Come il cielo a mezzanotte

By NyxEcate

7.6K 487 36

Leggende raccontano che gli dei, all'alba dei tempi, separarono le anime gemelle, gelosi di queste ultime. Il... More

Prologo
01. A nessuno piacciono i ratti
03. Pura poesia
04. Piccoli riti
05. Sempre un mistero
06. Profumo di Gardenia
07. Marshmallows
08. Paranoia silenziosa
09. Il mare senza di te
10. " Di rosso e celeste neanche il diavolo si veste "
11. " Sei meraviglioso ora, domani e per sempre "
12. Stellato
13. Insignificanti
14. Sono una distesa dorata
15. Ciò che non sai di me
16. Questo
17. Una spaccatura nel vetro
18. Le emozioni non sono per bambini
19. Come scogliere d'argilla
20. Quello che i bambini non dovrebbero provare
21. Nascondere
22. Non abbandono nessuno
23. Urgano
24. Il prima è sempre doloroso
25. Non c'è due senza tre
26. Come due anime si abbracciano
27. La strada
28. Piccoli sorrisi
29. Fidanzato?
30. Non oggi
31. Sbagliato
32. Il tuo pappagallo
33. Ringraziamento
34. L'inizio
35. Quando accadrà
36. Coraggio
37. Come un sogno
38. Come il cielo a mezza notte
Epilogo

02. Corsi differenti

327 17 1
By NyxEcate

Da dove vengo io, oltre alla leggenda di mia nonna, ammirare il tramonto con una persona lega due destini.

La magia dei colori vivaci che il sole crea, destinati a scomparire in un immenso blu notte fatto di stelle e sogni, è da gustare solo con una persona speciale al proprio fianco. Le stelle, piccoli puntini lontani fatti della nostra stessa materia, sono infinite.

Mi sento prigioniera della terra quando osservo l'oceano di galassie sopra la mia testa. "e mi sovvien l'eterno", come Leopardi.

Infondo il tramonto è solo un alba vista da dietro, forse, in un altra vita saremo felici ammirando due albe al giorno, ammirando entrambi i fratelli.

Mi abbraccio le nuvole di giorno, danzo fra le stelle di notte ma, mi perdo solo nel tramonto. Nei suoi colori che mi riscaldano, quasi in un calore materno, la pelle. Tra i due fratelli è quello che più amo, quello che più mi capisce e mi culla.

Mi perdo nel cielo perché è l'unico che mi sa contenere, l'unica gabbia che mi trattiene. Questo me l'ha insegnato mio nonno, quando ancora della mia malattia non vi era traccia. Lui però si sentiva sempre di troppo su questa terra, sapeva che la sua vera vita sarebbe comicità solo la su. Nel poco tempo che abbiamo passato insieme, mi ha sempre insegnato ad amare il cielo, ad apprezzarlo come una magnifica gabbia.

Prima che morisse ha condiviso moltissimi anni in compagnia di mia nonna, è stato lui a trasmetterle la passione per l'astrologia e tutto ciò che lega il cielo a noi mortali.

Sposto lo sguardo frenetico dalle stelle all'asfalto. Siamo arrivati nella nuova casa di Tommy, una normale villetta a schiera, con tanto di giardino.

«Grazioso», commento a denti stretti, osservando la miriade di fiori che circondano la casa. Sono d'avvero tanti, colorati ed estremamente profumati.

Nonostante la miriade di specie i colori e i profumi si sposano a meraviglia, creando un piccolo paradiso di fronte all'asfalto nero. Dev'essere opera di mia madre, solo lei e il suo tocco magico avrebbero potuto arrangiare tale magnificenza.

Nella nostra cittadina è l'unica fioraia, ma è di sicuro molto più amata di altri in tutta la regione. Tutto del suo lavoro è magico.

«Era dei miei genitori». Kim apre la porta con le chiavi e ci invita ad entrare.

«Oh no, scusate ma devo proprio andare».

«Insisto, entra pure, nessun disturbo». Kim mi lancia uno sguardo smielato, e dopo aver posato la valigia in casa, ritorna da me.

Non voglio intrufolarmi nel primo ricordo di Tommy con la sua nuova famiglia, non vi appartengo. Una fitta mi attraversa a quel pensiero ma mi faccio da parte. «Casa mia dista circa dieci minuti e sono ormai da un pezzo in ritardo per cena. Passero un altro giorno».

Era vero, nonostante l'evidente allontanamento che io e i miei genitori avevamo subito negli ultimi anni, la cena in famiglia era rimasta una nostra tradizione.

