stordito qual'era da quella situazione surreale in cui si trovava. Così quella mattina aveva aperto gli occhi pesanti certo che fosse stato tutto un sogno; che magari La Sirena altro non era che una singolarità in grado di causare allucinazioni; che magari la fuga verso la navetta, l'Odyssey in frantumi e la fuga nel bosco fossero non altro che una serie di dettagliatissime illusioni. Ma poi la realtà lo aveva colpito come un badile sul volto e, uscito dalla tenda, la prima cosa che aveva visto era la faccia ruvida di Eido a torso nudo e con addosso soltanto dei pantaloni di tela caffellatte seduto su un tronco spezzato.

Chi era quella gente e perché erano così simili a lui? Se tutto era finto e illusorio perché l'odore dell'erba e della cenere dei fuochi era così vera?

Eido il cavaliere non gli toglieva gli occhi di dosso: vicino a lui affilava con una pietra scura la lama di un grosso pugnale lungo come il suo avambraccio. Dario guardava davanti a lui l'operoso via vai di soldati, donne e garzoni nella radura. Con il giorno aveva notato molte altre tende, molte più delle dieci che aveva visto la sera prima; alcune erano grandi come quella del capitano, altre più piccole come tende da campeggio. Erano sparse in modo poco ordinato nella radura, schiacciate sotto degli alberi dai tronchi talmente grossi ci sarebbero volute tre persone per abbracciarli tutti. Aveva l'impressione di trovarsi in una rievocazione medievale e per giunta nemmeno troppo riuscita.

"Presto torneremo a Migene." Eido alzò davanti a lui il pugnale beandosi del suo riflesso nella lama. Poi strofinò le due facce del pugnale sulla coscia e lo ripose nella fodera legata alla gamba, "Non vedo l'ora che tutti sappiano."

Dario si voltò, gli occhi persi che non mettevano a fuoco nulla.

"Migene?"

"Migene. La capitale del regno." Eido appariva sorpreso, "Non conosci Migene?"

Dario scosse la testa.

"Ti sembra che sappia qualcosa di questo posto?"

"Oh beh." Eido alzò le spalle, "Gli Dei operano in modi misteriosi."

Dario si lasciò andare e scivolò piano a terra fino a poggiare la schiena sulla grande pietra chiara, la testa gettata al cielo. Se guardava il cielo, il sole e la cima delle fronde degli alberi gli sembrava di essere a casa.

Una coppia di soldati si avvicinò a Eido parlando del più e del meno. La traduzione di Eva era ancora piuttosto grossolana e falliva spesso con persone che avevano un accento differente; tuttavia con ogni parola il sistema diventava sempre più preciso e il numero di parole che Dario doveva tirare ad indovinare diminuiva velocemente.

Quando i soldati se ne andarono, Eido si chinò strappò un filo d'erba e cominciò a masticarne lo stelo.

"Ho fatto una fatica!"

Dario scosse la testa e si avvicinò il bracciale all'orecchio.

"Dico... ho fatto una fatica." Ripetè il cavaliere.

"A fare cosa?"

"A non dire che sei il parvah."

"Cos'è un parvah?" Chiese nuovamente Dario.

Eido si fece scuro in volto.

"Non mi piace scherzare, parvah."

"Come fai ad essere così sicuro che io sia un parvah."

"Questione di stomaco; di fede." Eido portò il petto all'infuori, "E poi... ti ho visto arrivare. La scia di fuoco" Eido mimava con le mani un arco nel cielo, "So riconoscere un parvah quando lo vedo."

"Hai visto altre scie di fuoco?" Chiese Dario mentre la vita gli tornava in corpo. Che non sia il solo? Magari gli altri membri della Odyssey sono piombati in questo stesso parco giochi.

Eido abbassò lo sguardo.

"No. Non personalmente almeno. Ma ne ho letto! Il parvah arriverà a Migeria con una scia di fuoco! Così è scritto."

Dario voleva chiedere un'altra cosa ma la domanda venne soffocata dal suono di un corno. Il capitano Albian uscì dalla tenda, sorrideva, il sole baluginava sulle mostrine e gli intarsi di metallo dell'armatura; passò in rassegna il campo con lo sguardo fino a quando non incrociò Dario e a quel punto aggrottò la fronte e strinse le labbra.

