TWENTY

By SarahAdamo

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🏅I'm on THE WATTYS 2018 LONGLIST - MIA è una ragazza dinamica, solare, spesso e volentieri capricciosa. Ama... More

#SPAZIOAUTRICE❤️
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By SarahAdamo



Mia's point of view

Non sentivo e non vedevo mio fratello da quattro giorni, quasi una settimana era passata. Mai eravamo stati lontani per così tanto tempo, Lil mi mancava molto ma Leticia se la cavava alla grande come sostituta. Jamie mi aveva ferito, ero cresciuta con la convinzione che egli mi conoscesse meglio di chiunque altro, invece mi ero amaramente sbagliata. Nonostante il resto, la protezione che mio fratello aveva cominciava a puzzarmi di bruciato avevo diciannove anni abbastanza grande da cavarmela da sola, ma prima, dovevo scoprire cosa mi nascondeva mio fratello.
Quel pomeriggio mi ero accoccolata sul sofà di casa Reed, in attesa che Leticia mi raggiungesse con una bella e fumante tazza di espresso italiano. In tv stavano trasmettendo X Factor USA uno dei miei programmi preferiti, quando al provino si presentò una giovane ragazza dai capelli chiari e dall'abbigliamento sportivo, ripensai alla Juilliard a tutto quello che ne era susseguito. Sospirai, quando Leticia prese posto accanto a me mi sentì sollevata dalla sua presenza, passò a me la seconda tazza ed io inizia a sorseggiarla. Quando la ragazza del provino cominciò a cantare mi si squarciò il petto, diventò difficile per me non poter più cantare l'impulso era così forte ma in cuor mio sapevo che oramai per me speranza non c'è n'era.

«È molto brava vero?» costatò la donna sedutami accanto.

«Già» distolsi lo sguardo e mi concentrai sulla teglia di biscotti che assieme al caffè Leticia aveva adagiato sul tavolino.

«Secondo me dovresti chiamare quel tipo» esordì, quasi il caffè mi andò di traverso. Io e Letizia cominciavano ad instaurare un bellissimo e solido rapporto, c'era più confidenza fra noi e quando Michael non c'era lei ne approfittava per risposarsi insieme a me e goderci una delle nostre solite chiacchierate.

Michael Reed era fuori per lavoro, affari lui li aveva chiamati, si era recato a New York e sarebbe rientrato nel weekend, a breve datone che era giovedì.

«Parker Evans intendi?» posai la tazza sul tavolino.

«Si, potrebbe regalarti un'altra occasione..» non risposi, distolsi lo sguardo e mi concentrai sul caffè.

«Mia lo so quanto ti abbia fatto male quell'esperienza, ma dovresti riprovarci secondo me. E poi ho visto come guardavi quella ragazza in tv» quel tono da rimprovero misto all'incoraggiamento mi fece pensare ad una madre così le sorrisi.

«Io.. non lo so, non canto da tempo ormai» posai i gomiti sulle ginocchia e mi massaggiarmi capelli fino a quando non presi una decisione probabilmente anche affretta.

«Ok d'accordo.. all'attacco» puntai Leticia con uno sguardo determinato, mi alzai e mi recai in camera di Michael dove giorni prima avevo avvistato sul comodino il biglietto da visita di Parker.

Tornai in salotto e con il telefono di casa composi il numero, guardai Leticia eccitata anche lei mi incoraggiò con un bel sorriso e un cenno col capo.
Uno, due squilli poi..

«Pronto, ufficio Evans posso aiutarla?» la voce di una donna mi spiazzò del tutto.

«Ehm.. buongiorno vorrei parlare con il Signor Evans se è possibile»

«Ha un appuntamento?» probabilmente quando notai il fruscio di un paio di fogli, li stava sfogliando per controllare se il mio nome apparisse da qualche parte.

«No ma.. »

«Mi dispiace signorina il Signor Evans non può ricevere altri appuntamenti è molto occupato, arrivederci» così dicendo la segreteria calò la cornetta lasciandomi con un pugno di mosche e lo sguardo spiazzato.

