Come il cielo a mezzanotte

By NyxEcate

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Leggende raccontano che gli dei, all'alba dei tempi, separarono le anime gemelle, gelosi di queste ultime. Il... More

Prologo
01. A nessuno piacciono i ratti
02. Corsi differenti
03. Pura poesia
04. Piccoli riti
05. Sempre un mistero
06. Profumo di Gardenia
07. Marshmallows
08. Paranoia silenziosa
10. " Di rosso e celeste neanche il diavolo si veste "
11. " Sei meraviglioso ora, domani e per sempre "
12. Stellato
13. Insignificanti
14. Sono una distesa dorata
15. Ciò che non sai di me
16. Questo
17. Una spaccatura nel vetro
18. Le emozioni non sono per bambini
19. Come scogliere d'argilla
20. Quello che i bambini non dovrebbero provare
21. Nascondere
22. Non abbandono nessuno
23. Urgano
24. Il prima è sempre doloroso
25. Non c'è due senza tre
26. Come due anime si abbracciano
27. La strada
28. Piccoli sorrisi
29. Fidanzato?
30. Non oggi
31. Sbagliato
32. Il tuo pappagallo
33. Ringraziamento
34. L'inizio
35. Quando accadrà
36. Coraggio
37. Come un sogno
38. Come il cielo a mezza notte
Epilogo

09. Il mare senza di te

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By NyxEcate

Giocose ciocche fucsia mi passano davanti al viso, turbinano attorno al mio capo per effetto del ventilatore puntato davanti al mio viso.

Il caldo torrido della California come sempre, non manca all'appello. Mi alzo dalla comoda sedia, rimettendo la macchina fotografica sulla scrivania. Chiudo la finestra della mia stanza, e mi voltò verso il mio piccolo tesoro.

I miei genitori dovrebbero tornare a momenti, insieme a loro il senso d'ansia. Stanno nascondendo sicuramente qualcosa di grosso e io voglio sapere cosa.

Perché dev'essere sempre tutto così complicato? Dovrebbero fidarsi della propria figlia, non che io sia mai stata una figlia modello, ma pensavo d'avere un minimo di rapporto con loro. Per lo meno, lo avevo.

Sopra la scrivania, riposta con cura, vi è una vecchia cornice. Custode della foto, dell'unico momento in cui ho immortalato la persona più importante della mia vita.

Mia nonna, la mia migliore amica e la mia ancora di salvezza. È lei ad avermi regalato la macchina fotografica, ben cinque anni fa'.

Prendo la foto fra le mani e, delicatamente, accarezzo con la punta delle dita il suo volto. Era sempre sorridente, e non mancava mai di regalarmi una battuta carica d'ironia quando mi notava giù di morale.

L'unica con cui sia mai andata dallo psicologo, la prima che mi ha aiutata, l'unica che mi capiva.

La mia nana, ormai avanzata con gli anni, aveva sempre qualche 'pillola di saggezza', come le chiamava lei, da impartire. Molte delle sue frasi migliori provenivano proprio dal marito; il nonno. Non ho ricordi di lui, ero molto piccola quando è morto, ma mi è stato detto ch'era un uomo oltremodo saggio ma a tratti bambinesco.

I genitori di mia mamma, a differenza di quelli di mio padre, abitavano a poco distanza da noi, perciò furono quelli con cui legai di più da bambina.

Quando mia nonna mi diede la macchina fotografica, l'ultimo dei suoi regali, mi pregò quasi in ginocchio di scattare foto al cielo ogni qualvolta andasse qualcosa storto. Mi pregò di osservarne le meraviglie, i colori e le sfumature, intrappolare su pellicola, e farle mie.

Mi chiamava ladra di attimi, poiché da quel momento immortalai ogni momento con la mia macchina fotografica.

Non era chissà che, una vecchia reflex Olympus in precedenza appartenuta a lei. Era un giorno qualunque quando me la diede, ero tornata da scuola e come sempre ero andata a casa sua per pranzo. Lei mi accolse, sorridendo come suo solito, mangiammo insieme e a fine pranzo mi condusse fuori.

Il sole splendeva alto in cielo e illuminava l'ambiente circostante, i suoi raggi riflettevano sulla meravigliosa macchina fotografica che mia nonna teneva fra le mani.

