My dream come true

By Captainwithoutasoul

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Le uniche cose che mandano avanti Sarah con i cavalli, dopo dieci anni, sono la grinta e la voglia di non arr... More

Premessa
Personaggi & Trailer
Il maneggio di Michele
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
È la fine?
Missing Moment - Il compleanno di Sarah

Capitolo 14

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By Captainwithoutasoul

Una volta a casa, non informai nessuno di quel che era avvenuto durante la gara di orientamento, se non che avevo litigato furiosamente con Michele. Cosa di cui i miei si sarebbero accorti comunque, vedendomi piombare in casa in lacrime, livida di rabbia, per poi salire i gradini che portavano alla mia camera come un lottatore e sbattermi la porta alle spalle, gridando istericamente di non aver alcuna intenzione di rimettere piede in maneggio.

Per i primi tempi non uscii più dalla camera, tanto che persi il conto dei giorni.

All'inizio mia madre, preoccupatissima, aveva tentato di cavarmi di bocca qualcosa, ma ben presto, poiché mi rifiutavo categoricamente di parlare, dovette arrendersi all'evidenza che non mi avrebbe scucito nulla. Non so se andò al maneggio per parlare con Michele ma, se anche lo fece, non mi disse nulla. Si limitava a lasciarmi i pasti fuori dalla porta che io, malgrado mi sentissi lo stomaco stretto come un pugno, mi sforzavo di mangiare, per poi ripiombare a faccia in giù sul letto, in preda alla depressione più nera.

Sapevo in cuor mio di dovermi risollevare, che non potevo andare avanti in quel modo, perché mi stavo portando all'autodistruzione, ma una parte di me invece opponeva fieramente resistenza, perché credeva di meritarsi quell'atteggiamento suicida, convinta che quello fosse l'unico modo che mi avrebbe consentito, presto o tardi, di essere notata dalla persona che me l'aveva scatenato. Come se quello fosse solo un altro modo di urlare il suo nome, ancora e ancora.

Così mi rifiutavo di uscire, di vestirmi, addirittura di lavarmi. Avevo chiuso le imposte e me ne stavo al buio, raggomitolata sul letto, piangendo, ad arrovellarmi notte e giorno – che ormai non distinguevo più – sul comportamento di Michele.

Dopo all'incirca un paio di giorni avevo consumato tutte le mie lacrime e così, con gli occhi gonfi e arrossati, non potendo più piangere, mi limitavo a pensare. Il mio istruttore mi aveva aperto una ferita che non voleva saperne di risanarsi. Non era stata Benedetta e lo scherzetto che aveva deciso di giocarmi con le sue amichette: quello era grave, sì, ma ai loro comportamenti scorretti ci avevo fatto l'abitudine, quello non era il primo né probabilmente sarebbe stato l'ultimo. Ma Michele... Michele mi aveva tradito nel profondo. Mi aveva voltato le spalle anche lui, aveva preso le loro parti, mi aveva definita una persona problematica che, incapace di farsi delle amiche, aveva deciso di metterle in cattiva luce, per ripicca. Se ripensavo alle sue parole, un dolore sordo mi prendeva la gola e rischiavo di scoppiare nuovamente in singhiozzi. Aveva davvero quell'opinione di me? Quell'idea mi tormentava ed il senso di ingiustizia mi opprimeva. Allora mi rintanavo ancora di più fra le coperte, nell'estremo tentativo di annullarmi.

L'unico pensiero che, in quell'orribile situazione, un po' mi animava, era Killer. I progressi che avevamo fatto insieme mi facevano credere di non essere poi così inutile, così incapace. Ma poi la depressione aveva la meglio e mi ritrovavo di colpo a pensare che ben presto Benedetta avrebbe fatto ritorno al maneggio, si sarebbe riappropriata di Killer, anzi, di Glory – dopotutto era stata un'idea sua, quella di tenerlo! – e si sarebbe presa tutti i meriti dei suoi miglioramenti, togliendomi, dopo Michele, anche l'unica mia fonte di gioia. E giù singhiozzi.

