It's just a spark but it's en...

De stylessavesmex

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"Nessuno avrebbe mai immaginato che una decadente scuola di uno sfortunato quartiere londinese potesse essere... Mais

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I
II
III
IV
V
VII
VIII
IX
X
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VI

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De stylessavesmex

Il pomeriggio dei colloqui sembrò passare nella testa di Louis come uno di quei banalissimi time-lapse di svariati film che cercano di mostrare tutti gli avvenimenti di un determinato lasso temporale in poche decine di secondi.

Vide i genitori dei gemelli sedersi traballanti sulle sedie di plastica davanti alla scrivania che condivideva con Harry, ridendo ad ogni parola che il supplente pronunciava perché troppo alticci per colpa di chissà quale sostanza.

Vide il padre di Chris - con una calvizie più avanzata del corso di matematica del proprio figlio - che si chiedeva dove avesse sbagliato.

Vide le mamme del ragazzino con le lentiggini che fingeva sempre di non studiare per fare quella che lui credeva essere bella figura, ma che, puntualmente, finiva sempre per prendere tra i voti più alti dell'intera classe.

Louis iniziò a prendere parte ai vari dibattiti tra genitori e insegnanti solo quando arrivarono le famiglie dei ragazzi un po' più problematici, tra chi faceva il bullo in tutta la scuola o chi, d'altra parte, veniva preso di mira per chissà quale motivo.

Era sconfortante dover guardare i volti distrutti di genitori che ce la mettevano davvero tutta per garantire un futuro migliore ai propri figli, magari anche a costo di trascurare se stessi e le loro necessità.
Non era difficile notarlo, non quando alcune persone arrivavano di corsa nella saletta che condividevano con qualche altro professore silenzioso ancora vestiti con la divisa da lavoro, o magari con delle occhiaie prorompenti o dei bambini davvero piccoli a seguito.

Ad ogni intervallo tra un colloquio e un altro, Harry e Louis si guardavano, sospiravano quasi in contemporanea, ma non parlavano.
No, non c'era davvero niente da dire in situazioni in cui tutto ciò di cui potevi parlare per rincuorare un genitore, infondendogli speranza, erano semplici frasi di circostanza sull'innegabile intelligenza sprecata di alcuni studenti o sulla fiducia nel loro futuro - che si sperava fosse il più prossimo possibile -.
(Spesso anche mentendo, perché certi ragazzi non sembravano avere la più minima voglia di cambiare, migliorare, rivoluzionarsi.)

"Salve, sono la madre di Shirley." si presentò una donna distinta ma sorridente, quasi raggiante, se si avesse voluto esagerare. Aveva lunghi capelli castani e ricci, del tutto diversi da quelli della figlia con gli spaghetti biondi platino che aveva perennemente tra le mani per un motivo che Louis associò a nervosismo, magari un po' di tensione. Gli aveva sempre dato delle strane sensazioni quella ragazzina, come se fingesse di essere come si mostrava.
"Professor Tomlinson, noi ci conosciamo già, ma lei deve essere il professor..." lo incalzò, schioccando le dita smaltate di rosso con fare sbrigativo mentre poggiava la borsa sulla sedia accanto alla sua e si accomodava senza troppi fronzoli.

"Styles. Professor Styles, piacere di conoscerla." si alzò leggermente dalla sedia per poterle offrire una mano da stringere, nonostante fosse un po' restio dopo aver visto il naso di Louis arricciarsi e lo sguardo della donna quasi affettarlo come un prosciutto con i suoi occhi verdi al posto delle lame.
"È in gran forma, signora. Spero che il lavoro vada bene." disse secco il maggiore, giocando con una penna viola mentre con la scusa di muovere nervosamente il piede sotto la scrivania cercava di far capire a Harry chi avesse davanti.

"Oh, assolutamente. Il mio salone è sempre aperto, le donne vanno e vengono da ogni porta." ridacchiò, guardandosi il dorso della mano tatuato con un'enorme ibisco colorato. "Vi direi di passare, ma non vorrei sembrare qualcosa che non sono, sapete." strinse i denti, forzando un sorriso dopo aver quasi bisbigliato l'ultima frase e facendo spalancare gli occhi a Harry senza un minimo di contegno.
(Entrambi avevano benissimo in mente che cosa fosse, e iniziava con la lettera "o" e finiva per "mofoba", ma l'ultima cosa che volevano era trattenerla un secondo più del necessario con discorsi pseudo-educativi che la donna avrebbe cancellato non appena sarebbe uscita dalla porta.)

Il supplente, comunque, sempre vestito di un'enorme cappotto di superiorità e professionalità, si schiarì la voce e ignorò la frecciatina nemmeno poi così velata.
"Non ho molte buone notizie su Shirley, signora Clowby. Non è mai attenta in classe, per esempio." iniziò Harry, sospirando con un dito a reggersi la fronte mentre sfogliava il fascicolo della dodicenne e cercava la forza di alzare lo sguardo su quello della madre. "Non svolge mai i compiti per casa di tedesco e supera a malapena i test di inglese, temo che sarà difficile recuperare dal momento che siamo quasi a maggio, ormai."
"Inoltre non utilizza la divisa scolastica e si distrae costantemente con il cellulare nonostante sia vietato tenerlo acceso in classe per regolamento." continuò Louis, lasciando la penna per incrociare le dita sulla cattedra, attento a non far scrocchiare il collo in modo troppo esplicito per non risultare maleducato.
Era davvero stanco di stare seduto dopo otto ore di lezione e tre - ancora in corso - di colloqui.

Lo stare seduti era sopravvalutato.

"Noi consigliamo di iscriverla al corso di scuola estiva che verrà tenuto qui alla Brixton State School stessa nei mesi di luglio e agosto. Il sistema scolastico inglese non prevede bocciature, ma è necessario che colmi le sue lacune nelle lingue." spiegò con calma Harry, ma la voce rallentò ancora di più quando, già dall'inizio della frase, la donna davanti a loro iniziò a ridere piano.
"Mia figlia dovrebbe andare ad una scuola di recupero estiva? Nossignore, non se ne parla." si asciugò drammaticamente una lacrima divertita con un polpastrello artigliato da un'unghia a stiletto laccata di una tonalità di rosso molto più amaro di prima. "Se si distrae è solo per colpa vostra." puntò un dito verso di loro in tono accusatorio, facendo sparire il sorriso che se prima a Harry parve raggiante, ora non sembrava altro che il riflesso di ciò che la donna era: tristemente falso.

"Sicuramente potrebbe essere dovuto al mio metodo d'insegnamento, purtroppo sono ancora un principiante e devo imparare come attirare l'attenzione di ogni studente nel migliore dei modi, mettendo ognuno di loro a proprio agio." mormorò umilmente Harry, con una mano ingioiellata e smaltata aperta sul petto come per mostrare la sincerità delle sue parole, ma forse quella mossa non fece che peggiorare le cose.

Louis lo sentiva al centro dello stomaco.
Riusciva a percepire non solo un nodo, ma anche un'incudine legata ad esso, terribilmente stretto e senza via di fuga diversa dal tagliarlo di netto.
Se fosse stato solo, forse, si sarebbe steso sulla prima superficie utile e avrebbe contato finché non avrebbe ricominciato a respirare normalmente, mantenendosi il pollice nascosto nel pugno dell'altra mano per cercare di far funzionare quel metodo che, alla fin fine, non poteva essere altro che effetto placebo, ma che lo aiutava parecchio.

Forse era il calore del palmo della mano intorno al dito, forse era il fatto che in quella posizione le sue mani smettessero di tremare.
Non era importante sapere il perché, né il come.
Lo era il risultato finale, e in quel momento era l'unica cosa che poteva fare in pubblico.

Abbassò le mani sotto la cattedra proprio quando la madre di Shirley si avvicinò pericolosamente alla scrivania, con i palmi delle mani aperti contro il legno chiaro e lo sguardo quasi fiammeggiante rivolto prima a Harry al suo fianco - che cercava di restare impassibile, nella sua posizione ferma e stabile - e poi a lui, che cercava di non mostrare quanto potere stesse avendo la situazione sul suo benessere psicosomatico.

"Il problema non è la sua incapacità ad insegnare, ma il fatto che abbia il coraggio di venire a scuola truccato e vestito da donna come se non ci fossero dei bambini in giro!" sbottò, perdendo ogni tratto di quella distinzione che sembrava avere all'inizio, con le labbra dipinte di una bella tonalità di rosa che ora pareva quasi morirle addosso.
"La mia vita privata non è in nessun modo motivo di distrazione in classe, signora. Ora la prego di mantenere le distanze e abbassare il tono di voce, dal momento che potremmo disturbare chi ci circonda." mormorò con cortesia, ma in un tono che non solo non lasciava trasparire nessuna simpatia, ma nemmeno la stessa sicurezza che aveva qualche minuto prima.

Al primo accenno di cedimento nella voce di Harry, Louis avrebbe tanto, tanto voluto stringergli un ginocchio o magari una mano, dirgli che andava tutto bene, che era solo il primo brutto confronto con un genitore maleducato di molti.
Ma non poteva.
Non poteva toccarlo, sfiorarlo, accarezzarlo. Non in pubblico, non quando era anche ad un soffio dall'esplosione interiore.

Vide con la coda dell'occhio il più piccolo buttare fuori una quantità d'aria tale da poter gonfiare una decina di palloncini quando la donna si rimise seduta, con un'espressione stizzita sul viso contratto dalla rabbia e le braccia incrociate.
"Bene, ora, se può trattenersi per qualche altro minuto, vorrei farle vedere l'ultima verifica in classe che abbiamo svolto." disse gentilmente, spostando la sedia all'indietro per cercare nella borsa il compito di Shirley, sistemato ordinatamente nella cartella della classe. Ne tirò fuori qualcuno di troppo, e fu inevitabile per l'occhio attento di Louis notare come le sue mani stessero tremando mentre rimetteva al loro posto le verifiche che non servivano.

"Ha preso tre punti su nove." spiegò, indicando il punteggio cerchiato in rosso sul foglio mentre lo faceva scivolare sulla cattedra verso la donna, per poi sistemarsi i capelli dietro le orecchie e incrociare le mani sulla cattedra.
"Questo compito non è da tre! Andrò a fare un reclamo in presidenza." borbottò, sbattendo la verifica sulla cattedra e facendo per alzarsi, ma senza andare troppo lontano, perché Louis stava iniziando a stancarsi di questo atteggiamento di finta puzza sotto il naso.

L'insegnante di sostegno si schiarì la voce, si mise composto e "Signora Clowby, se il professor Styles, laureato in lingue e pedagogia, ha ritenuto che il compito di Shirley fosse da tre punti, avrà avuto le sue ragioni. Non credo, poi, che la preside prenderà in considerazione una lamentela fondata sul nulla da parte di una persona che ha già denunciato calunniosamente l'insegnante in questione, o sbaglio?" chiese, alzando le sopracciglia e abbozzando un ghigno soddisfatto nel momento in cui vide la donna passare dall'essere iraconda a tremendamente imbarazzata, come sarebbe dovuta essere sin dal principio. "Ovviamente lei è libera di fare ciò che ritiene più giusto, ma potrebbe utilizzare il tempo di attesa per un colloquio con la dirigente scolastica per, magari, iscrivere sua figlia ai corsi di recupero. Un po' di disciplina farebbe bene ad entrambe, ne sono certo." aggiunse poi, e se fosse stato per lui, al suono della risata strozzata di Harry si sarebbe girato e gli avrebbe fatto un occhiolino, magari schioccando la lingua come suo solito quando faceva una battuta particolarmente sottile o direttamente stampandogli un bacio sul viso divertito. Ma non era solo.

Avrebbero rimandato i festeggiamenti ad un altro momento.

La donna dai capelli scuri rimase per qualche secondo in silenzio, con una mano stretta alla bretella della sua borsa fino a farla diventare rossa come le sue unghie e l'altra che batteva contro il suo mento, come se stesse valutando cosa fare, in che modo rispondere.
"Dove posso trovare i moduli di iscrizione?" domandò poi, con un tono di voce più stridulo, ma basso rispetto alle urla che aveva messo in scena poco prima come se fosse la protagonista di una tragedia teatrale.

A quelle poche parole Harry sorrise, un po' vittorioso e un po' amaramente divertito dalla pochezza d'animo di quella persona che aveva preferito farsi pagare con la stessa moneta quando, invece, avrebbe potuto ammettere i suoi sbagli.
"Sarei lieto di accompagnarla io in segreteria, tanto lei era l'ultima per stasera." si propose cordialmente, alzandosi quasi allo stesso tempo di Louis e chiedendo, poi, alla donna di seguirlo fuori dalla classe, non prima di aver lanciato al collega uno sguardo significativo che non seppe se interpretare come una silenziosa richiesta d'aiuto o di mettere a posto anche la sua roba, cosicché potessero andarsene da quella prigione il più in fretta possibile.

In ogni caso, a Louis non dette fastidio sistemare anche la borsa di Harry, anzi. Era bello vedere con i propri occhi e toccare con mano l'organizzazione impeccabile del lavoro del riccio, che nella borsa riusciva a farci stare qualsiasi oggetto utile senza rinunciare all'ordine e alla precisione.
E poi era una bella borsa di Yves Saint Laurent, insomma, il più grande voleva metterci le mani sopra sin dal primo giorno di lavoro del riccio.

Aspettò che Harry tornasse in classe per almeno cinque minuti. Ormai la scuola si era svuotata quasi completamente e i professori che condividevano l'aula con loro se n'erano andati tra sguardi sprezzanti nei suoi confronti - Louis non seppe dire se fosse per la sceneggiata della madre di Shirley o per il fatto che fosse praticamente stravaccato sulla cattedra, con la testa bassa e il telefono in mano - e nemmeno mezzo saluto o augurio di passare una buona serata.

Non che gli fosse importato molto, a dirla tutta. L'unica cosa di cui si curava in quel momento era l'assenza di messaggi da parte di Damian, e ancora di più il fatto di non aver visto la bellissima Kate Bray ai colloqui, con la sua divisa gialla e rossa della tavola calda e i boccoli biondi sconvolti dalla corsa per arrivare in tempo.

Ed era così concentrato a fissare lo schermo vuoto del suo telefono da non accorgersi subito delle mani di Harry che si posarono delicatamente sulle sue spalle, iniziando a massaggiare piano per sciogliere la tensione dei muscoli.
"Chi sono?" chiese il riccio retoricamente all'orecchio del maggiore, continuando a premere la pelle come se fosse un impasto per il pane.
"Channing Tatum?" ribatté Louis, scherzosamente ma senza togliere lo sguardo dal telefono finché Harry non glielo sfilò dalle mani dopo aver toccato un punto particolarmente teso del collo, approfittando della debolezza momentanea.
"Se fossi stato Magic Mike mi sarei fatto un massaggio da solo." borbottò, facendo ridacchiare piano Louis ma senza il solito brio.

"Sei parecchio insolente per essere appena stato aggredito da un'omofoba." scherzò amaramente, facendo alzare le spalle al minore.
"Alla fine della giornata io continuo a vivere la mia vita in tranquillità, lei, invece, rimarrà con il bruciore allo stomaco per sempre." notò, sorridendo come se tutta la paura provata pochi minuti prima si fosse volatilizzata grazie ad ali d'angelo.
"Ammiro tanto la tua capacità di farti scivolare le cose addosso. Sei stato davvero forte e coraggioso, oggi." tirò su col naso Louis, approfittando della classe e dei corridoi deserti per stampargli un bacio all'angolo della bocca quando Harry si sedette accanto a lui sulla cattedra e gli accarezzò un fianco con la mano del braccio intorno alla sua vita.

"La madre di Damian non è venuta ai colloqui e lui non mi ha scritto per tutto il pomeriggio." sospirò poi dal nulla, passandosi una mano sul viso e guardando il più piccolo, che storse il naso e cambiò completamente espressione.
"Tu e lei non dovreste fare colloqui privati? Tipo, più spesso?" chiese, sistemandosi affinché il maggiore potesse poggiare la testa sulla sua spalla mentre parlava con la mano in cerca del manico della sua borsa per andare via.
"Dovremmo, sì, ma lei non può mancare dal lavoro e quindi parliamo solo a quelli generali o in casi di emergenza estrema."