In quel momento mi sembrò l'oggetto più bello dell'universo; da allora, lo penso ancora.

L'alzò e scattò una foto al cielo, alla strana forma che le nuvole assunsero, ed a me. La mise poi fra le mie mani, e mi scompigliò i capelli corti.

«È un regalo, fanne buon uso Katty». Disse semplicemente, riportando lo sguardo verso il sole. La luce creava un contrasto magnifico fra la sua pelle ambrata e gli occhi nocciola.

«D'avvero è mia?» Le avevo chiesto, meravigliata di come quel piccolo e magnifico tesoro potesse d'avvero esser mio e solo mio.

La nonna annui, sorridendomi.

Alzai la fotocamera e le scattai una foto, la prima e l'ultima. «Che fai stupida? Non te l'ho regalata certo per far foto a me! Quella la devi usare solo ed esclusivamente quando sentirai il bisogno di spaccare qualcosa. Ne abbiamo parlato, no? Ad ogni episodio non puoi lasciarti controllare dalla rabbia, tieni stretto questo regalo e fai una foto. Ricordati le tue origini, ricorda che in questo mondo siamo solo un piccolo pallino insignificante».

Nana prese le mie mani fra le sue callose. Mi guardò negli occhi, e come sempre, sorrise.

Tre mesi dopo morì in ospedale. Era affetta dalla corea di Huntington da ormai diversi anni. Era sempre più instabile, a fatica riusciva a realizzare movimenti normali, come camminare.

Non mi dissero mai niente al riguardo, non un minimo accenno alla sua malattia. Il giorno in cui lo scoprì ebbi la mia crisi più violenta, tanto di ricovero forzato in una clinica specializzata.

Non lo dissi a nessuno, ci andai da sola, di mia spontanea volontà. Lo feci per lei.

Oggi, scatto foto per lei. É grazie a lei se ho evitato molte crisi. Il suo ricordo, ancora vivido dentro di me, mi segue come un fantasma. Non ho mai superato al sua morte, e non sono nemmeno sicura di volerlo fare. 


La sento ancora così vicina a me... ho paura che superato il lutto tutto questo finirà; i suoi insegnamenti svaniranno nel nulla, dimenticati da una me che non riconosco.

Una piccola lacrima scorre sul mio viso, sola e dannatamente silenziosa. Da anni sto cercando di sopprimere tutto, non posso permettere a nulla di uscire; non ora che lei non c'è più, il mio appiglio personale.

La asciugo con violenza posando la foto al suo posto sulla scrivania, accanto alla macchina fotografica. La osservo mentre sorride al sole, in quel normale giorno di fine luglio.

Se mi vedesse ora si metterebbe a ridere, come può la sua nipotina prediletta comportarsi da papa molla?

Poco prima di lasciarmi ha proibito categoricamente ai miei genitori di lasciarmi assistere al funerale, anche solo di sprecare tempo a rimpiangere la sua morte. L'ho lasciata andare, si è liberata dalle sue pene cercando di non infliggerne a me.

Decisi di assecondarla nonostante la natura probabilmente distorta delle sue parole, la malattia l'affettava non solo a livello motorio, ma anche psicologico.

Ne ebbi prova quando un mese prima, mia madre mi impedì categoricamente di vedere la sua, papà la stava portando all'ospedale insieme allo zio, lei stava delirando.

Dopo la sua morte il rapporto con i miei genitori andò un po' scemando. Sono la mia famiglia, ma mi hanno tenuto nascosto molto, troppo.

La situazione si sta' ripetendo in qualche modo, e io non so il perché.

Quando sento la porta dell'ingresso sbattere mi alzo dal letto afferrando a due mani il mio coraggio. Devo farlo per me stessa, non voglio litigare con loro.

Fin da piccola non mi è piaciuto avere tensioni in famiglia, segreti non detti, parole non proferite. Non fanno per me, rovinano la poco fiducia che di base ripongo nelle persone che mi circondano.

I miei genitori non tornano sempre insieme, ma almeno un giorno alla settimana vanno a trovare mio zio dopo lavoro. Mio padre, dopo il solito turno all'hotel aspetta mia madre davanti al negozio, ed insieme vanno a San Francisco. Spesso passano prima a casa per portarmi con loro, ma oggi non l'hanno fatto.

