The Nutcracker Suite

By Lizzbee23

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Germania, 1940 Ester aveva sempre voluto scappare da quella prigione che era la sua vita, dove non poteva più... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16

Capitolo 7

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By Lizzbee23

L'idea geniale di Wilm fu quella di attraversare e seguire i binari fino al loro destino incerto, con la buona probabilità di essere investiti da un treno di passaggio.

Ester non andava pazza per quella idea, ma non aveva altra scelta che affidarsi a quel disgraziato, come lo chiamava Sonja.

Di solito aveva le cose tutte sotto controllo, era una perfezionista come suo padre, invece Wilm la sopraffava con l'orma dell'incertezza e del dubbio lasciandola con la gola secca e tanta confusione in testa.

Il ragazzo sembrava essersi ripreso molto velocemente dall'ipotermia poiché Ester lo aveva imbottito di strati e strati di capotti e maglioni di lana.

Lo guardava divertita mentre camminava impacciato con la testa sotto la sciarpa e gongolava, gli aveva chiesto se adesso che stava bene aveva bisogno di aiuto per togliersi tutti gli indumenti di dosso, lui aveva risposto che sinceramente non gli importava granché, beh la ragazza aveva constatato che non gli importava granché di quasi tutto.

Si trovò a indugiare con la mente se per lui contava qualcosa la sua presenza ma scacciò via quel pensiero.

Barcollò sopra la parte metallica del binario mentre fingeva di essere una di quelle donne sulla fune nei circhi che amava tanto guardare da piccola, mentre il ragazzo camminava con nonchalance sopra le assi di legno con le mani in tasca.

Quel pensiero malinconico le strinse la bocca dello stomaco, volendo ritornare a quei giorni felici dove lei e la sua famiglia vivevano in serenità, ma decise di sotterrare anche quello, cercando di non farsi sopraffare un'altra volta dai sentimenti o sarebbe crollata.
Ester gli guardò la nuca continuando a camminare dietro di lui.-Wilm.- 

-Si?- lui si voltò sfoggiando il suo tipico sorriso sghembo e trovò per la prima volta la fossetta al lato del viso incredibilmente adorabile, gli addolciva quello sguardo malizioso e sbarazzino e lo faceva sembrare più un bambino capriccioso.

-Sto morendo di fame e sta calando la sera, dobbiamo sbrigarci, quanto ci manca?- si mise di fianco a lui.

-Non ne ho idea.- sbuffò Wilm. 

-Stiamo andando a vuoto quindi...come sempre.- lo guardò male, quando si abbatterono in una struttura diroccata, sembrava un magazzino.

Pareva inusato, le intemperie avevano reso le pareti, una volta gialle, grigio pallido con qualche chiazza di muffa, la grande entrata era chiusa da travi di legno, alcune erano oblique e cadute.
-Che ci fa un magazzino fuori città?- chiese ragionevolmente la ragazza.

-Probabilmente ci aspettava.- sempre col sorriso sulle labbra prese la mano di Ester e entrò dentro l'edificio passando sotto a delle travi che impedivano l'accesso.

Sembrava più un deposito di cose inusate, c'erano divani, poltrone, armadi, quadri e grandi casse di legno, tutto impolverato o con un velo bianco steso addosso.

Ester proprio mentre vagava tra questi notò, sotto il tessuto color neve, la sagoma di un piano a corda abbandonato come il resto della struttura.

-Guarda cosa c'è li.- Wilm indicò lo strumento come se lei non lo avesse notato. -Suonami quello che suonavi in macchina, voglio sentirlo.-

Ester era incerta, e se delle guardie naziste stavano perlustrando il territorio e li avessero sentiti? Cosa sarebbe accaduto?

Non ci pensò molto visto che aveva già tolto il lenzuolo, alzando la polvere depositata tra le pieghe per chissà quanti anni.

Come al suo solito si legò i capelli in una crocchia alta, mentre il ragazzo si sedeva accanto a lei.
Si scrocchió le nocche e cominciò a far danzare le dita affusolate sul piano intonando La Marcia dello Schiaccianoci velocemente, come le aveva insegnato il suo maestro di piano.

Penso alle parole di Wilm, come doveva fondersi con l'arte e diventarla lei stessa.