"Come quando Damian era scappato di casa?"

"Già." espirò, chiudendo gli occhi e posando una mano sulla sua pancia mentre cercava di non pensare al fatto che il riccio avesse in ostaggio il suo cellulare.

Harry aprì la bocca più volte, ma non parlò finché non vide Louis alzarsi e prendere entrambe le loro borse, diretto verso l'uscita. "Se vuoi, prima di andare a casa tua possiamo passare da lui. Controlliamo che sia tutto a posto e andiamo via, niente di più." disse, guardando gli occhi azzurri del più grande illuminarsi come due diamanti circondati da laser antifurto, troppo preziosi per essere anche solo avvicinati.

"Davvero?" la domanda si porse spontaneamente, trattenendo il respiro come se potesse davvero aspettarsi un rifiuto da parte di Harry. Non che lui non tenesse a Damian, assolutamente, ma non era propenso a questo tipo di morbosità che c'era tra l'insegnante di sostegno e il ragazzino, sebbene trovasse entrambi molto dolci.
Il riccio annuì, sorridendo teneramente quando vide Louis tentare di saltellare sotto il peso di entrambe le borse fino a dove stava lui in piedi solo per baciarlo velocemente, a mo' di ringraziamento.

"Sono quasi le otto e noi siamo ancora a scuola, sbrigati." rise Harry dopo il quinto bacio di fila, spingendo piano il maggiore con le mani contro il petto e le gambe pronte a superarlo con falcate grandi e rapide.
"Sarebbe molto più facile sbrigarmi se non avessi due borse da mantenere." urlò verso il più piccolo, che era già corso via nel bel mezzo del corridoio e lo guardava con tono di sfida.
"Non ti sento!" ribatté Harry, ridendo e improvvisando una corsetta fino all'uscita della scuola nel frattempo che Louis, appesantito e stanco dalla giornata, non riusciva davvero a capire come avesse potuto trovare un raggio di sole in una vita piovosa come la sua.

"Smetti di ridere, Lou. Smettila." ordinò Harry, ridendo a sua volta mentre gli dava leggeri colpi sulla spalla per cercare di fermare la sua risata fragorosa. Insomma, non avrebbe decisamente dovuto dato che Louis era alla guida e la strada non era illuminata a dovere, ma si basò sul fatto che stesse andando piano e che, essendo un quartiere residenziale, era più difficile che altre auto sfrecciassero vicino a loro.

"Non ci riesco!" boccheggiò, facendosi scappare un suono solo simile ad una risata che, in un'altra situazione, avrebbe fatto spaventare terribilmente il più piccolo. "Hai fatto la tipica faccia che si fa prima di vomitare."
"La madre di Yousef si è sbottonata la camicetta quando Zayn è entrato in aula per portarmi dei fascicoli, cazzo." disse con tono ovvio, passandosi una mano sul viso come per nascondere un lieve accenno di vergogna che stava ancora provando e, poi, scoppiando a ridere quando il maggiore quasi sputò su tutto il volante per colpa di una risata esplosiva.
"È stato esilarante, non so come abbia fatto a trattenermi." batté una mano sul cambio della marcia mentre con l'altra girava il volante verso destra.

"Non è stato orribile, comunque." mormorò Harry quando le risate si affievolirono, guardandosi le unghie con attenzione.
"Meglio dei seminari da ricconi per prepararti all'insegnamento che hai seguito?" lo prese in giro Louis, con la punta della lingua tra i denti mentre si fermava ad uno stop ad un paio di traverse di distanza dalla meta prevista che era la casa di Damian.
"Stasera con me c'eri tu, quindi... sì." sorrise, poggiando il gomito sinistro sullo sportello e la testa sulla mano col palmo aperto.
Il maggiore non poté dedicargli più di uno sguardo e un bacio veloce sulla mano dato che era attento a voltare nella strada giusta, ma il riccio non ne fece un dramma, anzi.

Stava imparando a godersi ogni minima attenzione da parte di Louis, ogni suo respiro.
E non era così scontato, no.
Non con una persona come lui al proprio fianco.

In particolar modo in situazioni come quella che avrebbero vissuto nel giro di pochi istanti, inconsapevoli che, ancora un'altra volta, quelle che gli Antichi Greci chiamavano Parche erano lì all'angolo della strada, intente a tessere, filare e tagliare, quasi godendo alla vista dell'ennesima batosta che Louis prese in piena testa.

"Lou." lo chiamò Harry, sollevando il capo quasi a rallentatore mentre vedeva riflettere dal parabrezza sporco delle luci blu e rosse lampeggianti, terribili da guardare tanto quanto nei film o in foto o per strada, quando - nonostante sia una realtà cinica - il problema non ci tocca.
Tuttavia, non era quello il caso.

"No. No, cazzo, no." riuscì solo a sussurrare, schiacciando il piede sull'acceleratore in modo da potersi parcheggiare malamente nel minor tempo possibile proprio davanti al vialetto della casa in mattoni della famiglia Bray, occupato da una volante della polizia con gli sportelli aperti e la luce segnaletica ancora più che accesa.
Quando strappò via le chiavi dal quadro dell'auto, fece per scendere dimenticandosi dell'esistenza della cintura di sicurezza. "Come si toglie questa cazzo di cosa?" chiese, prendendo enormi respiri e tastando ogni superficie come se avesse scordato anche un'azione quotidiana come quella di staccarsi la cinta.

"Continua a respirare. Non sarà successo nulla di grave, va bene?" tentò di rassicurarlo Harry, sistemandosi i capelli dietro l'orecchio mentre cercava di premere il pulsante della cinta per liberare il ragazzo, che aveva una mano sulla maniglia dello sportello e la testa già in un altro universo.
"Louis!" urlò allora per richiamarlo quando lo vide sparire non appena poté muoversi, e uscì dalla macchina con la stessa velocità un attimo dopo.

Lo rincorse per tutto il vialetto e il piccolo giardino frontale della casa, riuscendo a raggiungerlo solo quando si fermò davanti alla porta di casa socchiusa, con l'affanno dovuto al movimento improvviso.
Si sarebbero potute sentire le voci dei poliziotti arrivare dall'interno, magari anche quella di Kate Bray, ma la testa di Louis era un continuo rumore, un costante sbattimento di pentole e rombi di tuono e percussioni scoordinate.

E Harry, per qualche assurdo motivo, riusciva a percepire il frastuono all'interno del maggiore senza nemmeno averlo direttamente nelle sue orecchie.

"Che cosa è successo?" chiese quasi urlando Louis appena la porta si spalancò davanti a lui, mostrando non solo la donna bionda con gli occhi gonfi dalle lacrime, ma anche due agenti della polizia che scuotevano la testa piano, uscendo dalla casa. "Kate. Che cosa cazzo è successo?" ripeté, quasi ringhiando mentre i poliziotti superavano sia lui che Harry al suo fianco, che non sapeva se intervenire o meno, cercando di capire cosa fosse effettivamente accaduto.

"Damian sta bene, Louis." premise Kate, scoppiando a piangere e nascondendo il viso contro il braccio poggiato allo stipite della porta, ma l'insegnante non mosse un dito per rincuorarla. Se non fosse stata evidentemente traumatizzata, forse, avrebbe chiesto ai due ragazzi perché fossero lì proprio in quel momento, ma sapere la risposta a quella domanda era l'ultimo dei suoi pensieri.
"Allora perché cazzo c'è la polizia nel vostro giardino?!" indicò la volante che stava facendo retromarcia, pronta a scomparire dall'altra parte del distretto nel giro di pochi minuti.
"Perché era scappato di casa!" gridò a sua volta la donna, passandosi una mano sul viso per asciugarsi le lacrime e affrontare lo sguardo del maggiore, che passò dall'iracondo al profondamente addolorato.

Il suo viso si contrasse, aprì la bocca qualche volta come per dire qualcosa ma non uscì nessun suono. Sentiva le gambe formicolare, con le ginocchia traballanti e le caviglie tutt'a un tratto sovraccaricate dal suo peso, e dovette reggersi ad un braccio di Harry, il quale trattenne il respiro quando le unghie del ragazzo si conficcarono nella sua pelle tatuata all'improvviso, prendendolo alla sprovvista.
"Dov'era?" chiese il più piccolo al posto dell'altro, che con la mano libera si stava premendo gli occhi per cercare di non sentire il capogiro.

La donna sospirò con una mano sul petto e "Allo skate park. L'hanno trovato sotto una rampa con le cuffie alle orecchie." spiegò, rilasciando un singhiozzo dalle labbra martoriate.
"È in camera sua?" continuò Harry, accarezzando con il dorso dell'indice la schiena di Louis per tranquillizzarlo, invano.
"Sta riposando, era molto scosso. La polizia ha proposto di chiamare un medico per sedarlo, ma io credo-" scosse la testa piano, alzando lo sguardo sull'insegnante di sostegno quando sembrò essersi ripreso all'apparenza, con gli occhi nuovamente aperti e una posizione stabile con le gambe.

"Tu credi troppe cose ma non fai mai niente, Kate!" sbraitò Louis a tal punto da far indietreggiare la donna di qualche passo. "Lavori Dio solo sa quante ore al giorno per lui, ed è ammirevole, ma tuo figlio si sta uccidendo sotto il cazzo di tetto che gli hai messo sulla testa e nemmeno te ne rendi conto." continuò, tagliente in una maniera tale che avrebbe potuto far sanguinare anche i muri se solo ci avesse parlato un po' più vicino.
"Louis, basta. Sta bene." provò a calmarlo Harry, quando iniziò a vedere che stava facendo fatica a respirare e i movimenti stavano diventato frammentati, come se fosse il protagonista di un film con il segnale televisivo interrotto dal mal tempo.

"No, non basta. Non basta mai. Lei deve sapere come cazzo stanno le cose, quanto Damian non stia bene anche per colpa sua e del suo egoismo." disse a denti stretti, prendendo enormi respiri ogni poche parole ma non ad intervalli regolari come avrebbe dovuto fare.
"È sempre solo, ha cambiato sette scuole negli ultimi quattro anni, non ha amici. Ha solo me, ma io non sono abbastanza." la voce cedette all'ultima frase, incrinandosi e rompendosi a causa di un singhiozzo che lo fece piegare sulle sue stesse gambe, cercando di nascondersi tra i suoi avambracci mentre rimaneva accovacciato tra Harry e Kate, distrutti in modi diversi e per motivi differenti alla vista di quella scena patetica.

"Vorrebbe solo qualcuno nella sua vita e io non sono abbastanza." ripeté a bassa voce, ancora seduto sulle sue caviglie e con le ginocchia flesse. Sentì il calore del corpo di Harry che prima gli mise le mani sulle spalle cercando di farlo alzare, ma poi si piegò allo stesso modo, posandogli il mento sulla scapola e lasciandoci un bacio sopra, non curante della presenza della madre di Damian lì vicino.
Gli stava sussurrando qualcosa che non capiva direttamente contro l'orecchio, con una mano ad accarezzargli la pancia incastrata tra essa e le cosce, ma Louis a malapena sentiva anche quella perché... non era presente con la testa.

Non c'era.
Non c'erano le carezze di Harry, i suoi bisbigli.
Non c'erano i colori.
Non c'era il bianco.

C'era solo il nero.
Il solito, noioso, stancante, terrificante nero come la pece utilizzata per l'archetto del più scordato dei violini.

"Preferisce passare la notte al freddo piuttosto che in una casa vuota." biascicò, sentendo il brusio nelle sue orecchie fermarsi improvvisamente appena parlò, come se fosse stato un evento.
Chissà da quanto tempo era lì, spento tra le braccia di Harry, accovacciato sul portico di una donna che ne aveva passate troppe in una sola vita e ancora di più in una sola sera.
"Non sarà la fottuta ansia ad ammazzarlo, né il fatto che non parli. Saremo noi." espirò, lasciando sembrare che si fosse finalmente ripreso, che fosse tornato in sé mentre si rimetteva in piedi, reggendosi con le mani tremanti dallo choc ai mattoncini del muro, sotto lo sguardo disperato della madre dello studente.

Ma poi scoppiò a piangere, sgretolandosi come una tegola di una casa in macerie ancora una volta, l'ennesima, quella più sfibrante.
Perché non era solo.

C'era Harry, che se lo stava tenendo stretto contro il petto per evitare che si chiudesse fisicamente a riccio, magari cadendo e facendosi male. Gli teneva le braccia intorno alla vita, abbastanza stretto da non farlo muovere ma anche da fargli prendere i respiri necessari a riprendersi.
E aveva tante, tante domande di cui nemmeno immaginava né credeva di voler sapere la risposta.

C'era Kate, che corse dentro casa alla ricerca di una coperta per tenere la sua pelle tremante al caldo e di un bicchiere d'acqua per farlo reidratare.

E c'era Damian, che Louis non vide finché il più piccolo non gli avvolse la coperta offertagli dalla donna intorno al corpo che si muoveva a scatti per colpa dei singhiozzi che non sembravano terminare mai.
Era qualche metro dietro la madre, con i capelli biondi disordinati e un pigiama blu indosso; guardava la scena con le sopracciglia curvate e la bocca socchiusa, come se non riuscisse a credere a ciò che stava vedendo.
Come se non volesse farlo.

Sarebbe mai finito?
Harry non riusciva a smettere di chiederselo mentre Louis nascondeva il viso nell'incavo del suo collo, troppo lucido nella mancanza di lucidità, troppo imbarazzato, in preda alla vergogna di aver ceduto così, ma non riuscendo a fare altrimenti.
Muoveva le mani dall'alto al basso su tutta la sua schiena. Nel frattempo camminava all'indietro, facendo solo cenni a Kate che, piangendo anche lei, stringeva il figlio tra le sue braccia sull'uscio della porta, abbozzando dei sorrisi incoraggianti a Damian che avrebbero voluto significare "è sempre il tuo solito supereroe" e "dagli tempo" e "me ne occupo io".

E il ragazzino era intelligente, era sveglio, era furbo. Perciò non solo aveva letto tutte queste intenzioni dello sguardo del supplente, ma non ci aveva neanche creduto.
Harry, onestamente, si trovò per la prima volta a desiderare che un suo studente fosse meno brillante.

La vita si prende sempre gioco dei più sagaci.

"Attento al ginocchio." disse Harry a bassa voce, mentre stava per chiudere lo sportello dopo aver fatto sedere un Louis ancora scosso sul sedile del passeggero.
Aveva smesso di piangere da qualche minuto - all'incirca da quando il riccio chiese ai due all'ingresso di casa Bray di chiudere la porta e fingere che loro non ci fossero - e si concesse di poggiare le braccia tese contro la carrozzeria dell'auto per una manciata di istanti prima di salire al posto del guidatore e tornare alla vita vera, quella in cui c'era qualcuno che aveva bisogno di lui e che lo stava aspettando come un bambino aspetta un triste Natale.

"Perderò il lavoro." fu l'unica frase di senso compiuto che riuscì a pronunciare il più grande in tutto il breve viaggio verso il suo appartamento. Si era calmato quasi del tutto dopo un'ultima crisi dovuta al senso di claustrofobia che gli aveva dato il fatto di essere avvolto in un plaid che nemmeno conosceva, ma quando arrivarono davanti al suo condominio ormai respirava bene. Il pianto era solo un brutto ricordo dei suoi occhi gonfi e i segni che aveva lasciato con le unghie sulle braccia di Harry erano spariti insieme al briciolo di dignità che non sentiva di avere più.

