Il dolore è ancor più dolore se tace.
- Giovanni Pascoli
Dolore, ecco cosa si provava quando si era bloccati, tra la vita e la sofferenza.
Mi sentivo totalmente indifferente al mondo esterno, alle urla di mia madre riguardo al fatto di aver rovinato il matrimonio a mia sorella, con la mia non presenza, con i miei soliti casini.
Essere ritrovato ubriaco e fatto nel proprio letto d'albergo, dalla propria famiglia non era di certo qualcosa che auguravo a qualcuno.
Apatia, cos'era realmente essere apatici?
Mi sentivo così in quel momento?
Forse.
Mi sentivo come se nulla mi toccasse, mi sentivo vuoto, privo di ogni energia e sentimento.
Mi sentivo abbandonato a me stesso.
Mi avevano abbandonato tutti e non potevo biasimarli...
Eppure, c'era ancora una possibilità per me?
Di poter tornare a sorridere.
Inconsciamente sorrisi pensando alla strana ragazza che alloggiava nel mio stesso hotel, non seppi neppure del perché il mio pensiero ricadde su di lei, ma ero certo che non riuscivo a togliermela dalla testa.
Era così bella, fresca.
Il solo pensiero di come ondeggiava i suoi capelli mi mandò totalmente in estasi.
Mi sentivo un pagliaccio, mi sentivo fuori luogo, non sapevo minimamente come adeguarmi a questo mondo.
Era orribile vivere con i dubbi e con la paura di essere se stesso, mi sentivo un uomo intrappolato, martoriato dal dolore, dai pregiudizi degli altri, mi sentivo così sporco.
Non dovevo dare peso alle parole altrui, lo sapevo, eppure... C'era quella parte di me, che non apprendeva, non voleva capirlo.
Ero fermo, bloccato nel bar dell'hotel da ore, nel provare a scrivere qualche patetica canzone, ma senza riuscirci.
Ero afflitto, deluso da me stesso, perché per me la musica era tutto, era pura libertà; ma la paura mi bloccava, ancora una volta, l'ennesima.
"Sono nel mio letto,
solo.
Ancora una volta.
Senza di te, mmh...
Dimentico tutte le cose passate
E lentamente perdono significato
Dove vado ora?
Chi sono ora?
Chi dovrei essere?
E non importa quanto io ci provi,
Sprofondo nell'oscurità.
Sono solo un ragazzo triste
che beve caffè a cena
Non incolparmi per le mie lacrime
Non è colpa mia se cadono facilmente
Non incolparmi se sono uno stronzo triste
Che affoga sempre di più nel proprio dolore,
con un drink nelle mie mani che tremano...
Il mio paradiso è fatto di fiamme
Solo un altro drink dico prima di chiudere gli occhi
Sto dimenticando chi sono..."
Non ero mai stato così esposto a me stesso, così libero di mettere il mio dolore su carta, sapevo che era arrivato il momento di far uscire anche questo lato di me.
Il vero me, che nonostante sia sbagliato da mostrare, ero pur sempre un umano anch'io, nei suoi difetti e nelle sue cadute, ero stanco di mostrare solo quel lato felice di me, quel lato che tutti apprezzavano.
Ero stanco di mostrare solo il finto ottimismo, la mia mente in quel momento era diventata oscura, piena di negatività e di dolore e quest'ultimo continuava sempre di più a tirarmi giù negli abissi, tenendomi saldamente per la gola.
Stavo rileggendo il testo, cercando di affidargli una melodia, quando la vidi per la seconda volta, nella sua magnificenza, nel suo splendore mattutino, lei sapeva di freschezza estiva, così dolce.
Mi persi nel guardarla, nell'ammirare ogni forma del suo viso, del suo corpo che lentamente si sedeva ad un tavolo non molto distante dal mio, riuscivo a vedere ogni piccolo difetto del suo viso, ogni piccolo tratto. Era stupenda.