"Uomini e scudieri. Prepariamoci a partire. I genieri smonteranno il campo e intanto mi aspetto che tutti tranne le retrovie si mettano in cammino fra dieci minuti." Dario notò che lo stava guardando fisso "E quando dico tutti intendo tutti. Saremo a Migene entro questa sera." Gli astanti gridarono, qualcuno alzò le mani al cielo, molti sorridevano. Il capitano sparì nuovamente nella tenda mentre il ragazzo con il buffo corno che sembrava il ramo nodoso di un albero rimase impettito sull'uscio.

Eido si mise in piedi e si spolverò la terra di dosso. Camminò verso Dario e, arrivato vicino, gli tirò una pacca sulla schiena che per poco non lo fece strozzare.

"É tempo di andare, parvah."

--

Era passata solo un ora da quando si erano messi in viaggio e le gambe di Dario erano già contorte in orribili crampi. Il piccolo contingente avanzava lento e deciso lungo un sentiero adagiato sul pendio di una collina che costeggiava una foresta di abeti. Il clima era mite e il panorama idilliaco, ma Dario non era ancora pronto ad una marcia del genere. Si portò le mani sui quadricipiti e mugugnò; fitte lancinanti gli toglievano il fiato. Tutti gli sforzi del giorno prima sembravano essersi agglomerati in un unico grumo di dolore.

Poi la gamba destra – stanca di essere trascinata in giro – cedette e Dario cadde. Picchi; col ginocchio sui ciottoli e si lasciò scappare un lamento. Eido – che non lo aveva mollato un minuto da quando erano partiti – gli fu subito addosso e lo afferrò sotto le spalle con le sue mani giganti.

"Tutto apposto, parvah?"

"Tutto okay."

Eido lo guardò confuso. Dario guardò Eva. Forse non ho tradotto bene.

"Ochei?" Disse infine il cavaliere.

"Sì, insomma. Va tutto bene."

"Sembrate debole. Scommetto che il vostro viaggio è stato duro."

Dario fece un mezzo sorriso. "Non sai quanto. Ma non preoccupare, starò bene fra qualche giorno."

Eido si passò la mano sulla barba.

"Abbiamo almeno altre sei ore di cammino. Poi ci fermeremo per la notte e domani raggiungeremo Migene. Ti sembra... ochei?"

Dario si rimise in piedi stringendo i denti, il dolore era quasi scomparso ma le gambe sembravano rispondere a malapena ai comandi.

"Sei ore." Fece una pausa, "Non possiamo rallentare, almeno?"

"Oh." Eido si guardò attorno, fissò la foresta, fissò la pianura sotto il pendio. "Albian aveva richiesto esplicitamente di raggiungere Migene entro domani; ma sono sicuro che se è il parvah a chiederlo—"

"Per carità! No, no. L'ultima cosa che voglio è inimicarmela ancora di più. Ce la faccio." Le ultime parole erano rivolte più a lui stesso che al barbuto cavaliere.

"Vorrei poter fare qualcosa per voi."

Dario sospirò. Puoi trovare i miei compagni? Puoi farmi tornare sulla Terra?

"Non fa nulla. Vorrei solo... sono solo stanco."

"Vedrò che cosa posso fare, parvha." Il cavaliere fece un piccolo inchino e accelerò il passo per raggiungere le parti più avanzate della compagnia.

Dario fece altri dieci passi prima che un crampo lo costringesse a fermarsi di nuovo. Ginocchia a terra, Dario osservava decine di uomini, in gran parte soldati, camminargli a fianco e superarlo. Ogni tanto qualcuno gli lanciava un occhiata veloce per poi continuare a marciare con disciplina marziale.

"Eva. Cos'è Migene?" Dario sussurrò al bracciale.

"Non ho informazioni al riguardo. Con buona probabilità è il nome di una città."

"Sicura che non siamo sulla Terra? Continuo ad avere un sacco di sensazioni alla Il Pianeta delle Scimmie. Non è che siamo nel futuro?"

"No." La voce di Eva era calma e perentoria, "Le stelle non coincidono con quelle visibili dalla Terra in nessuna delle evoluzioni future o passate. Potrò dare una stima più precisa una volta collegata ad una potenza di calcolo maggiore."

"Temo non accadrà a breve." Dario guardò lungo la strada che avevano appena percorso. La sua navetta giaceva da qualche parte la in fondo e, dentro la navetta, c'erano tutti gli strumenti di ricarica di Eva nonché l'unica speranza di tornare a casa.

A quest'ora la navetta sarà già diventata la tana di qualche animale o razziata da quelli che mi hanno attaccato.

"Eva. Hai tracce di qualche altro superstite? Non posso essere solo io ad essermi salvato."

"Non rilevo nulla tuttavia le mie capacità sono insufficienti. Proverò ad elaborare più dati ma questo scaricherà la mia batteria più in fretta."