«Ma che.. ti rendi conto? Tsk..»

«Cos'hanno detto?» chiese la donna, sporgendosi dallo schienale del divano.

«Che non accettano altri appuntamenti» in quel momento il telefono cominciò a squillare all'impazzata, la donna mi incitò a rispondere e così frettolosamente premetti sul verde.

«Si

«Mia, avevo paura che rispondesse il tuo ragazzo» sghignazzò la voce al telefono.

«Parker?»

«Si, perdona la mia segretaria ma.. è un po' imbranata: avevi chiamato perché volevi vedermi?» immaginai che si stesse allargando la cravatta e che stesse camminando in maniera spavalda per il suo ufficio.

«Si, come no» sorrisi di sghembo.

«Mmh, allora volevi prendere un appuntamento?» silenzio tombale per qualche secondo.

«Io be'.. credo che potrei valutare la tua proposta» strinsi i denti, non potevo credere a quello che stavo facendo.

«Oggi pomeriggio, alle quattro non tardare. Ti manderò l'indirizzo via email» soddisfatto ed entusiasta non mi lasciò il tempo di rispondere che nuovamente attaccarono di colpo.

Rimasi intontita e incredula ancora con la cornetta adagiata all'orecchio.

«Che cosa ti hanno detto?»

«Che- che.. ho un appuntamento oggi alle quattro»

«Fra mezz'ora quindi» costatò Leticia osservando per un nano secondo l'orologio appeso in soggiorno. Spalancai gli occhi, avevo i nervi a fior di pelle.

«Merda!!»

Ero pronta, stavo indossando un paio di stivali in camoscio con il tacco quando Letizia irruppe nella mia camera.

«Pensi di dirlo al signor Reed?» aveva le braccia conserte e i capelli tirati con una forcina.

«Non ne ho idea ma.. se la serata si rivelerà un fiasco sarà inutile dirglielo no?» impacciata saltellai su di una gamba prima di chiudere la lampo dell'altro stivale.

«Miaa.. dovresti dirglielo invece» cantilenò a mo di rimprovero la donna.

«Ma Michael odia Parker» piagnucolai, mentre recuperai borsa e indossai un capotto marrone nuovo.

Scendemmo insieme le scale così da arrivare al piano terra.

«Esattamente per questo che..» Leticia non riuscì a terminare la frase, il mio taxi era già arrivato.

«Il taxi è qui, scusa non posso fare tardi» baciai lei una guancia e poi poi l'altra.

Ero in centro, quando alzai lo sguardo i grattacieli erano enormi confronto alla minuscola macchina in cui ero. Pagai il tassista così da trotterellare su i miei stivali all'interno della porta scorrevole del grande edificio Evans's Production. Il nome non era per nulla male, bastó ad incoraggiarmi.
Chiesi indicazioni così quando mi ritrovai al terzo piano, alla bionda e provocante segretaria di turno chiedi del signor Evans, quest'ultimo lo scorsi in un ufficio lì vicino parlottava al telefono e sorrideva. Rotai gli occhi al cielo sperai di star facendo la cosa giusta o me ne sarei pentita per sempre.

«Prego signorina» con un cenno, la donna, mi invitò ad entrare.

A passi felpati mi ritrovai nell'ufficio di Evans che come vista aveva spiattellata l'intera Seattle compreso d'orizzonte. Era voltato verso la finestra, smise di parlare a telefono quando si voltò mi sorrise maliziosamente poi staccò la chiamata.

«Johnson, sei arrivata ti stavo aspettando» mi fece segno di accomodarmi, anche lui fece lo stesso, dietro la sua scrivania.

«Taglia Evans» cantilenai, sollevando gli occhi al cielo.

«Vuoi una tazza di caffè?» mi massaggiai le tempie, lui alzò di muovo la cornetta aspetto una mia risposta. Scostai il capo a destra e a sinistra, non avevo tempo di un caffè.