Si ricordò come all'opera aveva visto mentre un'intera orchestra faceva cantare gli strumenti e sotto le loro mani l'arte si plasmava diventando udibile e non solo ammirabile, nella sua testa i ballerini danzavano sulle note di quella melodia, piena di energia e quasi sentì i flauti e i violini che accompagnavano il suono del pianoforte e la avvolgevano ballando intorno a lei.

Era così concentrata ad ottenere la melodia che non si accorse delle persone che si affacciarono da dietro una cassa di legno.

Appena ebbe finito si voltò verso il ragazzo che dire impressionato era un diminutivo.

Prima che potesse parlare delle voci risuonarono proprio dal cubo di legno dove una bambina dai lunghi capelli castani la osservava con i suoi occhioni verdi.

Finito il pezzo applaudì, ma una donna dall'aria austera la prese per il braccio mettendola dietro di lei, dopodiché comparvero due uomini e una donna, più una ragazza dell'età di Ester.

-Chi siete?- prese parola uno degli adulti, portava una giacca e un panciotto nero, come se dovesse andare a un galà, ma data la grossa pancia i bottoni della camicia sembravano che potessero prendere il volo da un momento all'altro, sopra il papillon sfoggiava 2 menti e delle labbra rosee e carnose, come se lo avesse punto un'ape, il naso era pustoloso e aveva gli occhi piccoli e ad aiutarli un paio di occhiali dalla montatura piena di nastro adesivo.

I capelli sulla capoccia erano radi e neri, pettinati con cura e cosi piatti che potevi mangiarci sopra.

L'altro uomo e la donna sembravano sposati dal modo in cui stringevano a se la bambina, mentre le altre due dovevano essere madre e figlia dalla somiglianza dei volti.

L'uomo sposato era molto affascinante, alto e dai profondi occhi verdi che la figlia aveva ereditato, mentre la madre le ricordava molto la sua, con i capelli castano chiaro e gli occhi neri, di quella sfumatura familiare che riconosceva.

Infine la madre e la figlia erano simili, avevano dei tratti molto dolci e belli, con la pelle nivea e gli occhi azzurri, i capelli oro erano nella figlia raccolti in due trecce ai lati del viso mentre nella donna erano sciolti e crespi e si disperdevano come le rughe sul suo viso.
-Potrei porvi la stessa domanda.- rispose Wilm alzandosi.

Evidentemente spaventati dall'aspetto che incrociava il perfetto stereotipo ariano tutti fecero un passo indietro.

-Abbiamo chiesto prima noi.- era un po' rischioso rivelare la propria identità, ma poi notò che tutti portavano la stella di Davide sul petto o sul braccio con la fascia bianca.

-Siamo Ester e Wilm, stiamo scappando dai soldati nazisti.-

Si guardarono negli occhi per qualche secondo.

-Non pensarci nemmeno Helene.- la madre della piccola guardò ai due ragazzi. -Sono nella nostra stessa situazione Salomon, non possiamo lasciarli al loro destino.-

Il marito guardò l'uomo col panciotto. -Karl, lascio a te la decisione.-

Karl si sistemò gli occhiali sopra il naso pustoloso. -Non sono io a decidere, dobbiamo aspettare il Signor Heinrich.-

-Fateli salire per adesso.- decretò Helene.

Ester guardò il ragazzo che ammiccò verso di lei come per dire ''Visto?" mentre si inoltrava dietro la cassa, che scoprì fungeva da porta per un lungo corridoio.

Anche in quel tratto c'era tanto vecchio materiale, andavano da utensili usati per la meccanica a costumi per scene e commedie lasciati abbandonati, alla ragazza venne un po' di malinconia al ricordare quando da piccola a scuola facevano le scenette o i saggi.

Ricordava come i suoi genitori applaudivano orgogliosi della loro bambina, e a quel pensiero un fulmine le colpì in pieno il petto causandole una forte voglia di piangere.

Aveva pianto abbastanza quella settimana, trattenne le lacrime mentre salivano delle scale che portava a un medesimo corridoio punteggiato da tante piccole stanze, che fungeva da rifugio.

La cucina era piccola e angusta, mentre le camere erano tutte simili se non fossero state personalizzate dai proprietari.

