Heart's in right side

By Anya_Tara

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Todoroki sfugge allo sguardo rosso che gli si posa addosso di sfuggita, a quell'angolo delle labbra impunemen... More

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By Anya_Tara

Un rumore sul ripiano della scrivania.

Una matita che batte ora la punta ora il fondo sul legno.

Non ha pazienza Enji Todoroki, quando è sul lavoro poi meno che mai.

Fuyumi l'ha chiamato, percettibilmente alterata. Ieri non ha avuto modo d'incontrarla, essendo la domenica il giorno in cui i ragazzi fanno visita alla madre ha preferito pranzare fuori e starsene in ufficio tutto il giorno.

Non lo ammetterà mai, ma ancora, di tanto in tanto, gli sale il dubbio che sua figlia possa domandargli se vuole andare assieme a loro.

Ecco perché evita. Preferisce tenersi il tarlo, piuttosto che andare incontro ad una realtà dolorosa. Di cui è lui stesso l'artefice, forse.

Ma non riesce ancora a perdere del tutto le speranze. Ha lottato a lungo, senza arrendersi, senza cedere al Fato beffardo che ogni volta lo privava della giusta ricompensa. Ogni gravidanza, una nuova, cocente delusione. Fuoco, femmina, ghiaccio.

Alla fine aveva avuto ciò che bramava. Il suo gioiello, l'erede perfetto, il suo Shouto.

Che però continua a fare le bizze e ribellarsi all'autorità paterna.

E adesso Fuyumi è in pena proprio per lui. L'ennesimo colpo di testa, l'ennesima puntata di piedi adolescenziale. Età maledetta.

Si augura che suo figlio ne esca in fretta. Che diventi più ragionevole, malleabile ai consigli paterni e la smetta di incaponirsi. E' testardo, Shouto: almeno quanto Enji stesso. Se non fosse che gli rema contro sempre e comunque, ne sarebbe enormemente orgoglioso.

Ma tanto prima o poi cederà, ne è sicuro. E' soltanto questione di tempo.

Forse ... gli servirebbe solo allentare un pochino la tensione. E' un bel ragazzo suo figlio, ha notato la stregua di ammiratrici che si porta dietro anche se ha soltanto sedici anni, diciassette a gennaio. Ormai è un uomo, di sicuro sente anche lui certi desideri, anche se sembra sempre così compassato e disinteressato in fondo ha il sangue caldo dei Todoroki che gli ruggisce nelle vene. Anche se si rifiuta di ammetterlo, e magari si rifiuta pure di accondiscendere ai suoi stessi impulsi, preso dalla smania di controllarsi all'estremo.

Non hanno mai fatto di questi discorsi, non si è mai preoccupato di istruire suo figlio in questo senso. Ha sempre pensato che non occorresse, che in un determinato momento Shouto prendesse e seguisse l'istinto, che di belle ragazze esperte ce ne sono tante. Ma è quasi convinto che il suo erede non si butterà via con la prima che passa, aspetterà quella giusta, con un pedigree impeccabile e si concederà le gioie del talamo solo dopo averla impalmata come si deve.

In realtà anche lui ... ha fatto così, più o meno. Avrebbe potuto divertirsi un sacco, ma aveva in mente solo il suo obiettivo e non gli interessava andare in giro a scopare di qua e di là. Ha avuto qualche rapporto, quanto richiedeva il suo onore e la sua fame di giovane uomo, con delle donne disponibili e disinibite; ma è stato un semplice sfogo fisico, nulla di che. Senza un grande appagamento: il sesso gli piaceva, d'accordo, ma toccarsi e strusciarsi e tutte quelle cose con una sconosciuta che sapeva già a priori non possedesse ciò che cercava lui ... bah. Lo lasciava alquanto indifferente.

E poi era arrivata Rei.

Ricorda, Endeavor, il breve periodo del loro fidanzamento. I suoi timidi baci a labbra chiuse, le sue mani sempre fredde che gli si posavano sul petto, puntando i piedi. La sua purezza era sconcertante: avrebbe dovuto essere quasi avvilente, tanto era riservata e quieta e restia a lasciarsi andare, invece era stata una sfida appassionante, farle conoscere il piacere carnale.

La prima notte di nozze è un frammento che custodisce gelosamente nella sua memoria. Era così tesa e spaventata, ma si fidava di lui. Anche se non lo conosceva quasi, si era affidata alle sue mani con dolcezza, lasciandosi spogliare, ammirare in tutta la sua glaciale bellezza.

Era stato attento a non ferirla, si era fatto strada in lei lentamente, assicurandosi che non soffrisse troppo. Sembrava così fragile sotto il suo corpo possente, suscettibile di doversi quasi spezzare nell'accoglierlo dentro di sé, di doversi sciogliere avvolta nel suo calore intenso e lasciarlo a stringere delle lenzuola bagnate.

Invece no. L'aveva sentita ansimare, rabbrividire, cercargli le spalle per artigliarle con le piccole dita, gemendo e sussultando, aderendo a lui e assecondando ogni suo movimento. Arrendevole ma non fino in fondo, disposta a lasciarsi guidare ma pronta a restituirgli ogni tocco, appena l'aveva imparato.

Era stato lui a sciogliersi infine. Ancora, e ancora. Tanto che era rimasta subito incinta, ed Enji era stato a guardare quella pancia crescere ogni giorno un po' di più, speranzoso, gustando finalmente la dolcezza del riposo, sapendo che adesso avrebbe avuto il figlio che tanto aspettava, il suo premio.

Ed era nato Touya. Si era dato pazienza finché non aveva compiuto quattro anni, manifestando un quirk solo di fuoco, esattamente come il suo. E aveva ricominciato a provare, sperare, senza darsi per vinto.

Quindi era arrivata Fuyumi.

Natsuo era stato il terzo.

Endeavor a quel punto era deluso. Tre figli, e non uno che rispecchiasse il suo ideale.

Era sempre più affamato, lungi dall'essere stanco aveva continuato a cercarla, ancora, e ancora. Ogni notte, aveva bisogno di ottenere il coronamento dei suoi sforzi, non poteva fermarsi adesso.

