Ajaccio, 20 febbraio
L'alba non era ancora sorta e Napoleone, per placare la sua insonnia, passeggiava tranquillamente per le vie della città, nonostante il freddo pungente, aveva indosso la divisa pesante e un giaccone lungo fino ai polpacci che gli andava largo, che lo scaldava un po'. Riusciva a sopportare il caldo più estremo, i temporali più spaventosi, ma non la neve, il ghiaccio e il freddo che fin da ragazzino aveva odiato. Per sua fortuna ad Ajaccio il freddo era sì penetrante, però non ai livelli del rigido clima francese. Si aggirava con il suo passo svelto, diretto al porto, ad osservare l'orizzonte invaso dalle nubi che, con i primi raggi del sole che, come fasci di luce, si tuffavano nel mare.
Un manifesto appeso al muro lo smosse dal suo iniziale obiettivo. Si avvicinò con foga. Notò che era stato attaccato da poco, inoltre sembrava essere un pezzo del quotidiano di quella medesima giornata. 'Pasquale Paoli, u Babbu a patria, da Londra denuncia fortemente gli ultimi fatti accaduti sull'isola:"Quanto sta accadendo alla mia amata isola natia, la Corsica mi rincresce fortemente, in quanto il provvedimento preso è concepito per imporre la volontà di Parigi sull'isola, qualcuno sta tramando alle spalle del mio popolo per sottometterlo definitivamente al suo potere..."'
Interruppe la lettura con un sorrisetto sulle labbra - Credo proprio che ci sarà da divertirsi e qualcosa mi dice che presto o tardi lui ritornerà - disse soffuso il ragazzo - E io sarò tra i primi ad accoglierlo come un vero patriota... - sogghignò.
Il freddo iniziò ad intensificarsi, si strinse al pesante giaccone e rabbrividendo corse fulmineamente verso casa, non ci mise molto poiché si ricordava ogni angolo, ogni stradina, ogni scorciatoia. Arrivò con il fiatone e le guance arrossate, si strofinò le braccia raffreddate, si diresse verso il camino ancora acceso e lo alimentò con altra legna, mettendosi a leggere.
Parigi
Nella capitale, la Rivoluzione continuava imperturbabile il suo corso di riforma della monarchia per riempire le casse dello stato. Sembrava che il suo iniziale impulso si fosse assopito, in realtà il fuoco bruciava ancora sotto la cenere. Le vie continuavano ad essere invase da rivolte contadine, mentre si innalzavano sempre più inni all'uguaglianza che furono accolti. Erano stati creati, nel dicembre dell'anno passato, 83 dipartimenti divisi in distretti, cantoni e comuni per poter gestire con più facilità la situazione, tentare di risolvere i problemi e cercare di placare le liti.
Inoltre iniziò un processo di democratizzazione del potere, attraverso le prime votazioni per rinnovare l'Assemblée in gennaio, anche se non mancarono problemi soprattutto sull'estensione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi che non era ben vista da molti.
- Fate silenzio! - urlò alzandosi in piedi Emmanuel Joseph Sieyès, un abate dalle idee rivoluzionari e uno dei membri più influenti e importanti dell'Assemblée, tanto da essere indicato aspramente dai nemici della Rivoluzione come 'teorico della Rivoluzione' - Siamo riuniti per un incontro assolutamente pacifico e democratico in cui ognuno può esprimere liberamente la propria opinione ed ora se permettete, cittadini, vorrei esporre la mia - disse muovendo i suoi occhi scuri da destra verso sinistra, facendo zittire tutti i presenti.
Era un uomo sulla quarantina dal fisico minuto, ingrossato dalla lunga tunica scura che indossava, dal viso scavato dalle rughe e dall'intelligenza acutissima. - Bene - riprese tossicchiando - Allora la mia idea è quella di dividere i cittadini francesi in due categorie: passivi ed attivi, i primi godranno dei naturali diritti civili come stabilito dalla Dichiarazione dei Diritti, i secondi invece oltre ad avere quelli civili avranno quelli politici, tra cui il diritto al voto, ovviamente quest'ultimi costituiranno una minoranza della popolazione, che abbiano un reditto fisso, quindi contribuenti e di età non inferiore ai 25 anni
Dopo aver detto questo si sedette e aspettò da buon diplomatico la reazione favorevole dell'intera assemblea che votò immediatamente la proposta: si utilizzò per la prima volta in Francia il voto censuale. Il problema più grosso da eliminare restava quello economico: per risolverlo fu adottato il regime liberista del 'laissez faire', ossia la autogestione e regolazione dell'economia senza alcun intervento umano.
