LA QUINTA LAMA (III) - I supp...

By MartinaCarraretto

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[COMPLETO] La guerra è finita e i regni sono, oramai, in pace. Ma qualcos'altro minaccia la corona di re Goh... More

Prologo - parte 1
Prologo - parte 2
1 IL CONFLITTO FRA I REGNI
1.2
2 FESTEGGIAMENTI
2.2
3 PROMOZIONE
3.2
4 CRONACHE DEL RE BRUTO
5 MACCHIE
5.2
6 L'EPIDEMIA
6.2
7 LA NOTIZIA
7.2
8 L'AGONIA
8.2
9 IL RITO
9.2
10 MISTERI A PICCOLO FIUME
10.2
11 STRANI EVENTI A PALAZZO
12 TUFFO NEL PASSATO
12.2
13 TERRIBILI SOSPETTI
13.2
14 SENTIMENTI
14.2
15 LA SETTA DELLE QUATTRO LAME
15.2
16 L'ESECUZIONE
16.2
17 LORD GYLEANO
17.2
18 IL VECCHIO FOLLE
18.2
19 L'INCORONAZIONE
19.2
20 LA PROFEZIA
20.2
21 TRADIMENTO
21.2
22 L'INTERROGATORIO
23 MEDICUS
23.2
24 FUGA
25 LA PUPILLA
25.2
26 LE CINQUE LAME
26.2
27 IL SALUTO
27.2
Epilogo - parte 1
Epilogo - parte 2

4.2

118 8 0
By MartinaCarraretto

La luce aranciata del tardo pomeriggio era spezzata, a tratti, dalla fila di cipressi che fiancheggiava il muretto sul quale, seduta con i piedi a penzoloni sul vuoto, stava Dazira.

Sotto di lei, la brezza del mare le accarezzava i capelli sciolti, più lunghi di quanto fosse solita portare. In effetti, aveva deciso di non tagliarli.

Le sue mani stavano accarezzando delicatamente i rilievi sulle pagine in cartapecora del libro, gli occhi puntati su un'illustrazione. Un'immagine che aveva catturato la sua attenzione dal primo momento in cui, nelle sue stanze, aveva aperto quelle pagine.

Raffigurava un mostro. Raffigurava il Nero. In qualche modo, era come guardarsi allo specchio.

Le zanne appuntite, le ali sbrandellate, del colore della pece. Il corpo, animalesco, era coperto di pelo.

A guardare quel disegno stilizzato, Dazira rabbrividì. Lei era quello. Era quella bestia, ciò che gli altri vedevano.

I suoi occhi, però, furono improvvisamente attirati dalla dicitura in basso, scritta a mano, con un'elegante grafia e l'inchiostro nero. "Colpa", c'era annotato.

Per infiniti attimi, la ragazza non riuscì a distogliere lo sguardo e i pensieri da quelle cinque, semplici lettere.

Colpa. Era quello che sentiva. Era un marchio indelebile sulla sua pelle. Quelle cinque lettere parevano, a vederle, quasi liberatorie. Lei era colpevole, e lo sarebbe stata sempre.

Leggere quella parola, posta proprio sotto a quell'immagine, fu, per certi versi, gratificante. Dazira sapeva che non avrebbe mai potuto discernere completamente sé stessa e la volontà del demone (benché, ora, riuscisse a controllarne la fame), ma, quella didascalia pareva giustificare tutti quegli omicidi rimasti ingiustificati.

Lei non poteva evitarlo, e il libro ne era la prova.

Il punto era: la prova contro chi? Nessuno la stava condannando per ciò che aveva fatto. Anzi, ora era un'eroina. Ma, allora, per quale cavolo di motivo ci teneva tanto a giustificarsi?

Quel libro, forse, avrebbe risposto a molte delle sue domande. Per certi versi, l'aveva già fatto quando la principessa Pheanie, durante la guerra, le aveva fatto ricevere alcune lettere nelle quali raccontava, appunto, ciò che aveva letto nella copia che Gineris aveva sottratto.

In quel momento, la ragazza s'illuminò. C'era qualcosa, in ciò che aveva letto al fronte, che le ricordava quella parola.