Alla quarta gravidanza manco gliel'aveva detto, Rei. Tardava sempre un po' di più, da un mese a due e poi all'ultima ha aspettato che si cominciasse a vedere la pancia incurvarsi dolcemente, prima di sbattergli in faccia che sì, era di nuovo incinta.

Questa volta sarebbe stata quella giusta. Se lo sentiva.

Appena venuto al mondo Shouto aveva capito di avere ragione. Il suo aspetto parlava già chiaro: metà e metà. Gli fremevano le mani quando lo aveva preso in braccio, non vedeva l'ora che manifestasse il suo potere per cominciare ad allenarlo, istruirlo, mettere in pratica i progetti e i sogni di tutta una vita.

Poi era andato tutto a puttane.

Ricorda ancora. Un momento di apparente pace, in cui aveva sentito la necessità di dimostrarle un minimo di riconoscenza, perché l'aveva seguito in quella via e l'aveva accontentato, aveva accettato di sottoporre ogni volta quel corpo snello e delicato al dolore del travaglio e del parto, continuando ad allevare gli altri figli già nati, ad occuparsi delle faccende di casa.

Stava lavando i piatti dopo la cena. Enji osservava i suoi gesti, ammirava il fisico ancora perfetto dopo quattro figli e improvvisamente aveva sentito qualcosa nel profondo, che prima non si era mai soffermato a guardare più da vicino come quella sera stava facendo con lei.

Un pizzico di gratitudine, forse.

Allora si era alzato e le era andato accanto, posandole la mano sul fianco esile e morbido, senza nessuna intenzione secondaria, non al momento.

Da mesi non faceva l'amore con lei, perché da dopo che era nato Shouto avevano iniziato a farlo sempre più sporadicamente, fino a ridursi quasi a zero. Nemmeno lui stesso sapeva perché; forse provava un'inconscia remora a renderla di nuovo incinta, ormai quel discorso era chiuso, non aveva più senso continuare a tentare.

Però ultimamente la sentiva troppo distante, Endeavor. Temeva che sua moglie iniziasse a pensare che avendo concluso il suo compito non avesse più voglia di sprecare energie in quel modo, che per allenare Shouto ne occorrevano già tante. O che trovasse il suo sollazzo fuori casa.

No, quello mai. Poteva essere com'era, ma non avrebbe mai cercato un'altra donna finché era sposato con lei. Lo attraeva ancora, tanto; dopo tutti quegli anni aveva imparato a conoscere ogni angolo di lei, ogni suo verso, ogni suo sospiro, sapeva esattamente come toccarla per farla stare bene, darle piacere.

Voleva ancora averla vicina. Non per quel desiderio che aveva pervaso e dominato tanta parte del loro matrimonio ma per loro due, per lei stessa.

Rei però l'aveva guardato con quegli occhi limpidi spalancati, quasi terrorizzata da quel gesto pacato e dolce, spontaneo.

Quello sguardo aveva distrutto tutto in un istante. Era raggelata, fino nel profondo, così aveva posato giù la mano e si era voltato.

Poco dopo era impazzita. La sua mente aveva ceduto e aveva ferito gravemente loro figlio.

Così si era trovato costretto ad istituzionalizzarla. Ma dal momento in cui aveva varcato la soglia dell'ospedale psichiatrico Endeavor mai si era concesso una scappatella; mai, nonostante le occasioni non mancassero e da dieci anni fossero sposati solo sulla carta. Non l'aveva più rivista, gliene mancava il coraggio. Continuava solo a mandarle i suoi fiori preferiti, gli stessi del suo bouquet da sposa.

Pensava di dover rimediare. Aveva tradito la fiducia che lei gli aveva dimostrato quella loro prima notte insieme. E voleva che Rei lo sapesse che si teneva fedele, malgrado forse non gliene importasse. Che credesse che sicuramente aveva trovato di che consolarsi, e che forse lo pensassero anche i suoi figli.

Forse anche per questo Natsuo cova tanto rancore. E Shouto, pure.

Shouto che a detta della sorella sta prendendo una piega ancora più strana.

Ci pensa un po' su.

Forse Fuyumi ha ragione.

E' vero, è stato duro fin qui con lui. Ma ora è abbastanza grande, può concedersi qualche svago, se vuole.

Anzi, dovrebbe.

E lui dovrebbe andare a parlare con suo figlio. Indicargli la via, esortarlo a cedere alla sua natura ancora una volta. Caparbio com'è c'è da aspettarsi che non gli darà ascolto; non subito, almeno.

Ma com'è stato per Midoriya, appena troverà l'avversaria che sappia dove mettere le mani gliene sarà grato, di quei consigli.

Ne è certo.

Prende il cellulare, scrive un breve messaggio. " Va bene. Ci vado ".

La risposta non si fa attendere. " Grazie, papà. Grazie ".

Questa davvero non se l'aspettava, Aizawa –sensei.

Tornato in ufficio dopo l'orario di scuola ha trovato una sorpresa. Ovvero, da un certo qual punto di vista era pure logico accadesse, se ti sospendono il figlio chiaro che vuoi sapere che cosa ha fatto e perché.

Ma non pensava che Todoroki junior fosse tanto intimo col padre da dirglielo, anzi.

A meno che non l'abbia mandato con l'intenzione di farsi condonare la pena.

Assolutamente no. Può levarselo dal cervello. E' stato davvero troppo, ancora oggi in classe ha dovuto smorzare le ultime braci di quell'incendio annunciando che chiunque ne avesse ancora parlato, si sarebbe guadagnato un bel test extra, durante la prova fisica della settimana seguente.

Si erano azzittiti tutti per incanto. << Endeavor. Non mi aspettavo una tua visita >>. Aizawa gli accenna alla sedia, ma lui resta in piedi, a braccia incrociate.

Era proprio necessario venire in tenuta da Hero? Mah. Vabbè che per come è lui magari ci dorme pure, con quella addosso. << Immagino ... che tuo figlio ti abbia messo a parte del casino che ha combinato >>.