«Mmh be' io si, Patricia mi poteresti un caffè? Ti ringrazio sei sempre gentile» concluse civettò.

«Allora, cosa ti ha spinta a venire qui?» era seduto in maniera spavalda: braccia attaccate ai braccioli schiena contro lo schienale e gambe accavallate.

«Voglio conoscere la tua proposta»

«Oh, ottimo» iniziò a frugare fra le carte disordinate che aveva sulla scrivania, pensai a Michael Reed e alla sua precisa organizzazione.

«Allora?» enfatizzai.

«Possiamo parlare stasera a cena che ne pensi?»

«Che? Stai scherzando?» con un sorriso ironico mi massaggiai la fronte.

«Assolutamente no, è un favore che tu mi fai in cambio» sorrise.

«E la ragazza del Gala?»

«Non è la mia ragazza, per carità» sorrise di sghembo.

«Già dovevo immaginarlo»

Passarono alcuni secondi, in completo silenzio.

«Ascolta Mia, tu mi piaci sei una ragazza in gamba e credimi ho in serbo per te una brillante carriera ma.. in cambio dovrai pur darmi qualcosa» scrollò le spalle, con nonchalance.

«Maiale»

«Oh oh.. no, sei sempre nel mio ufficio. E poi me ne hanno dette di peggiori» rise a fior di labbra, gettando indietro la testa.

«Johnson sto scherzando, voglio venire a cena con te perché sei una splendida ragazza. Un'occasione, ecco tutto.. dammi un occasione»

«Non se ne parla» sorrisi fintamente, mi alzai dalla poltroncina scura e mi accinsi ad aprire l'ufficio.

«No aspetta, d'accordo sono un maiale hai ragione» mi bloccai sul posto, sospirai. Anche lui si era alzato e mi aveva raggiunta alla porta.

«Era ora» sarcasticamente mi voltai con le braccia conserte.

«Hai ragione, su tutto, è solo che.. mi hai colpito e vorrei soltanto conoscerti meglio hai un fidanzato e questo lo so ma.. che sarà mai una cena di lavoro» si era appoggiato con il fondoschiena alla scrivania soltanto allora notai il suo completo grigio fumo e la cravatta a scacchi.

«Cena di lavori?» risi ironicamente.

«Si esatto, verresti a cena con me per una semplice e innocua cena di lavoro?» ci riflettei su qualche secondo: probabilmente Evans non era un manico ma soltanto una persona con poca fiducia in se stesso, così minuscola da dover abbordare un sacco di ragazze, ma lì si discuteva di lavoro.. la sua proposta avrebbe potuto cambiarmi la vita.

«D'accordo, cena di lavoro» affermai, con un forte cenno del capo.

Michael non lo verrà mai a sapere, d'altronde perché mai dovrebbe importargli? È una cena di lavoro.

«Passo a prenderti alle 8» mi schioccò un occhiolino che trovai poco simpatico, lo fissai in cagnesco e in segno di scuse lui alzò le mani come si fa davanti alla polizia.

***

Ero agitata, a Leticia avevo raccontato tutto tranne che a Michael lui non sapeva della cena ma onestamente avrei rovinato il suo incontro di lavoro se fosse innervosito per così poco, non stavo omettendo un appuntamento romantico ma una semplice cena di lavoro, "con un tipo che il tuo fidanzato più grande odia" ricordò il mia coscienza, scacciai via quei pensieri e mi concentrai sull'abito viola scuro che avrei indossato quella sera. Era con uno scollo a barca e con un paio di maniche a tre quarti, arrivava alle caviglie e ci avrei abbinato un paio di décolleté scure. Raccolsi i miei capelli in una cosa bassa, un po' spettinata e incompreso mi truccai molto poco.

«Ne sei proprio sicura di non volerlo dire al signor Reed? Si arrabbierà Mia lo sai bene quanto odi il signor Evans» la mia coscienza apparve accanto alla porta con le braccia incrociate e con un tono di rimprovero.