Il più piccolo lasciò che passasse qualche secondo di silenzio, cercando negli archivi della sua testa quali parole sarebbero state adatte in una situazione simile.
È anche vero che c'era tutto tranne che l'ordine nella mente di Harry in quel momento, ma era necessario che almeno qualcuno rimanesse sempre vigile.
"Perché dovresti?" chiese allora, parcheggiando con calma e spegnendo il motore una volta sistemata l'auto nelle righe del parcheggio. Tolse le chiavi dal riquadro ma non uscì dall'auto, rimanendo, invece, seduto con le mani sulle ginocchia e il viso rivolto verso Louis, che stava guardando un punto indefinito davanti a sé.

Scrollò le spalle e "Ho attaccato l'unico genitore di uno studente sotto terapia psicoterapeutica davanti a lui." rispose secco, senza un pizzico di una qualsiasi emozione nella voce, gli occhi solitamente azzurri come il cielo estivo diventati glaciali e spenti. Guardava i lampioni vicini alla fulminazione della strada di casa sua, le luci degli appartamenti della zona spegnersi e accendersi, i fari delle macchine passare troppo veloci o, chissà, troppo lenti.

"Non ti denuncerà, lui non glielo permetterebbe mai." mormorò Harry, buttando fuori più aria possibile finché Louis, districatosi dalla coperta, non gli sfiorò la mano più vicina. Abbassò lo sguardo sulle loro dita che si cercavano nonostante fossero ancora tremanti, calde e fredde allo stesso tempo, stanche e piene di sofferente energia. "Adesso andiamo a casa e io preparo un tè mentre tu fai una bella doccia bollente." fece il punto della situazione il più piccolo, prendendogli la mano tra la sua e riscaldandola con il suo respiro, per poi lasciarne un bacio sulle nocche sotto lo sguardo quasi catatonico del ragazzo.

"Perché non scappi?" gli chiese un attimo prima che il riccio uscisse dalla macchina, e forse per chiunque altro sarebbe stata una tortura questa continua domanda ripetuta da mesi ogni qualvolta che qualcosa andava storto, ma non per Harry.
A lui non sarebbe mai pesato ripetere quanto fosse grato, nonostante tutto, di avere proprio lui al suo fianco. Nessun altro.
Lui.
Con pregi e difetti, segreti e verità cristalline alla luce del sole.

"Perché chi scappa non vince mai, e con te mi sembra di avere già tra le mani il bottino di guerra." ammise, dipingendosi un sorriso sulle labbra rose mentre lo guardava con un piede già fuori dall'auto e il viso sporto verso di lui per rubargli un bacio veloce che sapeva tanto di sigillo per le sue parole. "Un vero e proprio Sacco di Roma."
"Quei saccheggi portarono morte, desolazione e crisi economiche." puntualizzò Louis, non credendo a nemmeno una sola parola del riccio.

Insomma, chi avrebbe mai davvero preferito stare al fianco di un disastro vivente? Uno di quelli che un giorno potrebbe essere la persona più energica e spensierata al mondo e quello dopo, quelli dopo, magari, la più paranoica.
La più terrorizzata e la più spaventosamente preoccupata per qualsiasi cosa, dalla possibilità di aver lasciato il fornello acceso in cucina all'ipotetica realtà in cui un proprio caro veniva investito da un'auto o... chissà.

Solo un folle potrebbe prendersi la responsabilità di decidere di stare con una persona così.
Instabile.
Volubile.
Tristemente incerto.

"Non per i barbari." notò Harry, abbozzando l'ennesimo sorriso incoraggiante, per poi accarezzargli il braccio e "Chiudi bene lo sportello quando scendi." gli ricordò, invitandolo implicitamente ad uscire dall'auto mentre lui andava a recuperare le borse da lavoro dal baule, ritrovandole esattamente nella stessa posizione in cui le avevano lasciate quando si erano messi in macchina.

Era strano, quasi incredibile, come Louis fosse passato dal rincorrerlo come un bambino, ridendo a crepapelle quando Harry lo fermò contro la sua utilitaria per fargli il solletico nel parcheggio vuoto della Brixton State School, al muoversi come se si fosse appena risvegliato da un coma duraturo, senza alcuna energia o capacità di camminare con più convinzione.
Era strano, incredibile e molto, molto triste.
E faceva sentire Harry molto più inutile e impotente di quanto stesse cercando di mostrare, con battute e romanticherie che sapeva che, in quella situazione, a Louis - che si era girato a controllare dove fosse mentre tentava di aprire il portone del palazzo con mani tremanti - non facevano né caldo né freddo.

"Vuoi anche dei biscotti con il tè?" chiese Harry una volta poggiate le borse su una delle poltrone del piccolo salotto, lasciando un bacio sulla fronte del più grande prima di andare verso la cucina.
"Voglio solo dormire." rispose a bassa voce, come se fosse più una preghiera che una constatazione. Si tolse la coperta dalle spalle e la piegò velocemente, per poi poggiarla sul divano su cui fece per sedersi, cambiando idea quando il riccio tornò in salotto con i capelli legati, pronto a mettersi a cucinare o chissà cosa.

"Devi mangiare almeno qualcosa." alzò un sopracciglio, guardandolo prima a qualche metro di distanza, insicuro del modo in cui avrebbe potuto reagire se si fosse avvicinato. Ma poi lo fece comunque, mettendogli le mani sulle spalle e spostandone poi una sotto il mento. "Ma se non ti va possiamo fare una bella colazione domani, mh? Magari faccio un salto in quella pasticceria a Westminster prima che ti svegli." propose dolcemente.

"No, non lasciarmi solo." bisbigliò, tirando su col naso mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime e lui si mostrava debole, si esponeva, abbatteva qualunque barriera che fino a prima di conoscere Harry mai, mai gli avrebbe permesso di fare una tale richiesta a qualcuno.
"Va bene, amore. Va bene." sospirò il riccio, spingendosi contro il suo petto l'intero corpo di Louis, che si aggrappò forte alla sua schiena nel bel mezzo del suo salotto mentre lui prolungava piccoli baci dolci sulla fronte, i capelli, qualunque parte della sua testa riuscisse a raggiungere.

Si liberò delicatamente dalla presa del ragazzo più alto solo per prendere un enorme respiro, massaggiandosi lo sterno come se fosse la causa della mancanza di aria nei suoi polmoni e beandosi di un'ultima carezza da parte di Harry prima di iniziare a camminare verso il bagno. Sentiva il suo sguardo compassionevole su tutta la schiena, ma non poteva farci nulla, anche lui si sentiva patetico, pietoso.

E si vergognava, lo faceva davvero.
Odiava sapere che Harry, perfetto anche nelle sue imperfezioni, composto pure nei peggiori momenti, avesse deciso di avere questa spada di Damocle proprio sulla nuca, pronta a mozzargli la testa al primo passo falso.
Era un fardello che si stava portando sulle spalle insieme a tutti gli altri suoi problemi, le sue preoccupazioni, e Louis si sarebbe sentito ancor di più un peso se solo lui non avesse cercato continuamente di non farglielo fare, trattandolo, invece, come se fosse il migliore dei premi che si possono vincere al gioco dell'artiglio in una sala giochi.

Lasciò la porta del bagno socchiusa mentre si spogliava non solo dei vestiti sporchi, ma anche di parte delle sofferenze che si ripercuotevano pure sulla sua pelle, sul suo corpo, su ogni parte di sé. Sentiva i muscoli della schiena doloranti ad ogni movimento, le gambe deboli e senza energia, le braccia che facevano male come se fossero state livide.
E la testa, Dio, la testa.
A causa del pianto, dello stress e dei pensieri che non si fermavano mai, la testa non aveva ancora smesso di rimbombare.

Una stanza vuota in preda all'eco.
Un eco perenne che non faceva che ripetere emozioni già provate, dispiaceri già vissuti, anche se in modo diverso, come sempre.

Perché l'ansia non è mai uguale.
Ti sbrana dall'interno e non lo fa mai con lo stesso modus operandi.
Ti squarcia, ti massacra e ti soffoca finché non capisci che non riuscirai mai ad abituartici, che non potrai mai capire cosa fare, cosa dire, cosa evitare per sopravvivere.

Magari un giorno la vita è un enorme giardino di rose, fiori e uccellini che cinguettano, ma poi inizi a pensare, a farti domande, a interrogarti su qualsiasi cosa e lei arriva.
Arriva e non puoi fare niente, perché era una bella giornata, ti sembrava di star vivendo davvero, ma non era abbastanza.

E Louis si sentiva come quella giornata, come quel giardino.
Gioioso, bello, sereno.
Ma non abbastanza.

Libero da ogni vestito, si mise davanti allo specchio con gli occhi chiusi e le mani sul bordo del lavandino, inspirando ed espirando mentre sentiva il suono delle pentole che Harry stava cercando di rimettere a posto, magari dopo averne preso una in particolare per preparare la cena o dopo aver afferrato una teiera o chissà cosa.

Entrò nel box doccia dopo aver spostato la tendina chiara e poggiato entrambi i piedi sul tappetino bluastro, sperando che il calore dell'acqua bollente potesse alleviare il dolore alla schiena, anche se era ben consapevole che non fosse sicuramente dovuto al freddo ormai sfuggente di aprile inoltrato.
Girò la manovella con il cerchio rosso disegnato sopra ad indicare che fosse per l'acqua calda, e aspettò direttamente sotto il soffione che il vapore desse ai suoi polmoni un motivo per andare alla ricerca di più aria nel mentre che poggiava le spalle contro le mattonelle umide.

"Harry?" chiamò a voce alta, rimanendo immobile al centro della piccola doccia mentre l'acqua cadeva sui suoi capelli tirati all'indietro per liberare il viso stanco. Dovette chiamarlo altre due volte prima di sentire dei passi affrettati che tentennarono fuori dalla porta socchiusa, come se il riccio non sapesse se entrare o meno.
"Stai bene?" chiese ad un certo punto, e anche se c'era di mezzo la tendina Louis poté immaginarselo affacciato all'interno del bagno, magari cercando di vedere attraverso la leggera foschia dovuta al vapore della doccia calda. "Lou?" chiese ancora, questa volta entrando del tutto in bagno non avendo ricevuto nessuna risposta, e camminando attraverso la piccola stanza fino alla fine, dove era posto il box doccia.

Si poggiò ad esso con una mano mentre con l'altra, a metà strada dalla tenda, stava cercando di sbrigarsi a decidere se aprirla o meno. "Stai bene, piccolo?" ripeté allora, con gli occhi chiusi per concentrarsi solo sul suono della voce del maggiore che si sarebbe potuta sentire male a causa dell'acqua che cadeva fitta.
"Sì, sto bene." mentì, chiudendo di poco la manovella della doccia per far sì che il getto fosse meno violento, così da poter aprire la tenda senza innondare il bagno.

Vide Harry con i capelli ancora legati in cima alla testa e gli occhi verdi lucidi dal troppo calore della stanza - essendo lui vestito da capo a piedi- e preoccupati quando notò lo sguardo strano di Louis.
"Ti serve qualcosa?" domandò allora, tenendo gli occhi puntati sul suo viso e nemmeno una sola volta sul suo corpo bagnato, perché non era il caso né sentiva la necessità di farlo.
Non per lui, assolutamente, avrebbe guardato le forme sinuose del più grande per tutto il giorno, la notte, la vita.
Ma non era il momento adatto.

"Mi servi tu." rispose con un sospiro più tremante, allungando una mano verso la camicetta del più piccolo, tirando piano il bottone che riusciva a raggiungere con più facilità pur rimanendo con la schiena contro le piastrelle. "Fai la doccia con me."
E gli occhi di Harry si spalancarono, non per la richiesta in sé - era già successo nel corso di quelle settimane, non era nulla per cui sorprendersi -, ma per il modo in cui la fece.
Il momento, in cui la fece.

"Non..." iniziò il minore, sbuffando con la testa bassa, per poi risollevarla quando la mano di Louis lasciò il bottone con un gesto frettoloso, quasi offeso. "Non mi sembra una buona idea, amore." ammise, mordicchiandosi l'interno della guancia sotto la sorveglianza del ragazzo, ancora fermo sotto l'acqua calda.
Se non avesse avuto lo sguardo così desertico, probabilmente, sarebbe potuto sembrare all'interno di una pubblicità per profumi da uomo.

"Per favore, Haz." e nella sua voce incrinata sembrò esserci davvero una preghiera, una supplica di farlo distrarre, di dare alla sua testa altro a cui pensare.
"Non sei in te." rispose solo a malincuore Harry, sentendo un forte senso di colpa quando vide Louis tirare su col naso, imbarazzato dal rifiuto che aveva appena ricevuto. "Io amo fare la doccia con te, lo sai bene, ma..."
"Ma cosa? Cosa, cazzo? Ti ho chiesto solo questo." lo interruppe il più grande, con un tono molto più rabbioso di quanto il suo corpo quasi inerme mostrasse.
"Ma in queste condizioni io non posso fare di più che lavarti." rispose con voce ferma ma tenera, dolce, perché se c'era una cosa che odiava era proprio il fatto che Louis potesse sentirsi vittima di un due di picche apparentemente immotivato.

Il più grande lo guardò per l'ennesima volta negli occhi, per poi chiuderli e inclinare la testa all'indietro, poggiando i capelli contro le mattonelle e sentendo l'acqua cadergli direttamente sul viso.
"Ti sto pregando." quasi bisbigliò, sentendosi su di giri, come se non fosse né lì né da nessun'altra parte, nemmeno con la mente.
E forse era proprio questa sua mancanza di sentirsi vivo che gli stava facendo bramare così tanto il tocco di Harry, qualunque esso fosse.

D'altra parte, il più piccolo fece per ribattere, per prendere fiato e ripetere che non era una grande idea, che sarebbe dovuto uscire dal bagno e lasciargli la giusta privacy che una doccia dovrebbe avere, ma Louis - soprattutto nella sua fragilità - era la sua più grande debolezza.
Si passò le mani sul viso, fece leva con la punta di uno stivaletto sul tallone dell'altro e poi il contrario, per sfilarseli più velocemente. Non sopportava la sensazione dei vestiti bagnati indosso, ma non voleva spogliarsi e dare a Louis l'idea che avesse ceduto al suo malsano volere, perciò si tolse solo i calzini e, prendendo un enorme respiro, entrò nel box doccia chiudendosi la tendina alle spalle.

Ci stavano a malapena in due: Harry teneva le gambe leggermente più aperte per lasciare spazio a Louis, che, appena si rese conto che avesse davvero fatto la pazzia di entrare in doccia completamente vestito, poggiò la fronte sulla sua spalla e lasciò una serie infinita di piccoli baci grati su tutto il tessuto fradicio.
"La toglieresti? Per favore, non farò nulla. Voglio solo guardarti." mormorò il più grande, allisciando il colletto della camicia e strofinando una mano sul fianco di Harry con una calma estenuante e mani così tremanti da dare inevitabilmente i brividi al minore, che stava cercando di distrarsi cercando la spugna nel ripiano davanti a sé, vicino al soffione.

"La prossima volta, Lou." rispose, passandogli un pollice sopra le labbra e stampandogli un piccolo bacio sulla punta del naso, per poi afferrare del bagnoschiuma quasi finito e spremerlo sulla spugna arancione finché non si formò della schiuma bianca grazie all'acqua.
"E se non ci fosse una prossima volta? È impossibile credere che... che non ti renderai conto anche tu che non sono poi tutto questo granché." gli scappò un singhiozzo a bocca aperta, ma immediatamente si tappò quella e il naso con una mano tatuata mentre Harry, appesantito dai vestiti fradici, gli passava la spugna con delicatezza sul collo, le clavicole, il petto scritto con l'inchiostro.