-Per adesso starete qui finché il proprietario del magazzino non ci confermerà che potete restare... questo è tutto.-

***

I giorni successivi furono carichi di ansia e diffidenza.

Ester scoprì che la bambina si chiamava Daiana, mentre la donna e la figlia bionda Hazel e Krista, ma oltre alle presentazioni i due ragazzi non ricevevano molta attenzione.

Salomon e Helene avevano un bel rapporto, erano loro e la figlia che perlopiù erano gentili e cordiali con Ester e Wilm, mentre Hazel e Karl sembravano intimoriti e diffidenti.

Krista a differenza di tutti stava silenziosamente in disparte, osservando per la maggior parte del tempo il ragazzo ''nuovo'' con l'aria di chi aveva avuto la sua prima cotta, alla rossa dava un po' fastidio che Wilm accettasse quando Krista gli offriva un pochino di patate dal suo piatto o che lei si sistemasse e agghindasse davanti a lui, ma la cosa che più la rendeva odiosa era che spuntasse ogni qualvolta che voleva parlare in privato con Wilm.

Cercava di attirare l'attenzione del suddetto in ogni modo, non aveva veramente un atteggiamento garbato e consono, ma non aveva voglia di litigare e se lo faceva notare al suo compagno di viaggio lui la sfotteva dicendo che era gelosa, ammiccando in modo oltremodo fastidioso.

Beh in effetti era gelosa ma non poteva farci nulla, lei non comandava Wilm e non era nemmeno la sua ragazza, non aveva il diritto di rimproverarlo per il comportamento di un'altra persona, la cosa positiva era che aveva instaurato un bel rapporto con Daiana, giocava con le bambole con lei e le faceva i capelli come una sorella maggiore, le ricordava molto la sorella di Sarah.

Un giorno mentre aiutava Karl a registrare le entrate di cibo e le conserve bussarono alla porta, nonostante l'uomo col panciotto fosse diffidente aveva riconosciuto che Ester non era stupida ed era qualche tempo che le aveva chiesto di aiutarlo.

Era un contabile, un ingegnere che aveva perso il lavoro e ebreo di razza, era scappato appena in tempo prima che venissero a prenderlo e grazie a dei contatti era riuscito ad arrivare alla salvezza.

Ester si alzò impaurita ma l'uomo le intimò di sedersi e aspettare mentre apriva la porta.
Ad entrare fu un uomo elegante, capelli biondi e occhi azzurri, mascella quadrata e sguardo perennemente infastidito. -Lui è il Signor Heinrich, il proprietario del magazzino e colui che ci porta tutto ciò che ci serve. - poi proseguì titubante. -Lei è Ester, è arrivata una settimana fa insieme ad un ragazzo, sono dei fuggitivi anche loro e....-

Il signore alzò la mano mettendo a tacere Karl che fece traballare il doppio mento in segno di scuse, sembrava provare un profondo rispetto nei confronti dell'uomo tedesco.

-Ci sono abbastanza stanze per tutti, la prossima volta porterò più razioni di cibo, oggi vi ho portato cipolle, carote, patate e fagioli, un po' di sale e del pesce in scatola, spero che basti.- la sua voce suonava dura e rimbombante contro le pareti, il suo sguardo alla visione della ragazza si addolcì un pochino, per poi ritornare freddo.

-Certo signore.- replicò rispettosamente Karl.

-Allora posso anche andare.- rispose freddamente l'uomo, mentre chiudeva la porta e scompariva.

Ester capì che nascondeva un grande cuore e gli fu grata per non aveva cacciato lei e Wilm, era curiosa di sapere che cosa lo spingesse a rischiare la vita per dei fuggitivi e lo chiese a Karl.

-Beh, sua moglie e sua figlia erano ebree, sono state portate via e...- lasciò cadere il discorso, guardandola come per far intendere ciò che non aveva detto.

Quindi adesso voleva fare ciò che non aveva fatto per le persone che amava, Ester sorrise alzandosi.

Andò a cercare il ragazzo per dargli la buona notizia correndo verso il sottotetto, salendo le scale velocemente; di solito Wilm andava lì per schiarirsi le idee e stare da solo, era un posto piccolo ma piacevole, li regnava il silenzio interrotto qualvolta dal rumore del vento che si abbatteva sulle travi di legno.

