HIPNร”SE "Il sangue della dea"

By Solaris_23

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By Solaris_23

Il Re Fenrys mi fissava insistentemente, mentre inforchettava la cena che era nel suo piatto, come un rapace sul punto di attaccare il corpo, ormai, deceduto del povero malcapitato.

Continuava a fissarmi nonostante io lo stessi facendo a mia volta, una volta scoperto che mi stava osservando.

Era una gara di sguardi rabbiosi e carichi d'odio.

Il suo, tuttavia, mi metteva leggermente a disagio e, non potevo nascondere a me stessa o a chi ci stava intorno, che mi infastidiva e non poco.

Considerato che di lì a breve sarei divenuta una potente Dea, e dunque una creatura superiore alla sua natura Semidea, trovavo inopportuno il modo in cui mi lanciava occhiatacce e il desiderio che leggevo nei suoi occhi di vedermi morta, magari servita come portata principale di uno dei suoi pasti giornalieri, al posto della selvaggina cacciata in giornata solo per servirgli carne fresca.

Mossi la mano, nel quale impugnava la forchetta, e tentai di agguantare una delle patate presenti nel mio piatto, senza afferrarle.

La Regina Crysalide si mosse leggermente imbarazzata dal modo in cui io e suo marito ci stavamo osservando, proprio come due nemici sul punto di attaccarsi l'un l'altro e intraprendere una battaglia all'ultimo sangue e senza esclusione di colpi.

«Fenrys, credo che dovresti guardare ciò che è nel tuo piatto.» bisbigliò al marito ma, nonostante il basso tono di voce, riuscii comunque a sentirla.

«Taci donna.» rispose il Re, continuando a guardarmi in cagnesco.

Lei tossí in modo da attirare la sua attenzione. «Caro, non credo sia conveniente che tu la guardi in questo modo dato che sai cosa è destinata ad essere questa giovane fanciulla.»

Finalmente il Re spostò il suo sguardo da me alla sua consorte. «È appunto per questo che non posso fare a meno di guardarla con astio. È uno scherzo della natura questa umana.» disse, riportando di nuovo lo sguardo su di me. Il modo in cui aveva pronunciato la mia attuale condizione, stava ad indicare che aveva davvero intenzione di farmi perdere la pazienza, che già avevo sul filo di un rasoio.

«Fenrys...» continuò a dire sua moglie, ma il Re bloccò ciò che voleva dire ancor prima che iniziasse la frase.

«Non voglio sentire ciò che hai da dire.» affermò brusco. Per tutti gli Dei, quest'uomo mi sembrava un cavernicolo. «Ti consiglio di tacere se non vuoi incorrere nella mia...»

«Avete annoiato tutti noi con le vostre stupide chiacchiere a vuoto.» intervenni, stanca di sentirlo parlare alla regina con quel tono di voce così autoritario. «Fareste meglio a stare zitto e a mangiare ciò che avete nel piatto prima che si raffreddi.»

Le sue iridi si illuminarono ancora di più di una rabbia sempre più crescente. Si alzò, sbattendo le mani sul tavolo e facendo sollevare tutti gli oggetti presenti su di esso, procurando un gran fracasso nel momento in cui tornarono a posarsi sulla tavola imbandita. «Tu non mi dai degli ordini, lurido insetto. Non dovresti nemmeno esistere. Non capisco come gli Dei ti lascino ancora respirare la stessa aria che respiriamo noi.»

Socchiusi gli occhi. «Mi sono sempre fatta la stessa domanda per quanto riguarda voi, "mio Re".» risposi acida.

Il suo volto si trasformò in una maschera orribile nel quale viene riversato ogni tipo di sentimento negativo che un individuo potesse provare.

«Padre, tacete.» disse il Principe Aedyon al mio fianco, guardando con uno sguardo ammonitrice il padre. «Non serve a nulla che voi vi comportiate così. Di certo, non cambierete la situazione né tantomeno potete fare qualcosa per fare in modo che accada. Dunque, smettete di rovinarci il pasto e concentratevi sul terminare questa cena senza finire in un bagno di sangue.»

Fenrys guardò suo figlio completamente senza parole. Era chiaro che non si aspettasse un simile atteggiamento proprio dal suo primogenito, un Semidio che mi aveva sempre odiata sin dal primo momento che mi aveva vista e che aveva sempre spalleggiato il padre quando si trattava di rovinarmi quel breve periodo lì a Corte. «Aedyon...»

