Il Segreto dei Vor

By Dark_Flame_94

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[Storia vincitrice dei Wattys19 nella categoria Fantasia] Nata nelle terre di Yer-ran, fin da piccola Rey des... More

Prima parte
1
2 - I
2 - II
3 - I
3 - II
3 - III
4 - I
4 - II
Seconda parte
5 - I
5 - II
6 - I
6 - II
6 - III
7 - I
7 - II
7 - III
8 - I
9 - I
9 - II
9 - III
Quiz
Terza Parte
10 - I
10 - II
10 - III
10 - IV
itaContest 2019
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20 - I
20 - II
21
22 - I
22 - II
23 - I
23 - II
24 - I
24 - II
25
Quarta Parte
Epilogo
Ringraziamenti

8 - II

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By Dark_Flame_94

II

Scesero le scale che conducevano in cantina, dove il fuoco era spento e la gigantesca incudine sul quale Tairan lavorava fredda. I vari attrezzi da lavoro, cioè i vari martelli e alcuni aggeggi utili per incidere il metallo che Rey non aveva mai capito come usare, erano tutti accatastati l'uno sull'altro sul pavimento. Alcune armi che avevano richiesto erano già pronte, e Tairan le aveva riposte sull'espositore a muro: erano due spade e una coppia di pugnali.

«Sai come si accende il fuoco, no?» le chiese, abbassandosi a raccogliere il suo martello migliore.

Rey aggiunse del nuovo carbone, formando una piramide con i vari pezzi. Scatenò delle scintille strofinando due pietre focaie fra loro; bastarono un paio di colpi e le fiamme attechirono. Attese quindi che il fuoco si ingrandisse e si accendesse per bene, aiutandolo con alcuni soffi. Lasciò che il carbone si riscaldasse abbastanza, mentre Tairan armeggiava con il metallo dietro di lei, prima di utilizzare il soffietto.

Quando era piccola, le capitava spesso di scendere a controllare il padre mentre lavorava, e ricordava di rimanere affascinata ogni volta dalla grandezza del fuoco. Il clangore del martello sul metallo riempiva l'intera cantina, e a volte, nel silenzio, anche in casa si poteva udire quel battito continuo. Fu in una di quelle occasioni che Tairan le aveva spiegato come accendere il fuoco.

Rey eseguiva ogni movimento proprio come lui le diceva, e ricordava ancora di come rideva felice.

«Ora, sai come si riscalda il metallo?»

Tairan prese una lastra e la pinza e glieli porse.

«No, non lo so,» rispose senza entusiasmo.

«Bene. Allora guardami, te lo faccio vedere.» Lui immerse il metallo nel fuoco, che si riscaldò fino a diventare incandescente.

Rey lo osservò in silenzio, ma non stava davvero facendo caso ai suoi movimenti. I pensieri le si erano bloccati. Aveva creduto che volesse parlarle del rito, della sua sconfitta, di ciò che significava per la famiglia Estender perdere il diritto di essere Guida. Perché all'improvviso si era fissato con la forgia? Sapeva benissimo che lei non aveva nessuna intenzione di seguire le sue orme.

Si accorse che lui le stava parlando soltanto dopo alcuni minuti, e sollevò gli occhi con la fronte corrugata.

«Ma mi stai ascoltando?» La voce di lui tuonò nella stanza. Di solito non si scaldava tanto facilmente, e lei si rimpicciolì un poco nel sentirlo alzare il tono.

Allora era arrabbiato. Fare finta di niente era soltanto il suo modo di reagire, che in un certo senso non era affatto diverso dall'istinto di fuggire che aveva animato la figlia.

«Papà, io non voglio lavorare qui,» gli disse.

Tairan impiegò diverso tempo a risponderle. Estrasse la lastra di metallo dal fuoco e la posò sull'incudine. In un momento in cui Rey non guardava, aveva indossato il grembiule da lavoro. «Neanche io volevo, alla tua età,» ammise. «Ma scoprii di essere portato, molto più di mio padre, e alla fine mi ci appassionai.»

«Non è questo che voglio dire,» borbottò lei. «Perché me lo stai insegnando adesso

«Perché ormai sei una donna, ed è il momento che impari a lavorare.»

Aveva indosso quel cipiglio che lei aveva tanto desiderato evitare.

«Ma io non voglio restare qui. Io voglio andare ad Arilia.» La prospettiva di rimanere in quel villaggio per il resto della vita la distruggeva nell'animo. Non avrebbe mai conosciuto nessuno di nuovo, avrebbe dovuto sposare il meno peggiore dei ragazzi di Er-lor, e accontentarsi di vivere come avevano vissuto i suoi genitori. Avrebbe condannato anche Areth a un'esistenza di sogni infranti.

Tairan prese il martello che aveva poggiato accanto all'incudine. «Anch'io volevo andarmene da qui, alla tua età,» rispose soltanto.

«Ma mi avevate promesso che...»

«E tu mi avevi promesso che ti saresti impegnata.» Non fu con rabbia che pronunciò quelle parole, ad animarlo fu soltanto un senso estremo di esasperazione, facilmente riconoscibile nella voce.

Rey affondò i denti nel labbro inferiore per impedirsi di dargli una rispostaccia. «Io mi sono impegnata,» replicò.

«Davvero? A me non sembra. Non c'era nessun bisogno di allontanare Areth.»