«Oh, d'accordo.. Tommy, saluta Kathryn. Passeremo a trovarla non appena ti avremo sistemato come si deve». La donna sorride calorosa verso Tommy, abbracciandolo piano.

Ho osservato Kim e Dominic da quando abbiamo lasciato l'orfanotrofio, i conti sono già stati fatti e le carte firmate, ma non avevano ancora ricevuto la mia approvazione.

In questo istante, però, lo sguardo sul viso di Kim cancella ogni mio dubbio. Nonostante la giovane età, e la velocità con cui hanno adottato il piccolo Tommy, sembra d'avvero amare il bambino.

Non riesco a capacitarmene del tutto, lo conoscono da così poco, eppure lo amano già come se fosse sempre stato figlio loro.

La guardo per qualche istante, lei ricambia il mio sguardo e sorride piena di dolcezza. Immagino che dopo tutto Tommy si troverà bene con loro, non riesco ad immaginare posto migliore per lui.

Sorrido di rimando a Kim, annuendo piano e ringraziandola a fior di labbra. La donna inclina il capo, come a sottolineare quanto la mia gratitudine non sia necessaria.

«Già ragazzotto, abbiamo un bel po' di cose da sistemare in casa, la tua camera, la scuola, i nuovi giocattoli... ma Kathryn e la sua famiglia saranno i primi a cui faremo visita!» Dominic appare alle mie spalle, lasciandomi una leggera pacca sulla spalla prima di affiancare la moglie.

Tommy si avvicina a me e mi fa segno di abbassarmi, lo faccio e lui mi posa un piccolo bacetto sulla guancia. «Fai il bravo, ci vediamo presto». Gli faccio l'occhiolino e saluto la coppia dietro di lui.

Tiro fuori dallo zainetto una larga felpa bianca e la infilo sopra la canottiera, inizia a far fresco. Guardo il telefono sono le nove di sera, meglio se scrivo un messaggio a mamma, o quella da' di matto.

Approfitto del piccolo parchetto qua vicino per sedermi su una panchina e riposarmi un po'.

Infondo sono già in largo ritardo per la cena, non che infondo avrebbe avuto molta importanza per i miei genitori. O meglio, non importa a me. Non sono ne cieca ne stupida, mi rendo conto che il mio comportamento non gli va giù, non ne sono indifferenti.

Infilo le mani nella tasca della felpa e distendo le gambe nude, appoggiando la testa alla spalliera della panchina. Tiro un forte sospiro.

Da piccola venivo spesso in questo parchetto con Naomi, è nel mezzo di tre quartieri: il mio, quello di Naomi e, quello in cui ora abita Tommy.

Non è molto grande, ma essendo l'unico nelle vicinanze è molto frequentato.

Per quanto ci provi a negarlo molti dei miei ricordi legati a questo parco implicano anche i miei genitori. Di quando ero piccola ed abitavo ancora a Toronto mi ricordo poco e niente, la mia vita è cominciata quando ci siamo trasferiti in California.

Durante la mia infanzia i miei genitori, Grace e Robert, sono stati tutto ciò di cui una bambina potesse aver bisogno; amorevoli, protettivi e spesso impegnati a lavoro. Nonostante le loro attenzioni la loro mancanza si faceva sentire.

Mia nonna mi ha sempre fatto da babysitter, è da lei che ho imparato tutto ciò' di cui ho bisogno.

Negli ultimi anni anche il poco rispetto che nutrivo verso i mie genitori si è disintegrato. Il nostro rapporto si limita al tipico botta e risposta di ogni adolescente. Invidio la felicità con cui Naomi accoglie i suoi genitori, invidio la sua capacità di sorride e voler loro bene.

Durante l'ultimo anno mi sono auto convinta che non sia totalmente colpa mia per i sentimenti che non riesco a provare nei loro confronti.

É una terribile bugia, ma attutisce il fastidioso senso di colpa che provo nei loro confronti.

Non mi dispiace non avere un rapporto fantastico con loro, mi dispiace, invece, non esser capace a provare nulla nei loro confronti.

Abbasso lo sguardo dal cielo, guardando di nuovo il parco. C'è sempre un piccolo camion dei gelati vicino alle altalene. Se mia madre sapesse quanti soldi spendo in gelato... quel camion resiste ancora solo grazie al mio denaro. Mi alzo dalla panchina; la testa gira un po' per il mancato equilibrio, ma mi avvicino lo stesso al camioncino.

Billy, il proprietario, non c'è. «Perché se ne va così presto..?», domando retoricamente al nulla.

É davvero un peccato non poter soddisfare quando e dove voglio, le mie voglie.