«Mio fratello ha ragione, padre.» disse la Principessa Sol, spalleggiando il fratello maggiore. «Non ha senso che voi avveleniate la vostra vita e la nostra solo per un vostro desiderio che si rivelerà irrealizzabile. Hipnôse si risveglierà da Eterna e sapete benissimo che sarà la signora indiscussa di questa Stella Pianeta al fianco di Khione, l'unica appartenente alla sua stessa razza.»

Con il colpo di grazia che gli aveva inferto la Principessa Sol, dando man forte a quello che aveva detto suo fratello, il Re non poté fare a meno che rimanere completamente a bocca asciutta. Si risedette, era come un vulcano sul punto di esplodere per tutta la rabbia e l'odio che stava covando dentro di sé.

Arricciai il naso e gli rivolsi un'ultimo sguardo, prima di tornare a concentrarmi interamente su ciò che era dentro il mio piatto. Ormai, la carne e le patate erano completamente fredde e quasi del tutto immangiabili.

Sospirai sonoramente e dovetti trattenermi dal buttargliela in faccia a colui che lo aveva reso tale, deconcentrandomi dal pasto: il Re.

Spostai la sedia sul quale ero seduta e mi alzai, provocando un rumore stridulo e agghiacciante, simile all'urlo di un maiale quando viene sgozzato.

Mi diressi verso l'uscita di quella sala da pranzo dove l'aria era diventata irrespirabile e la tensione era diventata palpabile, quasi come se fosse una presenza a sé stante.

«Dove vai?» domandò il Re, mangiandomi con gli occhi quando gli fui arrivata di fianco.

Ricambiai il suo sguardo di fuoco e indossai la solita maschera di impassibilità che riservavavo a persone come lui, persone con il quale non volevo averci nulla a che fare e che mi facevano diventare una bestia famelica, vogliosa di vederli marcire all'inferno tra atroci sofferenze. «Non credo che siano affari che vi riguardino.» dissi schietta e con rancore. «Pensate piuttosto a chi rendere la vita impossibile d'ora in avanti, dato che io non starò più ai vostri giochi e non vi permetterò mai più di torturarmi con i vostri modi di fare. Sono stata abbastanza chiara?» domandai, ricevendo, in risposta, un ringhio da parte del re.

Non disse altro.

Sapeva benissimo che non conveniva farmi arrabbiare, dato che ero stata in grado di far del male persino ad un Dio potente come Mokosh.

A volte, mi meravigliavo di ciò che ero diventata stando lì, della cattiveria che loro erano riusciti a far emergere in me.

Quando era arrivata, Mi sembrava di essere stata rinchiusa in una gabbia. All'epoca, ero un agnellino che aveva rischiato costantemente di essere sbranato dai lupi. Ora, invece, ero diventata il capo branco, il lupo che riusciva a dominare su tutti i suoi simili.

Ero cambiata e non riuscivo ancora a capire se fossi cambiata in meglio o in peggio.

Ero diventata più forte, più sicura di me stessa. Non ero più la ragazzina spaventata che decideva di abbassare il capo di fronte a degli esseri divini o semidivini. Finalmente, avevo fatto emergere il mio carattere ed ero passata dall'essere quella ragazzina che si inchinava a quella che voleva che si inchinassero al suo cospetto.

Non mi dispiaceva essere cambiata così tanto, tuttavia, a volte mi ritrovavo a domandarmi se fosse davvero quella l'immagine che volevo dare di me e il lato che volevo far emergere.

Quando Mi guardavo allo specchio, mi sembrava che, il mio riflesso, somigliasse sempre di più a quello di una divinità crudele e senza il minimo scrupolo. Quel riflesso era ciò che più odiavo.

Io non volevo assomigliare a loro, non voleva assomigliare ad essere così mostruosi e senza anima.

Guardai di fronte a me e continuai a camminare, diretta alle porte.

Le guardie, vedendomi arrivare, le aprirono immediatamente in modo da lasciarmi passare ma, poco prima che potesse arrivarci e varcare la soglia, qualcuno mi afferrò per il polso, costringendomi a voltarmi nella direzione opposta a quella che volevo intraprendere.

Gli occhi grigi incontrarono subito quelli miei dalle tonalità tempestose.

Le sue iridi erano due pozzi scuri pieni di un sentimento simile al pentimento. Di cosa si stava pentendo il Principe? E, soprattutto, quel sentimento era indirizzato a me o a qualcun altro?

«Ti prego, fermati.» disse con voce sommessa. «Vorrei avere la possibilità di parlare con te in privato. Ho una cosa importante da dirti.»

La principessa Sol, la Regina Crysalide e il Re Fenrys si erano voltati nella nostra direzione, assistendo ad una scena che non avrebbero mai pensato di dover vedere.