"Nella vita solo se si è pronti a considerare possibile l'impossibile si è in grado di scoprire qualcosa di nuovo." citò il ragazzo, alzandogli un braccio per pulirlo con dedizione, portandosi anche la mano alle labbra per stamparci un bacio sopra prima di dedicarsi al suo gemello. "Io voglio scoprire ogni cosa di te."
"Non sai di cosa parli, tu non vuoi una vita così." scosse la testa, sentendo il viso contrarsi a causa del tentativo di trattenersi dal piangere mentre Harry lo faceva voltare dolcemente, muovendo piano il naso sulla sua nuca e sentendo ogni goccia d'acqua quasi rimbalzare sulle sue ciglia.
"Hai ragione," iniziò, e Louis sentì il suo cuore spezzarsi in mille frammenti pronti a scivolare nel tubo di scappamento della doccia, finendo chissà in quale parte del Tamigi. "Non ne voglio solo una. Ne voglio dieci, cento, mille. Le voglio tutte finché ci sei tu."

E quella fu l'ultima cosa successa all'interno della doccia, l'ultima che Louis si ricordava prima del suo lasciarsi andare definitivamente, liberando il pianto di sfogo che stava mantenendo direttamente dentro la cassa toracica da quando l'acqua aveva iniziato a cadere fitta sulla sua testa.
Si ritrovò tra le coperte profumate del suo letto, con i capelli asciutti e un pigiama di cotone indosso dopo non sapeva nemmeno lui quanto tempo. Con un occhio aperto riusciva a vedere che fuori fosse ancora buio, notte, probabilmente, e sentiva le braccia di Harry intorno a sé, le punte delle dita che gli accarezzavano la pancia da sopra la maglietta.

Si portò una mano ai capelli per assicurarsi che fossero davvero asciutti e che non fosse solo una strana sensazione che stava provando, ma "Te li ho asciugati prima, così non prendi freddo." sentì dire dalla voce roca del più piccolo alle sue spalle, che si accoccolò ancora di più al suo corpo, poggiandogli il naso contro il collo e inspirando profondamente il suo profumo dopo avergli lasciato un bacio sopra.
"Grazie." riuscì solo a rispondere, ancora un po' rauco dal pianto e dalla stanchezza. Spesso gli succedeva di finire in una sorta di stato catalessi in cui si spegneva e rimaneva per ore e ore a fare qualcosa che, magari, nella sua testa era durato pochi secondi.
"Non c'è di che, ma ora prova a dormire un po', amore." poggiò completamente la guancia sinistra sulla sua spalla e chiuse gli occhi. "Bacio della buonanotte?" biascicò poi dolcemente, aspettandosi un baciamano o un semplice silenzio dovuto ad un sonno improvviso, ma Louis si girò tra le sue braccia e gliene stampò uno dritto sulle labbra, quasi sentendo i suoi muscoli mimici combattere per dipingergli un piccolo sorriso sul viso distrutto.

"Se per baciarti dovessi poi andare all'inferno, lo farei. Così potrò poi vantarmi con i diavoli di aver visto il paradiso senza mai entrarci." citò Harry, senza nascondere un grande sorriso quando notò che il maggiore fosse tornato in sé, reattivo e vigile nella stanchezza.
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui, Hazza." quotò a sua volta, indicandosi con un dito la testa e crollando in un sonno profondo tra le braccia del più piccolo, che non poté fare altro che inspirare, espirare e lasciargli un bacio sulla fronte prima di imitarlo, addormentandosi.

E se Shakespeare stesse parlando dell'amore impossibile di Romeo e Giulietta o di Prospero e sua figlia Miranda ne La Tempesta, in quel momento non importava, perché Harry e Louis, i protagonisti di una storia con le caratteristiche di entrambe le opere seicentesche, avevano fatto loro quelle frasi.

Harry avrebbe baciato Louis finché tutti quei diavoli non sarebbero tornati all'Inferno vero, se fosse stato necessario.

Il fatto che il corpo di Harry avesse deciso di risvegliarsi mezz'ora prima della sua sveglia del sabato quella mattina, non doveva essere altro che un gradito aiuto da parte del Destino.
Louis aveva passato tutta la notte a svegliarsi di colpo tra scatti e respiri affannosi, per poi crollare nuovamente appena il riccio - svegliatosi anche lui - gli accarezzava la schiena o lo stringeva un po' più forte, perciò non c'era cosa che volesse di più di farlo dormicchiare per un altro po' beato come era dalle prime luci dell'alba.
E diciamo che il suono irritante della sveglia del suo cellulare lo avrebbe fatto sobbalzare nel letto senza portare ad altro che a un proseguimento del malumore della sera prima, se così lo si voleva chiamare.

Sfilò delicatamente le braccia da sotto il busto del maggiore e, evitando di fare qualsiasi tipo di rumore, scivolò fuori dalle coperte, afferrando il suo cellulare con una mano e una molletta per i capelli lasciata sul comodino con l'altra.
Uscì quasi in punta di piedi dalla camera, tenendo il telefono tra i denti mentre cercava di raccogliersi i boccoli scuri e morbidi dallo shampoo di poche ore prima, per potersi mettere subito a lavoro.

Voleva far distrarre Louis in qualunque modo possibile quel giorno, e un'ottima colazione fatta in casa era il modo migliore per iniziare.
Si ricordava bene che una volta, prima di entrare a scuola, avevano parlato del proprio dolce preferito. E mentre Harry aveva nominato dessert particolari con cioccolato pregiato o frutta fresca tropicale, il più grande aveva ridacchiato e pronunciato il dolce più semplice di tutti: gli scones all'uvetta.
E il ragazzo ancora non aveva avuto modo di prepararglieli, perciò c'era un momento migliore di quello per farlo e tirarlo un po' su di morale?
La risposta era un grosso, grasso, uvettoso no.

Passò solo dal bagno per una doccia veloce e per lavarsi i denti, ma in dieci minuti era già davanti alla dispensa blu di Louis, con il grembiule legato al collo e alla vita e due dita a ticchettare sul suo mento mentre aguzzava la vista in cerca degli ingredienti adatti.
Farina, latte e burro sono presenti un po' in tutte le case, perciò era difficile che non ci fossero e non fu molto sorpreso di trovare anche dell'uvetta, dato che Louis se ne sarebbe cibato per tutta la vita.
Probabilmente, se qualcuno glielo avesse permesso, non avrebbe mangiato altro.
(A volte era quasi preoccupante.)

Impastò in fretta tutti gli ingredienti sul tavolo vuoto della cucina, canticchiando a voce bassa e andando a controllare di tanto in tanto che il maggiore dormisse ancora, con le mani e la punta del naso sporche di farina.
Solo quando gli scones - perfettamente circolari e pieni di uvetta - erano a metà cottura, Harry decise che fosse il momento di togliersi il grembiule e iniziare ad imbandire la tavola con burro, marmellata - non più di due tipi perché a Louis piaceva solo quella alle pesche e quella ai mirtilli, e pretendeva che in casa sua non entrasse nessun altro tipo di frutto zuccherato e pestato in barattolo - e una spremuta di arancia già nella brocca.

Ci aveva messo così tanto tempo che nemmeno si ricordava quanto ne fosse passato dal momento in cui era suonata la sveglia evitata quella mattina, ma ne valeva la pena. Voleva solo far sentire Louis amato in ogni modo, e se fossero stati a casa sua, probabilmente, gli avrebbe anche preparato un bagno caldo o chissà cosa, però sapeva che avrebbe apprezzato anche così.
La loro relazione non era a senso unico.

In ogni caso, Harry era piegato sulle ginocchia davanti al forno quando Louis fece il suo ingresso in cucina, silenzioso, quasi con passo felpato, palesandosi solo nel momento in cui il più piccolo tirò fuori la teglia ustionante per lasciare raffreddare gli scones appena sfornati.
"Ehi." disse con voce flebile, con una mano a scompigliarsi i capelli e una a sfiorare il braccio nudo del riccio, che fece un piccolo salto quando il ragazzo lo colse alla sprovvista.
"Buongiorno, mi hai fatto spaventare." ridacchiò, togliendosi i guanti da forno e poggiandoli sul bancone un attimo prima di prendere il viso di Louis tra le mani e stampargli un bacio prima sulla fronte e poi sulle labbra, sorridendo ancora di più quando sentì le sue mani posarsi sui suoi fianchi.

"Mi dispiace." mormorò a occhi bassi mentre Harry gli spostava i capelli dal viso.
"Mi hai solo sorpreso, non c'è niente di cui dispiacersi." rispose, posando delicatamente le mani sulle sue per spostarle, cosicché potesse controllare se gli scones - che sarebbero dovuti essere una sorpresa, ma ormai - si fossero raffreddati.
Louis scosse la testa e "No, non dico per stamattina. Mi riferisco a ieri, per la scenata e... per la doccia." giocò un po' con le sue dita, in imbarazzo. "Grazie per essere stato meraviglioso come sempre, un altro se ne sarebbe approfittato." rise piano e amaramente, a tal punto da far imbronciare il più piccolo, che si spostò dalla teglia per guardarlo negli occhi.

"Non devi nemmeno pensare di ringraziarmi per una cosa simile." gli puntò un dito contro, ma non c'era nulla di accusatorio in quel gesto, anzi. "Eri sconvolto, non lo volevi davvero, e quindi nemmeno io." disse piano, poggiandosi con una mano sul bancone, accennando un sorriso quando Louis fece lo stesso.
"Volevo solo farti stare bene, sentirmi... utile." gesticolò un po', per poi nascondersi il viso dietro le mani, sentendosi in imbarazzo.
"Tu mi fai stare bene anche, anzi no, soprattutto quando non fai cose che non vuoi fare davvero." ribatté, allungando una mano per togliergli le sue da davanti al bel volto ancora un po' addormentato.

Louis sbuffò forte, come quando finalmente posi le buste pesantissime piene di spesa dopo un lungo tragitto a farti tagliare le mani dalla plastica biodegradabile dei manici. Un istante dopo, poi, Harry si ritrovò spinto indietro di un passo o due per lo slancio dell'abbraccio improvviso in cui lo strinse il più grande, che poggiò la guancia al centro del petto del ragazzo, sentendo subito le sue mani intente ad accarezzargli i capelli e ogni millimetro della spina dorsale che riusciva a raggiungere attraverso la maglietta del pigiama.

"Ho preparato gli scones all'uvetta." ridacchiò quando ricevette un bacio entusiasta in risposta, uno grato ed emozionato e tremendamente domestico da far male. O bene. O entrambi.
"Tu sei una persona di quelle che si incontrano quando la vita decide di farti un regalo." citò, con un labbro fra i denti per nascondere un sorriso dolce.
"Charles Dickens, uh? Vuoi davvero rubarmi il cuore." notò, dondolando da sinistra a destra, finché Louis non allungò una mano alle sue spalle e afferrò uno scone, portandoselo alla bocca per strapparne un morso e annuire sotto lo sguardo fintamente sorpreso di Harry, che aveva gli occhi verdissimi spalancati e la bocca aperta con gli angoli verso l'alto.

"Avrei potuto citare Shakespeare, ma saresti caduto ai miei piedi entro la fine della frase." alzò le sopracciglia dopo aver inghiottito il primo morso di quel piccolo pezzo di Paradiso che aveva tra le mani.
"Mi hai graziato." disse, per poi rubargli dalle mani il pezzo di dolce che aveva ancora in mano e mangiarlo prima che Louis potesse lamentarsene.
"E non succederà più se continuerai a farmi questo genere di torti." gli puntò un dito contro il petto.
"Al massimo posso continuare a farti questo genere di torte." fece spallucce, per poi scoppiare a ridere quando si accorse che Louis avesse capito la freddura solo qualche secondo dopo, staccandosi dall'abbraccio per imprecare a bassa voce e passarmi una mano sul viso disperato.

"Perché sei ancora qui? Non voglio te e il tuo freddo polare in casa mia." borbottò ironicamente, afferrando un paio di scones dalla teglia e andando a sedersi al tavolino imbandito, sentendosi già molto meglio rispetto alla sera prima, ma anche al risveglio stesso.
"Perché ho una cosa da proporti per rompere questa continua routine di casa-lavoro." canticchiò, prendendo anche per sé due dolcetti e altrettanti coltelli da burro, così da poterli farcire con più facilità.

"Sentiamo." disse, facendosi passare un coltello e spezzando a metà lo scone, per poi aprire il barattolo di marmellata ai mirtilli e prenderne abbastanza da farla strabordare dal paninetto dolce.
"Due volte al mese faccio volontariato in una mensa per i bisognosi casuale, portando anche alcuni prodotti dell'azienda dei miei genitori." spiegò, alzando le spalle mentre imburrava l'interno di un scone e ci metteva un pizzico di marmellata violacea, per poi dare un morso al dolce e rimanerne piacevolmente colpito.
L'impasto era uscito soffice e delicato.
"Potremmo andarci insieme oggi, se ti va."

Louis finì di masticare e "A Brixton c'è un centro di volontariato che ha sempre bisogno di un paio di mani in più. Di solito ci vado solo a Natale con mia madre, però mi farebbe piacere tornarci prima. E con te." aggiunse le ultime tre parole con un sorrisino sulle labbra macchiate dai frutti di bosco.
"Conosci qualcuno in questa mensa?" chiese poi il più piccolo, versando ad entrambi della spremuta d'arancia e mimando un brindisi prima di bere mentre aspettava una risposta.
"Sì, sono amici di famiglia." mormorò sbrigativo, bevendo prima che Harry potesse fargli qualunque altra domanda a riguardo.

"Oh... bene." si schiarì la voce, incrociando le braccia sul tavolo. "Andiamo per pranzo?"
"Direi di sì."
"Allora vado a ritirare le casse di latte e formaggio nel frattempo che tu ti prepari, mh?" domandò, guardandolo con la testa leggermente piegata mentre Louis masticava piano il paninetto ripieno come se stesse mangiando una cena pluristellata.
"Va bene." annuì, senza titubare nemmeno un secondo e sorridendo quando vide il minore alzarsi alla ricerca delle chiavi della macchina - quella di Louis, il che rendeva il tutto ancora più spaventosamente matrimoniale -, per poi sporsi verso di lui alla ricerca di un bacio per salutarsi che sapeva tanto di frutta e zucchero.

"Ci metterò pochissimo, ma per qualunque cosa chiamami." ordinò ad un soffio dalle sue labbra, tenendogli le guance con una mano e ridacchiando quando gli morse piano una guancia.
"Vaffanculo, non ho cinque anni." gli urlò divertito, mentre usciva dalla cucina con le chiavi in mano.
"Disse quello che quasi piange ogni volta che guarda la pubblicità di quel cartone animato che deve uscire al cinema." borbottò Harry, passando nel corridoio saltellando con una scarpa sola ai piedi e l'altra in mano, pronta ad essere indossata.
"Come osi? C'è un cane che parla, Lord Mayfair. Un fottuto cane che parla." ripeté, gesticolando con l'ultimo pezzo di scone in mano e senza guardare il ragazzo alle sue spalle.
"Nasconditi pure dietro l'evidenza." rise, per poi riavvicinarsi per un bacio sulla guancia e salutarlo, già fuori dalla porta nel giro di pochi secondi.

Louis rimase da solo con i suoi dolci preferiti, ma non riusciva davvero a capire se quella sensazione allo stomaco fosse dovuta all'overdose di uvetta o di baci al limite della dipendenza.

Harry, così come promesso, ci aveva messo davvero poco tempo per andare e tornare dall'azienda più vicina dei suoi genitori. Avevano più sedi sparse in Inghilterra e Galles, e in ognuna di essere conoscevano Harry abbastanza da permettergli di prendere qualsiasi cosa volesse senza chiedere il permesso a sua madre o suo padre, il che era un vero e proprio miracolo.
Dopo la famosa cena rovinata più dalla sua famiglia che dalla crisi di Louis, a malapena si erano fatti sentire. Insomma, Harry aveva chiamato qualche volta i suoi fratelli per chiacchierare con i nipotini o per chiedere a Rachel come stesse andando la gravidanza, se le servisse qualcosa e così via.
Niente di che, il minimo indispensabile, e la cosa più triste è che nemmeno gli mancava parlare con nessuno di loro.