"Colpa", la principessa, l'aveva già nominata.

Con nuovo slancio, Dazira iniziò a sfogliare il libro, alla ricerca di quel passaggio, quello che le era già stato riportato da Pheanie durante la corrispondenza.

Ci vollero alcuni minuti, ma, ad un tratto, Dazira riconobbe parte della storia e, senza soffermarsi troppo sul racconto in sé, recuperò quel pezzo di storia che, per giorni, le aveva dato qualcosa a cui pensare, quando combatteva al fronte:

«Voglio solo avvertirvi: se vorrete tra le vostre mani il potere divino, dovrete subire in cambio tante sofferenze quanti sono stati i sacrifici!»

«Sofferenze?» domandò ancora Dorothar, prendendo coraggio e facendosi avanti mentre si mostrava in tutta la sua fiera ambizione. L'ombra si mosse a sua volta ed indicò gli affreschi che erano stati dipinti sul muro del santuario. «Cinque grandi supplizi che dovrete sopportare voi stesso: dolore fisico, eterna solitudine, perdita dei cari, senso di colpa, l'assenza del calore umano» rispose l'ombra del santuario.

Cinque grandi supplizi. Cinque grandi sofferenze che lei stessa provava e avrebbe provato.

Una domanda, a quel punto, le sorse spontanea e, con le dita, sfogliò di nuovo le delicate pagine del libro, giungendo di nuovo all'icona del demone: perché, se le sofferenze erano cinque, lì ce n'era scritta soltanto una?

«Lettura interessante?»

Dazira sussultò. Con uno scatto, chiuse il volume e portò gli occhi su Ernik che, in piedi davanti a lei, aveva le mani posate sui fianchi ed i capelli – un po' troppo lunghi – legati sulla nuca. «Abbastanza» rispose con un sorriso sghembo.

«Dovrei sentirmi onorato...» affermò il ragazzo, con un sorriso che formò due fossette ai lati della sua bocca. Si sedette accanto a lei, a cavallo del muro, lasciando che una gamba oscillasse a penzoloni sullo strapiombo. «La paladina del regno seduta qui, nel mio posto segreto!»

Il nostro posto segreto, lo corresse Dazira, mentalmente. Che, poi, di segreto, non aveva proprio nulla. Non era un luogo sconosciuto, né, tantomeno, nascosto.

Ma, fatto, per loro, inspiegabile, quel muretto era sempre deserto, o quasi.

«Il tuo posto segreto?» domandò Dazira, sollevando un sopracciglio mentre lo guardava negli occhi nocciola.

Ernik abbassò lo sguardo, sopprimendo un sorriso. «Stai dicendo che c'è ancora qualcosa che vuoi condividere con me?» Benché il tono fosse ilare, però, la nota amara prese il sopravvento.

Sì, erano entrambi seduti sul muretto... e, sì, lo avevano fatto un sacco di volte. Ma, ora, era diverso. Erano lontani. Così lontani.

Erano passati anni. A Ernik era cresciuta la barba folta, nonostante la tenesse curata, il suo fisico si era fatto più massiccio, i lineamenti più mascolini. Era un uomo. E, anche lei era cambiata: le guance meno piene, il corpo più definito. Soprattutto, però, erano cambiati dentro.

«Dico solo che non possiamo dimenticare il passato» mormorò la ragazza, accarezzandosi i capelli castani con la punta delle dita. «Né in bene, né in male. Semplicemente è lì, esiste e, per quanto ognuno di noi preferirebbe farne a meno, non possiamo fingere che non sia mai esistito. Sarebbe come prendersi in giro da soli». Lo disse tutto d'un fiato, tenendo lo sguardo basso. Poi, incrociò gli occhi di Ernik, che la guardava sbigottito e visibilmente ferito.

Era quello che voleva. Dazira voleva quella reazione, da parte sua. Quell'indifferenza e quel fatalismo avevano l'obiettivo di colpire nel segno e, a quanto pareva, erano arrivati a destinazione.

Nonostante avesse ottenuto l'effetto desiderato, però, quella reazione non soddisfò appieno il risentimento di Dazira.

