Ophelia | il cacciatore di st...

By namelessjuls_

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Fra le atrocità commesse dall'animo umano, spesso si dimentica la più crudele rivolta al genere femminile: la... More

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e p i l o g o
spin off⁉️

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By namelessjuls_

Lo riconobbi, ed era lontano:
ovunque andassi, lui era al mio fianco.
«Chi sei?» Gli domandai.
Lui mi guardò a lungo.
Mi squadrò, mi cercò, mi scelse.
Alla fine, mi diede le spalle.
«Non ancora.»

Salem, 1654.

Stava per nevicare in quel quieto giorno di settembre. Fra le foglie più base dell'acero solitario, spiavo le nuvole grigie muoversi sopra la mia testa. Lo sentivo nell'aria, nella fredda erba che accarezzava le mie vesti lasciando orme umide: certe sensazioni impari a riconoscerle solo nel tempo, nel modo in cui il sole sorge.

Sfiorai una foglia arrossata sopra il mio volto e questa si sbriciolò sul palmo della mia mano. Così fragile per essere una vittima senza colpe.

Diciassette anni di vita passati a Salem mi avevano insegnato poche cose: una lunga lista di mansioni da donna; come sopravvivere in caso mi perdessi in un campo di grano e allevare dei grassi porci. Una vita di normale noia in un secondo come un altro, se non per una cosa: la gente aveva iniziato ad uccidersi.

«Ophelia!»

Una grande mano gelida piombò su di me, mozzandomi il respiro per la sorpresa.
Per primo, riconobbi un ammasso di capelli neri - poi, un volto serio e privo di affetto.
Un altro dei suoi servi.

«Ti abbiamo cercato ovunque, sciagurata.»

Il signor Brown mi trascinava con forza tenendomi per il braccio: nemmeno mi guardava, figurarsi ascoltare le mie lamentele o le mie suppliche.
Credevo di essere abbastanza lontana.

«Adam è così in pena. Povero uomo: proprio con una canaglia simile doveva essere imparentato!»

Sentendo il nome di mio fratello, il sangue mi ribollì nelle vene. Me n'ero andata quella mattina, lasciando scritto che sarei tornata solo il giorno dopo: ovviamente, ero stata costretta ad invitarmi una scusa, ma lui - certo - non mi aveva creduta.
I suoi uomini mi braccavano, quasi non fossi che un animale da macellare - la sua preda prediletta.

«Signor Brown, la prego! Stavo solo raccogliendo delle erbe: mi lasci andare.»

Il fattore non mi ascoltò. Passammo la cinta muraria della città e salutò le guardie - queste, mi videro ma tacquero, rispettando la solita omertà tipica di Salem.
Tutti vedevano, ma nessuno parlava.

«Signor Brown!»
Provai ancora a divincolarmi, ma, quella volta, il fattore si ribellò con violenza, facendomi quasi cadere. L'orologio per poco mi sfuggì dalla tasca: lo tenni stretto, cercandovi del coraggio.

«Ragazzina, cerca di stare zitta. Tuo fratello mi ha ordinato di riportati a casa e questo è il mio compito. Puoi urlare quanto vuoi, ma non servirà a nulla.»

Lo fissai con rabbia, sperando di poterlo bruciare con un solo sguardo. Ero così furiosa che mi pareva di essere diventata fuoco.

«Sapete bene cosa mi farà se mi riportate a casa.»

Nessuna traccia di pentimento nacque nel suo volto. Per l'appunto, scrollò le spalle, riacciuffandomi con prepotenza.

«Io sono solo un fattore.» 

Spezzata in due, mi feci trascinare dall'uomo attraverso il centro del paese. Lui camminava serrato, ma notai la sua attenzione sfuggire verso il traffico di cittadini in movimento. La folla si stava diluendo lasciando l'alto patibolo ben visibile ad occhio nudo: un singolo palo, piantato al centro della piazza, circondato da legna secca e carbone.

Era una donna, un'altra. Le vesti le erano state strappate e giacevano a terra, lontane dai carboni. Glieli avevano tolti per sfizio, per toglierle l'ultima vaga e triste traccia di onore.
Spogliata della sua libertà, della sua anima di essere umano, e, infine, del suo corpo.
Quello non era semplicemente uccidere.
Non resta nulla, nemmeno il sangue, ma una vaga traccia di una sagoma che non sa di più nulla di umano.

Quel giorno, di quella vita restavano sole catene in ferro che l'avevano costretta alle fiamme e un ammasso di ossa spolpate.
Era tutto nero, tutto cenere.
E anche se quella che cadeva sopra le nostre teste veniva chiamata neve tutti, in fondo, sapevano che cosa fosse per davvero.
L'anima di una strega.

«La vedi quella?» Chiese il fattore. «Quella è la fine delle donne pazze che scappano. Un giorno, tuo fratello si stancherà di proteggerti e tutti vedranno chi sei davvero: una maladonna

Dicendo questo, si voltò verso di me, mal guardando le lunghe ciocche di capelli rossi fuoriuscire dal mio mantello.