Stava vivendo una giornata strana.
Era andato all'azienda e non gli aveva fatto né caldo né freddo - quando, invece, le altre volte si sentiva quasi un estraneo o, al contrario, un principe che tutti volevano servire -, stava guidando una macchina che non era assolutamente sua - ma che sentiva tale più del suo effettivo fuoristrada - e non riusciva a non sentire altro che un intero sciame di farfalle intente a sbattere contro ogni parete del suo stomaco quando vide Louis uscire dal portone del condominio con una t-shirt colorata addosso e dei jeans così stretti da far sentire soffocate le sue cosce, probabilmente.

Non che l'ultima cosa fosse una novità dell'ultimo minuto: si sentiva così sin da quando mise piede all'interno della Brixton State School, con la neve nei capelli e gli occhi tutt'a un tratto riscaldati da quelli azzurri come il cielo di Louis.

Tuttavia, per quanto Harry stesse cercando di non pensarci, era quasi impossibile non valutare anche la probabilità che si stesse illudendo, che tutto sarebbe finito in un batter d'occhio così rapido da fargli girare anche la testa.
A febbraio erano stati chiari a riguardo, non avrebbero dovuto intraprendere alcun tipo di legame fino alla fine dell'anno scolastico.
Ma poi iniziarono a passare notti, interi fine settimana l'uno a casa dell'altro, a cui poi si aggiunsero baci sulla fronte, sulle mani, sulle labbra e con la lingua, abbracci nel sonno, preliminari di vario tipo in ogni zona degli appartamenti e... ecco arrivata la relazione.

La scoppiettante, dolce relazione che prevedeva pasti caldi e pomeriggi passati a guardare la televisione - o a spegnerla non appena uno dei due scendeva sotto la coperta con la bocca a sfiorare ogni posto proibito - e passeggiate mano nella mano in giardini più o meno trafficati.
E ora si stava aggiungendo anche il volontariato alle loro attività da coppia apparentemente neosposata e, per quanto ad Harry scoppiasse il cuore di gioia, aveva una maledetta paura che Louis cambiasse idea e lo lasciasse.

Perché non ne avevano mai parlato, fondamentalmente. Si erano ritrovati in una vera e propria relazione nel giro di poche settimane, passando dal fingere - nemmeno poi così bene - di essere semplici amici al pulirsi i residui di cibo dagli angoli della bocca a vicenda con i pollici o le labbra stesse.

"E non mi stai ascoltando." sbuffò Louis, poggiando i piedi sul cruscotto davanti al lato del passeggero e incrociando le braccia, con il broncio sul viso.
"È pericoloso mettersi così, abbassa le gambe." lo sgridò il riccio, tornando sulla Terra dopo aver tenuto la testa tra le nuvole per chissà quanto. Dall'espressione scocciata del maggiore doveva essere stato via per abbastanza tempo. "Scusa, piccolo, che stavi dicendo?"
"È la quarta cazzo di volta che passiamo davanti alla mensa, stai girando in tondo." ripeté, scandendo ogni parola con un tono leggermente infastidito ma eseguendo l'ordine di rimettersi composto senza fare storie.
"Davvero? Ero un po' distratto." disse, guardando dritto davanti a sé alla ricerca di un parcheggio mentre una leggera brezza entrava dai finestrini poco aperti.

"C'è un posto davanti a quel container blu." indicò Louis, iniziando a slacciarsi la cintura, pronto a scendere dall'auto e prendere qualche cassa di formaggi dal cofano. Era stato davvero difficile evitare di prendere in giro il più piccolo per tutto il viaggio.
(O perlomeno lo sarebbe stato se solo non avesse passato tutto il tempo alla guida con la testa altrove.)
"Grazie." mormorò Harry, concentrato mentre girava il volante per entrare perfettamente nel parcheggio, per poi tirare il freno a mano, spegnere il motore e staccarsi la cintura un attimo prima di stampare un bacio sulla guancia al ragazzo al suo fianco, che scosse la testa ridacchiando.

Harry tenne il cofano sgangherato dell'auto rossa di Louis sollevato mentre il più grande scaricava le tre casse di formaggi più o meno stagionati e due confezioni da sei bottiglie di latte intero e scremato.
Riuscì a finire prima che il più piccolo si distrasse per colpa del passaggio di un gattino sul cancello del centro per i bisognosi, mollando la presa sul cofano e facendolo chiudere con un botto che fece alzare le sopracciglia a Louis.
"Almeno non dobbiamo sprecare dieci minuti per chiuderlo come al solito, no?" provò, grattandosi la fronte e abbozzando un sorriso imbarazzato sotto lo sguardo divertito dell'altro.
"Meno chiacchiere e più casse caricate con le tue belle braccia." gli diede una leggera spinta sulla spalla, piegandosi poi per prenderne una di latte e una di formaggi, lasciando il resto al riccio.

"Belle braccia?" chiese Harry, trattenendosi dal ridere mentre si aiutava con un ginocchio ad impilare le cassette.
"Scolpite da Michelangelo." aggiunse con uno sbuffo dovuto alla fatica mentre camminava verso la porta della mensa.
"Magari lo sono davvero. Sono un vampiro nato nel sedicesimo secolo." bisbigliò come se fosse un segreto, raggiungendolo senza troppi problemi e suonando anche il campanello del centro con una nocca.
"Sei assetato di sangue vergine? Perché qua non ne troverai nemmeno una goccia." ridacchiò, percependo il respiro di Harry sulla sua nuca, il naso e le labbra a sfregargli il collo come due adolescenti a cui non importava che qualcuno potesse aprire la porta davanti a loro da un momento all'altro.

E infatti, proprio mentre il più piccolo stava per rispondergli con un lembo di pelle del collo tra i denti, la porta si spalancò, rivelando una donna parecchio più bassa di Louis e con il viso paffuto dietro dei piccoli occhiali argentati.
"Il tempo passa ma tu non cambi mai, vero, Boobear?" chiese l'anziana divertita, scuotendo la testa e incrociando le braccia alla vista dei due ragazzi con le guance arrossate.

"Ti abbraccerei ma queste casse pesano davvero tanto, Annie." espirò il ragazzo, sentendo quanto il più piccolo fosse in imbarazzo, dietro di lui. Non che fosse una persona particolarmente timida, magari introversa, ma non aveva mai avuto problemi a socializzare o presentarsi alla gente, eppure Louis aveva fatto in modo di metterlo in situazioni scomode con qualsiasi figura materna che il più grande avesse, nelle ultime settimane.
"Oh, lui è Harry, il mio ragazzo." lo presentò con un sorriso, per poi entrare nella mensa scansando la donna e facendosi strada nel lungo corridoio per arrivare in cucina - che, stranamente, era ancora vuota - e posare le tanto faticate casse di prodotti caseari.

Harry, d'altro canto, rimase immobile sull'uscio della porta, con gli occhi spalancati e le braccia rigide per la sorpresa dell'etichetta incollata sulla sua fronte in modo così improvviso.
"Che piacere conoscerti, tesoro. Io sono Annabeth, ma puoi chiamarmi Annie. Ora entra, dai." ridacchiò, posandogli una mano alla base della schiena per spingerlo a seguire il più grande in cucina, nonostante stesse balbettando qualcosa di incomprensibile.

"Immagino che Timmy ti abbia avvisato del nostro arrivo, l'ho chiamato prima che ci mettessimo in macchina." disse Louis all'anziana mentre tutti e tre, intorno all'isola della cucina, stavano svuotando le cassette e posando tutto il contenuto - che passava dalle mozzarelle ai formaggi da grattugiare o da spalmare - nei vari frigoriferi o dispense.
"Non si sa tenere nulla per sé quello screanzato, soprattutto quando si parla del nostro piccolo Boo." sorrise a bocca chiusa Annabeth, facendo sorridere anche Harry più di quanto avrebbe voluto mostrare.

Boo.
Sembrava che fossero davvero legati, quasi come se la donna e - quello che Harry pensò essere suo marito - Timmy lo avessero visto crescere sin da quando era un bambino.
Sentiva le gambe tremare più di quanto facessero all'incontro con Claire.
(Anche se con lei aveva passato dieci minuti al massimo e con i due anziani avrebbe passato l'intero pranzo e pomeriggio, perciò ne aveva tutto il diritto, grazie tante.)

"Dov'è?" domandò poi il ragazzo con gli occhi azzurri, più sereni che mai negli ultimi giorni.
"Penso stia raccogliendo qualcosa nell'orto per il pranzo, anche se ho già tutto per la zuppa." borbottò, mettendosi in un punta di piedi per cercare di guardare attraverso la finestra che dava sul cortile posteriore, per poi voltarsi verso Harry e "Il sabato arrivano sempre più persone, perciò prepariamo pasti caldi e brodosi per far sì che ognuno ne abbia una porzione." spiegò, accarezzandogli un braccio in modo affettuoso.

"È magnifico ciò che fate, Annie, sono molto felice di essere qui." mormorò il riccio, sorridendo mentre sbrigliava con le mani anellate un paio di caciotte unite tra loro e lanciando un'occhiata significativa al più grande, che non solo la colse ma, mentre lo sorpassava per andare incontro al vecchio Timmy, gli stampò anche un bacio al centro della schiena.
"E io sono molto felice che tu sia qui, caro. Grazie per aver portato così tanti prodotti, poi! Sei un vero angelo." le parole della donna, si vedeva, le uscirono direttamente dal cuore e il ragazzo, ormai rimasto solo con lei in cucina, era davvero tentato di sciogliersi come uno dei panetti di burro che aveva tra le mani e far cuocere la prima cosa che capitava su di sé.

"Da quanto conosci Louis, tesoro?" chiese poi Annabeth, passando un panno umido sul bancone quando Harry tolse le cassette vuote.
"Effettivamente? Meno di tre mesi. Per me? Una vita intera." sbuffò divertito, ringraziando sotto voce l'anziana quando lei gli passò dei guanti e un grembiule bianco, invitandolo anche a legarsi i capelli.
"È una cosa molto importante quella che hai detto." notò la donna, iniziando a prendere due taglieri dal ripiano sopra al lavandino e altrettanti coltelli, per poi afferrare alcune verdure come sedano, carote e patate da un cassettone alle spalle di Harry.

Sospirò, guardando dalla finestra come il più grande fosse letteralmente piegato in due dalle risate mentre un anziano con i baffi gli dava alcune pacche sulla spalla, e sorrise. "Lo so." disse a bassa voce, spostando nuovamente lo sguardo sulla donna quando gli porse un gambo di sedano da tagliare con un sorrisino consapevole sul viso morbido.
"Però c'è qualcosa che ti turba." dedusse dopo un qualche minuto in cui gli unici suoni presenti nella cucina vuota erano dovuti ai coltelli che, tagliando le verdure, sbattevano contro i taglieri in legno.

"Non avremmo dovuto iniziare a frequentarci prima che la scuola finisse, era una specie di nostro patto non scritto." arricciò il naso, spostando i dadini di sedano in una ciotola che Annabeth aveva messo a disposizione davanti a lui.
"Verba volant, scripta manent." e ridacchiò quando vide lo sguardo di Harry piacevolmente sbalordito. "Sai cosa vuol dire questa frase?"
Il riccio dovette deglutire a vuoto prima di annuire e "Sì, arriva da un'orazione di Caio Tito. Significa che le parole volano, ma ciò che è scritto resta." rispose, arrossendo quando la donna gli fece i complimenti con un sorriso così materno sul viso da fargli venire i brividi di gioia.

"Voglio dire che non siete vincolati da nessun contratto, tesoro bello. Non devi preoccuparti." chiarì, facendo alzare le spalle ad Harry, che tirò su col naso mentre prendeva due carote sbucciate e le tagliava contemporaneamente a fettine. "Sempre che non ci sia anche altro..." lo incalzò con gentilezza, sperando di non oltrepassare il limite.
"Non siamo più ragazzini." constatò, come se stesse svelando chissà qualche segreto di Stato.

Annabeth dovette lasciare il coltello e le patate che stava sbucciando per tenersi la pancia dalle risate. "Non siete ragazzini, no, ma non siete nemmeno vecchi. Sei proprio il suo esatto opposto."
"In che senso?" chiese, fermandosi dal tagliare la verdura per ascoltare meglio, mordicchiandosi l'interno della guancia.
"Lui crede che sarà eternamente giovane e tu parli come se avessi già un piede nella fossa." si permise di prenderlo in giro l'anziana, asciugandosi le mani sul grembiule per poi accarezzarlo dolcemente sulla spalla più vicina a lei, nonostante dovesse quasi mettersi sulle punte dei piedi per farlo.

"Timmy ed io ci siamo conosciuti quando avevamo cinquant'anni a testa e ci siamo innamorati proprio in questa cucina." raccontò, ridendo tra sé e sé mentre si guardava intorno come se fosse nel più bello dei palazzi reali e non nel retro di una mensa che assisteva alla fame e alla povertà londinese chissà da quanto tempo, ormai. "Io mi ero appena trasferita da Brighton e stavo cercando un lavoro. Avrei fatto qualsiasi cosa, davvero, volevo solo ricominciare da capo dopo un lutto che mi fece scappare dalla mia città."
"E trovasti questa mensa?" domandò Harry, sinceramente curioso mentre mischiava la verdura tagliata con una mano inguantata all'interno della ciotola.

"Beh, sì, ma non subito. Misi degli annunci in giro per Brixton e Wandsworth dal momento che il mio monolocale era a metà tra questi due quartieri, e una giovane donna disperata mi contattò meno di un giorno dopo." sorrise al ricordo, offrendo a Harry un enorme pentolone - quasi più grande di lei, se si vuole essere precisi - vuoto in cui versare tutto il contenuto delle ciotole piene fino all'orlo di verdura.
"Stava ostinatamente cercando una babysitter che guardasse il suo bambino di sei anni quando andava a lavoro. Era una piccola peste, ma aveva il cuore buono, me ne accorsi sin dal primo incontro." continuò, facendogli l'occhiolino. "Hai capito di chi sto parlando, vero?"

E sì, Harry lo aveva capito. Aveva collegato ogni puntino, ogni sorriso affettuoso, carezza delicata e attenzione da parte di uno dei due anziani nei confronti del più grande.
Lo trattavano come un figlio, un nipote, un piccolo miracolo terreno.

"Louis. E Claire." aggiunse poi, sorridendo alla vista di Annie che ridacchiava serena. Non aveva mai visto una persona più spensierata di lei, nonostante fosse palese la consapevolezza presente nei suoi occhi, dovendo lavorare con dei meno fortunati che avrebbero tanto voluto scambiare le loro preoccupazioni con un piatto caldo.
"Proprio loro. Quella santa donna di Claire Tomlinson, poi, mi portò qua con lei e il piccolo Boo una domenica e incontrai Timmy." sospirò sognante, per poi alzare lo sguardo dal pentolone che nel frattempo aveva riempito con chissà quanti litri d'acqua. "Ci bastò uno sguardo."

Harry si tolse i guanti in lattice per aiutare Annabeth a spostare la pesantissima pentola sul fornello, notando che Louis e l'anziano signore al suo fianco stavano camminando verso la porta della cucina che dava sul giardino, con un cesto tra le mani nel caso del ragazzo. "Non mi è nuova questa storia." bisbigliò, credendo che la donna non l'avesse sentito, ma ricevendo un enorme sorriso in risposta.

La porta si aprì e il campanello sopra di essa tintinnò finché l'uomo con i baffi non la chiuse, imprecando sottovoce sotto lo sguardo intimidatorio di Annabeth.
"Sei così bello quando indossi il grembiule." sbuffò Louis verso Harry, poggiando il cesto pieno zeppo di frutta e verdura per andare a strappargli un bacio a stampo veloce, non curandosi della presenza dei due anziani.
"Quante volte ti ho detto che gli unici baci ammessi in cucina sono quelli sulla guancia?" finse Timmy, con un sopracciglio alzato.
"Non me l'hai mai detto perché qui non ho mai portato nessuno al di fuori di questo ragazzone." ribatté divertito mentre dava delle pacche a mano aperta sulla pancia di Harry, che allungò una mano verso l'uomo per stringergliela e presentarsi per bene.
(Sperò di non avercela sudata per la paura di non fare una buona impressione a quella che forse era l'unica figura paterna che Louis avesse mai avuto, ma sono dettagli insignificanti.)