Non so quanto tempo trascorsi in quella sorta di limbo, nell'immobilità più totale. So solo che ad un certo punto mia madre spalancò la porta di camera mia e la luce del corridoio mi accecò per diversi minuti, ridotta, com'ero, ad un animale notturno.

Ignorando le mie proteste, mi trascinò a forza giù dal letto e quasi mi buttò nella vasca da bagno, ricolma di schiuma.

Non avevo le forze di oppormi ma, poco dopo essermi immersa nell'acqua bollente, mi resi conto di quanto diamine ne avessi bisogno. Rimasi a mollo per un'eternità, con gli occhi chiusi e i capelli sciolti che mi galleggiavano intorno al volto come un'aureola. Fu davvero rigenerante.

Quando l'acqua si era ormai raffreddata da un pezzo e la mia pelle tutta raggrinzita, mia madre fece il suo ingresso nel bagno. Sentendola entrare, mi misi seduta, ancora un po' intontita. Dovevo avere un aspetto davvero pietoso perché, quando si chinò sul bordo della vasca, mia madre assunse un'espressione intenerita e mi accarezzò una guancia.

«Lo sai che non puoi continuare così, vero?» mi bisbigliò.

Per tutta risposta, tirai rumorosamente su col naso.

Lei aprì la bocca per dirmi qualcosa, ma poi si bloccò per scrutarmi, forse per vedere come avrei accolto la notizia che stava per darmi.

«So quello che è successo» disse infine. Il mio cuore perse un battito. «Al maneggio è scoppiato il caos. Michele vuole parlarti.»

Quella frase mi aveva colpito più di quanto non volessi ammettere. Rimasi inizialmente immobile, incapace di reagire, ma quando mia madre tirò fuori da dietro la schiena il suo cellulare, in un attimo appresi il vero significato di quelle parole.

«No, no!» esclamai, con crescente ansia. Feci per sollevarmi dalla vasca, ma persi l'equilibrio, sollevando una miriade di schizzi. «Non voglio parlarci!»

Di fronte alla mia reazione isterica, mia madre non si scompose. Con un braccio mi trattenne nell'acqua, ignorando i miei furiosi tentativi di dibattermi, mentre con l'altro mi avvicinava il telefono all'orecchio.

«Sarah?»

Risentire la voce di Michele dopo tutto quel che era successo mi destabilizzò al punto che mi immobilizzai, smettendo di schizzare acqua da tutte le parti. Accanto a me, udii mia madre tirare un sospiro di sollievo.

Rimasi pietrificata, ma lui non attese la mia risposta, forse pensando che non avessi intenzione di dargliene alcuna, dato che esordì con: «Immagino che tu non mi voglia neanche parlare, dopo ciò che è successo... e lo capisco. Ma voglio solo che tu sappia che ho scoperto la verità e che... che mi pento di non averti dato ascolto.»

Una volta tanto, le parole gli venivano fuori a fatica. Percepii un grande sforzo da parte sua nell'articolare i pensieri e mi strinsi le ginocchia al petto, di colpo tremante ed infreddolita. Una parte di me voleva solo riattaccare, l'altra, suo malgrado, era impaziente di sentire ciò che aveva da dire. La verità era saltata fuori, allora. Ma lui come l'aveva scoperto?

«Lo sai? Credevo, anzi, speravo davvero che tu ti sbagliassi. Non fraintendermi. Mi fido di te, Sarah, ma così come mi fidavo di tutte le altre. Andiamo, le conosco da una vita!» Si bloccò all'improvviso, per poi correggersi. «O meglio, credevo di conoscerle. Non riesco a credere di essere stato così idiota.»

La voce dall'altra parte si bloccò, sospirando mestamente.