"Fai pure. Devo trovare gli altri."

Una mano afferrò Dario per le spalle, il cuore gli schizzò in gola.

"Sono io, parvha." Era voce di Eido il cavaliere, "Come state?"

Dario infilò il polso nella tasca della tuta a si limitò a sollevare stanco le spalle.

"Ho parlato con Albian." Continuò il cavaliere per poi fermarsi come se avesse dimenticato come si parlasse.

"E?" Disse Dario dopo la lunga pausa. Lui si sistemò i gambali.

"E... con successo. Sono, ehm, sono riuscito ridurre la marcia da sei ore a..." fece un sospiro, "quattro ore."

Dario si irrigidì al pensiero di camminare tanto. Non che avesse scelta. "Beh... va bene—"

"E mezzo." Lo interruppe il cavaliere, le gote color porpora basse a terra verso la punta degli stivali, "Quattro ore e mezzo. Ma credimi, parvha, questo è un grande risultato con Albian."

"Sembra severa."

"Oh, no." Il cavaliere rise e poi si inceppò a bocca aperta, "Beh, sì. Un po'. È molto fedele a Migene e vuole che tutto funzioni alla perfezione. Purtroppo ultimamente con le rivolte a Ponta Sohara—"

"Ti fermo subito. Non ho idea di cosa tu stia dicendo." Dario crollò schiena a terra sull'erba umida del mattino.

Dario chiuse gli occhi nella speranza che, riaprendoli, tutto fosse svanito.

"Scusami, parvha."

Riprese il cavaliere dopo l'ennesimo lungo silenzio. Dario si sentì in colpa, forse era stato troppo brusco.

"Ah. Mmh. Scusami tu. Sono stati un paio di lunghissimi giorni."

"Immagino." Il cavaliere borbottò qualche parola incomprensibile. Poi si voltò, l'ultimo soldato del gruppo passò al loro fianco. "Credo sia ora di rimetterci in marcia."

Dario sbuffò.

"Va bene." Disse con un ringhio.

Dario si alzò in piedi e guardò la strada sterrata. Fece un passo, perse i sensi e cadde a terra.

--

Dario riaprì gli occhi circondato di teli e sacchi che odoravano di grano. Il cielo era scuro e le nuvole tracciavano pennellate arancio luminose come luci al neon. Si mise a sedere, frastornato, i pensieri si muovevano lenti nella testa come pesci un una boccia. Mosse le gambe, dolevano ma erano molto meglio dai tronchi secchi che si era trascinato dietro prima di crollare con la faccia nello sterrato.

La consapevolezza di essere caduto lo investì in pieno. Dove sono ora? Sono ancora con quella banda di matti? La risposta arrivò, come sempre, con la voce bassa di Eido il Cavaliere.

"Ben svegliato, parvha."

Dario si rizzò a sedere come una catapulta. Eido se ne stava seduto vicino al carro. Tutto a torno genieri e soldati avevano quasi terminato di montare le tende e grossi falò bruciavano per il campo stracciando la luce crepuscolare della foresta.

"Dove... dove siamo?"

"Sei caduto come una pera, parvha." Il cavaliere rise, "Così ti ho caricato su uno dei carri dei rifornimenti. Non è bene per i soldati che il parvha si faccia trasportare come un bambino ma – come si dice: a mali estremi..."

Dario si voltò verso uno sbuffare di bestia. Dietro di lui un grosso bovino dalle spalle larghe e dalle corna lunghe rivolte verso l'alto come antenne si scuoteva di dosso le mosche che lo assillavano. Sembrava una Ankole – un tipo di bovino dalle corna sproporzionate che aveva visto una volta in Uganda – solo che era una testa più alta e larga il doppio.

"Non era mia intenzione causare problemi." Dario fissò il cielo tinto di arancio. "Non avevi detto che il capitano voleva raggiungere Migene entro domani?"

"Siamo vicini. Domani mattina dovremmo arrivare. Tardare una notte non causerà alcun problema."

"Mmm. Immagino che il Capitano non l'abbia presa bene."

"Affatto."

Fantastico. Bellissima prima impressione.

"Dille che mi dispiace."

"Oh, parvha. La colpa è stata nostra. Dovevo immaginare che il viaggio fra le stelle fosse stancante. Non dovevo farti camminare. È stata una totale mancanza di attenzione e di rispetto." Il cavaliere si strofinava la nuca con la mano e oscillava a destra e sinistra come una boa in mezzo al mare.