"Lasciali stare, Timothy. Tu mi baci sempre in questa cucina, e noi siamo anche due vecchi decrepiti." lo sgridò, senza rinunciare ad un evidente occhiolino verso il riccio, che le fece un cenno grato mentre teneva un braccio intorno alla vita di Louis.
"Non siete vecchi, Annie, siete vintage." scherzò il ragazzo, facendo ridere un po' tutti in cucina e approfittando del momento di caos per cercare un grembiule anche per sé e mettersi a lavoro.

"Quindi, Harold..." iniziò, mettendosi i guanti con uno scatto. "Hai intenzione di farmi vedere come si preparano delle torte di mele o devo aspettare ancora per molto?" chiese retoricamente, lanciandogli una mela gialla che il riccio prese al volo grazie ai riflessi impeccabili.
"Inizia a prendere della farina, Tommo." lo sfidò, con un labbro tra i denti e nemmeno un singolo accorgimento riguardo il fatto che entrambi i padroni di casa - se così li si voleva chiamare - stavano guardando lui e il più grande giocare e cucinare l'uno accanto all'altro con un po' di felice malinconia negli occhi.

Magari non si erano incontrati in una cucina, né erano lontanamente vicini alla mezz'età, ma anche a loro non bastò più di uno sguardo.
Forse, giusto un colore.

La mensa si riempì nel giro di un'ora, tra volontari che portavano alcune pietanze direttamente da casa loro e altri che, invece, andavano lì esclusivamente per servire i pasti o per aiutare a pulire il centro d'accoglienza in seguito al passaggio di quel centinaio di persone che ogni giorno - ma soprattutto nel fine settimana - andava a richiedere un piatto caldo.

Harry e Louis chiesero specificamente di essere messi al banco dei dolci per un motivo preciso che, nonostante fosse piuttosto palese, non avevano alcuna intenzione di ammettere ad alta voce con quelli che erano gli altri volontari o i dipendenti stessi.
"Buongiorno, posso servirle una fetta di torta alle mele?" domandò con tutta la cortesia possibile il riccio, già con un piattino vuoto in una mano e una paletta nell'altra quando una donna con i capelli corti gli rivolse un sorriso e lo salutò.
"Può scegliere se prenderla da quella teglia orribile o da questa, che ha la pasta frolla perfettamente dorata e le mele incastonate come se fossero gemme in un costosissimo anello." esagerò il maggiore, indicando prima la torta davanti a Harry - che sollevò così tanto gli occhi al cielo da poter fare birdwatching attraverso il soffitto della mensa, grazie tante - e poi quella di fronte a sé.

"Mi sembrano... identiche." commentò la donna, ridacchiando e facendo muovere le spalle coperte da un gilet marrone da su in giù, rischiando anche di rovesciare il bicchiere d'acqua che aveva sul vassoio.
"Mi sento come se qualcuno avesse appena paragonato uno scarabocchio alla Mona Lisa." enfatizzò Louis, con tanto di mano inguantata sul petto e sguardo rivolto in un punto indefinito, per poi ridere e prendere piatto e paletta dalle mani di Harry, tagliando poi un pezzo della torta del riccio e offrendolo alla donna. "Si goda il pranzo, signora. Le auguriamo una buona giornata." aggiunse poi, sorridendo dolcemente.
"Che Dio vi benedica, ragazzi." mormorò emozionata, scaturendo un cenno da parte di Louis che stava aspettando che si allontanasse prima di poggiare le mani sul banchetto e girare la testa verso il più piccolo, con il mento sulla spalla.

"Che c'è, amore?" chiese divertito, vedendo come Harry lo stesse guardando con gli occhi lucidi e le labbra piegate in uno dei più grandi sorrisi a bocca chiusa che gli avesse mai rivolto, con tanto di fossette profonde ai lati e le guance leggermente arrossate dal caldo dovuto alla quantità immensa di persone che mangiavano sedute ai tavoli.
"Tu. Ci sei tu." rispose genuinamente senza fiato mentre i suoi occhi non si spostavano da quelli cerulei del più grande, circondati da piccole rughe di serenità come se fossero i raggi del sole che erano le sue iridi, luminose, brillanti e capaci di riscaldarlo anche nelle giornate più fredde.

E, all'improvviso, sembrava che non importasse a nessuno di cosa fosse successo la sera prima, di quanta sofferenza avessero visto le pareti di casa di Louis, di quanto dolore e di quanta paura avesse respirato chiunque fosse passato da Brixton.
Men che meno a Harry, perché ora Louis c'era.
C'era davvero.

"Resti anche stanotte?" quella di Louis era più una richiesta che una domanda curiosa e, sebbene gli facesse un po' paura la possibilità di abituarsi troppo alla presenza di Harry in casa sua ventiquattr'ore su ventiquattro, non c'era niente che volesse di più dopo quasi un'intera giornata passata a cucinare, servire fette di torta e biscotti - che erano riusciti a sfornare grazie ai rimasugli di pasta frolla della crostata di mele - e infine a lavare piatti o, nel caso del riccio, pulire il pavimento della mensa principale.
Erano stanchi morti, e anche un po' tristi per aver dovuto salutare relativamente così in fretta sia Annabeth che Timmy, i quali fecero promettere ad entrambi di tornare più spesso e non solo a Natale, come il solito del più grande.

"Credo di aver finito la roba pulita." sospirò, sentendo la voglia prorompente di uscire dal parcheggio di fronte all'appartamento di Louis, mettersi nuovamente in strada e correre a prendere un pigiama fresco di bucato della biancheria e un cambio per il giorno dopo.
"Mi hai già allargato metà guardaroba, penso che non sia un grosso problema la mancanza di un paio di mutande." scherzò, aprendo lo sportello e spalancandolo con una scarpata ben assestata, cosa che fece ridere non poco il minore.

Era bello notare la differenza tra quel momento e la sera prima, vedere come Louis canticchiasse sottovoce mentre cercava le chiavi di casa nelle tasche dei pantaloni e come non tremasse nemmeno una volta, come non si girasse a guardare se Harry fosse ancora lì o meno, con la paura che fosse potuto scappare lasciandolo solo.
Era bello, bellissimo.

E il suo sorriso aveva la capacità di illuminare l'intero corridoio buio per via del tramonto che stava iniziando a farsi strada per inghiottire il sole, affamato. E forse Harry era così abbagliato da nemmeno accorgersi, ancora una volta, che il più grande gli stesse parlando.
"Oggi stai dormendo in piedi." sbuffò Louis, pizzicandogli un fianco mentre con una spalla spingeva la porta aperta con la chiave, per poi lanciare il mazzo su un piccolo mobiletto vicino all'ingresso e sfilandosi le scarpe con fretta. Harry lo imitò in silenzio, ma quando vide che il liscio fece per andare a mettersi sulla poltrona lo afferrò per la vita e lo fece girare verso di sé, baciandolo a sorpresa petto contro petto.

"E questo per cos'era?" chiese con la domanda più da cliché che possa esistere, sorridendo con ancora le labbra umide per via dell'accenno di lingua di Harry.
"Per dimostrarti quanto tu mi renda orgoglioso e felice." rispose, strofinando i loro nasi per un secondo e unendo nuovamente le loro labbra, sentendo dopo poco le mani di Louis esplorargli la schiena, salendo poi sul collo e fermandosi sulle sue guance morbide e profumate di dolci appena sfornati, come se la pelle d'avorio avesse assorbito l'odore di ciò che aveva cucinato per tutto il giorno.

"Io vorrei dimostrartelo in un altro modo." gli sussurrò direttamente all'orecchio dopo che il bacio venne approfondito, mettendosi in punta di piedi, graffiandolo piano sulla nuca ancora scoperta dai capelli legati e promettendosi silenziosamente che non lo sarebbero stati ancora a lungo.
"Sono molto curioso di sapere quale sia, allora." mormorò Harry contro il suo collo, tirandogli un lembo di pelle sotto la mandibola e piegandosi poi leggermente per afferrarlo sotto le cosce, sollevandolo all'improvviso e aprendo la porta della camera con un gomito e la lingua di lato tra i denti per la fatica.

Erano entrati nella stanza di Louis con quelle specifiche intenzioni meno volte di quanto avrebbero voluto, ma era comunque sempre una sorta di dejavù e completa novità allo stesso tempo.
Lasciò il più grande al bordo del letto senza troppi preamboli e si sbottonò la camicetta a maniche corte con così tanta velocità che Louis, che guardava dal basso il suo sorriso malizioso, ebbe paura che i bottoni potessero finire nella stratosfera oltre che da qualche parte sperduta della sua camera.

"Guardati, cazzo." ringhiò disperato, infilando un dito in un passante dei jeans e tenendo una mano a palmo aperto sul gluteo sinistro per tirarlo verso di sé.
Aveva proprio davanti ai suoi occhi la sua pancia piatta e tonica che iniziò ad alzarsi e abbassarsi velocemente quando si mise in ginocchio sul letto, così da arrivare all'altezza dell'enorme farfalla tatuata al centro del busto e tracciarne i contorni con la lingua e piccoli schiocchi di baci. "Creerei una religione sul tuo corpo. Sarebbe l'unica per cui varrebbe la pena di mettersi in ginocchio." mormorò sulla pelle e con gli occhi chiusi, non avendo il coraggio di alzare lo sguardo sul viso di Harry che, lo sapeva bene, era sicuramente già contratto dall'affanno e dall'aspettativa.
Riusciva ad immaginarselo, con le sue belle labbra piene abbastanza aperte da fargli arrivare per bene l'aria ai polmoni, gli occhi socchiusi e le gote rosse.

Era uno di quei panorami che sembravano sempre uguali e sempre diversi contemporaneamente, come una scogliera che non cambia mai agli occhi delle persone che non notano i dettagli, qualche nuovo fiore o pianta o albero proprio al lato della strada.

"Cosa vuoi che faccia?" domandò, mordicchiandogli un punto tra i pantaloni che era intento a sbottonare e una delle foglie d'alloro tatuate sul basso ventre, sentendo un lieve ansimo scappare dalla gola del riccio, che chiuse gli occhi con forza quando finalmente l'altro gli abbassò i jeans.
"Fai di me ciò che vuoi." si ritrovò a mormorare Harry, accarezzandogli i capelli mentre Louis ridacchiava con il naso contro i suoi boxer, divertito dal potere che aveva su di lui.
"È una bella responsabilità." commentò, un attimo prima di abbassargli anche la biancheria e farlo sospirare rumorosamente quando liberò la sua semi-erezione, pompandola con una mano che aveva lubrificato con un po' di saliva.

"Oh Gesù." grugnì Harry, abbassando la testa con così tanta forza che l'elastico già traballante che manteneva la sua coda quasi disfatta volò via, lasciando che la chioma leonina gli coprisse il viso.
E Louis, che amava i suoi capelli sciolti più di quanto amasse se stesso, prese questo segno divino come una richiesta di dargli di più, e così fece.
Gli bastò solo uno sguardo verso l'alto, agli occhi liquidi di Harry nascosti nella penombra dei suoi boccoli e alla sua bocca umida dalla saliva, e, tenendo la sua erezione ferma con una mano, avvicinò la bocca alla punta, inglobando centimetro dopo centimetro finché il riccio non dovette tenersi alla sua spalla per non farsi cedere le gambe. "Lou, cazzo, Lou. Mi stai uccidendo." gemette, sentendo come il suo liquido preseminale stesse iniziando a macchiare la parte finale posteriore della lingua del maggiore, a cui mancava davvero poco per prenderlo completamente.
Roteò la testa da destra a sinistra e poi da davanti a dietro, facendo ringhiare Harry che si stava trattenendo con tutta la forza che aveva in corpo dallo spingere in avanti, facendo soffocare il ragazzo che ora stava entusiasticamente incavando le guance intorno al punto che ospitava la sua vena più sensibile.

"Lou-" iniziò a chiamarlo con voce tremante e tirandogli delicatamente i capelli, ma il più grande gli strinse immediatamente due dita intorno alla base e lo fece sfilare dalla sua bocca bagnata, causando un piagnucolio gutturale al povero ragazzo davanti a lui. Lasciò un bacio sulla punta rossa del membro di Harry e "Voglio provare una cosa nuova." annunciò malizioso, dandogli una pacca sul sedere nudo e chiedendogli di stendersi di schiena sul letto, nonostante il minore sembrasse quasi un'automa, troppo fuori di sé per l'orgasmo negato all'ultimo secondo.

"Spogliati, per favore." lo pregò Harry dal letto, sollevandosi con le poche forze rimaste sui gomiti e cercando di darsi un po' di sollievo con due stoccate mentre Louis si toglieva la t-shirt e i pantaloni quasi strappandoseli via, buttandosi immediatamente tra le ginocchia aperte di Harry e dando un colpo di bacino coperto dai boxer contro quello nudo del riccio, che gemette rumorosamente.
"Ogni tuo desiderio è un ordine." recitò, tenendosi sollevato sul corpo del più piccolo con le braccia toniche tese ai lati del suo petto e flettendole abbastanza da finire con il naso direttamente nella linea che divideva i suoi pettorali, scendendo man mano e tracciando il percorso con la punta della lingua sulla pelle bollente.

Harry teneva le braccia piegate dietro la testa, respirando affannosamente ad ogni morso o risucchio che Louis lasciava sul suo busto accaldato, sperando solo che finisse presto di giocare con lui nonostante glielo avesse praticamente chiesto poco prima.
Spesso diceva cose di cui si pentiva, ma non sapeva se inserire il permesso di farsi provocare fino allo sfinimento dal suo ragazzo - ancora gli sembrava strano definirlo tale - tra quelle o meno.

"Splendido." sussurrò Louis, passando un pollice sul succhiotto appena lasciato sull'osso sporgente del bacino e facendo sussultare il riccio, che non riuscì più a trattenersi e abbassò una mano per incastrarla tra i suoi capelli morbidi e scompigliati. Guardare il più grande in quella posizione, così vicino al suo corpo e con ancora le labbra rosse come il fuoco che si sentiva bruciare all'interno dello stomaco... era semplicemente troppo per una sola vita. "Il mio meraviglioso schätz."

"Vuoi farmi venire ancora prima di iniziare? È questo ciò che vuoi?" chiese disperato, sorridendo ad occhi chiusi quando Louis rise mentre gli lasciava un morso sulla coscia, per poi dargli una leggera pacca sul fianco e "Potresti girarti, piccolo?" domandò gentilmente, vedendo subito Harry muoversi per mettersi a quattro zampe sul materasso morbido, espirando tremante per evitare di pensare a cosa lo stesse aspettando.
(E ammirava davvero tanto il più grande per avere ancora la capacità di parlare e muoversi nonostante non fosse stato ancora nemmeno sfiorato.)

Louis si passò le mani sul viso per enfatizzare ancora di più quanto si stesse sentendo su di giri e tremendamente fortunato per avere tutto quel ben di Dio per sé: Harry aveva la schiena ampia completamente esposta e curvata, con la spina dorsale evidente che sembrava chiamare la bocca del più grande per essere marchiata finché il suo proprietario non riusciva a stendersi per colpa dei lividi d'amore che tanto lo facevano impazzire.

Louis aveva sempre visto i succhiotti come qualcosa da ragazzini in preda agli ormoni che si limitavano a succhiare la pelle perché non ancora pronti a spostare il movimento in altre parti del corpo, ma Harry glieli aveva fatti rivalutare in quelle settimane.
Parecchio.
Non riusciva a smettere di colorare la sua pelle nivea ogni volta che si concedevano un momento di intimità - cosa che successe spesso da dopo la sera sul divano di casa di Harry, e non se ne vergognavano manco un po' - o a smettere di farsi fare lo stesso da parte della bocca peccaminosa del ragazzo.

Harry aveva proprio ragione quando diceva che quella relazione lo faceva tornare un ragazzino.