«Infatti è in gran parte merito di Azzurra, non mio, se questa cosa è venuta fuori. Lei aveva notato qualcosa di strano tra le ragazze. Io? Io non mi ero accorto di nulla. Lei ha deciso di metterle sotto torchio, una per una, senza nemmeno consultarmi. Perché sapeva che, se l'avesse fatto, probabilmente mi sarei opposto. E ci aveva visto giusto. Sofia, che poi mi ha detto di essere stata contraria alla cosa fin dal principio, le ha raccontato tutto. L'idea di intimorirti, proponendoti di montare Diablo, che non è andata a buon fine, e quella di nasconderti la bandiera per farti perdere nel bosco. Tutte ne erano a conoscenza, tranne, mi pare, Monica e Deborah. Tutte» ripeté, come se ancora stentasse a crederci. «Per non parlare di tutto quello che ti hanno fatto passare in questi anni. Sofia mi ha detto anche questo. Tutto sotto i miei occhi. Io... io non so neanche come scusarmi, Sarah.»

La voce gli si spezzò ed ebbi un fremito. Capii che era sincero, nonostante non potessi vederlo in volto, ma era come se ce l'avessi davanti: le sopracciglia aggrottate, gli occhi mesti, sporadici spasmi di dolore che quasi parevano lottare per emergere dalla sua solita espressione indecifrabile.

«Ti ricordi, quando ti ho detto che non ti vedevo integrata con il gruppo?» riprese all'improvviso.

Certo che me lo ricordavo. Ce l'avevo marchiata a fuoco nel cervello, quella frase.

«Sai, sono fiero che tu non lo sia. Anzi, mi chiedo davvero con quale forza tu continuassi a venire in maneggio. Sei da ammirare. Mi dispiace tanto, Sarah. Solo questo.»

Silenzio. 

Michele aveva attaccato. 

Io non mi mossi. Respiravo profondamente, gli occhi fissi sulle gocce d'acqua che, a intervalli regolari, si formavano sotto il rubinetto della vasca e poi cadevano giù, con un impercettibile plic.

Non udendo più alcun rumore provenire dal suo telefono, mia madre lo allontanò da me, che fui libera di alzarmi in piedi, uscire dalla vasca e avvolgermi nell'asciugamano. Compii queste azioni meccanicamente, come un automa, incapace di focalizzarmi davvero su quel che stavo facendo, tanto mi aveva scosso quella telefonata.

Quando incrociai lo sguardo di mia madre, vidi che mi fissava con una certa serietà.

«Ti ha spiegato com'è andata?» mi chiese.

Annuii piano e mi lasciai cadere sul bordo della vasca, dove lei si affrettò a raggiungermi.

«Sarah, io capisco che tu ci sia rimasta davvero male» mormorò. Mentre parlava, mi accarezzava piano i capelli ed io mi abbandonai, sospirando, contro la sua spalla.

«Quello che ti hanno fatto è orribile e sta' certa che né io né tuo padre rimarremo con le mani in mano. Mi sono già fatta dare da Michele il numero dei genitori di... com'è che si chiama? Benedetta?»

Annuii e, sentendola così infervorata, le rivolsi un debole sorriso, che non le sfuggì di certo, a giudicare dall'espressione sollevata che assunse l'attimo dopo.

«Non la passerà liscia, vedrai. Ma quello che voglio dirti» mormorò, bloccandosi per un attimo, come fosse alla ricerca delle parole adatte, «è che tutti, una volta, possiamo sbagliare. Dobbiamo tenerne conto. Michele non aveva davvero idea di quello che fosse successo. So che hai cercato di spiegarglielo, ma come poteva crederti, senza neanche una prova? Lui ti tiene in grande considerazione, ma riponeva la stessa fiducia in tutte le altre ragazze. Ti assicuro che è stato un durissimo colpo anche per lui.»

«Sì, ma...» embrava che adesso Michele fosse d'un colpo diventato la vittima e questo mi provocò un forte fastidio. «...se si fosse accorto prima di che razza di persone sono le sue allieve predilette, forse avremmo evitato tutto questo» borbottai.

Mia madre era visibilmente sollevata nel sentirmi commentare la questione, dopo giorni e giorni di totale apatia. 