Le casse dello Stato restavano ancora vuote, così dopo aver sistemato gli aristocratici, si puntò lo sguardo verso la Chiesa e i suoi immensi beni che per secoli non erano mai stati toccati o tassati, poiché l'autorità del pontefice a Roma era stata molto forte sulla vita politica francese fino ad allora: con l'Illuminismo molti uomini si allontanarono dal Dio cristiano.
Sebbene timorosi per le reazioni del Vaticano, i membri dell'Assemblée decisero di andare fino in fondo, anche a costo di essere circondati da nemici e malvisti dalle altre potenze europee. Così, per prima cosa, vennero abolite le odiose decime e poi, su proposta del vescovo di Autun, Charles Mauriche Talleyrand, di confiscare tutti i beni clericali per poi rivenderli e con il ricavato colmare il deficit finanziario.
Per evitare di perdere i guadagni a causa dei lunghi tempi si decise di sfruttare il valore di questi beni emettendo per la prima volta nella storia europea una cartamoneta, l'assegnato: a differenza delle monete metalliche non basava il suo valore sulla lega con la quale erano prodotte, poichè era semplice carta, ma su quello dei beni.
Quest'esperimento, tuttavia, si rivelò un vero fallimento in quanto emettendo più cartamoneta dei beni disponibili si generò un'inflazione paurosa che avrebbe accompagnato la Francia fino alla fine della sua esperienza rivoluzionaria.
12 luglio
Il cammino verso la rottura con il passato, in particolar modo con la Chiesa, non era ancora concluso infatti l'Assemblèe dopo aver abolito tutti gli ordini monastici, prese una decisione che avrebbe scosso l'intero continente e che avrebbe aperto le ostilità: la Costituzione civile del Clero. La progressiva nazionalizzazione della classe ecclesiastica doveva rendere tutti gli ecclesiastici fedeli alla Rivoluzione, per continuare ad esercitare il loro compito e per poterlo essere, dovevano semplicemente giurare sulla Costituzione civile che li avrebbe resi degli stipendiati dello Stato, al servizio dello Stato.
Le diocesi furono ridotte al minimo, vescovi e parroci sarebbero stati eletti democraticamente dai dipartimenti. Da molti questa mossa fu considerata un oltraggio al potere papale e della Chiesa che veniva da Dio; chi decise di non giurare, e in particolare vescovi, furono denominati refrattari.
Ajaccio, 20 luglio
Altri invece era davvero lieti di questa notizia perché finalmente si stava assistendo al lento crollo del potere temporale della Chiesa, tra questi vi erano i fratelli Buonaparte, anticlericali specialmente Napoleone, non credente. Quest'ultimo approvò in maniera così ardente la Costituzione Civile del Clero, in un libello, da rischiare il linciaggio, insieme al povero Giuseppe, mentre passavano accanto ad una processione religiosa. Si salvarono grazie ad un bandito di nome Trenta Coste che li aveva fatti rifugiare nel suo covo.
- Ebbene zio, qual è questa notizia che vuoi riferirci? - chiese Luciano.
Quel giorno a pranzo c'era anche lo zio Giuseppe Fesch che annunciò a tutti una notizia che li avrebbe soddisfatti. - Be' ecco... - iniziò un po' imbarazzato.
Da quell'atteggiamento Napoleone iniziò a capire a cosa volesse alludere. Non disse nulla né compì alcun gesto che potesse tradirlo.
- Non tenerci sulle spine, zio - lo incoraggiò il capofamiglia al suo fianco con un ampio sorriso.
- Ho giurato fedeltà alla Costituzione civile del Clero - rispose tutto d'un fiato e leggermente rosso in volto.
"Ho fatto centro" si disse Napoleone sogghignando e fissandolo con orgoglio "Sapevo che non mi avrebbe deluso"
- È una notizia splendida! Ma come mai? - chiese ancora il primogenito.
