Ophelia | il cacciatore di st...

Von namelessjuls_

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Fra le atrocità commesse dall'animo umano, spesso si dimentica la più crudele rivolta al genere femminile: la... Mehr

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e p i l o g o
This girl is back

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Von namelessjuls_

Il lume della candela vibrava come una docile ballerina fra le mie mani: calda, elegante e fugace.

Quella sera - sotto sorpresa di tutti - avevo cenato con Uriah: non parlammo molto, ma nemmeno provammo ad attaccarci e, in fondo, questo era già abbastanza.
Lui non parlava del suo lavoro, né di quelle cose che erano solo sue: preferiva i fiori, il tempo e la fragranza del pane caldo.
Come tutti, anche lui aveva dei segreti, ed uno di questi era che, per quanto costretto, nemmeno lui voleva sposarmi.

Premetti con forza contro la grata della prigione, riuscendo ad aprirla con poco fracasso - comunque, anche quella sera non vi erano guardie all'orizzonte, 
Scesi con cautela, sempre per non inciampare nei miei stessi passi, e, quando il solito puzzo di marcio mi invase i polmoni, trattenni il respiro.

«Siete ancora qui?» Chiesi, non muovendomi dalla porta. Mi ero convinta di essere coraggiosa ma la verità è che ero terribilmente codarda: tutto ciò che non conoscevo mi terrorizzava a morte. «Sono la ragazza dell'altro giorno.»

Sul fondo, avvertii un fruscio ruvido di catene. La mano pallida di Hamlet sbucò dalla prigione aperta, poi il suo volto scavato e, infine, il sorriso beffardo.

«La mia dolce Ophelia,» canzonò, riconoscendomi: «di nuovo qui per salvarmi.»

Corrugai la fronte, indispettita, e strinsi con forza il sacco che stringevo nell'altra mano. «Vi ho portato del cibo.»

Glielo lanciai vicino ma Hamlet non si mosse, seguendo la sua caduta con un sopracciglio alzato.

«Non mangiate?» Domandai, perplessa.

«Sei la fidanzata del principe, potresti averlo avvelenato.»  Hamlet raccolse il sacco e ne tirò fuori una pagnotta di pane. Spezzandola in due, me ne porse una metà: «provami che non è così.»

Lo osservai, incupita da quella sfida mal velata.
Era un circolo continuo: ogni qual volta incontrassi un uomo, lui mi costringeva a dimostrargli fedeltà.

«Non ho avvelenato quel cibo,» ammisi, fredda: «né sono la fidanzata di Uriah, non ancora.»

Hamlet scosse le spalle, tenendo ancora alzato il pane. «Quindi non avrete problemi a mangiare.»

Colpita là dove più bruciava - il mio orgoglio - mi incamminai come una furia verso di lui, prendendo il pane e dandogli un unico morso vorace.
Hamlet sorrise, vittorioso, e prese a mangiare in mia compagnia.

«Buono, vero?»

Sbuffai, indispettita, e mi sedetti sopra il tavolo lasciato in corridoio, forse un tempo riservato alle guardie di controllo. Era così alto che i miei piedi non toccavano terra.

«Qua sotto è terribile,» commentò Hamlet, notando il mio silenzio. Diede un calcio alle catene e mi si avvicinò, sedendosi al mio fianco.
Lo scrutai, vividamente incuriosita da quello strano ragazzo: pallido come un cecio, il suo corpo era un grumo di ossa spigolose coperte da pelle liscia. Indossava abiti scuri e smessi, forse di diverse taglie più grandi, e puzzava davvero.

«Chi siete davvero?» Domandai.

Hamlet scosse le spalle. «Un prigioniero?»

«Uriah non fa prigionieri: il suo compito è uccidere, non riempire celle,» replicai, dura: «Dovresti essere morto.»

«Morto?» Hamlet ridacchiò. «Privando così il mondo dello splendore dato dalla mia esistenza. Impossibile.»

Sicuramente, l'ego non gli mancava. Come la maggior parte degli uomini, teneva più all'onore che alla verità, soprattutto davanti ad una donna. 

«Siete uno stregone.»

Hamlet smise di sorridere, bloccandosi in una serietà glaciale. Ferreo, mi bloccò nel mio stesso corpo.

«Pensi che potrei esserlo?»