Mi concentrai nuovamente sul Semidio che mi impediva di andarmene da quella stanza in cui non ero desiderata da tutti i presenti.

«Lasciami andare.» dissi quasi ringhiando nonostante avessi pronunciato quelle parole sottovoce.

Aedyon indurì lo sguardo. «No.»

«Ti ho detto più volte che mi devi stare lontano, Aedyon.» ribadii, scrollando il braccio e facendogli mollare di colpo la presa che aveva avuto su di me fino a quel momento. «Non ho alcuna intenzione di starti a sentire.»

«Non ti interessa ciò che ho da dire?» domandò lui, furioso, quando gli diedi le spalle.

Continuai a camminare, mettendo un passo avanti all'altro e mostrando eleganza e finezza degne del mio rango. «No. Non mi interessa più ciò che tu vuoi dirmi.»

Non era del tutto vero.

Morivo dalla voglia di scoprire di cosa volesse parlarmi, tuttavia, se glielo avessi concesso, avrei semplicemente aggravato la situazione tra di noi e sarei stata più male di quanto già non lo fossi in quel momento.

Dovevo preservare il mio cuore malandato e tentare di rimettere insieme i cocci di quella ammasso di muscoli completamente distrutto, che continuava a battere all'impazzata nel mio petto ogni qualvolta lui mi era accanto.

Varcai la soglia delle doppie porte, in legno e con rifiniture in oro, e, nel momento in cui ero quasi ad due metri di distanza da esse, sentii qualcuno urlare il mio nome.

Mi voltai e, nel preciso istante in cui lo feci, mi resi conto che una delle due guardie mi stava venendo incontro, correndo, con un grosso pugnale imbevuto di sangue - sangue che immaginavo essere quello degli Dei data la consistenza grumosa.

Sgranai gli occhi e, lasciando agire il mio istinto, mi abbassai, schivando, proprio come mi aveva insegnato il principe nelle sue lezioni di combattimento, il colpo che sarebbe senza ombra di dubbio andato a segno, lacerando mi la tenera carne del ventre piatto e snello.

La lama fendette l'aria sopra la mia testa e, senza pensarci due volte, distesi la gamba sinistra e gli feci uno sgambetto alle sue spalle, lasciandolo cadere a terra, inerme.

Il pugnale gli sfuggì dalle mani e percorse qualche centimetro lontano da colui che voleva tentare di assassinarmi con un'arma potente, soprattutto se usata nei confronti di un essere umano.

L'umano al servizio degli Dei, che avevo messo momentaneamente k.o., si alzò in breve tempo e cerco di andare a recuperare il pugnale che gli era sfuggito di mano.

«Ah no, amico mio. Questo non posso proprio permettertelo.» dissi, afferrandogli le caviglie e trascinandolo nella mia direzione, in modo da allontanarlo il più possibile da quell'arma letale per me.

Tuttavia, l'uomo riuscì a liberarsi e mi diede un calcio dritto al ventre che mi fece provare una fitta acuta di dolore e mi annebbiò la vista.

Mi accasciai su me stessa, grunendo per il dolore che stavo avvertendo e vidi la guardia correre in direzione del pugnale.

Un fascio di luce accecante colpì l'umano che stava eseguendo, senza ombra di dubbio, gli ordini di qualcuno e, nella mia mente, immaginavo già di chi si trattasse.

La guardia venne colpita alla spalla e il sangue rosso iniziò a colargli dalla ferita procurata dall'attacco.

Guardai alle mie spalle e vidi la principessa Sol con una mano protesa in avanti e con lo sguardo fin troppo serio per il suo bellissimo e raffinatissimo volto da Semidea. Si portò i lunghi capelli bianchi oltre le spalle e sorrise malefica. «Tu quello non lo tocchi, essere umano.»

Con un grido rabbioso, la guardia tentò nuovamente di arrivare al pugnale, ma, questa volta, fu Aedyon a bloccare il suo intento, parandosi dinanzi a lui.

Lo afferrò per la gola e iniziò a stringere sempre più forte la presa su di lui, guardandolo con uno sguardo omicida e assetato di sangue.

Questo è ciò che realmente lui è, pensai.

L'uomo iniziò a dimenarsi freneticamente, cercando in tutti i modi di incanalare aria e di immetterla nei suoi polmoni che, pian piano, avrebbero iniziato a collassare per la mancanza di ossigeno.

L'altra guardia che era di guardia la porta, si precipito dietro al principe e afferrò il pugnale.

«Aedyon, dietro di te!» urlai al principe.