«Che differenza fa? Non avrei accettato comunque l'incarico, perché mi avevate promesso che avreste fatto di tutto per portarmi ad Arilia!»

«L'abbiamo promesso,» ammise lui, lasciando scivolare il braccio armato di martello lungo il fianco. Si voltò in direzione della figlia, ma non sollevò lo sguardo sulla donna che ormai era diventata. «L'abbiamo promesso, è vero. Mi dispiace deluderti, fah-s, giuro che vorrei tanto che tu fossi felice. Ma non possiamo.»

Le unghie le si conficcarono nei palmi. Le labbra erano premute l'una contro l'altra, e i muscoli delle braccia contratti.

«Non abbiamo i soldi per farti stare lì...»

«Posso stare dai miei nonni,» lo interruppe, ripetendo la stessa proposta di sua madre.

«Sì, ma anche così, l'Accademia ha dei costi elevati. E comunque rimane il problema del viaggio. Io non posso accompagnarti, lo sai che non posso allontanarmi.»

«Quindi devo restare qui per il resto della mia vita?» disse lei, alzando il tono più di quanto avesse desiderato.

Tairan non rispose, si limitò ad abbassare il capo. Era stato sincero quando le aveva detto che avrebbe trovato il modo di realizzare il suo sogno? Ci aveva provato davvero? O aveva solo sperato che, crescendo, lei avrebbe capito da sé che fosse infattibile e si sarebbe rassegnata?

Rey scoprì che la risposta non le interessava. Aveva sempre saputo che non sarebbe stato facile, eppure loro avevano continuato a rassicurarla: ci avrebbero pensato loro a superare gli ostacoli. Avrebbero fatto qualsiasi cosa. Sua madre l'aveva incoraggiata soltanto pochi minuti prima. Forse nemmeno lei si era aspettata un'arresa di Tairan, o forse aveva sperato che fosse lui a sfasciare i sogni della figlia.

Tairan non aveva alcuna intenzione di parlare, perciò lei si lanciò in una corsa sulle scale e uscì dalla forgia, uscì di casa, senza guardare in faccia nessuno. Nemmeno Areth.

L'aria fuori era fredda, le labbra le divennero violacee mentre correva senza una meta. Permise alle lacrime di offuscarle la vista, permise al suo cuore di sanguinare e all'anima di incrinarsi.

Incontrò Kirr e Ymby-lan nel mezzo della sua fuga. Erano entrambi intenti a chiacchierare, e chiamarono il nome di Rey quando lei passò loro accanto, ma lei non si fermò. Li salutò con un cenno della mano e continuò per la sua strada.

Uscì da Er-lor, e quando riprese il pieno controllo delle gambe rallentò per controllare dove l'avessero portata. Era al solco fra le due montagne, dove non c'erano alberi né piante, ma solo rocce. Non era mai andata da sola fin lì, non senza la certezza che Kirr fosse ad aspettarla, o senza Areth.

Si sedette su una roccia piuttosto grande e poggiò i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo rivolto al cielo. In un istante, tutti i suoi sogni di andarsene a studiare i Vor, di indagare sulle loro origini, erano andati in frantumi. Aveva davvero creduto di avere la possibilità di scegliere come condurre la propria vita, e i suoi genitori l'avevano illusa.

Incapace anche di versare altre lacrime, lasciata sola con la propria sofferenza, Rey perse il senso del tempo.

Si rese conto che il sole stava calando oltre le montagne soltanto quando una creaturina le si sedette sulla nuca. Areth. Non sapeva cosa fosse accaduto, ma aveva percepito lo stato d'animo della Dominatrice e l'aveva seguita fin lì.

«Rey,» mormorò.

«Non ce ne andremo mai da qui,» gli spiegò lei.

«Sì, l'avevo immaginato.»

Perciò anche lui non aveva mai davvero creduto alla possibilità che la loro vita sarebbe stata qualcosa di più. Rey si sentì una vera idiota per essere stata tanto cieca da non capirlo prima.

«È questo che significa diventare adulti?» chiese, con la faccia nascosta fra i palmi. «Significa mettere da parte i tuoi sogni e accontentarti della vita che ti è capitata? Perché se è così, preferisco restare immatura ma continuare a sognare.»

Areth non aveva una risposta, lui non era ancora nemmeno diventato un adulto.

Rey percepì un calore nel petto. Si portò una mano sul cuore, dove quella sensazione aveva origine, senza capire. Fu soltanto quando Areth batté le ali e si librò in volo per sparire nel cielo che comprese: era lui, tramite il loro Legame. Non smettere mai di desiderare era il messaggio che voleva trasmetterle.

Non smettere mai di desiderare di più. Non accontentarti mai.

Aveva ragione lui.

Rey afferrò il puntino luminoso che era diventato con una mano. Non aveva importanza se nessun altro l'avrebbe creduto possibile, lei avrebbe continuato a inseguire il suo sogno con tutta se stessa.


Note:

Qui ci tengo a farvi sapere una cosa. Questo capitolo è, in parte, autobiografico. No, non nel senso che volessi andare a studiare i Vor (oddio, vorrei se esistessero), ma la delusione di Rey nel vedere i suoi sogni infrangersi così... be', questo l'ho sperimentato da me. Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, per me scriverlo è stato difficile perché ho dovuto osservare un po' troppo quello che avevo dentro. Però nel rileggerlo ho scoperto che il risultato, stranamente, mi piace.

Grazie mille per essere arrivati fin qui! ^^

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