Endeavor riduce gli occhi glaciali in due fessure. << Casino? >>.

<< Già >>. Aizawa si siede. Se Enji vuole starsene in piedi come un candelabro che si serva pure. Lui non ha alcuna intenzione di sprecare energie. << E' stato sospeso, per cinque giorni >>.

Sembra genuinamente sorpreso. Allora, se non è per quello che è successo, perché è qui? << Pensavo lo sapessi >>, dice.

<< No. Per quale motivo l'hai sospeso? >>.

<< Ha lottato contro un suo compagno di classe. E non durante un allenamento. Si sono accapigliati e tuo figlio è stato sul punto di usare il Flashfire, quando sono intervenuto >>.

Endeavor tace, l'espressione sulla sua faccia è esterrefatta. << Il Flashfire? >>.

<< Già. Con tutte le conseguenze che potevano esserci. Soprattutto per l'altro in questione, Bakugō Katsuki >>.

<< Ma ... >>.

<< Non ti preoccupare. Ho già provveduto a dargli una bella lavata di capo, e una punizione. Non ... >>.

<< E' fantastico! >>.

Aizawa rialza lo sguardo su Endeavor, perplesso. << Scusa? >>.

<< Mio figlio è ricorso al fuoco ... per lottare? >>.

Aizawa fa schioccare la lingua. << Hai sentito quel che ti ho detto? Poteva ammazzarlo, e ammazzarsi >>.

<< Sciocchezze. Shouto è più che in grado di controllare il suo potere. E il fatto che vi sia ricorso di sua spontanea volontà, senza che debbano averlo spinto, per sfidare un compagno vuol dire che finalmente è pronto a prendere il posto che gli spetta come erede dei Todoroki >>.

Sembra estatico. Come un fanatico a cui hanno annunciato l'avvento della sua divinità, o una ragazzina che sa che incontrerà il suo idolo.

Ed è ... patetico.

Aizawa non riesce a reprimere un'espressione vagamente disgustata. << Comunque, se vuoi vederlo è in dormitorio >>.

<< Ha riportato danni? >>, domanda Endeavor improvvisamente interessato, quasi inquieto.

<< No, solo un po' di stordimento, e qualche livido che penso sia dovuto alla colluttazione precedente >>.

Le spalle larghe si sollevano. << Allora sta bene. Più che bene. Io stesso ... ho riportato conseguenze serie, dopo averlo usato. Ma se lui n'è uscito così ... meraviglioso. Meraviglioso. Lo sapevo, che non mi avrebbe deluso >>. Poi stira un sorriso cinico. << E quel Bakugō ... >>.

<< Anche lui se l'è cavata con poco. Giusto una botta in testa e qualche graffio. Ma poteva andargli molto peggio, considerato il suo quirk >>.

<< Be', non era lui che al Festival voleva che Shouto usasse tutto il suo potere nello scontro? Quindi se gli fosse capitato qualcosa se la sarebbe cercata. Ora che l'ha provato, mio figlio, sa che non deve giocare con il fuoco >>. Sorride, tutto fiero della sua battuta. << Di sicuro ha imparato la lezione. Mai sfidare un Todoroki >>.

Ad Aizawa si torce lo stomaco. Se non fosse che dovrebbe affrontare pesanti conseguenze, gli tirerebbe un cazzotto dritto su quella faccia di merda che si ritrova.

<< Allora me ne vado. Prenditi cura del tuo allievo, Eraser. E' prezioso >>. E se ne va, tutto imbaldanzito.

Eraser non ha neppure insistito per convincerlo a vedere suo figlio.

E' meglio che gli stia lontano, dopo quello che ha visto e sentito.

Non c'è da stupirsi se Shouto sia andato fuori di testa. Con un padre del genere chiunque sbarellerebbe, prima o poi.

Guarda ancora la porta, scuotendo la testa. Poi apre la finestra, gli pare si sia appestata l'aria dell'ufficio di quella boria insopportabile.

Che miserabile bastardo.

Anche qualcun altro segue la camminata trionfale di Endeavor fuori dall'edificio. Con aria ancora più disgustata di quella di Aizawa.

Pezzo di merda.

E' un pidocchioso, lurido bastardo.

La dimostrazione che si può essere Eroi e merde al tempo stesso.

Era tornato in infermeria a farsi dare un antidolorifico, le braccia gli dolevano ancora per lo scontro senza precauzioni. E aveva intravisto camminare per i corridoi l'alta figura di Todoroki senior, sfilare dritto e fiero come se gli avessero ficcato un palo su per il culo.

Lì per lì ha pensato fosse accorso ad intercedere per il suo prezioso erede, tentando di gettare tutta la colpa su di lui, Bakugō.

Così l'aveva seguito. Appena Endeavor si era socchiuso la porta alle spalle si era piazzato spalle al muro, come aspettasse il suo turno per entrare nell'ufficio e così non dare nell'occhio.

E aveva sentito tutto. Ogni cosa.

La mano si serra in un pugno. Fa ancora un po' male, nonostante le cure ricevute.

Ma se fosse stato lui al posto di Morto di sonno non si sarebbe fatto scrupolo di tirargli un pugno in faccia, a quel coglione.

E' arrabbiato. Furibondo.

E strano ma vero, non per quello che ha detto di lui.

Ha sbagliato a sottovalutare Shouto. Si sta rimangiando una per una le frasi che gli ha rivolto: l'ha fatto. Non pensava fosse così folle da ricorrere al fuoco, finalmente, contro di lui, spingendoglielo contro senza pietà.

Come sabato sera gli ha spinto contro il suo corpo morbido e duro, insieme. Quella pelle fredda e rovente, il suo profumo mischiato di legni preziosi, rari, caldi, con qualcosa di selvatico dentro, che gli faceva pensare ad un bel fuoco acceso in una baita, e fuori neve e ghiaccio e folte foreste verdeggianti.