Lui, deconcentrato dal mio urlo disumano, si voltò, allentando leggermente la presa che aveva sull'altro uomo.

Quest'ultimo, senza farselo ripetere due volte cogliendo l'occasione, alzò le gambe e gli pianto gli stivali dritto al petto, facendo barcollare il Semidio e liberandosi dalla sua stretta soffocante.

Aedyon si rialzò in fretta, nonostante tutto, e tornò alla carica, concentrando, stavolta, la sua ira sull'altra guardia che era riuscita ad impossessarsi nuovamente del pugnale imbevuto di sangue degli Dei, arma con il quale avevano intenzione di uccidermi.

L'umano, con astuzia, lanciò il pugnale al compagno ferito una volta in cui il principe era abbastanza vicino da impedire che potesse compiere quella mossa.

L'altra guardia, che grondava di sangue rosso acceso ed intenso, lo afferrò, venendo a passo spedito nella mia direzione.

Mi immobilizzai.

Per quanto cercasse di far muovere i miei muscoli, il mio corpo era completamente paralizzato e non rispondeva ai comandi.

Dovevo muovermi, dovevo assolutamente muovermi e spostarmi dalla traiettoria di quel pugnale, che si avvicinava a gran velocità, o sarei stata spacciata.

«Spostati Hipnôse!» urlò Sol, spaventata. «Non posso colpirlo se non ti togli!»

Avanti!

AVANTI!

Niente da fare, non riuscivo a comandare il mio corpo nonostante ci stessi provando con tutte le mie forze. Era come se la paura lo tenesse immobilizzato e mi impedisse di compiere un qualsiasi movimento per trarre in salvo la mia vita.

Sgranai gli occhi una volta che il fascio di luce, potere della principessa Sol, colpì nuovamente la guardia, già ferita in precedenza, dritta al petto.

Quella guardia non aveva più molte possibilità, tuttavia, prima di essere colpita dal fascio di luce, lanciò il pugnale dritto nella mia direzione in modo tale da portarmi con sé nella tomba nel quale lui era finito.

La lama stava per entrare in contatto con il mio corpo, pronta lacerarmi la pelle e a provocarmi una sofferenza indicibile prima di farmi chiudere gli occhi per sempre.

Ero io il bersaglio ma, senza rendermene minimamente conto di ciò che stava accadendo intorno a me dato che ero troppo concentrata sull'arte, il corpo possente di Aedyon mi fece da scudo, accusando il colpo al posto mio.

Le pupille dei suoi occhi si dilatarono nel momento in cui la lama, affilata e imbevuta di sangue degli Dei, gli perforò il fianco sinistro, evitando così che il colpo andasse a conficcarsi nella mia pelle, privandomi della vita umana a cui il Fato mi aveva condannata fino ai 17 anni stellari.

Proprio come le sue di pupille, anche le mie si dilatarono a dismisura.

Credetti di essere in un vero e proprio incubo senza fine, dal quale avrei tanto voluto svegliarmi da un momento all'altro.

Aedyon mi cadde addosso, quasi schiacciandomi con il suo peso. Tentai di sorreggerlo e gli circondai il corpo con me mie braccia, evitando di farlo cadere.

La sua testa finí per incastrarsi perfettamente tra l'incavo del mio collo e della mia spalla, mentre iniziava a tremare, scosso da spasmi violenti dovuti al sangue infetto degli Dei che gli era entrato in circolo.

Nonostante lui fosse un essere semidivino, questo non gli vietava di provare lo stesso identico dolore che avrebbe provato un essere umano, anche se, a differenza di quest'ultimo, lui non avrebbe perso la vita e si sarebbe ristabilito prima o poi.

Lo spostai appena, in modo da guardarlo in faccia. Aveva gli occhi chiusi e una smorfia di dolore dipinta sul suo splendido volto.

La fronte iniziava ad essere imperlata di sudore e il colorito dorato della sua carnagione divenne immediatamente pallido come quello di un lenzuolo pulito.

«Aedyon...» bisbigliai, guardandolo incredula.

Come aveva potuto fare una cosa così tanto stupida?

Perché lo aveva fatto?

Perché si è messo in mezzo tra me e quel maledettissimo pugnale letale?

Guardai l'arma e, senza pensarci due volte, la estrassi, facendo fuoriuscire un mare di sangue. Posai la mia mano sulla ferita al fianco, in modo da tamponare l'emorragia e cercare di fare uscire meno sangue possibile.

«Chiamate un medico!» urlai.

Vedevo un sacco di gente andare e venire ma nessuno si fermava a dare una mano.