«Esatto Leticia, Il Signor Reed odia Evans e il suo affare di lavoro potrebbe andare male quindi.. meglio di no» sminuì il tutto con un sorriso innocuo e divertito, non mi entusiasmava andare a cena con Parker ma almeno avrei mangiato tutto quello che volevo senza pagare.

«Mia, non ci andare mh

«Devo, o Evans non mi parlerà della sua proposta» sospirai.

«Tsk.. ma è un ricatto bello e buono» terminai di passare il lucida labbra, lo inserì frettolosamente nella mia trusses e poi oltrepassai la donna.

«Già» conclusi.

Si erano fatte quasi le 8, guarda il cielo scuro fuori dalla vetrata poi mi inserì il cappotto.

«Mia dico sul serio..» irruppe Leticia, che mi aveva seguita in salotto.

«Leticia, non ti devi preoccupare sarò qui in meno di due ore è soltanto una cena di lavoro» la rincuorai, abbracciandola.

«Sono ancora convinta che al signor Reed dovrebbe dirglielo» brontolò al di là della mia spalla, quando il clacson di un auto suonò capi che il mio appuntamento di lavoro era già iniziato.

«Già, troppo tardi. Ci vediamo dopo» baciai le la guancia lasciandola a metà frase.

Quando entrai velocemente nell'auto di Parker, parcheggiata fuori al viale dopo il cancelletto di ferro, mi stupì nel vederlo in abiti più semplici e meno articolati. Mi squadrò da capo a piede non appena mi vide.

«Ciao, sono contento che tu abbia accetto sai Johnson?»roteai al cielo gli occhi, ne avevo già abbastanza.

«Possiamo andare a cena per favore?» sorrisi fintamente e sistemai la borsa piccola sulle mie cosce che strinsi il più possibile quando il suo sguardo vi spiaccicò sopra.

«Solo se smetti di essere così acida, è una cena di lavoro... ricordi

«Si ecco, appunto» annuii, lui ridendo sotto i baffi accese il motore della macchina così uscimmo dal viale del bilocale di Michael e cominciò così la nostra "cena di lavoro".

Il nome del ristorante non l'avevo letto bene, ma l'ambiente mi trasmetteva eleganza da tutti i pori era un bel posto - romantico, audace e anche capace di metterti a proprio agio - mi osservai molto attorno, mi liberai del mio cappotto che poggiai sull'avambraccio destro.

«Vieni, siediti» m'invitò il ragazzo, spostò la mia sedia per riuscire a farmi accomodare apprezzai quel gesto non me lo sarei mai aspettata.

«Eccoci qui, vino?» sorrise, aprendo il menù davanti a me.

«Si grazie, bianco» presi anch'io il menù cercando qualcosa che il mio palato gradisse, adocchiai una fettina di carne con patate novelle al forno. Parker ordinò del vino bianco, che subito il somelier versò successivamente nei nostri calici di vetro, provai a rilassarmi a non pensare al fatto che avessi mentito al mio ragazzo più grande - in giro per lavoro - dicendogli che mai avrei avuto a che fare con una persona che lui stesso non gradisse.

Ero leggermente nervosa, battevo ripetutamente il piede sull'asfalto di legno, mi guardavo attorno e torturavo le mie pellicine alle unghie. Feci poi un sorso dal bicchiere sperando che l'alcol annebbiasse quel senso di smarrimento che stavo provando.

«Allora, Mia Johnson, cosa mi racconti di te?» anche lui fece un breve sorso, io aggrottai la fronte.

«Che vuoi dire?» mi sembrò strana quella domanda da parte sua.

«Raccontami della tua vita, insomma.. non so veramente chi sei» fece spallucce e si sporse in avanti, la musica dell'orchestra non molto lontana da noi era suggestiva e anche piacevole.