In realtà oggi non avrebbero neanche dovuto andarci, si sono visti ieri, ma è l'unica opzione che mi viene in mente. É strano che tornino contemporaneamente.

Scendo le scale e li osservo sulla soglia di casa, non un messaggio mi hanno inviato per avvisare del ritardo di entrambi. Ma infondo non posso lamentarmi, ieri non li ho avvisati di nulla.

Non ho il diritto di pretendere rispetto se in primis non sono io a fornirlo. Non è mia intenzione comportarmi in questo modo, ma circostanze e sentimenti mi portano ad agire in questo modo.

Nonostante sia ben consapevole delle conseguenze, non riesco comunque ad agire nel modo corretto. Vorrei che lo capissero.

Si stanno togliendo le scarpe davanti alla porta, mio padre stringe ancora fra le dita le chiavi dell'auto, mia madre porta ancora appesa al braccio la logora borsa in pelle nera.

Milioni di volte abbiamo provato a comprarne una nuova, si è sempre rifiutata, preferiva spendere i soldi necessari all'acquisto per prendere dei fiori.

«Come sta lo zio?». Prendo parola, appoggiandomi alla scala. Li osservo a braccia incrociate, sollevando un sopracciglio. Di certo la sfrontatezza non mi manca, neanche in una situazione del genere. «Siete andati a trovarlo due giorni di seguito, sta male?», continuo ignorando il loro silenzio.

Appena sentita la mia voce Grace sobbalza, le sue dita vanno ad afferrare la borsa, che le stava scivolando dal braccio, stringendola a se in modo possessivo. «Kathryn!». Sembra in qualche modo sorpresa di vedermi davanti a lei.

Per un momento un senso di inadeguatezza mi invade, le onde cominciano a piegarsi, sbattono cadenzate sopra gli scogli scuri. La luce sta' tramontando, ma senza i suoi tipici colori. Tramonta tutto in un infinito blu.

«Sta bene». Stavo per riprendere parola, ma mio padre mi interrompe. Lancia un'occhiata a mia madre poi si avvicina a me. «Tu signorina piuttosto non ancora per molto». Mi osserva col suo sguardo di ghiaccio e mi afferra per un gomito portando entrambi in soggiorno.

Ha tutto il diritto di essere arrabbiato, ma dopo quello ch'è successo mi aspettavo un po' di esitazione, pacatezza. Purtroppo, mio padre non è mai stato così: calmo, insomma. Lui è un tornado, un fiume in piena come me. Non si trattiene, è sempre stato schietto, uno dei tratti che ha fatto innamorare la mamma.

Che poi, tra me e lui, basta solo un soffio di vento a far crollare tutto.

Non oppongo resistenza e mi siedo sul divano, loro a ruota mi seguono, occupando quello davanti al mio. «Dobbiamo discutere del tuo comportamento nell'ultimo periodo». Mia madre prende parola, scrollando le spalle, e muovendosi poco come a levarsi di dosso qualcosa.

«Stai fuori casa per ore senza avvisare, non rispondi alle chiamate e-», incomincia parlando con fretta e preoccupazione.

«Come se voi mi chiamaste più di tanto», mi intrometto alludendo ad oggi. Mia madre abbassa lo sguardo, io lo assottiglio.

«Non mancare di rispetto a tua madre». Robert alza di poco il tono della voce, ammutolendo la sottoscritta. La mano destra che va ad avvolgere quella di mia madre, costantemente sfregata contro il tessuto leggero dei pantaloni.

Il loro comportamento mi manda in confusione, prima litigano di brutto, dimenticandosi persino d'aver una figlia che di lì a poco sarebbe tornata a casa, poi si comportano di nuovo come sempre; innamorati fino al midollo.

«Ieri hai dormito fuori casa senza neanche avvisarci, se non avessimo chiamato non ci avresti detto nulla, hai idea di quanto siamo stati in pensiero per te?». Abbasso lo sguardo colpevole sotto le accuse di mia madre.

Se sono tanto preoccupati per me, se mi vogliono tanto bene, perché non mi dicono nulla?

«Se Naomi non ci avesse risposto avremmo chiamato la polizia». Continua mio padre, tirandola per le lunghe.