Il Re, la Regina e la Principessa mi strapparono dalle braccia il ragazzo mentre qualcuno mi tirava indietro, nonostante tutti i miei tentativi di gettarmi nuovamente nella direzione in cui si trovava il corpo disteso e sanguinante del Principe.

Urlai, mischiando le mie urla con quelle strazianti di Aedyon.

Non sentivo nient'altro, solo le sue urla di disperazione e dolore dovute alla ferita infettata con il sangue delle creature che, per metà, gli hanno dato la vita.

Vidi Sol piangere per suo fratello lacrime calde e sincere.

Anche la Regina pianse. Il Re, al contrario, camminava avanti e dietro come un pazzo, urlando nella mia direzione anche se io non riuscivo a capire cosa stesse dicendo. nelle mie orecchie continuavano a susseguirsi le urla agghiaccianti di Aedyon.

Le lacrime iniziarono a scendermi copiose, rigandomi il volto.

Il medico arrivò e, insieme ad un gruppo di guardie, lo trasportarono lontano. Credo che lo stessero conducendo nella sua stanza, dove il medico avrebbe potuto aiutarlo, iniziando a dare le prime cure.

Non sapevo cosa stessi dicendo, tuttavia, sapevo solo che stavo urlando.

Urlavo qualcosa di incomprensibile che nemmeno le mie orecchie riuscivano a capire.

Colui che mi teneva ferma con le braccia, mi tirò ancora più indietro e mi fece appoggiare la schiena al muro, mostrandomi il suo volto perfetto: Vel.

Lo guardai scioccata, mentre, nei suoi occhi, leggevo il dolore di dovermi vedere ridotta in quello stato di non poter fare niente per evitare che stessi cosi. «Devi calmarti.» disse, ma, in tutta risposta, iniziai a scalciare e a urlare il nome del principe che mi era stato strappato via delle mani.

A quel punto, sentii i pensieri di Vel e un pensiero innondarmi la mente.

Era un comando del Dio della manipolazione.

Diceva: "CALMATI".

Per quanto io tentassi di opporre resistenza, non poteii fare a meno di eseguire come un automa il suo ordine, l'ordine che mi era stato impartito da qualcuno di superiore e potente.

Veles mi aveva manipolata.

Aveva infranto la promessa che mi aveva fatto.

Lo guardai e, senza capire il perché, mi sentii completamente anestetizzata, priva di qualsiasi a emozione e sentimento, negativo positivo che fossero.

I suoi occhi fiammeggianti, scoperti dal copricapo in oro, mi guardarono colmi di sensi di colpa ma anche di decisione. Era convinto di aver fatto la cosa giusta, la cosa più giusta per me.

«Calmati, Hipnôse.» disse. «Mi dispiace se ho dovuto usare il mio potere Divino su di te, ma non mi hai dato altra scelta.» continuò, dispiaciuto.

Lo guardai ma era come se non lo stessi facendo realmente.

Davanti ai miei occhi continuava a ripetersi ininterrottamente la scena di quando il pugnale aveva colpito Aedyon e non me. Sentivo le sue urla, il sangue che grondava e mi bagnava le mani intente a tamponare la ferita profonda che la lama aveva provocato. Continuavo a risentire anche le mie urla e a vedere il via vai di gente.

Vel mi scosse con violenza. «Hipnôse, guardami!» urlò ed io lo guardai, ancora sotto il suo completo controllo.

«Aedyon... è ferito...» dissi con voce rotta dal pianto. «È stato ferito a causa mia...»

Non faceva neanche il minimo sforzo per nascondere il dolore sul suo volto perfetto e divino. «Starà bene, Hipnôse. Vedrai. Lui è un semidio e non può morire a causa del sangue degli Dei.» disse. «Si riprenderà.»

Era colpa mia.

Tutta colpa mia.

Solo ed esclusivamente colpa mia.

Se non fossi mai esistita tutto ciò non sarebbe mai accaduto e Aedyon, in questo momento, non dovrebbe affrontare il dolore di avere un infezione sul proprio corpo.

Era colpa mia.

Colpa mia.

Colpa mia.

Colpa mia.

Colpa mia.

Colpa mia.

Colpa mia.

Ad un tratto, il mondo iniziò a vorticare tutto intorno a me, diventando un ammasso indistinto di ombre che tentavano di soffocarmi, schiacciandomi con il loro peso opprimente.

Tutto si fece buio e crollai in baratro senza fine dal quale avrei preferito non uscire mai più.

L'ultima cosa che sentii, prima di perdere conoscenza, fu il mio nome: "Hipnôse", anche se, nella mia testa, continuava a ripetersi un solo nome: "Aedyon".

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