"Viaggio fra le stelle?" Non può essere una coincidenza. "Che intendi dire?"

Il cavaliere apparve perplesso, la bocca si muoveva muta in cerca di parole.

"Non... non siete venuto dalle stelle?"

"Tu che ne sai?" Quel cavaliere conosceva altri come me?

"Parvha—"

"Basta con quella parola!" Gli sembrava la loro risposta ad ogni domanda.

"No, dico... parvha. È una parola antica. Viene da pjar, stella, e vahir, viaggiatore. Viaggiatore delle stelle. È un antica parola di una lingua che nessuno parla quasi più."

"Cos'è un parvha? Perché mi tratti come se fossi il messia?"

"Secondo la leggenda, il parvah è un mago inviato dagli Idilir, gli spiriti del mondo originale. Ogni qual volta una forza oscura minaccia il Regno, un parvah scende dalla terra trasportato da una stella di fuoco."

Dario non credeva alle coincidenze. Su quel pianeta dovevano essersi schiantate altre navette della Odyssey. Ne era sicuro, anche se tutto quel parlare di leggende faceva sembrare tutto così antico.

"Ci sono altri come me?"

"Non che io sappia. Ma..."

Dario ringhiò e si sdraiò nuovamente nel carro fra sacchi di granaglie e casse di mele. Le mani sul volto e il cuore che batteva.

"Parvha..." Il cavaliere si affacciò nel carro, "Voglio farvi vedere una cosa." E tese la mano.

Dario si fermò a riflettere. Non c'era molto che poteva fare e uscire da quel carro non poteva certo fargli male. Afferrò il braccio del cavaliere. Di colpo il cavaliere tirò e Dario si sentì sollevato da una forza sovrannaturale. Non si aspettava tanta forza dal cavaliere e sarebbe sicuramente caduto dal carro se l'omone non l'avesse tenuto.

"Fai attenzione, parvha. Non vorrai romperti l'osso del collo dopo quel lungo viaggio!" ridacchiò in modo sommesso. Una volta stabile sul terreno, il cavaliere fece cenno di seguirlo e entrambi si infilarono lungo un piccolo sentiero nel bosco.

Era quasi buio e la vegetazione strangolava ogni residuo raggio di sole. Dario faceva attenzione ad ogni passo, il suo passo incerto non faceva altro che rendere più difficile avanzare sul terreno sconnesso del sentiero. Avanzarono un paio di minuti fino a quando Eido non scansò un grosso cespuglio e sparì.

Con il cuore accelerato, Dario accelerò il passo e si infilò dentro lo stesso cespuglio. Fu come uscire da una grotta.

Dietro il cespuglio si affacciava un'ampia pianura tagliata a metà da un grande fiume tortuoso che si tuffava in un mare di oro liquido. Sulle rive del fiume e a poca distanza dalla costa sorgeva una città enorme a pianta ottagonale circondata da otto torri e mura gigantesche illuminata dagli ultimi raggio del sole morente. Dario riusciva chiaramente a distinguere ogni torre nonostante la distanza. Dovevano essere immense. Attorno campi coltivati e agglomerati indiscernibili macchiavano la pianura dell'inconfondibile impronta del passaggio dell'umanità. Ma è umanità questa? Non ha nessun senso. Nessuno.

Dario si avvicinò sul ciglio del pendio. Il cavaliere lo colpì al braccio; sorrideva e puntava il grosso braccio verso la città.

"Quella è Migene. Bella eh?"

La vista era oggettivamente stupenda.

"Notevole. Dico sul serio."

"Migene. La gemma di Migeria. La capitale. Nessuno dei cinque regni di Migeria può competere con Migene in quanto a bellezza."

Che posto è mai questo? Dove sono finito?

La magnificenza del panorama, tuttavia, nulla poteva contro l'assurdità di tutta quella esperienza. Sembrava un film; un videogioco. Davanti ai suoi occhi quella città uscita da chissà quale fantasia non faceva altro che rafforzare quel permeante senso di assurdo. Migene era vera, era lì davanti a lui, eppure più la guardava più tutto sembrava finto.

"Gli dei ti hanno mandato per difenderla. L'ombra lunga di Ulimpakat minaccia i cinque regni liberi di Migeria. Sono sicuro ci siano loro sotto le continue ribellioni del Sud. Fino a ieri temevo per il futuro del regno ma oggi..."

Dario guardò il cavaliere. Se ne stava impettito con il pugno sul petto e lo sguardo perso verso la capitale. Sì senti subito schiacciato dal peso dell'aspettativa che quell'uomo nutriva nei suoi confronti.