- Ho pensato che fosse la cosa più giusta da fare, siamo tutti cittadini con gli stessi diritti e doveri tra cui quello di servire lo Stato con tutte le energie e quindi mi sono detto perché noi uomini di Chiesa dovremmo elevarci agli altri senza muovere un dito o fare qualcosa di concreto per il Paese? - riferì energico lo zio.
- Maestro - intervenì Napoleone - Ma i tuoi colleghi e superiori come hanno reagito alla tua presa di posizione? - chiese con la sua solita voce aspra che non mostrava i moti del suo animo in fermento.
Giuseppe Fesch capì che la domanda posta dal suo nipote prediletto non aveva lo scopo di capire quale fosse l'opinione comune, più che altro per poter rispondere a tanti interrogativi che aveva lasciato in sospeso e di comprendere quale strategie adottare da quel momento in avanti.
Gli sorrise e lo fissò per alcuni secondi, poi rispose - Anche alcuni colleghi hanno giurato senza tentennare minimamente e persino qualche superiore, seppur successivamente abbiano dovuto rimangiarsi il giuramento per evitare ripercussioni future da parte del Vaticano che sono sicuro non si faranno attendere
- Non hai paura di perdere la tonaca, in pratica! - riassunse Napoleone ridacchiando.
- Sarei disposto a rinunciarci pur di seguire i miei ideali, Nabulio, esattamente come faresti tu con l'uniforme che indossi, e puoi ben capire cosa intendo - gli riferì con un sorrisetto malizioso che Napoleone non aveva mai visto dipinto sul suo volto, rimase colpito per pochi secondi da quell'espressione - D'altronde hai rischiato la vita già una volta, o ricordo male?
- Ricordi perfettamente, zio - rispose contraccambiando quel sorrisetto - Stracciare in pochi secondi il vincolo che ci lega alla società per diventare rivoluzionari a tutto tondo scagliandoci contro tutto e tutti senza più freni - poi guardò il maggiore - Se solo Giuseppe mi avesse lasciato fare li avrei ammazzati tutti, quei fanatici!
- Volevi farci ammazzare, più che altro! Dobbiamo ringraziare quell'uomo se siamo ancora vivi - sbottò Giuseppe autorevole - Non dovevo darti l'autorizzazione per pubblicare quel dannato libello!
- Non usare questo tono con me, è chiaro? - sbraitò Napoleone, insofferente a quelle prese di posizione che il maggiore prendeva ogni tanto, lo facevano infuriare, perché mettevano in risalto il fatto che lui fosse il secondogenito. Lo prese per il colletto e lo sbattè contro la parete - Anche se sei il capofamiglia non tollero che mi parli in questo modo! Soprattutto con quel tono!
Giuseppe iniziò a tremare per la paura, con gli occhi spalancati e la bocca aperta, cercando di emettere qualche suono. L'espressione del fratello era glaciale e spaventosa: se il male avesse un volto sarebbe stato proprio quello che aveva davanti. Era forse quella la sua vera natura? Che rispecchiava il suo destino? Un ribelle, un rivoluzionario? Oppure qualcosa di più terrificante?
In quel momento le domande rimasero bloccate, non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quelli gelidi del fratello minore che sembrava lo stessero infilzando con stalattiti di ghiaccio alla bocca dello stomaco. Era paralizzato dalla paura, sentiva le labbra tremare.
- Calmati Nabulio, questi scoppi d'ira non ti aiutano - s'intromise lo zio allungando il braccio verso il minore, con fare rassicurante, era l'unico modo che conosceva per placarlo un po' - Giuseppe ha ragione, eravate due contro una folla immensa, vi avrebbero uccisi!
Napoleone lasciò la presa sul fratello e ringhiò sottovoce, a braccia conserte.
- Il pranzo è pronto - esclamò Letizia - Siete pregati di zittire tutti!
- Mi è passato l'appetito - emise Napoleone, allontanandosi e uscendo dall'abitazione per sbollire completamente la rabbia.
"Il solito irruente attaccabrighe" sospirò lo zio tra sé "Non oso immaginare quante risse abbia scatenato in Francia".
Giuseppe era ancora scosso da quell'espressione, gli era rimasta impresso negli occhi e stentava a credere che nessuno all'infuori di lui si fosse accorto del cambiamento del fratello. "Che sia stata solo una mia impressione?" si disse dubbioso.