«Brucerai. Come tutte loro.»

Non osai parlare, nel lutto del mio silenzio.
Gli uomini mi incolpavano - ci incolpavano - delle follie in cui erano certi noi li costringessimo. Il mondo andava a rotoli e la colpa era delle donne: noi, incantatrici e viziose, così piene di veleno da far perdere il senno ad un uomo con un solo bacio.

In quel secolo, ci eravamo scoperte streghe, ed io, con i miei lunghi capelli rossi, ero una sudicia macchia nel pudore del paese. Le vedevo - le persone - seguire il mio passaggio con chiacchiere e commenti languidi.
Si dicevano tristi per la morte dei miei genitori ma nessuno mi aveva mai stretto la mano.
Si preoccupavano per mio fratello - ormai l'uomo di casa - che era rimasto solo a domare la furia della sorella capricciosa.
Come al solito, tutti vedevamo ciò che faceva più comodo.

«Signor Rooney! Signor Rooney, siamo tornati!»

Venni spinta oltre la recinzione della mia abitazione e feci appena in tempo a sentire il cancello chiudersi, che la porta si aprì davanti ai miei occhi.

«Ophelia.»

Adam era lì, vestito con i suoi eleganti abiti da povero arricchito. Portava i capelli tirati sulla fronte ed i suoi occhi sottili sbucavano appena sotto le ciglia folte. Mi bastò vederlo per sentire tutto il mio corpo raggelarsi.
Ero come una foglia secca fra le sue dita.

«Grazie, signor Brown,» disse, avvicinandosi a me e prendendomi per il polso. Mi conficcò le dita nella carne, facendomi dolere, ma restai zitta. «Vi prego di tornare al vostro lavoro: questa sera, vi farò trovare il compenso promesso.»

Il signor Brown ringraziò con un gesto del cappello e ci lasciò soli. In un attimo, tutto cambiò, compreso il volto di Adam.

«Muoviti.»
Prima mi trascinò, poi mi spinse dentro casa, facendomi cadere a terra mentre chiudeva la porta alle sue spalle. Eravamo noi due, di nuovo.
Stava per nevicare.

«Un'altra volta, Ophelia! Sei scappata un'altra volta! È la terza questo mese.» Urlava, quasi paonazzo, e il suo viso peggiorava ad ogni parola. Diventava più brutto, più lontano, come se non fosse altro che uno sconosciuto. Di quel bambino con cui avevo condiviso una vita rimaneva solo l'ombra peggiore.

«Ero nel bosco, cercavo delle erbe,» tentai di scusarmi.
«Erbe?» Canzonò il ragazzo, sarcastico. Mi afferrò per il braccio, costringendomi ad alzarmi e mi sbatté contro il muro.

Il sangue mi salì alla bocca ma non ebbi il tempo di sputare, che le mani di Adam mi strinsero la gola.

«Con chi eri? Chi è lui? Hai trovato un altro amante, stupida ragazzina.» Lo schiaffo arrivò gelido e silenzioso. «Dimmi il suo nome!»

Ero immobile, un pezzo di legno staccato dal suo tronco.
Credevo che, col tempo, mi sarei abituata a tutto quello, ma non era mai stato così: le botte facevano male. Non smettevano mai.

«Non c'è nessuno, Adam. Non c'è nessun altro.»
Occhi diversi ricambiavano il mio sguardo. Adam non era mai stato solo un fratello: sin da piccoli, dalla mia nascita, lui non aveva mai smesso di preoccuparsi per me. Mi seguiva, mi controllava, mi stringeva a sé.
Per un tempo, aveva tentato di contenersi: i nostri genitori erano in vita e, di norma, ogni figlia apparteneva di diritto al padre. Lui decideva il suo presente e il suo futuro, compresa tutta la strada nel mezzo.

Poi, erano morti, ed io ero passata di diritto ad Adam. Sapermi sua - sapermi legalmente sua - aveva fatto scattare qualcosa nella sua mente. Ero sempre stata una sorella, ma non ero mai stata sua, corpo e anima. Iniziò a fare cose che non aveva mai fatto e ne aveva tutto il potere.

Mi strinse il mento, alzandolo verso il suo: la sua pelle era calda, comprese le sue labbra. Sfiorò le mie, beandosi del sapore del mio profumo.

«Ophelia,» sussurrò.
Non riuscivo a guardarlo, perciò fissavo il soffitto mentre sentivo le sue dita slegarmi il laccio del mantello. «Voglio che tu sappia che la colpa di tutto questo è solo tua. Sei così...disgustosa

Baciò il mio collo e strinse il mio fianco, spiando le curve sotto le mie vesti.