C'era una piccola finestra che dava sulle rotaie del treno, dove di solito fumava i pochi sigari che gli erano rimasti.

Ester sapeva che lo avrebbe trovato li, si nascondeva in quel piccolo luogo come se volesse sfuggire alla realtà che lo circondava, non amava gli sguardi diffidenti che gli rivolgevano e preferiva stare in compagnia del vento, che spifferava attraverso le piccole crepe del muro.

Arrivata poggiò la mano sulla maniglia e un brutto presentimento la invase, si scrollò via quel sentimento troppo emozionata della recente notizia e aprì la porticina, la sorpresa che la aspettava era più che sgradita e nello stesso momento in cui spalancò la porta desiderò di aver ascoltato il suo sesto senso.

Trovò il suddetto con Krista, mentre si baciavano seduti sul palchetto, sotto i panni stesi.
Deglutì mentre loro si staccavano imbarazzati, Krista rossa di vergogna ma con un piccolo sorrisino che faceva capolino in un angolo della bocca e Wilm più che altro infastidito.

-Ero venuta qui per informarti che possiamo rimanere ma evidentemente eri occupato.- cercò di mantenere la voce con un tono neutro, ma la rabbia le spezzò la voce mentre sbatteva la porta dietro di se, ormai la sua ira era troppo evidente per essere nascosta.

-Ester aspetta!- urlò il ragazzo prendendole il braccio. -Sei sul serio arrabbiata?-   

-No, perché?- rispose con un tono tutt'altro che calmo mentre le guance le prendevano a fuoco.
-Perché sei diventata tutta rossa.-

-Ti ho trovato a baciarti con una ragazza che conosci da meno di una settimana!-

-Sei diventata mia madre per caso? E poi è stata lei a cominciare.-

-Oh quindi le vostre lingue si sono unite per caso? Che tragedia la vita!- rise schernendolo mentre si voltava per andarsene, ma la stretta di Wilm era salda sul suo braccio.

-Non prendermi in giro, se la bacio saranno fatti miei, puoi evitare di farmi la ramanzina ogni volta che respiro!-

-E tu potresti evitare di fare il cretino senza cervello che se ne frega di tutto e tutti e provare un pochino di empatia verso le persone!-

-Ma di cosa stai parlando?-

-Stai illudendo una ragazza.-

-E chi ti dice che non mi piaccia?-

A quel punto Ester stese zitta colpita nel profondo.

-Da quando siamo arrivati qui è sempre stata gentile con me, e mentre tu giocavi alle principesse con Daiana lei mi ascoltava senza prendere con le pinze ciò che dicevo, analizzandolo come se fossi una fottuta equazione.-

-Io... mi dispiace...-

-Non ho bisogno delle tue scuse.- disse duro mentre faceva dietrofront entrando nel sottotetto e lasciandola da sola con i suoi pensieri.

Scese le scale e ritornò nel corridoio dietro la grande cassa di legno, sedendosi in una delle sedie accatastate una sull'altra di fronte a lei e cominciò a pensare, perché aveva fatto quella scenata di gelosia? La risposta era lì, ma non voleva ammetterlo, non voleva crederci.

Si conoscevano da due anni, si era preoccupata per lui, lo aveva aiutato e assistito mentre aveva la febbre, lo aveva abbracciato e aveva corso con lui, eppure una ragazza conosciuta da una settimana gli era entrata nel cuore.

Si rifiutò di provare odio e tristezza, si rifiutò di provare dolore al pensiero della scena e si rifiutò di piangere per colpa di Wilm.

Sospirò, un sospiro traballante e pieno di incertezze, quando si ricordava come l'aveva abbracciata a casa della zia e come le aveva stretto la mano mentre entravano dentro il magazzino, di come si addormentava con la testa poggiata sulla sua spalla sopra il treno e di come la guardava col suo sorriso sghembo che faceva comparire la fossetta al lato del viso e gli occhi penetranti le veniva di prendere il cuscinetto dei sedili e distruggerlo a morsi.

La verità è che si era illusa da sola, creandosi un mondo dove i suoi sentimenti non esistevano, dove considerava Wilm soltanto un conoscente, nonostante i suoi sentimenti continuavano a crescere rendendoli impossibili da nascondere.