Mentre stavano mangiando udirono un forte boato provenire dall'esterno, la massa si riversò nelle strade come un'onda gridando - Paoli, il patriota! Paoli, il patriota!
Napoleone rientrò in casa come una fulmine ad avvisare tutti, il malumore sembrava essere completamente svanito - Il Patriota sta per sbarcare al porto! - gridò, colto da un irrefrenabile entusiasmo.
Giuseppe, seguito dai fratelli più piccoli e dallo zio corsero immediatamente alla porta per rendersi conto di persona della situazione che stava accadendo sotto i loro occhi. Quando uscirono videro che oltre il piccolo cortile che circondava la casa, vi era una fila di gente per strada che si stava dirigendo verso il centro cittadino.
- Come? Il Patriota è già arrivato? - chiese Giuseppe che aveva raggiunto il fratello minore e come lui stava assistendo alla scena. Pochi giorni prima Clemente Paoli, fratello maggiore del Patriota, aveva ricevuto una lettera datata agli inizi di luglio in cui annunciava il ritorno del fratello, grazie ad un permesso speciale che riconosceva agli esuli di ritornare in patria.
- Sì - rispose Napoleone ruotando le iridi chiare verso di lui - E noi dobbiamo accoglierlo per primi, non passeremo per il porto, ma andremo dritti alla sala dell'assemblea in cui lo accoglieranno
- È un'ottima idea - s'intromise Luciano.
- È la cosa migliore da fare! - confermò con gioia Napoleone. Si sentiva emozionato come poche volte gli era accaduto in vita sua. Entrò nella stalla e prelevò il suo splendido esemplare arabo che sembrava eccitato quanto il suo padrone - Che cosa state facendo lì impalati? - chiese leggermente infastidito il sottotenente, già pronto per partire - Muovetevi! Non abbiamo un solo minuto da perdere!
Gli altri si diressero in fretta e furia verso la stalla seguiti dal zio maestro.
- Zio vuoi unirti a noi? - chiese il nipote.
- Volentieri - rispose lo zio sorridendo, con calma raggiunse anch'egli la stalla e salì sul suo destriero che non vedeva l'ora di fare una bella camminata. Fissò in silenzio il nipote che osservava l'orizzonte lontano e notò quanto fosse cambiato da allora, ormai era un uomo a tutti gli effetti.
Sul suo volto appariva con la solita espressione lievemente corrucciata, invasa da un fremito di emozione che traspariva nei suoi occhi brillanti e glaciali, che più di ogni altra cosa risaltava la sua interiorità.
- Ho per caso qualcosa che non va? - domandò il giovane, avendo notato l'insistenza con cui lo stava fissando.
- No...nulla...sei così diverso rispetto a qualche anno fa, sei un uomo adesso - ammise il maestro con un lieve imbarazzo.
Napoleone gli sorrise con gratitudine, poi vide i suoi fratelli arrivare e sbuffò irritati - Finalmente siete arrivati!
- Non siamo abituati come te ad agire di scatto - riferì Giuseppe.
- La velocità è fondamentale per qualsiasi cosa, tranne per pianificare - sospirò e poi ordinò - Ora andiamo
La caravella inglese era attraccata al porto, con la bandiera che sventolava con orgoglio, mentre loro proseguirono verso la sede dell'assemblea. Poco dopo videro una folla immensa, come poche avevano visto nelle precedenti riunioni, attorno al palco improvvisato.
- Sta arrivando - emise emozionato lo zio Giuseppe
- Sì è lui! Non ci sono più dubbi! - si disse Napoleone commosso: l'eroe della sua infanzia, l'uomo che aveva dato la speranza del riscatto, il Patriota che non gli aveva mai fatto perdere la sua identità e fatto cedere alle tentazioni, era finalmente tornato. Per la Corsica si riaccendeva l'occasione per arrivare in alto, molto più in alto di quanto potesse credere, forse.
Napoleone era così entusiasta che per il momento dimenticò persino il suo odio verso l'Inghilterra, concentrandosi solo sulla figura: ecco che si stagliava dinanzi a lui l'uomo della speranza, del riscatto, il Babbu a Patria, Pasquale Paoli decisamente invecchiato e leggermente goffo, ma ancora pieno di energia, di grinta, di voglia di rimettersi in gioco ancora una volta, sperando di realizzare il suo sogno e il sogno di tutti.