«Sono le nove di sera, nessuno mangia a quest'ora il gelato». Mi giro di scatto, il cappuccio mi cade dalla testa ma non mi prendo la briga di rialzarlo. «Che ci fai qua tornado?»

Perfetto, non ci mancava altro, oltre a vederlo oggi in spiaggia pure qui ora.

«Tornado?»

«Non mi hai mai detto il tuo nome»

«Perché dovrei? Io non so' il tuo»

«Touché»

Scruto nel buio il suo viso marmoreo. Gli occhi blu splendono, come illuminati da piccole stelle al loro interno.

«Il gelato è sempre buono da mangiare, soprattutto la sera» rispondo alla sua domanda di prima, rimasta sospesa fra la mia. «E comunque che ci fai tu qui Mr. non vedo cestini», lo apostrofo. Incrocio le braccia sopra il petto e faccio un piccolo sbuffo.

Mi indica la corda che gli pende fra le mani e solo in quel momento mi accorgo del grosso cane bianco che annusa il camion.

«Sono venuto a portare a spasso il cane», con la testa accenna il vialetto alle sue spalle, ghigna quando metto su' un broncio.

«Dio santo non è possibile, cos'hai contro di me vita?». Porto le braccia sopra la testa come in una pessima tragedia greca e mi prostro contro gli dèi. Di fronte a me, il ragazzo si fa scappare una risata.

«Perché sei così disperata?». Chiede, ben consapevole della mia falsa scelta. Mentre parla incurva le sue sopracciglia in un arco perfetto. Forse non è semplicemente uno dei ragazzi più belli che io abbia mai visto, è decisamente il più bello.

Gli do le spalle improvvisamente imbarazzata e mi avvicino al camion. «Non sono affari tuoi, ora aiutami».

In realtà il semplice fatto di rivederlo dopo così poche ore mi urta, me lo sono ritrovata in spiaggia e ora pure qua. Nonostante le pillole, ci ho messo ben mezz'ora a sbollire la rabbia.

Mi avvicino alla porta della cella frigorifera ed osservo il pesante lucchetto. Cavolo, è chiuso... ma ho proprio voglia di gelato.

«Come siamo scontrose oggi... ma.. che stai facendo?», chiede confuso. Mi trattengo dal commentare le sue parole, consapevole che iniziare un'altra discussione in questo momento avrebbe bruciato la mia voglia di gelato.

«Smettila di parlare e vieni qui ad aiutarmi». Lui si avvicina cauto. «Tienimi la torcia del telefono puntata».

Il cane come me prova ad entrare. Almeno lui mi capisce.

Sfilo la forcina dai capelli e provo a scassinare il lucchetto. «Non so se funzionerà, l'ho visto fare solo nei film..».

«Oltre a lanciatrice di lattine sei anche una ladra ora?». Dai suoi sospiri immagino stia facendo un ghigno. Dio lo conosco da mezza giornata ma già non lo sopporto.

Sbuffo e giro con più forza la forcina. Maledetta serratura. Lo sento ridere ancor di più.

«Sapresti fare di meglio?» Lo canzono.

«Dammi qua, faccio io». Il ragazzo prende fra le sue grandi mani la forcina, mi passa il guinzaglio ed il telefono. Fatico a comprendere come le sue lunghe dita riescano ad afferrare un oggetto così piccolo.

Mi sposto dietro di lui per fargli luce. Le larghe spalle sono ricurve sulla porta, in viso ha un espressione concentrata: stringe le carnose labbra rosee mentre assottiglia gli occhi. Grazie a questa luce riesco ad osservare meglio i dettagli del suo viso; la mascella pronunciata, i capelli in disordine e la fronte imperlata dal sudore. Solo ora mi accorgo della sua tenuta, stava correndo.

Rilassa il viso ed abbassa la forcina, un crack si sente dal lucchetto. L'ha aperto.

«Come hai fatto?», trattengo a stento la mia sorpresa.

«Torna utile saper scassinare una porta quando tua sorella ti chiude sempre fuori». Mi risponde, spingendo la pesante porta bianca e salendo sul camion. «Lega il guinzaglio di Rex al palo, lascialo lungo così può girare»

«Hai seriamente chiamato il tuo cane Rex?».

«Perché? È un bel nome» Borbotta offeso, come se la mia opinione gli importasse d'avvero. «molta gente lo usa...».

«Proprio per questo». Gli rispondo mentre afferro la sua mano che mi tira dentro il veicolo. Ritiro immediatamente il palmo dal suo, come scottata. Gli porgo il telefono frettolosamente e mi allontano.