«Andiamo Sarah, sappiamo entrambe com'è fatto Michele!» esclamò, vagamente divertita, dandomi un colpetto sulla spalla. «È buono come il pane, ma non si accorgerebbe di qualcosa nemmeno se gli venisse fatta sotto il naso. E poi, scusa, gliene hai mai parlato?»

«No» ammisi, realizzando di non aver mai fatto nulla per smascherare Benedetta, forse temendo una ritorsione da parte sua. Avevo sempre coperto lei e le sue bravate.

«Non puoi biasimarlo più di tanto, allora. Non ne hai mai fatto parola con lui, né con noi. Come speravi che le cose potessero cambiare? Tenere tutto dentro non è sano, Sarah, te lo dimostra la reazione che hai avuto.»

Effettivamente non mi era mai venuto in mente di confidare a qualcuno le angherie che subivo da parte di Benedetta e le sue amiche, credendo che sarei riuscita sempre a cavarmela. In apparenza forse era davvero così, mi pareva di essere forte abbastanza per sostenere tutto da sola, ma dentro di me avevo accumulato uno ad uno i colpi subiti, fino a scoppiare. Mi rividi sotto le coperte, al buio, nel mio muto grido d'aiuto, e rabbrividii.

«Chiedere aiuto non è segno di debolezza, anzi, dimostra grande umiltà» stava dicendo mia madre, come mi avesse letto nel pensiero. Dopo una pausa, aggiunse: «Così come saper perdonare.»

Le lanciai un'occhiataccia, capendo a cosa stava alludendo.

«Non hai idea di quanto ha insistito per fare questa telefonata. Voleva che sapessi che era pentito e vuole davvero farsi perdonare, Sarah.»

Calcò stranamente su quest'ultima frase, tant'è che mi voltai a fissarla, perplessa, ma non ottenni alcun chiarimento al riguardo e pensai di essermelo solo immaginato.

****

Quando, la mattina di diversi giorni dopo, varcai la soglia del maneggio, avevo un macigno al posto dello stomaco. Inutile dire che i miei avevano insistito molto perché compissi questo passo, così tanto che alla fine mi avevano convinta, per sfinimento.

Non avevo più sentito Michele dopo la sua telefonata di scuse, ma qualcosa mi diceva che da allora fosse rimasto in stretto contatto con mia madre e la cosa mi dava sui nervi. Prima o poi le avrei fatto un bel discorsetto al riguardo.

Giunta nei pressi del Club House, vi trovai sedute Monica, Deborah e Alice. Quest'ultima, non appena mi vide, distolse in fretta lo sguardo, mentre le altre due si alzarono dalla panca e mi vennero incontro. Deborah percorse correndo i pochi metri che ci separavano e mi gettò le braccia al collo.

Io, che tutto mi aspettavo fuorché una simile reazione, per poco non caddi a terra.

«Ehi Debs!» la salutai, affrettandomi ad informarla del fatto che mi stesse quasi stritolando.

«Oh, scusa!» fece lei, staccandosi da me. «Sono così contenta di vederti, Sarah!»

«E lo sarà anche Michele» commentò Monica, facendo un sorriso storto. «Sono settimane che vaga per il maneggio con un'aria da cane bastonato.»

«Sai...» disse Deborah, vagamente a disagio. «...abbiamo saputo della faccenda di Benedetta.» 

Il suo sguardo si rabbuiò di colpo e pensai che dovesse essere stato davvero un duro colpo per lei, al pari di quello subito da Michele. Ai suoi occhi quella vipera era sempre stata un'eroina.

«Come ha potuto farti una cosa simile? Io... io non me l'aspettavo davvero da lei.»

Monica le diede una pacca sulla spalla. «Dovrai farci l'abitudine, Debs. Benedetta è molto diversa dalla persona che credevi che fosse» mormorò, prima di rivolgersi a me. «Io non avevo idea di quello che stesse architettando, altrimenti ti avrei avvertita. Ma probabilmente è proprio per questo che mi aveva esclusa. Ultimamente ci aveva viste un po' troppo in buoni rapporti.»