Si era comportato di merda, avrebbe dovuto cercarlo e a voler essere sincero, quando era risalito in camera, alle quattro e mezza, aveva sperato di trovarlo ancora lì, nel suo letto, sdraiato tra le sue lenzuola.

Ma la camera era vuota. Le coperte come le aveva lasciate, richiuse sul materasso ma portavano i segni della pressione agitata dei loro corpi.

Solo il cuscino era messo di traverso.

Si era avvicinato con cautela, poi si era seduto accanto a quel guanciale come fosse stato lui addormentato. Aveva allungato piano la mano, posandovela sopra.

La stoffa era umida. Probabilmente si stava asciugando, ma si sentiva chiaramente la differenza di temperatura tra il bordo e il centro.

Lacrime fredde. Il suo profumo tutt'intorno, una malia che lo aveva preso allo stomaco.

Aveva ragione, Bakugō. Doveva aver pianto un pezzo, prima di decidersi a tornarsene di sopra.

Il petto gli si era serrato in una morsa.

Cazzo, Shouto. Maledizione.

Si era sdraiato senza svestirsi, le ossa che gli dolevano assieme al cuore. Aveva posato la testa accanto a quella pozza, inspirando l'odore di quelle lacrime che gli ricordava quello della neve che sgela.

La luce del giorno l'aveva colto di sorpresa. Si era addormentato così, e adesso erano le due del pomeriggio.

Senza grandi speranze aveva controllato il cellulare.

Nessun messaggio.

Per qualche strana ragione ora non se li voleva levare, quei vestiti.

L'aveva spogliato lui, per la prima volta. E probabilmente sarebbe stata l'ultima.

Chissà se avrebbe mai trovato il coraggio di lavarli.

Gli pareva serbassero ancora qualcosa del contatto con le sue mani, spaiate anche loro come gli occhi. Quegli occhi terribilmente vacui, come se la scintilla vitale che li animava quando erano insieme fosse stata improvvisamente risucchiata da un vuoto.

Gli faceva male ricordare quegli occhi.

Gli faceva più male ricordare quelle mani, e il pensiero che non le avrebbe più sentite addosso.

Doveva parlarci. Per forza.

Aveva preso un paio di cose dalla roba che aveva preso il pomeriggio prima e buttato giù un paio di morsi alla svelta.

Gli erano rimaste in gola come fossero state fugu. O peggio.

Non aveva più speranze che avrebbe accettato di stare ancora con lui. In alcun modo, ne era sicuro.

Eppure una piccola parte di lui ci sperava ancora.

Per fortuna in giro non c'era nessuno, essendo domenica alcuni erano tornati a casa e gli altri ne approfittavano per star giù in sala comune o fare i compiti. Non voleva testimoni e non era proprio dell'umore per dar retta alle cazzate di chicchessia.

Davanti alla pulsantiera dell'ascensore aveva avuto un attimo di incertezza.

Inconfessabile.

Non aveva mai realizzato prima quanto l'azzurro al neon dei tasti somigliasse a quello della sua iride sinistra.

Aveva premuto "5" ed era salito, senza esitazione. Se trovava qualche imbecille del quinto in giro lo avrebbe mandato a farsi fottere.

Se Todoroki era ancora in camera forse potevano parlare, prima di doversi rivedere in classe l'indomani mattina.

Merda. Gli tremavano le mani.

Non vedeva l'ora di stringerlo. Di ... chiedergli scusa, che non voleva fargli del male. Che era una stupida testa di cazzo, e se poteva perdonarlo sarebbe stato ben felice di ricominciare da dove avevano interrotto.

Aveva preso coraggio, si era infilato nel corridoio vuoto e aveva bussato parecchie volte senza ricevere risposta, prima di cedere.

Doveva essere andato a casa. Certo, alla fine aveva deciso che era la cosa migliore.

Forse avrebbe dovuto chiamarlo, ma non aveva il coraggio di affrontare la delusione di una chiamata rifiutata. E neppure quella di un messaggio a cui non avrebbe risposto.

E poi non era cosa da trattare così. Doveva guardarlo in faccia, quella sua bella faccia metà e metà, segnata nello zigomo, e dirgli quello che voleva. Anche a costo di rischiare un'altra manata rovente.

Poteva arderlo quante volte voleva. Dove e quando voleva.

Bastava che lo tenesse ancora contro di sé. Sopra o sotto non faceva nessuna differenza.

Così come non faceva differenza destra o sinistra. Erano entrambe adorabili, quelle metà.

L'una e l'altra, voleva abbracciarle tutt'e due. Tenerle assieme, fargli capire che lui non sarebbe mai stato come quello stronzo di Endeavor. Che il fuoco che voleva da lui non doveva necessariamente tirarlo fuori dal quirk.

Be', prima delle nove e mezzo sarebbe tornato comunque. Non gli restava che tornarsene in camera, e aspettare svolgendo gli esercizi assegnati per il giorno dopo.

Ma non era riuscito a starci su più di tanto. Alla fine aveva piantato tutto e si era messo a guardare uno dei film che aveva preso, poi l'altro. Alla fine era crollato sul pavimento e si era svegliato nel cuore della notte.

Le due e trentacinque in punto.

Era già la seconda volta. Stavolta però non aveva sognato nulla.

O meglio, nulla di simile alla volta precedente.

Shouto gli era davanti, lo fissava con uno sguardo ora freddo, distante. Aveva provato ad allungare un mano a sfiorargli le labbra ma erano gelide, non sorridevano, non si aprivano.

Non mi avrai più, sembravano dirgli col loro mutismo ostinato.

Rabbrividendo si era infilato a letto, poi quando si era alzato – di nuovo in ritardo- si era buttato sotto la doccia. Aveva infilato l'uniforme deciso a fare un ultimo estremo tentativo.

D'un tratto entrare in camera sua gli pareva una necessità insindacabile. Entrare, chiudere la porta e baciarlo, non aveva più forze da opporre a quel desiderio, più le ore passavano e più quel pensiero si era fatto ossessione, gli sembrava di sentirle ancora fredde sotto i polpastrelli e visto che il suo quirk non riusciva a scaldarle voleva farlo con le proprie.