«Dillo. Dillo che sei tu a volere tutto questo. Lo so che mi hai stregato, ma non dirò nulla se sarai gentile. Sarai gentile, non è vero?»
I suoi occhi mi tagliavano come lame, ma io non avevo parole. Restavo assente, non riuscendo a capire come fossimo arrivati a tal punto. Come, dal nulla, fossimo giunti a quella frenesia.
Porti sfortuna, Ophelia?

«Chi è?»

Adam si allontanò velocemente da me, sistemandosi gli abiti alla rinfusa. Io restai immobile, osservandolo avvicinarsi alla porta e uscire velocemente.
Un altro dei suoi soliti ospiti.

Mi sfilai con pesantezza il mantello, appendendolo al chiodo. Una manica del vestito mi era scesa lungo le spalla, lasciandola scoperta, e subito mi operai per sistemarla.
Come se nulla fosse, iniziai a preparare il pranzo.
Tutto normale, era tutto normale.

Cominciai a piangere in silenzio, raggomitolata sulle stoviglie e un piatto di patate. Ero sconfitta, totalmente arresa: per quanto ci provassi, non sarei mai scappata da quella casa. Il mio nome mi perseguitava, Adam lo faceva e il mio stesso essere femmina. Il signor Brown aveva ragione: mi avrebbero uccisa.

«Oh, maledizione.»

Sobbalzai, presa di sprovvista, quando notai di non essere più sola. Alle mie spalle, regalmente seduto sullo stipite della porta, un gigantesco cane nero mi osservava con due giganti occhi rossi.

Corrugai la fronte e mi asciugai le guance, confusa. Non avevo mai avuto un cane: Adam li detestava e, ogni qual volta avessi tentato di salvare qualche vagabondo, mi aveva impedito di tenerlo con me. Me li strappava a forza e, davanti ai miei stessi occhi, li sgozzava senza ritegno.
Ogni volta, toccava a me ripulire il sangue.

«E tu chi dovresti essere?» Domandai, tirando un breve sorriso. Questo scomparve presto, notando l'insolita freddezza dell'animale.
Se ne stava lì, stretto nella sua grandezza, e non si muoveva, continuando a fissarmi. Occhi rossi? Non avevo mai visto un cane con gli occhi rossi, né uno che mi guardasse come se volesse giudicarmi.
Iniziai ad innervosirmi.

«Ophelia.»

Sentendo il comando di Adam, mi diedi da fare per ascoltarlo. Presi i lembi del mio abito, attraversai con cura la stanza, passando con cautela vicino all'animale. Ero certa che mi avrebbe morsa o, comunque, avrebbe fatto qualcosa, ma, invece, si limitò a fissarmi.
Poi, mi seguì, restando un passo dietro a me.

«Adam?»

Mio fratello era seduto al tavolo da portata, ben piegato su un foglio di pergamena che leggeva fitto. Poco lontano da lui, un giovane uomo restava in piedi vicino al camino. Non credevo di averlo mai visto prima, ma il suo volto non mi piacque: tirato, severo, visibilmente nobile.
Quando si accorse di me, alzò un sopracciglio.

«È quindi questa la ragazza?»

«Non credo di conoscervi,» ammisi, non capendo. Il cane, intanto, si era accomodato al fianco del giovane, condividendone il gelo.
Insieme, formavano una coppia insolita.

«Ophelia,» mi zittì malamente Adam. Poi, rivolse uno sguardo torvo all'uomo, stringendo i denti. «Voglio presentarti Uriah Donovan, il nostro nuovo moderatore.»

«Preferisco cacciatore di streghe,» intimò lui, puntiglioso: «a quanto mi pare di vedere, Salem necessita della mia presenza.»

Ripensai al cadavere appeso al palo. Erano fini come quella che ogni donna temeva, ormai. Potevi essere inquisito per qualsiasi cosa, anche per aver cambiato abito. Ma Salem non aveva mai avuto un cacciatore di streghe, questo no.

«Io sono Ophelia.»
Finsi un inchino, ma non abbassai lo sguardo. Uriah lo notò subito, ma tacque.

«Quindi siete voi la ragazza,» constatò tiepidamente: «ahimé, la fortuna è un dono per pochi.»

Guardai Adam, cercando risposte che non ottenni. Cosa voleva quel uomo? Perché sapeva il mio nome?

«Non credo di capire, mio signore.»

«Vi assicuro che anche io vorrei non capire,» commentò con fatica il nobile. Malamente, sfilò la pergamena dalle mani di Adam. «Però, a quanto dice questo documento, voi siete mia moglie.»

Angolo

Buongiorno e benvenuti nella mia nuova storia❤️

Ahimé, visto il difficile periodo, sono confinata in casa come molti, e ho ripreso con maggiore impegno le fila della scrittura per tentare di tenermi compagnia.

Questa nuova storia parla di temi che a me piacciono molto e spero sia lo stesso per voi: vi prego di lasciare un commento e di farmi sapere se l'inizio vi ha intrigato. Se ci sarà un riscontro positivo aggiornerò presto❤️

Grazie a tutti per aver letto!
A presto,
Giulia

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