Prese entrambi i glutei di Harry tra le sue mani, li massaggiò e palpò per così tanto tempo che quando si spostò alla ricerca dell'occorrente erano arrossati dal calore delle sue mani, e il riccio era ridotto ad uno straccio con il viso lasciato a soffocare contro un cuscino per far finta di non essere così bramoso dell'orgasmo che avrebbe dovuto avere, ormai, chissà quanto tempo prima.
Non che gli dispiacesse totalmente il fatto che Louis lo stesse tenendo sull'orlo del baratro, anzi.
Era... interessante.

Fu quando sentì il flacone di lubrificante aprirsi con uno scatto che cambiò idea.
"Per favore." grugnì, alzando la testa dal cuscino quando percepì il calore del corpo di Louis vicino al retro delle sue cosce, e poi tutto intorno al suo sedere che stava pian piano tornando alla tonalità di bianco latte solita.
"Come sei educato, Lord Mayfair." commentò, ma fu inevitabile per Harry notare come anche la sua voce si stesse incrinando man mano che il suo dito medio si faceva strada nell'apertura lubrificata del riccio, facendolo tremare come una foglia.
"Sei così stretto che mi viene da piangere." biascicò il più grande, baciando tutta la schiena e i fianchi del ragazzo ansimante mentre muoveva il dito da dentro a fuori, arcuandolo di tanto in tanto contro le pareti vellutate di Harry, facendolo sussultare ma preparandolo a dovere per l'ingresso dell'indice, che arrivò non molto dopo.

"Oh cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo, devi scoparmi." ordinò, battendo un pugno forte sul letto quando Louis sfiorò la sua prostata con entrambe le dita mentre sforbiciava e respirando con così tanta forza da sentirsi i polmoni bruciare.
Il maggiore fermò subito il movimento e gli passò la mano libera sulle spalla più vicina. "Sei sicuro?" chiese, per poi sfilare le dita dalla sua apertura quando Harry non rispose subito, inghiottendo a vuoto.

"Aspetto questo momento letteralmente da mesi." trovò la forza di ridacchiare, e Louis gli prese i fianchi con entrambe le mani e lo fece girare con uno scatto, facendolo tornare a pancia in sù. Non gli lasciò nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo che si catapultò sulle sue labbra, baciandolo subito con tanto di lingua e mento tenuto con la mano pulita.
"Sei la mia morte e la mia rinascita, Harry Styles." espirò, lasciandogli altri due, tre, cinque baci sulle labbra gonfie e rossicce per poi scendere fino a giù, rimettendosi in ginocchio tra le sue gambe e alzandogli il bacino affinché le sue dita potessero farsi di nuovo strada nell'apertura lubrificata.

Harry strozzò un gemito gutturale con un pugno anellato tra i denti e "Merda, no." sussurrò, per poi sbuffare e far fermare Louis, che lo guardava con i capelli sul viso e un'espressione preoccupata.
"Ti ho fatto male?" chiese subito, lasciandogli un bacio sulla coscia sinistra.
"No, le tue dita hanno un talento naturale." disse, per poi ansimare quando Louis, in tutta risposta, sforbiciò piano mentre aspettava che il riccio continuasse a parlare. "C'è una cosa che devo rivelarti su di me." continuò, arcuando la schiena ad una stoccata un po' più forte al suo interno e coprendosi il viso con le mani anche per nascondere un gemito.

"Non hai i piedi palmati o una terza palla, quindi non penso sia riferito al fisico." notò Louis, ricevendo un calcio sul fianco da parte di un tallone di Harry.
"Stronzo, non è un problema estetico. È che..." prese un profondo respiro, ma sembrò essere affaticato. "Quando mi eccito tanto, tipo, davvero, davvero tanto, il mio naso si tappa. E... non ridere! Louis, ridi ancora e me vado." lo minacciò, guardando come stesse nascondendo la faccia nell'incavo tra il suo inguine e la coscia per evitare di essere visto mentre rideva a singhiozzi.

"Sei un ottantenne nel corpo di un ventiquattrenne." rise ancora, intrappolando le caviglie di Harry con la mano libera quando fece per alzarsi dal letto, come se fosse davvero capace anche di fare solo qualche metro con quell'erezione turgida e bisognosa di attenzioni che aveva tra le gambe. "Non ho detto che non mi piaccia. Io amo i nasi tappati, soprattutto dei vecchi."
"Ora vomito." biascicò il più piccolo, per poi scoppiare a ridere contagiato dall'altro.

"Comunque sì, sarei molto lieto di scoparti, Lord Mayfair." annunciò, tornando al discorso precedente e riniziando a muovere le dita con più sicurezza quando Harry aprì la bocca per ribattere, finendo, invece, per rilasciare solo un profondo gemito tremante. "Trovata di nuovo?"
"Cazzo, sì. Mille volte sì." sospirò, portandosi due dita sul ponte del naso e spalancando gli occhi liquidi quando Louis iniziò a solo sfiorare la prostata, senza mai toccarla a fondo. Non sapeva a che gioco stesse giocando ma era davvero troppo.

"Ti prego, piccolo, fai qualcosa. Mi sento esplodere, devo essere diventato blu là sotto." piagnucolò il minore, sbattendo i piedi lamentoso come se avesse spinto Louis a dargli di più.
"Fammi vedere." disse, continuando a solleticargli la ghiandola mentre pian piano aggiungeva anche un terzo dito all'apertura, sentendo gli ansimi spezzati del ragazzo e dando davvero un'occhiata ai suoi testicoli. "Come hai detto tu da John Lewis, il blu è proprio il mio colore."

"Non farmi ricordare quel momento nel camerino, volevo succhiartelo fino a quando non mi si sarebbe staccata la mandibola." grugnì, per poi urlare quando Louis gli diede una pacca particolarmente ben assestata sulla coscia e premette la prostata con tutte e tre le dita al suo interno.
"Con quella bocca mi baci, poi?" scherzò, approfittando del momento di sorpresa per tenere le dita inglobate da Harry ferme sul suo punto paradisiaco e per spostare l'altra perpendicolarmente sopra quel punto, vicino all'osso del bacino che tanto aveva martoriato con i denti e la lingua poco prima.

"Sei ancora con me, Haz?" chiese, notando quanto non stesse più parlando.
"Fammi venire." riuscì solo a ringhiare, cercando con una mano i suoi capelli e tirandoglieli piano, aumentando la presa quando Louis schiacciò la sua pancia dall'esterno verso il punto costantemente stimolato all'interno, facendo rimbombare tra le pareti di casa sua un ruggito quasi animalesco che uscì dalla profondità della gola di Harry. Fecero solo in tempo a scambiarsi un'occhiata sorpresa, quasi spaventata dall'improvviso piacere acuto che colpì il riccio e "Fallo- fallo ancora. Subito." comandò, e Louis si sentiva un umile suddito tenuto ad obbedire, quindi ripeté il movimento e un secondo dopo il più piccolo fu colpito da un orgasmo così potente da sporcarsi da solo il mento, oltre che tutto il busto e una parte della mano del ragazzo ancora poggiata sul suo basso ventre.

"Porca puttana, non pensavo che avrebbe funzionato." sussurrò Louis, completamente senza fiato mentre sfilava le dita dall'apertura abusata di Harry e si sfregava i boxer, cercando di darsi finalmente un po' di sollievo.
"Mi hai..."
"Stimolato la prostata da due lati? Sì, cazzo." terminò il più grande per l'altro, che semplicemente stava con braccia e gambe spalancate ad occupare tutto il letto e con un sorriso soddisfatto sul viso arrossato.

"Baciami." biascicò Harry, e Louis lo accontentò volentieri, camminando a gattoni sopra di lui finché non si fermò per pulirgli il viso dal suo seme con un pollice, per poi baciarlo con passione a tal punto da far gemere profondamente il riccio, che rimase con la bocca aperta mentre portava una mano al suo stesso sesso, pompandolo in fretta sotto lo sguardo sconvolto del più grande.
"Cristo, Harry." ansimò, abbassando la testa per guardare meglio come stesse nuovamente diventando duro solo per lui.
"È ora di togliersi quei boxer di dosso, Tomlinson." arricciò il naso, concentrato in ciò che stava facendo proprio con il suo ragazzo addosso, il che lo rendeva ancora più maledettamente eccitante.

E Louis lo prese un po' come un ordine dettato dal generale con il grado più alto di tutti, perché si mise con le ginocchia intorno ai suoi fianchi solo per potersi abbassare la biancheria, liberando con un gemito la sua erezione ormai violacea e spostando con un leggero schiaffo la mano di Harry che fece per massaggiargliela.
"No, non c'è tempo. Dove sono i preservativi?" chiese a se stesso, saltando sbadatamente verso destra per scendere dal letto con ancora i boxer alle ginocchia, che si sfilò mentre andava a prenderne uno dal cassettone vicino alla porta della sua camera.

Praticamente tornò a letto con gli occhi chiusi, perché non pensava che sarebbe sopravvissuto alla vista del suo fantastico, incredibile e super sexy ragazzo che si masturbava rumorosamente in attesa che tornasse da lui.
No, non sarebbe arrivato nemmeno a metà strada.

"Alza un po' il bacino, amore." chiese Louis, una volta sistematosi nuovamente tra le sue gambe e spostato la mano di Harry dal suo membro ormai tornato ad essere pesante sulla sua pancia appiccicaticcia. Aspettò che il riccio eseguisse e poi, baciandogli il dorso della mano che aveva nella sua e tenendogli una coscia sollevata con quella libera, entrò tra quelle pareti morbide e strette quasi da far male nonostante avesse passato Dio solo sa quanto tempo a prepararlo.
"Lou, ti puoi muovere, non ho bisogno di sistemarmi." disse il riccio, allungando un braccio per accarezzare la guancia arrossata del maggiore, che sembrava fosse davvero sofferente.

Scosse la testa e "Tu no, ma io sì. Sei maledettamente stretto e non mi sono ancora toccato, quindi dammi trenta secondi o finirà tutto prima che inizi." sbuffò, rimanendo con la faccia contro il collo di Harry che stava ridacchiando con l'affanno e "Quando vuoi, io resto qui." disse nel frattempo che gli grattava la schiena, aspettando che arrivasse il momento in cui si sarebbe mosso.

E non arrivò così tardi, perché Harry non ebbe nemmeno il tempo di prepararsi psicologicamente al sentirsi nuovamente stimolato dritto al punto in cui accadono le magie che Louis subito iniziò a roteare i fianchi verso quella direzione, con colpi veloci ma profondi e ben assestati, giusti per far gemere entrambi così forte da essere convinto non solo del fatto che si sarebbero svegliati senza voce il giorno dopo, ma che avrebbe anche ricevuto delle imbarazzanti lamentele dai suoi vicini di casa alla prossima riunione condominiale.
(E insomma, lui difendeva sempre il cane rabbioso che abbaiava di continuo del tipo al primo piano, perciò avrebbe richiesto un po' di compassione.)

"Dimmi che ci sei quasi." lo pregò Louis, sospirando ripetutamente mentre si reggeva con la mano alla testiera del letto mentre con l'altra teneva Harry - che gli aveva allacciato le braccia al collo e gli stava gemendo rocamente nell'orecchio, facendolo letteralmente impazzire - più vicino a sé. Il riccio non fece altro che annuire furiosamente, per poi portarsi una mano al membro e dargli una stoccata contata, riversandosi tra i loro petti.

E Louis avrebbe tanto voluto dire di essere venuto molto dopo, ma appena i muscoli delle pareti bollenti di Harry iniziarono a pulsare intorno alla sua erezione, venne con una sorta di ruggito che terminò con lui che crollava addosso al corpo tremante del più piccolo, colpito dal secondo orgasmo nel giro di troppo poco tempo per non vedere le stelle al posto del buio totale quando chiudeva gli occhi.

Solo quando Louis scivolò al lato di Harry, per annodare il preservativo e lanciarlo nel cestino accanto al letto, il minore quasi piagnucolò, richiamandolo vicino a sé come se non fosse sporco di liquido seminale da capo a piedi.
"Ero letteralmente dentro di te fino a un minuto fa." ridacchiò il più grande nel momento in cui l'altro gli graffiò delicatamente la pancia con le unghie smaltate, così da avvicinarlo.
"E non vorrò mai più nient'altro di diverso da ciò che avevo un minuto e un secondo fa." brontolò, sorridendo quando sentì Louis ridere. "Tranne quando starai tu sotto, perché quel culo merita di essere trattato come il re che è." aggiunse poi, sollevando un dito alla cieca dato che aveva gli occhi chiusi, ancora un po' sotto choc dal piacere sbalorditivo appena provato.

"Un re, uh?" chiese retoricamente, prendendogli il mento tra due dita e facendogli aprire i bellissimi occhi chiari, brillanti nel buio pesto che ormai era calato nella stanza e illuminati solo dalla luce del lampione che filtrava dalla finestra.
"Sovrano, signore, padrone, imperatore." elencò il riccio, scandendo ogni parola grazie a più o meno lunghi baci alternati a morsi sulla bocca martoriata di Louis mentre faceva scivolare una mano intorno al suo sedere, palpandolo con i denti a mordersi il labbro inferiore.

"Sei ossessionato dal mio culo." notò, fingendo che la cosa gli dispiacesse.
"Sono ossessionato da te." lo corresse, sorridendo mentre sbadigliava in silenzio, soffocando il suono contro la spalla di Louis, a cui lasciò un morso svogliato.

"Doccia e poi ordiniamo una pizza ad asporto? Sto morendo di fame ma non credo di avere la forza di mangiare te." disse Harry sorridendo malizioso mentre si sollevava con un braccio, sovrastando Louis in ogni senso.
"Questo sarà il motto della religione di cui parlavo prima. Sarà un successo a Tommo-landia." scherzò, sollevando una mano come per sottolineare una scritta invisibile a mezz'aria, per poi lasciare un buffetto sulla guancia al ragazzo, che per punizione gli saltò addosso per baciarlo finché non pregò di poter respirare.

E non sapevano se quella fosse la tipica relazione che due adulti avrebbero dovuto avere, ma i loro cuori erano troppo impegnati ad innamorarsi come due ragazzini con ancora tutto un mondo da scoprire.
Il che, forse, non era poi così tanto il frutto di una fantasia.

C'era silenzio in classe.
Un tremendo, bizzarro silenzio che né il supplente né l'insegnante di sostegno, entrambi seduti davanti ai ragazzi, non riuscivano a spiegarsi.
Gli studenti erano occupati a compilare un questionario su un'attività che aveva preparato Harry la sera prima, già convinto di aver sprecato una domenica in compagnia del suo migliore amico - finalmente tornato a Londra - per semplificare le domande che aveva trascritto durante una lezione di filosofia tenuta al terzo anno di università.
(Non che Liam non ne avesse approfittato per recuperare tutto il sonno possibile, sia chiaro.)

Però era quasi inquietante stare lì seduti ad osservare quella ventina di bestiole solitamente scalmanate stare, invece, zitte e mute, ferme e intente a scrivere a matita ogni risposta, magari fermandosi anche a pensarci su prima.
"Sono posseduti." bisbigliò Louis, giocando con il tappo di una penna mentre guardava i ragazzini con gli occhi spalancati, a dir poco sconvolto dalla scena.
Harry, che era seduto sul bordo della cattedra con le gambe incrociate e le mani che tenevano una cartelletta con cui si sventolava di tanto in tanto, si limitò ad annuire, senza parole.
"Magari sono stati rapiti dagli alieni nel fine settimana. Oppure abbiamo sbagliato aula." aggiunse con un tono insicuro, come se stesse davvero valutando una delle due opzioni.

"No, ma sono abbastanza sicuro che Damian avrebbe preferito che io lo facessi, oggi." sbuffò, lanciando un'occhiata di soppiatto al ragazzino al primo bianco, che si era appena passato una mano tra i capelli biondi e aveva segnato una crocetta in una delle poche domande a risposta chiusa che aveva lasciato Harry.
Non era una verifica, bensì un test che lo avrebbe aiutato a capire come muoversi durante la seconda ora di lezione, in cui avrebbe svolto un'attività che sperò non essere troppo difficile per dei dodicenni che, in ogni caso, erano terribilmente intelligenti.