Alzo gli occhi infastidita. Devono sempre paragonarmi a lei, avrebbero voluto una figlia ben diversa, ne sono consapevole, magari proprio simile a Naomi. Ordinata e tutto fare, amante degli animali e dolce. Tutto il mio contrario: io che sono incasinata, io che rigetto tutto fuori a suon di conati e pugni, io che quel poco di controllo che avevo l'ho abbandonato insieme a mia nonna.

Continuo a ripetermi che non è colpa mia, che se non fossi malata avrei un carattere differente, ma sinceramente non ne sono certa.

Non sono una ragazza cattiva, ne maleducata o scontrosa, solo una normale diciottenne con il cervello totalmente fottuto.

Se non fosse per il mio disturbo della personalità, forse rientrerei nei criteri imposti dai miei genitori e in generale dalla nostra cittadina.

«Sei un irresponsabile! Mai una singola volta che pensi a noi, non ti abbiamo mai impedito di uscire, ti chiediamo solo di farci una dannata chiamata», continua con furia. Il viso rosso dalla rabbia, specchio del mio, ancora piegato.

Alzo lo sguardo del tutto e osservo i miei genitori stretti uno all'altro. La rabbia continua a montare un senso di nausea mi invade. Non sembra nemmeno che abbiano litigato, tanto sono vicini.

«Se osi anche solo una volta comportarti come l'ultima settimana io-».

«Tu cosa, papà?». Mi alzo in piedi urlando, la pentola a pressione è scoppiata. Sento quasi il sangue scorrermi più rapido nelle vene, le onde che s'infrangono con irruenza sugli scogli, il cielo totalmente blu.

Respiro con affanno, osservando le loro espressioni sconvolte. Non è la prima volta che alzo la voce, ma mai con questo tono serio. «Mi impedisci di uscire? Mi tieni chiusa in questa casa? Sono maggiorenne, posso andarmene quando voglio».

«Basta così signorina». Si è alzato anche mio padre in piedi. Ci manca solo che mia madre si metta ad urlare. É d'avvero un fenomeno raro vedere Grace urlare, anche solo alzare la voce per lei è un oltraggio.

«Ehi notizia flash, ho passato gli ultimi giorni ad evitarvi perché mi state nascondendo qualcosa. L'ultima volta che vi ho visti ho quasi avuto un episodio, non vorrete mica che la vostra finta figlia perfetta perda il controllo?», sputo fuori senza pensarci due volte, me ne pento all'istante.

«Hai ancora i tuoi episodi? Perché non ce lo hai detto?» Mia madre prova ad avvicinarsi, ha la voce debole, prossima allo spezzarsi.

Mi allontano brusca, come un animale ferito.

«Perché non lo capite? Io non guarirò mai, sono fottuta nel cervello, pazza! Ma state certi che perdere una seconda volta la mia fiducia in voi non sarà d'aiuto; se mai riuscissi a sopravviverne non mi vedreste più per il resto delle vostre vite»

Ancora una volta mi mordo la lingua; parlo troppo in fretta, sputando solo cazzate e veleno non giustificato. Me ne pento, vorrei scusarmi, piangere ed abbracciarli, ma l'orgoglio me lo impedisce.

La verità è che, nonostante tutto, io lo voglio ancora un rapporto con loro; sono i miei genitori e lo saranno per sempre.

Non ho mentito, se la mia fiducia in loro si spezzasse non so' che fine farei. É comune nelle persone affette dal mio disturbo l'autolesionismo, il suicido.. io non ci ho mai provato, ma non ho ne certezze ne convinzioni su come potrei comportarmi di fronte al tradimento delle due persone più vicine a me.

Non mi sono mai fatta del male, non sono propensa all'autolesionismo o ai pensieri autodistruttivi, almeno credo. Penso d'esser tutto sommato positiva, aperta e disposta a ricevere luce e gioia da persone e cose attentamente selezionate.

In realtà, persino ai miei occhi, la mia persona appare come un ingarbugliato gomitolo di matasse colorate. Tanto rosso per rabbia e passione, un infinita di grigio per la confusione, aggrovigliato in modo irreparabile attorno a tutta la matassa; giallo, verde e azzurro. Matasse colorate per sentimenti colorati.