Il suo tratto così professionale mi ricordava una donna d'affari, forse lo era e quella cosa mi eccitava parecchio, era sensuale e pulita, sentivo tutto il mio corpo essere invaso da brividi, mi sentivo particolarmente accaldato, preso di sprovvista e ancora una volta rimandai il mio album, preferivo perdere tempo nel cercare di memorizzare il suo volto, ogni suo particolare, per ricordarlo in eterno, ero stregato da lei, ero così preso da quella divinità chiamata donna.
Giuro, il respiro mi mancò quando per pochi secondi i suoi occhi si incastrarono perfettamente nei miei, con curiosità, forse sapeva chi fossi, mi sorrise calorosamente cosa che ricambiai e poco dopo tornò a battere sul suo computer, mi chiesi che lavoro facesse, che cosa stesse facendo da minuti sul quel dannato computer...
Le ore passavano, ed eravamo solo noi nel bar, stavo tentando - di nuovo - di scrivere qualche canzone, inutilmente, visto che ero preso continuamente dal fissarla, e poi c'era lei, nella sua bellezza più disarmante, che ancora batteva in modo feroce al computer, forse non era curiosa di sapere cosa ci facessi anche io lì, forse non sapeva nemmeno chi fossi.
Per una volta mi sentii normale, comune più che altro, per carità, sapevo a cosa andassi incontro quando scelsi quella vita e ne ero grato, davvero, ma certe volte volevo mostrare al mondo intero chi fossi realmente, senza ricevere discriminazioni in cambio, più elevate rispetto ad una persona comune.
Era difficile da spiegare, ma volevo semplicemente camminare senza continuamente essere fermato per qualche foto o essere fotografato di nascosto, ero grato per i miei fan, ma a volte...
Così diedi sfogo a me stesso un'altra volta, con un'altra canzone, con un altro testo, indeciso se aggiungerlo all'album o meno.
"Cosa vuoi dire?
Non si torna più indietro adesso
Oh ragazza, hai rubato la pace della mia mente
Questa volta non voglio rimanere
Non tornerò mai sui miei passi
Abbiamo distrutto il nostro amore
Abbiamo distrutto ciò che eravamo
Abbiamo distrutto noi stessi con l'orgoglio
Tutte le luci non potrebbero mandar via il buio
Che corre attraverso il mio cuore
Ragazza, dimmi chi sono
Ragazza, dimmi chi sono
Sei così bella
Con tutte le luci accese che riflettono la tua pelle luminosa
Sei così bella
Con le lacrime sul viso per colpa mia
Sei così bella
Sei così bella
Quando ridi per causa mia
Sei così bella
Cosa vuoi dire?
Non si torna più indietro adesso
Oh ragazza, hai rubato la pace della mia mente"
Non mi accorsi nemmeno delle lacrime che stavano scendendo dal mio viso, mi sentivo incompreso, infelice, trascurato, oramai ero diventato una stanza buia e spoglia, invecchiata e piena di crepe.
Accidentalmente colpisco la mia tazza di caffè, lasciandola cadere per terra, finendo poi in mille pezzi, era così che mi sentivo?
Era così che ero diventato?
Quello ero io?
Mille pezzi, che riunendoli rappresentavano un pezzo solo, ma ormai ero distrutto, afflitto.
Alzai lo sguardo e vidi che il suo tavolo era vuoto, era passato tanto di quel tempo che non mi accorsi del fatto che se n'era andata via, passai una mano nelle guance e sospirai, non ero fatto per questo, non ero più io.
Chiusi il pc, bloccai il telefono e dopo aver preso tutto mi diressi verso l'uscita, arrivai al suo tavolo vuoto quando notai un biglietto con una scrittura fatta di fretta.
"Un viso con un sorriso del genere, non merita tutte quelle lacrime.
• S."
Sorrisi e dopo averlo messo in tasca tornai in camera mia, felice quasi, contento forse, inconsapevole dell'amore che stava per nascere.
Questo capitolo non aveva molto da correggere, quindi è rimasto più o meno così com'è...
Spero vi sia piaciuto.
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