"Ehi. Guardami. Sono sporco, i miei vestiti sono stracciati e sono svenuto dopo un'ora di cammino. Ti sembro un eroe delle leggende?"

Il cavaliere si voltò. Gli occhi blu notte lo guardavano forti; sul volto un indomabile sorriso.

"Non mi lascio ingannare dall'aspetto. Mio padre diceva sempre che la scatola più umile contiene sempre il tesoro più prezioso. Con il tempo troverai il tuo e capirai cosa vuoi veramente."

Dario abbassò la testa; la sera aveva ormai consumato ogni particella di luce dal bosco.

"Voglio tornare a casa."

Il cavaliere si drizzò la cotta di maglia che scorreva lungo le fibbie produsse un leggero rumore di sonagli. Sembrava sereno, condizione che Dario gli invidiava moltissimo.

"Vedrai che ti piacerà la tua nuova casa."

--

Eva squillò nel buio della tenda.

"Manca un ora al sorgere del sole."

La sveglia che aveva impostato prima di mettersi a letto lo trovò già sveglio. Aveva dormito due ore – ad essere ampiamente ottimisti – e quelle due ore erano state solo un confuso dormiveglia in cui aveva rivissuto la distruzione della Odyssey dieci, cento, mille volte. Ogni volta incontrava qualcuno di diverso durante la sua fuga: compagni lasciati a morire in camere esposte al vuoto, schiacciati da paratie collassate, strappati in due da quella forza di gravità impazzita. Provava dolore per ognuno di essi, anche per quelli con cui aveva legato meno.

"Eva. Ce ne andiamo. Sai condurmi indietro alla navetta?"

"Su questo pianeta non ho accesso alla geolocalizzazione ma i dati olometroci sono sufficienti."

"Lo prendo per un sì."

Si alzò da quella specie di sacco a pelo, afferrò lo zaino e si affacciò dalla tenda. Fuori era buio pesto.

C'è la luna in questo posto?[ Ho già fatto riferimento alla luna in precedenza?] Non ci aveva mai pensato fino a quel momento. In ogni caso gli andava benissimo così, il buio andava a suo favore.

Che cosa sto facendo?

Aveva pensato a lungo. Lasciare il campo per tornare alla navetta era una follia. Se stava in silenzio abbastanza a lungo poteva ancora sentire il sibilare delle frecce nell'aria.

Non ho scelta.

Si era ripetuto quella frase per tutta la notte. Quella strana compagnia sembrava veramente interessata alla sua sicurezza. Forse troppo. Dario aveva il presentimento che quella protezione si sarebbe presto trasformata in prigionia e, a quel punto, non sarebbe più riuscito a trovare i suoi compagni.

Dario strisciava fra le tende facendo attenzione ad evitare i pochi soldati di guardia. Sentì dei passi e spense la luce di Eva e si schiacciò a ridosso di una tenda. Una coppia di soldati passò ad una decina di metri. Tenevano in mano due fiaccole ma erano troppo distratti a parlare fra loro per accorgersi di lui. Aspettò un paio di minuti trattenendo il respiro poi riprese a camminare. Raggiunse il ciglio del campo, si voltò verso le tende, sospirò nell'aria tersa della sera e si avviò nella foresta.

"Eva. Guidami verso la navetta."

Eva si accese e sul quadrante comparve un punto rimosso.

"Non sono in grado di dare una distanza precisa."

"Non fa nulla." Spero solo di raggiungerla prima di sera. Senza dover stare al passo dei carri dovrei riuscirci.

Gli sembravano le ultime parole famose. Più camminava più sentiva la sua fiducia affievolirsi. Quei sentieri sembravano tutti uguali. Sono già passato di qui? Non avevo già visto quel sasso a forma di cuore? Dopo un quarto d'ora sentì una fitta ad una gamba. Era tornato a gravità terrestre – se di terrestre si potesse parlare – da meno di due giorni. I suoi colleghi astronauti impiagavano settimane per tornare a regime e lui si era imbarcato in una marcia solitari in cerca di cosa? Non lo ricordava quasi più.

L'aria intanto cominciava a schiarirsi. Il sole era sul punto di sorgere.

"Spero tu sappia dove stiamo andando." Disse Dario ad Eva.

"Non posso garantire che ci blocchiamo in minimi locali."

"Eh? Intendi vicoli ciechi?"

La risposta arrivò subito come una punizione divina: davanti a lui una rupe troppo ripida per essere scalata gli bloccava la strada. Dario guardò a destra e sinistra: la strada era impervia, bloccata da rami e vegetazione.