Lui mi lancia un occhiata e poi illumina l'interno dell'abitacolo. Nulla di nuovo per me, solo i contenitori del gelato -solitamente pieni- ora vuoti. Apre l'unica porta, quella della cella frigorifera. Al suo interno è pieno di confezioni di gelato.

«Mamma sono in paradiso». Osservo ammirata l'enorme quantità di nettare divino mentre il ragazzo, si avvicina agli scaffali puntando contro di essi la torcia.

«Hai un idea molto terrena di paradiso». Afferma, puntandomi la torcia in faccia. Io gli mostro il terzo dito lui, in risposta, mi fa' l'occhiolino. «Allora, che guasto vuoi?»

«Latte, senza zuccheri possibilmente» affermo sicura.

«E poi sarei io quello banale». Ridacchiando, afferra una confezione di gelato al latte e una di gelato al pistacchio. Io, mi avvicino al bancone dietro al quale di solito vedo Billy, e prendo tre cucchiaini.

Lascio dieci dollari e faccio cenno al moro di scendere. «Aspetta», mormora. Riprende i miei soldi, e al loro posto mette una sua banconota, ridandomi la mia. «Mi sembra il minimo dopo oggi, siamo partiti col piede sbagliato», sembra quasi ammiccare verso di me. Forse pensando di avermi in qualche modo impressionata.

Beh, lo sono. Lo osservo perplessa, che infondo non sia poi così male? Cancello immediatamente quel pensiero dalla mia testa, tabula rasa. È solo un coglione.

Esce e richiude alle sue spalle la porta del camioncino con il lucchetto, va a slegare Rex e mi porge il mio gelato.

Mi stringo nella mia felpa, sto iniziando a sentire freddo. Ci sediamo tutti e tre sulla panchina, io fra i due animali. Porgo un cucchiaino al moro e apro la mia confezione.

«Hai intenzione di dirmi il tuo nome prima o poi?». Gli chiedo, osservando il ben di dio fra le miei mani.

«Allen Cross»

«Bel nome... Cross». Lui borbotta un grazie e si butta sul gelato. Prendo uno dei due cucchiaini che mi sono rimasti, e lo affondo nel gelato riempiendolo completamente, avvicino il cucchiaio a Rex e lui subito lo lecca. Ridacchio quando arriva a leccarmi la mano.

Lo accarezzo dolcemente fra le orecchie bianche mentre lui sembra acclamare altro gelato.

«Per questo l'hai preso al latte...» Cross punta le sue iridi blu notte nelle mie nocciola, quasi sorpreso.

«Sembrava assetato». Rispondo semplicemente, alzando le spalle. Mi appoggio di nuovo alla panchina, e riporto lo sguardo sulle stelle. Mi porto il cucchiaino pulito ricolmo di gelato alle labbra.

Non pensavo avrei mai rivisto il magnifico e maleducato ragazzo della spiaggia. La rabbia lotta per uscire ma provo a placarla, affondando nuovamente il cucchiaio nel gelato, il suo questa volta.

Il moro mi lascia fare prendendo a sua volta un po' di gelato dalla mia confezione.

«Come fa' a piacerti? Non sa di nulla», sul suo viso nasce una smorfia di confusione. Sembra un cucciolo. Al mio fianco Rex scende dalla panchina e gironzola un po'.

«A volte è meglio non sentire nulla». Riporto la testa verso il cielo, cercando di individuare qualche costellazione.

«Profondo», commenta per poi portare gli occhi sulla mia figura, «Sei proprio strana». Lo sento mormorare. Tiene il cucchiaino fra le labbra in un modo così sexy, che mi fa desiderare d'esser al suo posto. «Come mai hai i capelli rosa?».

«Mi ero stancata del blu, e quel giorno mi sentivo rosa». Con tranquillità, punto lo sguardo sulle sue grosse mani. Chissà se fa qualche sport.

Nonostante l'episodio di stamattina ora è di buona compagnia. Non fai domande invadenti, rispetta il mio silenzio e me in primis.

Non pensavo di poterlo mai dire, ma potrei essermi sbagliata sul suo conto. Sembra un ragazzo apposto, un po' stronzo, egocentrico, ma tutto sommato gentile. Almeno si fa gli affari suoi.

«Quanti anni hai?» Gli chiedo, curiosa di testarlo ancora un po'.

«Diciotto, finisco quest'anno, tu?».