-Ester?- la voce di Helene la scosse, si girò vedendola scendere le scale con il suo cappotto grigio abbottonato fin sopra il colletto del camicia bianca.

-Si?- chiese guardando la donna dagli occhi scuri.

Helene, Salomon e Daiana erano polacchi ed erano riusciti anche loro a scappare grazie a dei contatti che li avevano portati a quel rifugio, il suo accento era molto forte ma non rendeva incomprensibili le sue parole che di sé erano velate da dolcezza e preoccupazione.

-Ti ho sentita urlare, è successo qualcosa?-

Nonostante la conoscesse da poco la guardava con gli stessi occhi della madre, e quegli occhi l'avevano sempre spinta a sfogarsi e a essere confortata, così fece uscire tutto il fiume di emozioni che si teneva dentro, mentre Helene le teneva la mano stringendola e stando in silenzio ascoltandola.

Quando finì di raccontare le sorrise dolcemente accarezzandole la guancia.

-Nonostante sia difficile da credere, anche io sono stata giovane come te e ho avuto anch'io le mie esperienze; ho conosciuto un ragazzo simile a Wilm, posso assicurarti che se veramente tiene a te non lascerà la faccenda scorrere, vorrà sapere perché ti sei arrabbiata.-

Ester sospirò, in realtà non voleva che Wilm le ponesse quella domanda, perdere l'unico amico che aveva era l'ultima cosa nella lista delle cose da fare, ma ormai il danno era fatto.

-So che per te è difficile, sei così giovane e hai perso la tua famiglia, non vuoi perdere l'unico contatto con il tuo passato, vero?- come se le leggesse la mente pronunciò quelle parole come un incantesimo, facendo immediatamente piangere la ragazza.

La donna la abbracciò accarezzandole i capelli rossi, rassicurandola e lei ricambiò, cercando di nascondersi nell'incavo del suo collo.

Strinse la collanina che portava al collo dove si trovava l'anello della madre, singhiozzando si rese conto che aveva eliminato tutto ciò che le rimaneva del passato, soffocando quella gioia temporanea e nascondendosi nella cruda realtà, e purtroppo per lei era l'unico modo per restare forte, non illudendosi in una malinconia dolorosa.

***

I giorni successivi passarono silenziosi, non parlavano e Ester passava molto del suo tempo a cercare di non essere scoperta mentre guardava i due piccioncini fare la bella coppietta.

Wilm nonostante tutto rimaneva sempre il solito e non conoscendolo bene Krista non riusciva a capire piccoli segnali che Ester conosceva, come quando lui usciva il sigaro e si allontanava verso il sottotetto, il segnale era chiaro: voglio stare solo, eppure Krista lo seguiva come una sanguisuga ovunque.

Si scocciò quasi subito di quella pseudo relazione, Krista voleva delle attenzioni a tempo pieno e lui non era proprio il tipo.

Ester invece era riuscita a trovare il suo posto per stare da sola: al piano terra aveva trovato una porta dietro un armadio, c'era una seconda uscita che dava verso il bosco, si sedeva sugli scalini e osservava il paesaggio.

Un giorno mentre era lì a osservare il manto verde qualcuno si sedette accanto a lei.
-E così ti sei trovata anche tu il tuo spazio personale?- chiese Wilm.

-Già, tu invece sembra che ne hai bisogno di uno nuovo.- nonostante non si fossero parlati per due settimane dal litigio Ester constatò che non era stata l'unica a osservare da lontano le azioni dell'altro, lo aveva persino beccata a fissarla a volte.

Lui sospirò creando nuvolette d'aria. -Pensava che stessimo insieme solo perché l'ho baciata.-
-A me piace Krista.- lo scimmiottò Ester. -Mi ha baciato lei.-

Wilm rise dandole un pizzicotto sulla coscia. –Io non ho mai detto che mi piacesse, ho soltanto sottolineato il fatto che tu escludessi quella probabilità.-

Le sorrise mentre lei roteava gli occhi, faceva sempre quel giochino, "ricordati che le parole possono essere intese in vari modi" diceva lui.

-E comunque si notava da un miglio che sono stato la sua prima cotta.-

-Ora non vantarti.- gli ricambiò il pizzicotto sul fianco.