Fantastico. Non sono partito da nemmeno da mezz'ora e sono già bloccato.

"Serve una mano?"

La voce di una donna freddò Dario mentre cercava di farsi spazio fra un fitto intreccio di rovi. Sapeva benissimo chi fosse e per quello non osava voltarsi.

"Girati. Vieni qua."

Dario si voltò lentamente tenendo le mani alzate. All'ingresso della gola in cui si era incastrato c'era il capitano della compagnia, braccia conserte e una maschera di serietà sul volto.

"Ti ho visto uscire dalla tenda prima della sveglia e ho deciso di seguirti." imbronciò il volto come avesse morso un limone, "Ho fatto bene."

Dario non sapeva cosa dire. Rimaneva fermo con il cuore in gola e le braccia indolenzite alte come le fronde degli alberi.

"Non hai niente da dire? Volevi fuggire? Dove avevi intenzione di andare?" Il capitano avanzò verso di lui a passi violenti, "Mi capisci? Capisci quando parlo?"

"Sì." Dario deglutì la sua stessa lingua.

"Oh! Allora ti è tornata la parola. Anche se parli ancora con doppia voce di donna." Il capitano gli afferrò il braccio e gli sollevò davanti agli occhi il polso illuminato da una flebile luce verdastra.

"Questo... È l'unico modo che ho per comunicare. Non parlo la vostra lingua—"

"Dove volevi andare?" Il capitano non sembrava affatto interessata. "Non mi interessa se rispondi tu o lo spirito che risiede nel bracciale. Voglio una risposta." Si fece scura in volto, il pungo serrato attorno al suo avambraccio gli faceva male. Dario ebbe il presentimento che avrebbe potuto spezzarglielo se solo avesse voluto.

"Tornavo alla navetta. Ho... ho lasciato lì degli artefatti che—"

"Con chi credi di avere a che fare? Con me la tua sceneggiata non attacca. Non credo negli dei, non mi interessano le leggende e le fandonie che tanto piacciono ai Migeriani." Il capitano gli mollò il braccio solo per afferrargli la divisa e lo strattonò. Il capitano era poco più bassa di lui ma Dario non poteva fare a meno di sentirsi intimorito dalla sua furia.

"Io non mi fido di te." Il capitano scandì le parole mostrando i denti. Era furiosa. "Te lo chiedo un'ultima volta. Dove eri diretto?"

"Tornavo da dove ero venuto. Sono caduto... dal cielo. Oh, dannazione. Sembra una follia."

"Perché sei venuto qui?"

"È stato un incidente. Se avessi voluto non sarei mai venuto. Non so nemmeno dove mi trovo!"

Il capitano lo spinse con forza contro la parete di roccia. Il colpo sulla schiena gli mozzò il fiato. Il capitano sguainò la spada e glie la puntò ad un palmo dal collo.

"Dammi un buon motivo per cui non dovrei ammazzarti qui. Sei una spia? Ti manda Ulimpakat?"

"No! Ferma! Non so nemmeno chi sia questo Ulimpakat!"

Il capitano alzò un sopracciglio, rimase in silenzio e poi abbassò la spada.

"Per gli spiriti della pianura!" Il capitano si voltò e scalciò la terra.

"Mi... mi credi?"

Il capitano si voltò come una catapulta.

"No. Ma non credo tu sia un attore tanto bravo. Se non altro ti sei meritato il beneficio del dubbio."

Dario tirò un grosso sospiro di sollievo. Non fece in tempo ad esalarlo che il capitano gli fu di nuovo addosso.

"Ora guai a te se provi qualche altra furbata. Non solo devo combattere con le ribellioni di Sohara e le esercitazioni di Ulimpakat a nord: ci mancavi anche tu." Il capitano camminava avanti e dietro testa a terra come un leone in gabbia, poi scattò, afferrò Dario per il collo della divisa e lo spinse verso l'uscita della gola, "Ora muoviti. Siamo già in tremendo ritardo."

Dario seguì il sentiero da cui era venuto. Dalla sua vita sulla Odyssey sembravano essere trascorsi cento anni e invece era passato poco più un giorno.