Ma era già troppo tardi. Di nuovo non era in camera.

Quindi si era rassegnato ad andare in classe.

Era già lì. E lo fissava con quegli occhi diversi, non nel senso di eterocromi –l'aveva imparata da poco, quella parola – ma proprio nell'espressione dello sguardo.

La stessa di quella del sogno.

E Kastuki aveva dovuto abbassare il proprio, non reggeva l'accusa mossagli da quelle iridi, se non smetteva di guardarlo sarebbe andato lì davanti a tutti quegli altri stronzi e avrebbe combinato qualche casino in diretta.

Tipo, attirarselo addosso e baciarlo, ad esempio.

In quella erano arrivati Faccia da Scemo e Capelli di merda. << Ehi, Bakugō! Non ci hai aspettato stamattina >>, aveva notato Kirishima.

<< Mhmm >>.

Eijirō gli aveva scoccato un'occhiata incuriosita. Poi gli occhi rossi si erano posati sugli altri compagni. << Oh, guarda, c'è Todoroki-kun >>.

<< Perché ti fai tanta meraviglia? Cos'è, una novità? >>, aveva sbottato cercando di nascondere l'interessamento per quell'uscita insolita

<< No, ma ieri sera ho incrociato Midoriya che andava in camera sua quando uscivo da quella di Sero. Gli ho detto che era un po' tardi, e sicuro che stesse dormendo, ma lui voleva comunque parlargli. Doveva dirgli qualcosa di urgente >>. Poi si era appoggiato a lui con disinvoltura.

Katsuki se l'era scrollato di dosso con fin troppa furia, tant'è che Kirishima quasi era caduto per terra, trovandosi di colpo senza sostegno. << Fottesega dei cazzi di quei perdenti. E fammi andare a posto, cazzo ti appoggi >>, era sbottato, trattenendo un'imprecazione quando quello stronzo aveva premuto sull'impronta ancora dolorante, tornata a bruciare con forza all'incauto contatto.

Ma quella sulla schiena era la puntura di un insetto a paragone del morso vivo che sentiva allo stomaco.

Le parole di Kirishima lo avevano infastidito, ma non più di tanto. Il nerd di merda era metà e metà – dipendente, gli stava sempre attaccato al culo e se non si decideva a mettere un po' di spazio, anzi, sicuro che un giorno o l'altro lo faceva lui, di sua iniziativa.

Ma chissà cosa doveva dirgli di tanto urgente. Sarebbe stato proprio curioso di saperlo.

Appena suonata la campanella Todoroki era scattato in piedi ed era uscito, precedendolo. Spirava un'aura gelata da lui, ma Katsuki era ben deciso a non mollare.

Il tempo di ribellarsi alle manovre di Capelli di merda e Faccia da scemo ed era sceso in sala mensa. Aveva sperato di trovarlo almeno lì, anche se avrebbe dovuto staccarlo a forza dal tavolo di quei perdenti non gliene fregava un cazzo, doveva parlargli e basta.

Ma non c'era.

Ovviamente.

Il gioco del silenzio valeva anche con il cibo, per Todoroki.

Il desiderio di portarselo via da tutto quello si era fatto più forte. Insopprimibile, gli urlava nel cervello, anche a costo di dover saltare le prossime ore di lezione, beccarsi un richiamo.

Gli si torcevano le viscere dal bisogno di stare da solo con lui, ancora una volta. Oddio, stavolta succedeva sul serio, se non stava attento avrebbe messo in atto quelle fantasie e avrebbe fatto l'amore con lui, fino in fondo. Si sarebbe preso tutto e gli avrebbe dato tutto; ma stavolta non avrebbe commesso errori, la prima parola che avrebbe pronunciato sarebbe stata il suo nome e gli avrebbe strappato dalla gola il proprio, magari con uno di quei versi profondi e quieti che sapeva mettere fuori solo lui, Shouto.

Non aveva più difese da opporre a se stesso. Non riusciva a scacciare quelle immagini dalla mente, mentre percorreva i viali del parco a passo rapido si vedeva con chiarezza esasperante togliergli i vestiti, succhiargli le labbra, infilargli le dita tra i capelli. Da entrambe le parti stavolta, voleva toccarlo dappertutto, insinuarsi dentro di lui, con calma e dolcezza. Pazienza se non aveva preso quel lubrificante, avrebbe trovato comunque un modo per non fargli male, gli avrebbe fatto gustare anche quella lieve sofferenza prima di portarlo all'estasi.

Se Todoroki avesse voluto così, naturalmente. Ma se aveva ancora l'intenzione di metterlo sotto per Bakugō non c'era nessuno problema. Cazzo, gli bruciava già la lingua dalla brama di guidarlo, dirgli cosa avrebbe dovuto fare, anche se Metà e metà aveva dimostrato di non averne alcun bisogno; giusto per evitarsi i risvolti spiacevoli della questione, se era possibile.

Aveva ancora i brividi dal discorso con Kirishima, santo Dio.

E fanculo alla scuola, se lo sarebbe tenuto in quel letto fino alla mattina dopo, lo avrebbe visto di nuovo dormire e avrebbe potuto continuare a stringerlo contro di sé, smaniava all'idea di fargli posare la testa bicolore sulla propria spalla e percorrergli lentamente quella schiena mirabile in punta di dita calde.

Era bastato un solo attimo perché quel bel film finisse giù dritto nel cesso.

Stava parlando con Deku di merda.

E già. Preso dalla sua foga non aveva realizzato che anche lui era assente al solito tavolo.

Era troppo lontano per capire cosa dicessero, doveva accontentarsi di studiare le loro espressioni.

Sembrava tranquillo, anche se un po' sulle sue. Midoriya invece aveva una faccia da far spavento, impallidiva e avvampava repentinamente.

Avrebbe dato un braccio per sapere cosa dannazione si stavano dicendo.

Poi l'aveva visto accarezzargli i capelli. Sorridergli con dolcezza, come con lui non aveva mai fatto.