-Che c'è la prendi sul personale?- rise Wilm.

-Non sei stato il mio primo amore, se intendi quello.-

-Ma lo sono.-

Il cuore di Ester aveva cominciato a pompare sangue come una macchina in sovraccarico, non capiva che sfumatura aveva preso la discussione e quando si girò verso di Wilm non riuscì a intercettare il suo sguardo, sembrava tra lo scherzoso e l'investigativo.

Voleva delle risposte.

-Non riceverai una conferma da parte mia.- incrociò le braccia per esprimere quel concetto in modo materiale.

-Ah Wilm, perché hai baciato Krista?- la prese in giro lui.

-Semplicemente ero confusa, tutto qui.- Ester si girò per continuare a replicare, ma lo trovò con un sorriso sornione a guardarla, gli occhi luccicanti di malizia.

-Che hai per la testa?- chiese invece leggermente impaurita, spostandosi leggermente più lontano da lui.

-Non è che eri invidiosa di Krista? Se vuoi ti sbaciucchio ora.- si protese verso di lei con le labbra in fuori emettendo versi disgustosi che però fecero ridere Ester.

-Sei infantile.-

-Bambina viziata.-

-Ottuso.-

-Musicista fallita.-

-Mulo da soma.-

Wilm rise e la avvolse con un braccio. -Ti sono mancato vedo.-

Anche lei rise, accoccolandosi sulla sua spalla.

-Ester...non ti senti un pochino fuori posto qui? Intendo, mi sento fuori dal mondo... c'è troppa ...-

-Pace?- concluse la ragazza. -Ti manca la vita da fuggitivo?-

-Ma quasi quasi...- ridacchiò accendendo un sigaro.

-Sai che non fa bene fumare, eh?-

-Scusa mamma.- e per giunta le soffiò il fumo in faccia, lei non ci fece caso scansando la nebbiolina con le mani, abituata dal padre a quelle solfate di nicotina.

-Wilm, posso chiederti una cosa?- chiese Ester. -A te sembra che tutto scivoli addosso, non ti manca Magdeburg, tua madre, la sartoria...-

-Sembra, hai detto bene.- aspirò il sigaro osservando il cielo nuvoloso. -Mi manca la mia vecchia vita ma evito di farne un dramma, pensandoci e crogiolandomi nel mio dolore finirò per morire prima del previsto...no preferisco vivermi il momento. - sospirò. -E tu? -

-Non si vede? Mi manca da morire mio padre e mia madre, l'unica cosa che ho di loro è questo.- indicò il petto dove l'anello della madre era stato appeso a una catenella d'argento.

L'anello era piccolo e dello stesso colore della collana, con dei piccoli cristalli azzurri al centro che andavano a formare una specie di fiore stilizzato, era molto semplice ma bello. -E l'orologio di mio padre che è in valigia ben conservato... mi manca andare il pomeriggio dalla Signora Sonja e cucire, mi mancano i dischi e andare alla Sinagoga e uscire con Sarah...- le si spezzò la voce per la nostalgia di quei ricordi.

Wilm le baciò la tempia e le sfregò la spalla come conforto. -Dai, hai ancora questo mulo da soma con te, non sei contenta? -

Ester rise e si voltò verso di lui. -Ne sono felicissima. -

Si guardarono per qualche attimo, prima di distogliere lo sguardo imbarazzati.

-Vado..ad aiutare Karl.- si alzò sbrigativa la ragazza mentre si spolverava dalle ginocchia un pò della neve che le era caduta addosso.

-Si..- rispose il biondo continuando a fumare il sigaro pensieroso.

Ester corse sopra le scale per andare a cercare Karl, con un leggero sorriso sulle labbra.
Arrivata in cucina trovò Helene, Hazel, Salomon e Karl piegati ad ascoltare la radio che annunciava la situazione dei nemici.

-Gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra al Giappone e si schierano al fianco dei britannici mentre noi continuiamo a tenere duro sul fronte Russo...- la voce dell'uomo venne distorta visto che la radio così fuori città non funzionava bene.

Ester chiese scusa mentre si ritirava nelle sue camere, sperava sinceramente che quella guerra sarebbe finita presto e che lei e la sua famiglia avrebbero potuto vivere in pace.

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