«Uguale» Borbotto, confusa. Siamo una cittadina di ficcanaso e false identità; la maggior parte dei coetanei girarono in gruppo giorno e notte. Io non faccio parte di alcun gruppo, ma è impossibile non incontrarli mai almeno una volta. Mi chiedo perché non l'ho mai notato.. magari come me non esce molto.

Un altro pensiero mi attraversa e non faccio in tempo a trattenere la lingua. «Da quando ti sei trasferito in questo buco di cittadina?»

«Ci sono nato» Riesco con fatica a nascondere un espressione confusa. Non l'ho mai visto, eppure le occasioni in cui ci troviamo nello stesso posto sono innumerevoli «Tu quando ti sei trasferita?»

«Ero piccola, frequentavo ancora l'asilo. Come mai non ti ho mai visto? Ormai abito qui da più di tredici anni», gli chiedo, cambiando argomento in mio favore.

Mi volto verso di lui, cercando di comprendere la sua espressione. Ha le labbra chiuse e leggermente umide per via del gelato; la luce della luna risplende su di esse, rendendole incredibilmente attraenti.

«Corsi differenti immagino». Lui alza le spalle e si gira del tutto verso di me.

«Mi sembri famigliare ma non riesco proprio a piazzarti. Forte oggi in spiaggia era la prima volta che ti guardavo sul serio»

«Ci siamo visti entrambi molte volte ma nessuno dei due ha mai guardato l'altro»

«Profondo» commento, usando le sue stesse parole. Non mi soffermo troppo sulle sue parole, percependone un evidente significato nascosto.

Rex ci gira fra le gambe, posa il suo muso su entrambe le nostre ginocchia, portandoci ad avvicinarle. É strano, ma con questo contatto mi sento improvvisamente in imbarazzo di fronte a lui.

«Penso di conoscere la tua amica, quella della spiaggia»

«Naomi?»

«Si, l'ho vista agli allenamenti. Il mio amico ci sbava dietro da anni»

Ridacchio, trovando l'ipotesi alquanto plausibile. Naomi era d'avvero una bella ragazza, allegra e gentile. Mi sarebbe sembrato strano se nessuno non fosse caduto nella sua ragnatela.

«Quale dei tre?»

«Non ti dirò nulla, voi ragazze avete la bocca larga quando si tratta di queste cose» commenta, punzecchiandomi un fianco con un dito.

Gli faccio la linguaccia e mi allontano di poco, prendendo un altra cucchiaiata del suo gelato. «Antipatico, magari io sono l'eccezione alla regola».

Trattengo una strana sensazione al mio fianco, non è da me parlare tanto apertamente con uno sconosciuto, scherzare e giocare con un ragazzo, che oltretutto, mi ha fatto un torto.

«Non ne dubito», risponde improvvisamente serio. La forza del suo sguardo sembra spogliarmi di quelle incertezze che a forza mi avevano posseduto. Le sue pupille blu mi venerano, come a supplicarmi di fidarmi, d'accogliere le sue parole e farle mie, di cedere alla sua compagnia.

Quel blu.. non ho mai visto un colore così bello. Mi ha incatenato con un solo semplice sguardo a questa panchina. Sento la bocca impastata e un nodo allo stomaco. Non mi piace questa sensazione e non mi piacciono le libertà che si sta prendendo.

Devo andarmene, subito.

Mi alzo con troppa foga ed inizio ad andarmene a grandi falcate.

«Ehi, non mi hai detto il tuo nome!». Non prova a fermarmi, resta seduto, osservandomi.

«Kathryn Martin, per gli amici Kath». Gli rispondo sorridendo, lui ricambia ed alza una mano.

Mi volto e comincio a correre verso casa.

Allen Cross mi capisce fin troppo bene per i miei gusti, è irritante e decisamente non quello di cui ho bisogno in questo momento. Se continua ad interessarsi nei miei confronti potrebbe finire molto male per entrambi, forse più per me.

Tremo al solo pensiero.

Continue Reading

You'll Also Like

Is back By xXx

Fanfiction

150K 5.6K 52
Sorrise, un piccolo sorriso, ma mi fece bene al cuore. Le persone ti deludono, in un modo o nell'altro riescono sempre a ferirti ma prima o poi riusc...
6.5K 612 9
Breve spin-off di Caffè, amore e qualche click. Può essere letto separatamente, ma consiglio sempre prima l'opera principale, completa e presente sul...
971 164 15
La storia di un povero sognatore, alla ricerca dei propri ricordi smarriti.
7.6K 369 36
[IN REVISIONE] Una bottiglia di Jack Daniels ti può far provare cose che non immagini, ma se esageri ti fa fare brutte figure. Asa se ne accorta qu...