E quel nerd del cazzo gli tratteneva la manica, con l'aria di chi stesse per rendere l'anima a Dio.

Allora aveva capito tutto.

La verità, ripugnante come un cadavere sbudellato, era finalmente venuta fuori.

Lo aveva usato. D'un tratto gli erano sovvenuti i momenti in cui quei due avevano parlato da soli, al Festival Sportivo.

Con la sua partecipazione straordinaria, nascosto dietro la parete come adesso.

E quello che era avvenuto in campo. La lotta contro Stein, di cui aveva solo sentito qualche brano raccontato in classe.

E tutto il resto.

Il filmato che si stava proiettando sul suo schermo mentale era divenuto spaventoso. Un vero e proprio horror, di quelli in cui anche se corri alla fine ti ritrovi una lama puntata alla gola o spappolato da qualche parte in qualche cantina buia.

Il bastardo ... e Dekumerda. E lui a fare da nave scuola, per aiutare quel faccia da culo a metà a capire dove mettere le mani, che se capitava con Izuku erano due deficienti fatti e finiti.

Si era fatto un po' di esperienza. Impara l'arte e mettila da parte, si dice così no?

Per questo se l'era quasi scopato. Era scontato che con quel perdente sarebbe stato sopra, non c'era da sperarne diversamente.

Il sangue gli era montato alla testa come una fiammata. Inarrestabile.

Quanto più forte era stato il desiderio tanto più grande era la rabbia. L'aveva preso per il culo, si era servito di lui per tutto il tempo e non se n'era reso conto.

Il casino era stato inevitabile. L'aveva colpito con ferocia, peggio di quando se le erano date le volte precedenti, dentro e fuori l'arena.

Non aveva negato. Se ne stava immobile a fissarlo con quegli occhi gelidi, due diamanti diversi ma taglienti entrambi che gli si erano conficcati nello stomaco con più potenza del suo pugno.

Non ci aveva visto più. Aveva preso e se l'era messo sotto.

Per un attimo aveva quasi pensato di farlo sul serio. Strappargli di dosso quei maledetti calzoni ed entrargli dentro. L'avrebbe fatto gridare per davvero, piangere, farlo tornare caldo e vivo e non quella statua di ghiaccio immoto che sembrava essere divenuto.

L'avrebbe fatto invocare il suo nome. Il suo, non quello di Deku.

Solo il suo. E l'avrebbe fatto gemere, di piacere e dolore, mentre gli tirava i capelli e gli azzannava il collo malgrado la furia lo sentiva vicino e voleva solo farlo suo, strapparlo a quell'idiota che non avrebbe saputo cosa farsene di quel tesoro ch'era Shouto, era troppa grazia per lasciarlo ad un simile incapace.

Il principino si meritava qualcuno alla sua altezza. E per Katsuki non c'era nessuno più in alto di se stesso, a cui mirare.

Non era riuscito a non fissarlo, ad ammirare quel corpo sdraiato a terra sotto di lui. Si era morso un labbro, il modo in cui teneva la schiena innaturalmente rigida, il sedere leggermente alzato lo stava facendo sbavare; aveva voglia di morderlo ancora, da un lato. Dall'altro gli faceva venire quella di picchiarlo selvaggiamente, per sistemargli il cervello.

Metà e metà. Non c'erano altre strade percorribili quando si trattava di lui.

L'esplosione che stava montando non voleva davvero scagliargliela addosso. Voleva soltanto spaventarlo, svegliarlo, qualcosa dentro di lui gli sussurrava che se ci fosse riuscito allora avrebbe aperto davvero quegli occhi stupefacenti e avrebbe visto la differenza tra Izuku e lui.

Non si sarebbe accontentato di arrivare secondo ancora una volta.

Ma poi era finito catapultato in aria da un colpo di quel piccolo stronzo. Era ricaduto al suolo come fallout radioattivo, neutralizzato per il momento ma ancora potenzialmente pericoloso.

Aveva rialzato lo sguardo appena in tempo per vedere quei due teneramente abbracciati, Midoriya che sosteneva Shouto avvolgendosi attorno il suo braccio.

Gli sorrideva, quel pezzo di merda.

Nonostante fosse tutto una fitta si era rimesso in piedi e li aveva fatti volare. Poi aveva puntato Todoroki, che si era messo carponi sbattendogli in faccia quel culo perfetto, anche se non intenzionalmente.

Cazzo. Lottare contro se stesso non era mai stata così dura.

L'adrenalina gli aveva fatto venire una mezza erezione, che quella vista non contribuiva certo a calmare.

Adesso lo avrebbe preso per i capelli e se lo sarebbe portato da qualche parte. Lo avrebbe scopato senza pietà; e l'avrebbe costretto a guardarlo in faccia, perché doveva avere ben chiaro chi era che gli stava dentro, che lo stava sottomettendo.

E gliel'avrebbe fatto piacere. Avrebbe scovato tutti i suoi punti deboli e li avrebbe spremuti uno per uno, fino a ridurlo un ammasso informe di pulsazioni insopportabili, gli avrebbe lasciato addosso quante più impronte possibile perché nessuno doveva permettersi di mettergli anche solo un dito addosso.

Shouto Todoroki era roba sua. Punto.

E lui doveva essere il primo a farselo entrare in quella cazzo di testa metà e metà.

Poi gli aveva quasi arrostito la faccia.

Per quello stronzo di Deku aveva tirato fuori il suo fuoco, ancora una volta. Senza timore.

Perché aveva mandato culo all'aria quel pezzente di merda. Il ghiaccio non era più sufficiente, così era ricorso all'odiato e temuto fuoco pur di salvarlo dalla sua smania omicida.

Per sé non l'aveva fatto. Per Midoriya sì.

Per Midoriya era ricorso ad un colpo di una potenza straordinaria, caricando nel palmo sinistro una sfera infuocata ch'era divenuta bianca, abbacinante tant'era incandescente.

L'avrebbe ammazzato, in quel momento.