"Ti sta ancora ignorando?" chiese a bassa voce e senza girarsi direttamente verso il più grande, attento a non fare nessun movimento che sarebbe potuto sembrare sospetto ai famosi studenti che si lamentarono delle loro apparenti effusioni esagerate.
"Magari." espirò, passandosi una mano sul viso e concentrandosi su un massaggio agli occhi improvvisato, per poi "Ieri gli ho scritto per sapere se stesse bene e lui mi ha... risposto male." tossì piano contro un pugno chiuso, notando come gli occhi chiari dello studente si fossero sollevati su di lui, un po' più dispiaciuti che arrabbiati rispetto a prima.

"Che ha detto?" domandò Harry, voltandosi verso di lui senza curarsi dell'attenzione che avrebbe dovuto prestare a certi movimenti, per poi sistemarsi i capelli dietro le orecchie mentre scendeva dalla scrivania e si metteva a sedere vicino a Louis, con la scusa di dover sistemare la sua borsa poggiata lì vicino.
Il maggiore sbuffò ancora, scosse la testa e "Mi ha detto che non devo preoccuparmi così tanto per lui perché... perché non sono suo padre." ridacchiò amaramente, senza spostare lo sguardo sul suo ragazzo accanto a lui che, lo poteva percepire, stava avendo l'istinto di mettergli una mano sul ginocchio o magari sulla coscia in modo affettuoso, incoraggiante.

"Mi dispiace tanto, piccolo. Perché non mi hai chiamato?" la domanda sorse spontanea, fermando la mano ingioiellata già a metà strada verso la sua gamba un attimo prima che si posasse sul tessuto dei jeans stretti e lasciandola cadere come morta a penzoloni.
"Non sono stato così male e, soprattutto, avevi bisogno di passare del tempo con il tuo migliore amico." abbozzò un sorriso, rasserenato dalla premura del più piccolo, il quale si stava mordicchiando l'interno di una guancia mentre guardava gli studenti scrivere, cancellare o aggiustare qualcosa sui fogli che erano, per la prima volta, tutt'altro che lasciati in bianco.

"Liam ha passato la sera a sbavare i cuscini del divano ed io a stampare queste domande. Se tu credi che non avrei preferito stare con te, sei un ingenuo." rise piano finché una ragazzina con due lunghe trecce castane non camminò verso di lui, porgendogli il questionario compilato e abbozzando un sorriso perché credeva che il supplente stesse rivolgendo il suo a lei.
"Comunque non preoccuparti per Damian. Si vede che gli manchi." aggiunse quando furono nuovamente soli, approfittando di un momento di distrazione generale per accarezzargli velocemente un braccio con il dorso di un indice e sorridendo di nuovo nel momento in cui notò la sua pelle spezzata da un brivido.

Era gratificante e follemente affascinante notare il potere che avevano l'uno sull'altro, capaci di provocarsi la pelle d'oca con un solo sfioramento, le farfalle nello stomaco con la sola idea di un bacio o chissà cos'altro.

"Anche tu mi manchi." si lamentò a bassa voce Louis, abbassando lo sguardo sul suo braccio tatuato ricoperto da piccoli puntini che sparirono quando ci passò una mano sopra, riscaldandoli.
Il riccio scosse la testa ridacchiando in un bisbiglio e "Sono letteralmente accanto a te." sussurrò, sporgendosi verso la cattedra solo per allineare dei fogli che si erano spostati con una leggera folata di vento entrata dalla finestra socchiusa.
"Non come vorrei."

Harry si concesse di guardarlo per un attimo, battendo piano le ciglia e osservandolo attraverso esse con le iridi verdi e brillanti come due smeraldi, quella mattina.
"So che non è il luogo né il momento adatto, ma-" si interruppe, ricevendo uno sguardo consapevole con tanto di sopracciglia sollevate da parte di Louis quando uno studente consegnò il suo test e quello della sua compagna di banco, intenta a raschiare qualcosa da una penna con le unghie. "Ma," ripeté con un sospiro, mettendosi seduto meglio sulla sedia scomoda e ancora traballante. "Dovremmo parlarne e, tipo, darci un'etichetta."

Il più grande socchiuse la bocca, in cerca di aria e delle parole giuste da pronunciare. "Mi dispiace averti presentato come il mio ragazzo senza chiederti se fossimo sulla stessa lunghezza d'onda, Haz." bisbigliò, profondamente dispiaciuto anche nell'espressione del viso che Harry avrebbe fatto cambiare a suon di baci, se solo avesse potuto.
"Mi sembra abbastanza palese che lo siamo, amore." rispose, con le guance bucate da due profonde fossette e un'altra frase già sulla punta della lingua, che dovette, però, inghiottire quando una studentessa portò una catasta di fogli - probabilmente quelli di tutti coloro che ancora non avevano consegnato - e la abbandonò sulla cattedra davanti ai due insegnanti beccati sul fragrante con uno sguardo complice dipinto sul volto.

Tuttavia non fecero in tempo a peggiorare la situazione già precaria, perché Harry non perse un secondo di più prima di mettersi in piedi e "Mettetevi tutti in cerchio, per favore. Nel frattempo che io leggo le vostre risposte, voi inizierete a parlare di questo argomento." dire a gran voce, camminando verso la lavagna con il suo gesso profumato fra le mani e scrivendo aggraziatamente sull'ardesia.
Quando terminò di scrivere, si girò battendo le mani per togliere la polvere in eccesso e "Ci sono domande?" chiese, accennando un sorriso ai ragazzi che stavano mantenendo il silenzio nonostante non avessero nulla con cui tenersi occupati, il che era incredibile.

"Non ho capito la domanda su questo nemmeno nel questionario." disse uno studente, scrollando le spalle coperte dalla polo grigia della divisa estiva.
Era il primo lunedì di maggio passato in classe quell'anno e, nonostante in Inghilterra il caldo fosse molte meno rispetto a tante altre zone dell'Europa, si poteva comunque girare a maniche corte senza rischiare di prendersi il raffreddore.
"Tu hai mai pensato di sentirti completo, Rong?" chiese incuriosito mentre tracciava una linea col gesso proprio sotto quella domanda sulla lavagna, con un sorrisino che incoraggiava a rispondere uno degli studenti più brillanti nella resa delle verifiche, ma, purtroppo, meno svegli in tutto ciò che riguardava la vita vera, pratica, pragmatica.

Louis stava aiutando alcuni ragazzini a spostare le sedie in cerchio, ma sorrise tra sé e sé mentre ascoltava la conversazione del supplente e dell'alunno.
"Non lo so, professore, è per questo che non ho risposto." mormorò imbarazzato, per poi sedersi sulla sedia che l'insegnante di sostegno gli sistemò vicino, strofinandogli affettuosamente una spalla.
"Io mi sento così quando sbrigo tutte le commissioni prima del previsto, o quando faccio una buona azione." iniziò Harry, sedendosi sul bordo della cattedra e guardando tutti gli studenti prendere - chi più silenziosamente, chi meno - posto nel cerchio di sedie che Louis aveva sistemato con cura, riservandosi anche uno spazietto tra Damian e la compagna di banco di Shirley -che, per la cronaca, dopo i colloqui cominciò magicamente ad interessarsi alla scuola -.
"Oppure quando passo del tempo con o per i miei cari. Da poco, ad esempio, mi sono svegliato alle sei del mattino nel weekend per preparare degli scones all'uvetta, eppure mi sentivo come se avessi avuto l'energia di correre per una maratona perché lo stavo facendo per una persona speciale." ridacchiò, schiarendosi la voce per evitare di distrarsi quando incrociò per un secondo gli occhi del maggiore seduto a pochi metri da lui.

"Allora non c'è un solo modo di sentirsi completi." notò una ragazzina con tono polemico, incrociando le braccia quando un compagno la interruppe nel momento in cui stava per aggiungere altro.
"Io mi sono sentito completo quando ho vinto la medaglia di bronzo alle gare di nuoto." e sorrise in un modo così genuino da farlo sembrare ancora più piccolo di quanto già paresse rispetto al resto della classe, forse per via degli occhialoni bianchi sul naso e delle mani sempre pasticciate dalle penne colorate.

"Io mi sento completo quando sono felice." disse Louis, attirando l'attenzione di tutti i ragazzini e anche di Harry, che aveva approfittato del momento in cui gli studenti iniziarono il dibattito per dileguarsi dietro alla cattedra per leggere i questionari e sapere dove andare a parare nel tempo utile che rimaneva. "Quindi credo che la completezza sia solo una, e che equivalga alla felicità." continuò, espirando rumorosamente per evitare il silenzio imbarazzante che era calato in aula. "Puoi realizzare milioni di obbiettivi, portare a termine altrettanti progetti, passare giornate intere con la gente che ami," elencò, gesticolando con tanto di espressione poco convinta sul viso, per poi piegare leggermente la testa da un lato mentre incrociava lo sguardo con il riccio, che lo osservava di sottecchi attraverso una tendina di capelli che gli copriva parte del viso candido. "Ma se alla fine della giornata non ti senti felice, allora non puoi sentirti completo. Percepisci proprio al centro del petto che manca un pezzo del puzzle, no?" domandò retoricamente, accorgendosi che più della metà dei poco più che bambini che aveva intorno lo stavano guardando come se avesse appena parlato di fisica quantistica, non capendo il punto del discorso.

A volte, vedendoli così precoci, si dimenticava quanto fossero piccoli, ancora convinti che i problemi del mondo girassero intorno ai pochi compiti per casa che venivano assegnati e che la loro esistenza avesse dei confini che prendevano la forma della parola "Brixton".

"Perché dovrei volermi sentire completo?" chiese confuso un ragazzino con la cravatta annodata male e un cerotto sullo zigomo che nascondeva un taglio poco profondo.
"Perché non dovresti voler essere felice?" ribatté Louis, riformulando la domanda dello studente secondo il suo principio per cui le due cose fossero equivalenti. Vide l'espressione dell'alunno cambiare, e con la sua quella di tutti i suoi compagni in cerchio, come se stessero realizzando ciò che avevano sentito, assimilandolo e facendolo proprio. "La felicità, comunque, è un'emozione passeggera. Va e viene, non rimane mai per lunghi periodi, perciò anche la completezza potrebbe essere un viandante."

Harry aveva completamente lasciato da parte i fogli, quasi sentendo la necessità fisica di accartocciarli e buttare insieme a loro tutte le ore di lavoro che c'erano dietro, perché sembrava che un solo discorso di Louis stesse schiarendo le idee agli studenti più di quanto avrebbe fatto qualsiasi lezione pre-impostata.
Fece di nuovo il giro della cattedra e si sedette al solito bordo, con un mezzo sorriso sulle labbra e una mano tra i capelli, curioso di sapere cos'altro avrebbe aggiunto, impaziente di conoscere un altro lato della sua mente brillante.

"Quando completo il livello di un videogioco rimane fisso. Per me ci si sente davvero completi solo una volta nella vita." affermò una ragazzina accanto a Yousef, che la guardò con un sopracciglio sollevato e "Scherzi? I livelli dei videogiochi si possono fare all'infinito." rise, buttando la testa all'indietro.
La compagna si imbronciò. "Sì, ma dopo che lo completi per la prima volta non c'è più gusto." borbottò, dandogli una leggera spinta sulla spalla e scatenando l'inizio di una discussione accesa su come, quando e perché si dovesse o meno definire l'apice della completezza una determinata cosa o situazione.

Damian, d'altro canto, era ovviamente rimasto in silenzio per tutto il dibattito. A volte annuiva quasi senza accorgersene, altre ancora si accigliava o arricciava il naso per mostrare il suo disappunto, ma non provava nemmeno ad aprire la bocca per fingere di dire la sua opinione.
Ed a Louis bastò un'occhiataccia di traverso da parte di Harry, che gli indicò silenziosamente il ragazzino biondo al suo fianco - intento a guardarsi le mani mentre la classe che si stava scannando veniva invitata ad abbassare la voce dal supplente -, per prendere coraggio e iniziare a parlare.

"Non riesco a sentirmi completo se tu mi ignori, bello." disse a bassa voce l'insegnante, sapendo che Damian l'avesse sentito forte e chiaro dal momento che lo guardò per poi tirargli un lembo dalla maglietta finché non furono entrambi in piedi e diretti verso l'uscita della classe, sotto lo sguardo confuso - ma compiaciuto - del riccio seduto sulla cattedra.
Fecero appena in tempo ad uscire dall'aula e chiudersi la porta alle spalle prima che Damian incrociasse le braccia e iniziasse a fissarlo con gli occhi lucidi, come se fosse sia arrabbiato che triste contemporaneamente.

Louis lo guardò per qualche secondo in silenzio, con le labbra ridotte ad una linea e le braccia a penzoloni vicino ai fianchi, per poi passarsi una mano sul viso mentre sbuffava piano. "Non avrei dovuto trattare così tua madre, né sorpassare i limiti con te. È che..." prese un enorme respiro, sentendosi esposto davanti agli occhi taglienti di un ragazzino che aveva imparato a vederla più lunga degli altri. "È che fa male, sai? Fa male vederti soffrire per qualcosa su cui io non ho potere."

Damian tirò su col naso mentre frugava furiosamente nelle tasche dei suoi pantaloni neri della divisa scolastica in cerca di quelli che Louis scoprì essere dei fazzoletti di carta. Il ragazzino gliene offrì uno quando vide un paio di lacrime scappare dagli occhi azzurri dell'insegnante, e lui accettò la richiesta silenziosa con un sorriso.
"Io ti voglio bene, D, più di quanto ne abbia voluto a qualunque altro studente, e voglio aiutarti il più possibile perché-" sentì la sua voce graffiarsi, come se in gola avesse una pietra grossa quanto un pugno. "Perché voglio vederti felice, e completo, e... circondato dal colore bianco." disse, strofinandogli i capelli affettuosamente con la mano asciutta dalle lacrime. "Il bianco di cui parla il professor Styles, però." rise, vedendo come il viso di Damian venne occupato da un enorme sorriso tutto denti e guance morbide.

"Sei un bravo ragazzino, intelligente e caparbio, perciò sai che ciò che tua madre fa, ciò che io faccio, è solo per il tuo ben-" e nella sua testa la frase era bella e terminata, ma nella realtà venne interrotto da due esili braccia intorno al suo busto, che lo stringevano più forte ogni secondo che passava. "Oh, tesoro." tirò su col naso, sorridendo e tenendolo ancora più vicino a sé mentre lo lasciava sfogarsi contro la sua maglietta, buttando fuori ogni emozione negativa grazie ad un pianto liberatorio.

Alzò lo sguardo sulla finestrella in vetro della porta dell'aula mentre poggiava una mano sulla testa dello studente e la avvicinava al suo petto, per fargli sentire il calore che solo un abbraccio affettuoso e genuino come quello poteva avere, ma l'occhio gli cadde inevitabilmente su una figura sorridente seduta dall'altra parte.

Harry guardava la scena con gli occhi pieni d'amore e rasserenamento, leggermente lucidi e forse un po' troppo distratti da quello che sarebbe dovuto essere il suo lavoro, ma non importava. Non quel giorno. Non dopo il discorso del più grande.

Perché lui aveva parlato di come sentirsi completi significasse arrivare a fine giornata realizzati e felici, e Harry lo era.
Si sentiva così.
Realizzato, felice, completo, libero e centinaia di altri aggettivi che non facevano che descriverlo sin da quando aveva incontrato Louis, amandolo e lasciandosi amare.

Sì, sarebbe andato a dormire con il puzzle nel petto completato e la branda del viandante occupata finché avrebbe avuto la consapevolezza che si sarebbe svegliato ancora con quei due straordinari diamanti azzurri a pochi palmi di mano da sé.

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