Subito, avrei negato.
Così convinta dell'inesistenza della magia, non mi sarei mai abbassata a credere alle sciocche superstizioni dei miei concittadini in cerca di scuse per uccidere il mio sesso.
L'inquisizione non era altro che un astuto gioco di potere e noia.
Ma Hamlet era un uomo.
Del suo genere, non era stato giustiziato quasi nessuno: in fondo, non ce n'era motivo.
Eppure, lui era in cella - delle catene gravavano sui suoi piedi - e c'era anche il resto.
Quella sensazione, quel malessere che mi perseguitava da quando l'avevo incontrato la sera prima.
Conoscere Hamlet mi aveva stremato e affranto, costringendo la mia mente a ritornare al momento peggiore della mia vita.
Nessuno, come lui, mi aveva mai fatto sentire tanto impotente.

«No,» conclusi, infine.
Hamlet parve rilassarsi, tornando anche a sorridere.

«Ed è per questo che sei qui, giusto? Per sapere perché porto queste deliziose cavigliere,» scherzò, oscillando le catene ai piedi. «Non sono certo che ti piacerebbe.»

«Sono qui perché anche io sono una prigioniera, qui dentro,» confessai, dura: «tutti mi trattano come tale e mi mentono. Tu sei la persona che più sento vicina, anche se solo per le catene.»

Era la verità, se pur in parte.
In realtà, provavo sincera curiosità per il prigioniero del piano di sotto, ma era anche vero che ero alla disperata ricerca di un sostegno.
Della servitù non mi fidavo, di Uriah nemmeno: se anche Hamlet si fosse rivelato una delusione, probabilmente mi sarei ritrovata a parlare con le magnolie.

«Sono un delinquente,» replicò lui, confuso: «non siamo uguali.»

Mi voltai verso di lui, sospirando a denti stretti.

«Sono una donna,» gli feci notare: «ed è la stessa cosa.»

Hamlet accolse in silenzio la mia rassegnazione, mostrando un'insolita comprensione - come avevo previsto, eravamo simili.

«Qua sotto è terribile,» ricordò, poi. Mi porse un pezzo di pane, sorridendomi. «Tu potresti essere un buon arredo. Sai, per abbellire l'ambiente.»

Tirai un sorriso, sarcastica. «Mi state paragonando ad un oggetto, Hamlet?»

Lui corrugò la fronte, masticando. «Dico solo che non mi dispiacerebbe averti qui, ogni tanto. Solo, lo dico nella lingua dei maschi.»

«La lingua dei maschi non è la lingua degli stupidi?»

Hamlet sgranò gli occhi e si portò una mano al cuore, distrutto. «Altezza reale, mi stai uccidendo!»

Sorrisi, divertita, ed Hamlet con me. Poi, alzò lo sguardo verso il soffitto.

«Dovresti andare, ora: è pericoloso.»

«Non credo che mi stiano cercando,» ammisi, calma: «tutti mi ignorano, tranne Dora.»

«La più terribile,» commentò Hamlet, facendomi ridere.

«Sì, la più terribile. È sempre così gentile, non sembra reale.»

«Il nostro mondo va al contrario, Ophelia: ci insegnano che la gentilezza è stranezza mentre la crudeltà la normalità.»

Lo guardai, colpita. «Siete davvero così intelligente?»

«Oh, molto di più,» concordò lui, orgoglioso: «ma ora devi proprio andare.»

Annuii, scendendo dal tavolo. «Vi porterò altro cibo.»

Hamlet sorrise, riconoscente, ma rimase lontano.

«Fai attenzione, là sopra. Sono certa che capirai di chi fidarti.»

«In effetti, ho il mio angelo a quattro zampe,» ammisi: «Elias

Hamlet sorrise. «Quattro zampe?»

«Ve ne parlerò domani,» promisi, avvicinandomi all'uscita.

«A domani.»
Lui mi seguì con lo sguardo, completamente dipendente da quella piccola promessa. Mi resi conto in quel momento che, in fondo, io e lui non eravamo uguali: Hamlet era completamente solo.

Angolo

Buongiorno a tutti ed ecco il nuovo capitolo!

Ophelia ed Hamlet si sono incontrati ancora: che carini🥰
Detto ciò, non so se l'ho già scritto ma la storia è ovviamente ispirata all'Amleto di Shakespeare e al film (che vi consiglio!!!!) Ophelia!
Vi fate domande sulla possibile tragedia? Beh, forse fate bene.

(Scherzo).

Detto ciò, la storia vi sta piacendo? Continuo con gli aggiornamenti giornalieri? Mi piacerebbe saperlo per capire come regolarmi e, in più, mi farebbe molto piacere❤️

A presto,
Giulia

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