Si sarebbero ammazzati a vicenda, poco ma sicuro. Se non fosse arrivato Aizawa- sensei adesso si sarebbe divertito a far spaventare le anime dell'aldilà con le sue esplosioni, o quanto meno si sarebbe ritrovato due moncherini al posto delle mani.

E' arrabbiato, Katsuki, sì. Questo non glielo può perdonare, nemmeno in ventisei altre vite del cazzo.

Ecco perché l'aveva cacciato. Perché ... gli aveva rovinato l'atmosfera.

Gli faceva schifo pensarlo, ma Dekumerda non gli avrebbe mai detto quelle cose. Lui sarebbe stato tutto un: << Ti prego, Todoroki-kun, fa' l'amore con me >>. E tutte quelle smancerie da signorini beneducati.

Solo a pensarci gli viene il voltastomaco, cazzo.

Però ... sente anche qualcos'altro.

Non è colpa sua se è diventato così, Todoroki. Se è un figlio di puttana pronto a servirsi degli altri, e poi a buttarli via quando avevano raggiunto i propri scopi.

D'altronde, è figlio di suo padre. E un padre che martirizza così il proprio bambino qualche fottuto problema ce l'ha; e l'ha passato a Shouto, insieme al proprio quirk.

Per metà. L'altra veniva dalla madre, una creatura debole che aveva perso il controllo anche lei, nell'egida del marito ossessionato.

Crudeltà e fragilità, inestricabilmente unite insieme.

Inoltre è risaputo che il carnefice peggiore è quello che un tempo è stato vittima. E questo il numero Uno gliel'insegnato bene, al metà e metà e a sua madre.

Almeno questo è disposto a concederglielo, ancora.

Per il resto ... può andare a farsi fottere. Da chi gli pare.

Ma non certo da lui. Non più.

Due leggeri colpi alla porta.

Shouto rialza il volto dal cuscino. Ormai sta per diventarci un tutt'uno con quella soffice piuma, la federa di cotone crudo.

Metà e metà. L'uomo metà guanciale e metà disastro ambulante.

Per un attimo spera, desidera, prega che sia lui.

Anche se Aizawa ha promesso che li avrebbe sbattuti fuori, se li avesse beccati ad andarsene in giro impunemente fuori dalle loro camere e non per le pulizie.

Ma Bakugō era tristemente noto per infischiarsene delle regole. Che ... sia davvero lui?

E' ormai troppo stanco di continuare a prendersi in giro da solo.

Ha scelto di prendere il coraggio di essere onesto, almeno con se stesso.

Lo ama. Senza rimedio.

Non può più far finta che non sia così.

Se quella per Midoriya era una timida, calda fiammata, questo è un incendio di una violenza devastante.

Non può essere diversamente. Fuoco chiama fuoco, e più fuoco ancora.

Il fuoco dei suoi baci, delle sue carezze.

Dei suoi colpi nello stomaco.

Sa che non è Katsuki. Ma qualcosa ... dentro di lui non riesce ad impedirsi di aspettarlo.

<< Todoroki-kun? >>. La voce di Iida finisce di disilluderlo.

Non il veto di Aizawa, quanto il disgusto che ora prova certo nei suoi riguardi lo tiene lontano, adesso.

Quanto ha sbagliato a non dirgli chiaro in faccia come stavano le cose, quella sera. Invece di sbatterlo sul letto e aprirgli le gambe, avrebbe dovuto lavorare di lingua, e non nel modo che intendevano entrambi di solito.

Con calma. Avrebbe dovuto spiegargli le proprie ragione e metterlo di fronte ad un ultimatum.

O lui o Kirishima. Avrebbe dovuto domandargli con franchezza se preferiva continuare a consumarsi dietro qualcuno che non lo vedeva a quel modo, perché ormai aveva la certezza che Eijirō non avesse sentore dei sentimenti di Katsuki, o voleva provare ad avere un rapporto diverso con lui. Magari darsi una regolata e iniziare dal poco, dal basso, cominciare a vedersi come amici, che ancora non lo erano, e vedere fin dove ... poteva portarli.

Sembrava così semplice. Ovvio da far male. Adesso, però.

Aveva dovuto attendere di arrivare a quel punto per rendersene conto.

Ora che l'aveva perso definitivamente.

<< Forse sta dormendo. Lasciamolo riposare >>, sente dire al compagno, con una fitta al petto.

Ha lasciato chiuso troppe porte. E tante altre se n'è sbattute dietro.

Deve ricominciare, di nuovo. Rialzarsi, raccogliere i cocci e vedere se poteva aggiustare qualcosa.

Il mondo non finiva perché Katsuki non gli avrebbe più posato addosso quei palmi caldi caldi caldi. né la sua bocca morbida e annichilente.

Ricominciare. Piano. Un passo dietro l'altro.

E un passo dietro l'altro si trascina fino alla porta. << Iida? >>, chiama, affacciandosi in corridoio.

Il compagno si volta.

Midoriya e Yaoyorozu sono con lui, si girano anch'essi al richiamo della sua voce.

A loro due più di tutti deve delle scuse. Li ha feriti entrambi, ognuno a suo modo; e anche se sa che Izuku non è arrabbiato con lui, tuttavia adesso sente il bisogno di chiedere perdono per il suo comportamento riprovevole.

<< Oh, Todoroki-san >>. Momo torna indietro sui suoi passi, lo raggiunge. Alza timidamente lo sguardo scuro su di lui, ma non osa guardarlo negli occhi.

E certo. L'ultima volta si è presa una porta sbattuta in faccia anche lei, povera Yaoyozoru. << Eravamo ... venuti a vedere come stai. Ma se disturbiamo ... >>.

Shouto scuote la testa. << Entrate >>.

Si scosta dalla porta, li fa accomodare.

Poi di colpo fissa entrambi, che non sanno dove posare gli occhi. << Midoriya. Yaoyorozu >>.

I due ragazzi lo guardano senza capire.

Si piega in un profondo inchino. A mani giunte. << Devo chiedervi scusa. So ... di non essere stato sempre ... gentile, con voi. Mi dispiace. Non accadrà più >>.