Scrollai le spalle. «Non importa. Sono solo contenta che la verità sia venuta fuori.» Ripensai alle parole di mia madre e, dopo un momento, aggiunsi: «Ero stanca di tenermi tutto dentro.»

«A proposito, lei è qui?» chiesi, di colpo inquieta, guardandomi intorno.

«No» si affrettò a rispondere Monica. «Dopo che è stata costretta a dire la verità a Michele, non si è più fatta vedere al maneggio. Lui sperava che tornasse per chiederti scusa di persona, ma non ne ha mica il coraggio!»

Stronza e pure vigliacca, pensai, in un impeto di rabbia. 

Vedendomi scura in volto, le due ragazze si affrettarono a cambiare argomento e mi raccontarono i dettagli della lezione di quella mattina, aggiornandomi anche su ciò che Deborah aveva fatto con Wind durante la mia assenza. 

Camminando, sempre in loro compagnia, mi lasciai alle spalle il Club House e ben presto mi trovai di fronte alle poste. Lì trovai Sofia, che stava slegando Oxford e che, quando mi vide, mi rivolse un debole saluto.

«Lei ha cambiato fazione» mi bisbigliò Monica all'orecchio, divertita.

Risposi al suo cenno con un sorriso, che mi morì sulle labbra quando accanto a lei scorsi Michele che, appena uscito dal complesso dei box, stava conducendo Killer alla lunghina.

Il nodo che avevo allo stomaco si strinse e provai l'impulso di girare sui tacchi e fuggire via, ma fu solo per un attimo: quando Killer voltò la testa nella mia direzione e mi vide, contro ogni previsione, drizzò le orecchie e nitrì sommessamente, lasciandomi a bocca aperta.

Mi avvicinai istintivamente all'enorme baio, con il cuore che mi batteva forte, senza neanche badare a colui che lo stava tenendo. Avvicinai all'animale il dorso della mano e lasciai che me l'annusasse, prima di accarezzarlo piano sul muso.

«Gli sei mancata.»

Facendomi coraggio, spostai lo sguardo su Michele, che mi stava fissando e sorrideva, la solita espressione stampata sul volto, che stavolta però non riusciva a mascherare del tutto il disagio che probabilmente stava provando.

Decisi in cuor mio che non aveva senso continuare a trattarlo con sufficienza: mi sembrava davvero pentito e, lentamente, lasciai che i miei lineamenti si distendessero in un sorriso.

Michele dovette interpretarlo come il segno di essere stato finalmente perdonato.

«Bentornata tra noi, Sarah!» esclamò allora, per poi aggiungere, di colpo tornato su di giri: «Stavo per portare Killer in paddock. Vuoi farlo tu?»

«Va bene» risposi, attenta a non farmi coinvolgere troppo dal suo entusiasmo, scuotendo appena la testa con rassegnazione. 

Era bastato un gesto perché cambiasse dal giorno alla notte. Crescerà mai?

Tutto pimpante, Michele mi affidò la lunghina di Killer e quindi si allontanò, seguito da Monica e Deborah, perché lo aiutassero con il pranzo.

Ero rimasta così colpita da quel raro segno d'affetto dimostrato da Killer che, lì per lì, nemmeno mi accorsi di essere stata affiancata da Sofia, che probabilmente doveva a sua volta portare Oxford in paddock. Me ne accorsi solo quando Killer voltò di scatto la testa e fece per affibbiare un morso al giovane sauro.

«Attenta!» esclamai, indicandole con un'occhiata il baio. Lei si affrettò a frapporsi tra i due cavalli, mentre procedevamo sulla strada diretta ai paddock.

«C'è mancato poco» mormorò la ragazza, facendo un sorriso imbarazzato. 

Era visibilmente a disagio e immaginavo di sapere il perché, ma non volevo essere io a iniziare il discorso.