Per molto tempo aveva pensato di far star male Ernik come lui aveva fatto stare male lei. Ma, in fin dei conti, lei non aveva mai smesso di stare male: quel boccone amaro era sempre lì ed aveva preso il nome di rancore.

Fu allora che Dazira si rese conto che avrebbe dovuto accantonare. D'altronde, come aveva giustamente osservato prima, erano entrambi cresciuti ed Ernik non era lo stesso Ernik di quando l'aveva abbandonata in quella schifosa prigione.

La ragazza sospirò. «Non voglio vivere nel passato, ma voglio accettarlo per quello che è stato...» continuò, deglutendo rumorosamente. «E, che ci piaccia o no, questo è sempre stato il nostro posto preferito... inutile fingere il contrario».

Per un lungo istante, tra i due calò il silenzio, rotto solo dal rumore delle onde che s'infrangevano sotto di loro. «A volte vorrei tornare nel passato» dichiarò lui, portando lo sguardo verso il mare. «Farei delle cose diversamente».

«Forse non saresti qui, dove sei ora».

Silenzio. Di nuovo. Ernik si morse un labbro, poi tornò a fissare la ragazza. «Forse avrei qualcos'altro» sussurrò.

Dazira socchiuse un poco gli occhi in un'espressione perplessa. «Non sei felice di quello che hai raggiunto?»

«Sì, lo sono» si accinse a precisare il ragazzo, con convinzione, ma non senza quell'espressione amara dipinta sul volto. «Ma c'è l'altra faccia della medaglia: quante persone ho ferito per trovarmi dove sono ora?» Entrambi, però, sapevano che Ernik non si riferiva affatto al campo di battaglia.

«È il prezzo da pagare...»

Il ragazzo annuì. «Il senso di colpa» concluse, al posto di Dazira.

«Già» sospirò lei. «Io ne so qualcosa».

●●●

Therar era piegato sulla sedia, lo sguardo fisso sul paesaggio che ben si vedeva dalla finestra: il mare, all'orizzonte, carezzava la baia che s'interrompeva lì, ove lo strapiombo non permetteva più di osservare. Sul basso muro di roccia sul quale, un tempo, doveva essere stata apposta una guardiola, erano sedute due persone, all'ombra dei cipressi.

Sembrava così assorto... eppure, Pheanie era certa che l'avesse sentita entrare.

Per qualche minuto, la donna non disse nulla, si limitò a spostare gli occhi da lui all'incantevole tramonto, e, poi, di nuovo a lui. «Sei diverso» disse, accostandosi al ragazzo.

Lui aggrottò la fronte e si voltò nella sua direzione. «In che senso?»

«Non lo so... hai qualcosa di nuovo nell'espressione...»

Therar, però, non rispose.

Pheanie sorrise comprensiva. «È per Dazira» affermò. Non era una domanda. Pheanie aveva smesso da un po' di tempo di porgli domande. Chiedere qualcosa a Therar non era affatto il modo giusto per ottenere delle risposte da lui.

«Sai» continuò lei, «questo tuo incarico che all'inizio non desideravi si è rivelata la cosa migliore che ti potesse capitare...»

«È ancora una scocciatura».

Pheanie scoppiò a ridere e, nonostante la compostezza del ragazzo, la principessa notò una nota più morbida nella sua espressione. «Tu le vuoi bene. L'ho visto» dichiarò lei, accarezzandosi il corpetto stretto in vita da sottili nastri di diversi colori. «In qualche modo, ti ha cambiato in meglio doverti prendere cura di lei» spiegò con soddisfazione nell'osservare che il giovane non la stesse contraddicendo. «Da quando Dazira è tua allieva guardi anche le altre persone in maniera diversa... e credo di aver capito perché».

Ancora una volta, Therar non rispose, invitandola con lo sguardo a continuare la sua analisi: «Lei è forte. È coraggiosa. Ha la morte dentro di lei e nonostante questo affronta il mondo con un'innata voglia di vivere» asserì la donna, guardandolo di sottecchi. «Credo che avere a che fare con lei ti abbia mostrato un nuovo modo di reagire al dolore, qualunque cosa sia quella che ti porti appresso».

Quello che Therar si portava appresso, Pheanie non l'aveva mai saputo.

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