--

Per Dario tutto divenne più reale una volta arrivato nei dintorni di Migene. Le ciclopiche mura verdastre della capitale di Migeria apparivano ancora lontane ma lui e la sua strana compagnia si trovavano già ad attraversare un intricato labirinto fatto di densi agglomerati di capanne, case di pietra e piccoli orti. Tutto attorno, come in un formicaio, si muovevano miriadi di persone indaffarate: mendicanti vestiti di stracci, contadini sporchi di terra, donne che trasportavano otri e ceste di stracci o mercanti vestiti di colori sgargianti con dei cappelli cilindrici talmente stretti e lunghi che Dario si domandava come facessero a rimanergli in testa. La strada principale che conduceva alle mura era larga e pavimentata di pietra, come una antica strada romana, e rimaneva miracolosamente libera.

Il contingente camminava compatto, a file serrate; il capitano camminava in testa come se celebrasse una processione religiosa. Dario, era stato invece schiacciato nel centro, nascosto alla vista di tutti gli abitanti di Migene. Arrivarono davanti al grande cancello come se fossero fantasmi; solo alcuni ragazzini si affacciarono dalle case attratti dalla parata di soldati in uniforme.

Poi raggiunsero il colossale cancello delle mura. Quando entrarono nel barbacane a Dario sembrò di mettere piede nella navata di una grande cattedrale. La struttura del cancello sarà stata alta venti metri e avrebbe contenuto facilmente duemila persone; persino duemila cinquecento se stavano strette.

Dario fissò le ampie volte della struttura fino a quando non uscirono per immergersi nelle strade della città principale. Le case, i negozi e le strutture che affiancavano la via principale non assomigliavano affatto a quelle all'esterno e tantomeno alle mura: invece di essere fatte di una putre bianco-verdastra erano costruite con mattoni rossi e legno. Era come se fossero state trasportate dentro la città da qualche altra parte. In fondo alla via, circondata da un'altra fila di mura molto meno imponenti e affascinanti di quelle che avevano appena superato, Dario vide spuntare le guglie di una grande fortezza.

Dario non riusciva a capire. Secondo i suoi calcoli – o meglio secondo i calcoli di Eva – non si trovavano nemmeno vicino al sistema solare dove gli esseri umani si erano evoluti. Come poteva tutto questo essere reale? Come poteva la sorte aver generato due pianeti così simili con abitanti così uguali. Come poteva essere una coincidenza? Non poteva. Questa era l'unica risposta.

Scolpito ad ogni incrocio e dipinto su ogni parete, il sole ottagonale di Migeria sembrava fissare Dario e ridere. Persino l'araldo del regno sembrava prendersi gioco di lui mentre muoveva freneticamente gli occhi da parta a parte.

Arrivati di fronte al cancello della fortezza il capitano estrasse la spada, sfilò lo scudo dalla schiena e cominciò a picchiarlo violentemente con il piatto della lama attirando l'attenzione di tutti i viandanti.

"Fate spazio" urlò; gli occhi come due piccole fiere pronte ad attaccare ogni persona ancora in strada.

La gente cominciò rapidamente a defluire nelle strade laterali o accostarsi ai bordi della grande strada principale. Dario, ingobbito dalla fatica e nella sua lacera tuta spaziale blu, spiccava come un faro in mezzo ad una colonna di soldati ben equipaggiati e sentiva l'attenzione di tutta la popolazione condensare su di lui come cristalli di sale.

Un gruppo di bambini apparve improvviso, forse attratto dal grido del capitano e dalla parata di gente in armi. Dario vide i loro occhi fissarlo con insistenza, si chinavano l'uno verso l'altro, bisbigliavano, poi tornavano a guardarlo. Solo allora, seguendo lo sguardo dei bambini, Dario si accorse che il bracciale pulsava di rosso. Dario se lo porto vicino al volto sussurrando

"Non è il momento Eva. Sono serio."

"Ho appena captato il transponder di una delle navette della Odyssey."

Quasi gli venne un infarto.

"Cosa? Dove?"

"Il segnale è stato brevissimo. Impossibile triangolare la posizione con i sensori a mia disposizione."

"Continua a provare."

Una bambina dai capelli neri riuscì a sgattaiolare fra i soldati in marcia quel tanto che bastava per vedere Dario parlare con il bracciale.

"Sei un mago?" bisbigliò lei.

"Oh, no no no." disse Dario mettendosi le mani sulla bocca e cercando di convincere la bambina a tacere "Shhh."

"Sì che lo sei. Ti ho sentito parlare con il bracciale luminoso!" disse lei più forte, lei lo guardava come fosse una torre di giocattoli. La voce giunse vicino ad un secondo bambino che si voltò a guardare il polso di lui brillare di fuoco. "Sei mago! Come il parvah!" disse anche l'altro. In un attimo la parola "Parvah" avvampò di bocca in bocca come un incendio in una secca giornata d'estate. Fu solo questione di secondi prima che l'intera via cominciò a urlare parvah, a chiamare il mago e chiedere magie e soluzioni miracolose.