Dovrei prendermi in mano, dotarmi di pazienza, e slegare l'ingarbugliata matassa. Sono convinta che ciò potrebbe aiutarmi, me lo ripetono sempre tutti. Vorrei farlo, ma ho paura di scoprire l'origine di tutti i fili, il cuore nascosto dal caos.

I mie genitori, impettiti di fronte a me, strabuzzano entrambi gli occhi. Io abbasso lo sguardo, e corro verso le scale sussurrando scuse inutili.

Non ho scoperto nulla, ho fatto solo cazzate.

Sono una codarda, un imperfetta testa di cazzo. Perché devo esser così impulsiva? Sbatto la porta della camera, ed afferro la macchina fotografica. Devo calmarmi o finisce male.

Frugo con mani tremanti fra il mio zaino, cerco le mie pillole, percependo già il fiato corto e il cuor che batte a velocità innaturali. Dopo aver trovato il barattolo strappo il coperchio e butto giù a secco un paio di pillole.

Le prendo fin troppe volte, non penso il mio dottore ne sia troppo soddisfatto. Le nascondo di nuovo, per paura che uno dei miei genitori le trovi.

Non sanno che assumo di nuovo le pillole, ne tanto meno che ogni tanto ricorro ai tranquillanti. Nei casi più estremi Naomi ha a casa sua un'abbondante dose di tranquillanti da somministrarmi.

Apro con irruenza l'armadio e afferro una leggera giacca in pelle, la metto sopra la felpa nera e tiro su il cappuccio, non prima d'aver legato i capelli in uno chignon.

Non me ne frega un cazzo se sto per fare una cazzata. Dovrebbe esser il motto della mia vita.

Esco dalla finestra, non prima d'aver chiuso a chiave la porta. Mi aggrappo al cornicione e mi lascio cadere; per risalire userò l'albero. Non è molto alta casa nostra.

Tengo appesa al collo la fotocamera, il telefono dentro la tasca posteriore dei jeans e il fiato corto.

Corro fino alla spiaggia, corro fino a sentire il freddo pungente nella gola, nei polmoni. Annaspo in cerca di tranquillità, di silenzio.

Corro, senza fermarmi. Mi tolgo le scarpe appena esse affondano nella sabbia, le abbandono incustodite alle mie spalle.

Alzo gli occhi al cielo, il sole è già tramontato. Il cielo azzurro mi sorride. Non vedo ancora le stelle, ma sono sicura che fra di esse c'è mia nonna che mi rimprovera.

Sento il cellulare squillare ma lo ignoro, alzo la fotocamera e scatto una foto al cielo.

Le onde calmano i miei pensieri frenetici, la dolce voce della leggera brezza che mi batte sul viso mi sussurra tranquillità. L'odore di salsedine inebria i miei sensi e calma il tornado dentro di me.

Per quanto abbiamo parlato prima di litigare di nuovo? Dieci minuti, cinque? Ormai la nostra relazione sembra esser diventata un botta e risposta continua.

Non riesco a ricordare l'ultima volta che io e i mie genitori abbiamo avuto un classico momento da famiglia unita. Forse sono solo triste in questo momento, non riesco a ragionare in modo lucido o comportarmi nel modo corretto.

Vorrei che mia nonna fosse qui a consigliarmi, guidarmi verso il giusto cammino, come solo un angelo custode farebbe.

Non sarò mai perfetta, ne sono consapevole. Non sarò mai ciò che desiderano, e ciò che io desidero.


Devo solo capire se ciò mi sta bene.

Probabilmente sono complicata agli occhi degli altri, o forse no. La verità è che non ho la minima idea di come le persone attorno a me mi percepiscano.

Ho passato tutta la mia vita a cercare di nascondere il mio disturbo, comportandomi in pubblico da ragazza normale, figlia modella. Attraggo tanta attenzione su me stessa, attenzione non desiderata ma inevitabile. Più cresco, più il mio lato impulsivo si fa vivo, frenandomi dal comportarmi in modo razionale.

Se continuo su questa linea ho paura che un giorno, oltre ad esser considerata da tutti pazza, potrei allontanare da me le poche persone che ancora mi stanno vicine.

Oggi ho fatto un casino con i miei genitori e, nonostante il mio orgoglio, mi dispiace fottutamente tanto.

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