<< Oh, andiamo, Todoroki –san, per così poco! >>, trilla Yaoyorozu allarmata. << Tirati su, ti fa male fare di questi movimenti inconsulti >>. Gli va vicino, lo aiuta a raddrizzarsi.

E gli sorride. In quei begli occhi neri è tornata la luce. << Non importa, Todoroki-san. Basta che stai bene, adesso >>, dice, guardandolo in volto.

Bene è una parola grossa.

Non potrà più star bene almeno per un pezzo. Perché per strapparsi il pensiero di Bakugō dal cuore ci vorrà un po', un bel po' di sicuro. << Sì, Yaoyorozu >>.

<< L'importante è che si sia sistemato tutto! >>, commenta Iida severo, raddrizzandosi gli occhiali sul naso.

<< E che tu stia bene >>.

<< Sì, grazie Iida-kun >>.

Tacciono tutti, imbarazzati. Nessuno vuole far cenno al casino, è evidente.

<< Cosa ... avete fatto oggi? >>, domanda, notando il silenzio.

<< Oh, oggi ... >>, riprende Midoriya, portando l'indice davanti alle labbra. << Aizawa-sensei ci ha annunciato che avremo una prova fisica, lunedì prossimo. Chissà come sarà >>.

<< Già. Chissà che ci aspetta, stavolta >>, mormora Momo angosciata.

<< Sarà come deve essere! E' normale che vogliano controllare i nostri progressi! >>, esclama Iida.

La conversazione va avanti, non proprio fluente ma quanto basta a trascorrere una mezz'oretta.

Poi i compagni si alzano. << Be', allora noi andiamo >>, mormora Yaoyorozu, le guance arrossate. << Rimettiti presto in forma, Todoroki-kun >>.

<< Grazie >>. Li accompagna alla porta.

Poi vedendo sfilare la testa verde di Izuku gli sovviene che dovevano parlare, loro due. << Midoriya ... >>.

<< Sì? >>.

<< Potremmo ... parlare un attimo da soli, io e te? Vi ... dispiace, ragazzi? >>.

<< Ma no, no, certo! A dopo Midoriya – kun >>. I due si allontano, uno accanto all'altra, lungo il corridoio.

Todoroki chiude la porta. Fissa il compagno, che sembra di nuovo a disagio, un po' sulle sue.

Anche se l'ha perdonato di sicuro un po' di resistenza ancora c'è. In fondo gli ha detto delle cose terribili, cattive.

Deve rimediare meglio. Era andato da lui per raccontargli di Uraraka, e l'aveva trattato così.

Izuku non poteva sapere di aver scelto il momento peggiore per entrare in merito di certe questioni. Era finito nel mezzo del tutto innocentemente. << Allora? >>.

<< Allora ... cosa? >>, domanda, intimorito.

<< Com'è andato? L'appuntamento >>.

Izuku si agita di colpo. Inizia a farfugliare, le guance che gli diventano scarlatte, in contrasto con gli occhioni verdi, lucidi. << Be' ... be' ... ecco ... siamo ... andati ... a vedere un film. E poi ... a mangiare qualcosa ... in uno yakitori vicino al cinema ... e l'ho riaccompagnata qui in dormitorio. Tutto qui >>.

Shouto stira un flebile sorriso.

Dev'essere bello fare quelle cose normali, semplici. Godersi gli istanti trascorsi insieme senza pensare che per forza si debba finire su un letto, anche se è bellissimo pure quello. Ma per una volta ... il desiderio di quella normalità da adolescenti gli trapassa lo stomaco.

Peccato non averci pensato prima. Perché ormai è tardi.

Per sé. Non per gli altri, però. << Ho ... fatto male, vero? >>, chiede ancora Midoriya osservando il suo sorriso e fraintendendo. << Avrei dovuto essere ... più diretto >>.

<< No. Devi ... fare solo quello che ritieni giusto, Midoriya. Se ancora non te la senti, è bene aspettare. Con calma >>. Ripete piano quelle parole, sentendo il sapore agrodolce sciogliersi sulla lingua. << Non devi forzarti solo perché hai paura che qualcun altro possa portartela via. Se accade, allora non era quella giusta. E non devi rammaricarti di nulla, in tal caso. Ma sono sicuro che Uraraka non è così. Anche lei tiene a te, e sono disposto a scommettere quello che vuoi sul fatto che anche lei ha bisogno di tempo per abituarsi ... all'idea di ... spingersi oltre con te >>.

Midoriya sorride lentamente, rincuorato. << Da ... Davvero? >>.

Anche Shouto abbozza un sorriso. << Certo. E ti confido un segreto. Se saprai avere pazienza, alla fine sarà ... ancora più bello. Avrete saputo coltivare il vostro legame, nel frattempo. E questa è una cosa importante, non cedere subito al desiderio. E' fin troppo facile confondersi, se le sensazioni in gioco sono tanto potenti >>.

Izuku fa un'espressione dolce. << Sei così saggio, Todoroki-kun. Per questo ho tanta fiducia in te. Tu non ragioni come gli altri. Sai sempre qual è la cosa migliore da fare, anche se non lo sembrerebbe >>.

Il sorriso di Shouto si fa amaro. E Midoriya fraintende di nuovo. << Cioè, voglio dire, per gli altri! Io sono d'accordissimo con te! >>.

Todoroki continua a sorridere. Posa una mano sulla testa di Izuku, ma è un tocco caldo, affettuoso questo.

<< Sta' tranquillo. Ogni volta che vorrai parlare, io sono qui >>.

<< Grazie, Todoroki-kun >>.

Fa tanto bene all'anima, l'abbraccio di Midoriya. Una carezza soffice che fa subito sentire morbidi e ottimisti.

E ora come ora a Shouto serve.

Per guarire dalla malattia che gli ha causato la sua cura.

Effetti collaterali. Così li chiamano. << Grazie ancora, Todoroki-kun >>, mormora, aprendo la porta.

<< Grazie a te ... Midoriya >>.  

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