La colonna si fermò. Il capitano si voltò verso Dario chino ad un metro dalla bambina che si era appena inginocchiata, il bracciale illuminato sembrava andare in fiamme. Gli occhi di lei avvamparono di acido, la bocca serrata in una linea e la testa inclinata. Il cavaliere bruno che lo scortava afferrò Dario rimettendolo in piedi e spingendolo a forza verso la fortezza.

"Forza, muoviamoci. Di corsa." disse il capitano non appena gli passarono davanti, lo sguardo come sputo su Dario.

La colonna si rimise in marcia a passo veloce. La folla non la smetteva di urlare parvah e invocare magie. Facendosi largo a forza, il piccolo contingente riuscì a raggiungere il cancello della fortezza interna.

Non appena l'intera colonna fu al suo interno, il cancello si chiuse alle loro spalle. Le guardie, intanto, tentavano di allontanare la folla che, chi in ginocchio, chi a braccia alzate, cercava di entrare nella fortezza per toccare il parvah.

Dario sentiva il viso andare a fuoco. Sentì i passi veloci del capitano delle guardie che avanzava verso di lui a grandi falcate divorando il terreno. Arrivatagli addosso gli puntò il dito in faccia e cominciò ad urlare.

"Che tu sia il parvah o no, non puoi andare in giro creando questo putiferio!" disse indicando la folla accalcata al cancello "Non hai idea di cosa sia un parvah. Non conosci nemmeno le regole del regno che dovresti salvare."

"Albian, per favore." Il cavaliere si fece avanti per cercare di separare il capitano da Dario, lei però svicolò.

"Eido. Lasciami stare. E tu." Agitava ancora il dito in direzione di Dario, "Tu! Ti ho già detto di non rendere il mio lavoro più difficile di quanto sia."

E si girò di spalle.

"Non era mia intenzione—" cominciò Dario. Quelle parole fecero congelare il capitano a metà strada. Si voltò nuovamente verso Dario con il volto avvampato e gli occhi lucidi.

"Non era tua intenzione?" disse "Ho visto il tuo bracciale. Ho sentito lo spirito parlare nella tua lingua. Cosa stavi facendo? Dimostravi i tuoi poteri ad una bambina? Cosa pensavi sarebbe successo?"

"Non ho pieno controllo, non pensavo avesse cominciato a parlare."

"Non hai il controllo? Che razza di mago saresti? Se non controlli i tuoi artefatti abbi almeno la premura di toglierli dalla vista di tutti." Il capitano torreggiava con il corpo sopra Dario nonostante fosse di dieci centimetri più bassa.

"Ti giuro, mago. Sono ad un passo dal gettarti dalla torre."

"Albian! Non puoi rivolgerti così al parvha!" Il cavaliere impallidì.

"Questo lo prendo io." Il capitano afferrò il bracciale di Dario.

"No ferma—" disse nel tentativo di dissuaderla ma era troppo tardi. Non appena Albian strattonò il bracciale con l'intenzione di strapparlo, Eva avvampò di giallo.

"Attivo il meccanismo di difesa!"disse Eva.

Il capitano lanciò un grido che gli fece raggelare il sangue. Tutta la fortezza si volà per vedere il capitano contorcersi. Guardò gli occhi di lei sbarrati e piccoli e il viso contratto dalla scarica elettrica di difesa. Durò tutto meno di un secondo. Albian cadde in ginocchio; tremava. Alzò lo sguardo verso Dario, immobile a bocca aperta annaspando per l'aria. Aveva il volto contratto in una smorfia eppure Dario sentì gli occhi di lei perforargli il cuore.

Dopo aver assistito alla scena la folla dietro alla grossa grata del cancello intensificò le loro grida. Parvah, urlavano con ancora più entusiasmo. Dopotutto il loro messia aveva appena steso con la magia il capo delle guardie della città.

Due soldati accorsero verso il capitano, la afferrarono per le braccia e la rimisero in piedi. La accompagnarono piano verso la fortezza; barcollava, le gambe instabili la costrinsero a gettarsi di peso sui soldati. Arrivati alla porta della fortezza il capitano urlò e con un ruggito da leonessa si scrollò i due soldati da dosso. Continuò a camminare verso la fortezza sulle sue gambe senza dire una parola e senza più rivolgere lo sguardo a Dario.

"Seguimi parvah." disse Eido facendo un piccolo inchino "Sarò felice di accompagnarti alle tue stanze."


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