«Senti Sarah...» fece lei, dopo un po' che procedevamo in silenzio. «...so che ha poco senso che te lo dica ora, dopo tutto quello che ti abbiamo fatto passare. Ma mi dispiace. Volevo che sapessi che ho chiuso con Benedetta.»

Sembrava che chiunque mi vedesse, quel mattino, sentisse il bisogno di scusarsi con me. Da un lato avrei preferito restarmene nel mio angolino, ignorata da tutti e succube degli avvenimenti, ma l'attimo dopo mi tornarono alla mente gli scherzi e le risatine di un tempo, gli sguardi complici da cui venivo categoricamente esclusa, e tra me e me decisi che non lo avrei più permesso.

«Hai fatto bene» mi limitai a dire. «È falsa, lo è sempre stata, e non vi considera vere amiche. Sono contenta che tu te ne sia resa conto.»

Non aggiunsi altro, perché anni e anni di soprusi non potevano essere cancellati da un giorno all'altro, ma le rivolsi comunque un sorriso sincero, lasciandole intendere che accettavo la sua tregua.

Liberammo i cavalli al paddock e, dopo essere rimaste un po' a osservare Killer, che si dimenava come un matto e galoppava su e giù lungo lo steccato come un puledro scalmanato, tornammo al Club House, dove le altre ragazze avevano appena finito di apparecchiare.

Non appena mi vide, Michele le obbligò a scusarsi con me. 

Fu un po' imbarazzante, ma sapevo che era necessario, sia per me che per Michele, che doveva ristabilire la sua autorità, dopo essere stato raggirato per così tanto tempo. 

Loro obbedirono, Alessia compresa, ma era chiaro che lo stessero facendo solo perché costrette e non perché ci tenessero in alcun modo, come invece mi aveva dimostrato Sofia giusto poco prima. Ma dopotutto non m'importava: non ero interessata alla loro amicizia ed ero contenta che si fossero finalmente dimostrate per quello che erano. Michele le trattava con rinnovato distacco e notai che rispondeva freddamente alle loro domande sulla lezione di quella mattina. Sorrisi tra me e me, non potendo che provare un po' di sana soddisfazione.

Ci eravamo appena sedute sulla panca, in attesa del pranzo, quando il rumore di una macchina in arrivo sul vialetto di ghiaia attirò la nostra attenzione.

«È arrivata?» domandò Monica, lanciando un'occhiata d'intesa a Michele.

Li guardai senza capire. Il mio istruttore, sulla soglia del Club House, si era sporto in direzione del parcheggio ed io seguii il suo sguardo ma, dal mio posto, la visuale mi era impedita dalle teste di tutte le altre ragazze.

«Chi è arrivata?» chiesi allora, perplessa. 

Vedevo degli sguardi complici intercorrere tra le altre e per un attimo temetti che, nonostante le parole di Monica, di lì a poco Benedetta ci avrebbe deliziato con una nuova visita.

«Beth!» si affrettò a spiegare Michele, fugando ogni mio dubbio. «Te la ricordi?»

Feci cenno di sì, ma continuavo a non capire. In realtà, avevo presente la signora inglese solo perché ci provava sfacciatamente con il nostro istruttore e la cosa mi divertiva molto, ma non avevo idea del perché fosse venuta al maneggio. Che lui si fosse finalmente deciso a ricambiare il suo interesse?

«Per favore, diglielo!» esclamò all'improvviso Deborah, che sembrava non stare più nella pelle.

«Zitta!» la sgridò Monica, allungandole una manata.

Io continuavo a fissarle, confusa, sbattendo le palpebre. Spostai lo sguardo su Michele, che mi rivolse un tentativo malriuscito di sorriso enigmatico.

«Su, vieni» mi disse, con un tono sbrigativo che tradiva l'emozione, facendomi un cenno.

Mi alzai in piedi titubante e, con gli occhi di tutta la tavolata fissi su di me, seguii Michele, che aveva sceso i pochi gradini del Club House e si era diretto verso il parcheggio.

Tanti erano i pensieri che mi frullavano in mente e, visti i recenti sviluppi, provavo anche una sottile inquietudine ma, una volta lì, non ero assolutamente preparata per ciò che mi si profilò davanti.

Nel parcheggio c'era una jeep, da cui era appena uscita fuori Beth, che in quel momento stava salutando Michele con un sorriso mellifluo stampato in faccia. Ma non fu lei ad attirare la mia attenzione, bensì il trailer che aveva dietro l'auto, da cui due ragazzi stavano facendo scendere un cavallo.

Pietrificata, rimasi immobile a osservare la scena. Condotta a mano da uno dei due giovani, dal van uscì trottando una cavallina morella, non troppo alta, piccola e compatta, ma ben proporzionata. I muscoli che si delineavano sotto il pelo lucido ad ogni suo movimento facevano pensare ad un buon addestramento. Dopo essersi guardata intorno un paio di volte, nel vasto spiazzo, con il collo per aria e le orecchie dritte, l'animale nitrì. Solo allora mi accorsi che sul muso aveva una minuscola stella bianca, a forma di goccia, appena visibile sul pelo nero.

Michele, accanto a me, mi fissava sorridendo.

«Ti piace?» volle sapere, emozionato.

Io guardavo incantata quel piccolo animale color antracite, che sembrava non volerne sapere di rimanere fermo e stava facendo impazzire il suo accompagnatore, che continuava a strattonarlo per la lunghina.

«Sì» risposi, incapace di staccarle gli occhi di dosso. «Ma...»

«È tua.»

Lo fissai, non certa di aver capito bene.

Vedendo la mia espressione, che doveva essere il ritratto dello shock, Michele scoppiò a ridere e si affrettò a spiegare: «Dovevamo pure farci perdonare in qualche modo, io e le ragazze! Così, quando ho saputo che Beth voleva affidarci questa birbante qui, ho pensato che ti sarebbe piaciuto avere un cavallo da montare, mentre ti dedichi al lavoro con Killer...»

Non riuscivo a crederci. Fissai la cavallina, che nel frattempo aveva ripreso a nitrire, e all'improvviso mi salirono le lacrime agli occhi. Mi voltai verso il mio istruttore, maledicendomi per avergli tenuto il muso anche troppo a lungo, e gli gettai le braccia al collo.


[Nella foto: la nuova arrivata! ]

Ehilà! 

Eccomi di ritorno con un capitolo FATALE! Sono davvero contenta di esserci arrivata (anche se dopo così tanto tempo ç_ç) perché è qui che entra in scena, dopo ben quattordici capitoli, l'altra protagonista della storia! *ZAN ZAAN!* Infatti, fin dall'inizio, avevo in mente che Sarah avesse due equidi, perché con uno si concentrasse sul lavoro da terra e con l'altro sul lavoro in sella (attenzione: questo non vuol dire che Sarah non monterà Killer, anzi ^^) e quindi eccoci qui :) Se siete stati attenti, un cavallino nero compariva anche nel trailer allegato al capitolo 11 dove, ora che ci penso, vi ho praticamente fatto un sacco di spoiler XD Dettagli.

Qualcosina a proposito di questo capitolo: dopo aver toccato il fondo, Sarah ritorna in maneggio con molta più determinazione di prima, mentre Benedetta inizia a decadere agli occhi delle sue beniamine. In questo capitolo ho dato molto rilievo al dolore di Sarah e alla scena con sua madre, volevo che si capisse sia che la nostra protagonista non è un'orfana e che i suoi genitori ogni tanto si ricordano della sua esistenza (lol), sia che è veramente legata a Michele, che vede un po' come un mito, e che le sue parole l'avevano davvero lacerata. Sia, ovviamente, che Michele e la mamma di Sarah sono evidentemente pappa e ciccia XD

Curiosi di saperne di più? Il nome, la storia di questa new entry? :D Fatemi sapere, con un voto-stellina ma soprattutto un commento, se la storia vi piace oppure no e se il mio stile è diventato ulteriormente barboso D: 

Un bacione e alla prossima!

Captainwithoutasoul.

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