«Non c'è molto da dire, i miei genitori sono morti quando ero molto piccola ho sempre vissuto con mio fratello e sua moglie.. ho sempre amato cantare, ma a Jamie questo non andava molto a genio come lavoro così per accontentarlo mi sono iscritta alla Madison, poi ho fatto il provino alla Juilliard e ho scoperto che infondo lui aveva ragione» scrollai le spalle, in modo da smorzare e sminuire il mio racconto.

«Direi di no invece, sei brava e mi pare di avertelo detto più volte.. mi spiace per i tuoi genitori comunque» rimasi confusa da quel tono, dagli occhi languidi e il sorriso a mezz'aria.

«Oh... acqua passata tranquillo»

«E Michael Reed? Come l'hai conosciuto?» bevve un altro sorso, poi ringraziò il cameriere che ci aveva portato un antipasto offertosi dalla casa.

«Lui è.. un vecchio amico di famiglia in realtà, il migliore amico di Jamie» non mi ero neanche accorta delle guance che mi si erano accaldate e della voce smielata che avevo usato.

«E' stato facile quindi»

«No, in realtà no.. mio fratello non lo sa che stiamo insieme, Michael poi è una persona così.. così»

«Così seria?» ridemmo insieme, per la prima volta.

«Si, be' come biasimarlo sono la sorellina minore del suo migliore amico»

«Già è vero» annui lui.

«E tu? Il grande Parker Evans?» mimai, con le mani in aria. Forse quell'imbarazzo si stava sciogliendo, Parker sapeva padroneggiare bene la situazione.

«Innanzitutto, a dirigere tutto è Thomas Evans mio padre, io sono solo.. la sua spallfece spallucce, arrivò il cameriere e ordinammo ciò che avevamo scelto io la carne e lui del tonno scottato.

«E' un ruolo importante comunque, e tua madre?» si rabbuiò di colpo, virò lo sguardo altrove per non incontrare il mio si umettò le labbra e poi si mise a braccia conserte.

«Mia madre ha un tumore al quarto stadio, cerco di starle il più vicino possibile» in quel momento il mio muro crollò come burro fuso, senza rendermene conto mi sporsi in avanti strofinando il palmo della sua mano che precedentemente aveva lasciato accanto allo stelo del bicchiere.

«Io.. perdonami non volevo essere così brutale"- sibilai, l'altra mano s'adagiò sulla mia quando ritornai in me mi scansai con un leggero imbarazzo e qualche colpetto di tosse.

-"Non preoccuparti, questa è solo una facciata"-

-"Che usi per non far notare agli altri il tuo dolore, lo capisco"- sorrisi sinceramente, lui fece lo stesso: di Parker Evans stavo scoprendo un nuovo capitolo.

-"Esatto"- ridemmo all'usignolo, in quel momento il cameriere ci servì le nostre portate, ne fui felice avevo una fame da lupi Parker se ne accorse e non perse un secondo per potermi prendere in giro.

-"Cos'è? Non hai mangiato tutto il giorno?"- rise sotti i baffi io sbarrai gli occhi, e mi trattenni dal non lasciargli il mio tovagliolo sulla faccia.

-"Si che ho mangiato, sono solo di buona forchetta tutto qui"- ridemmo, col passare dei minuti stavo cominciando ad ambientarmi, a sentirmi meno a disagio.

-"Hai dei bellissimi occhi Johnson dico davvero"- con un mezzo sorriso e iridi luminose tentò di afferrarmi la mano, io mi scansai.

-"Parker!!"- cantilenai, in tono di rimprovero.

-"Ok va bene, scusa uhm.. parliamo della mia proposta ti va?"-

-"Sono qui per questo"- poggiai i gomiti entrambi i gomiti sul tavolo mentre con le dita iniziai a giocherellare con le punte dei miei capelli ramati.

-"Ho un produttore discografico al quale potresti interessare, ho fatto ascoltare in studio il tuo provino alla Juilliard e sei piaciuta tantissimo"- anche lui era elettrizzato, d'altronde quel ragazzo si sarebbe potuto rivelare un vero e proprio colpo di fortuna, ma io non cantavo più ormai e la contentezza svanì subito dopo.

-"E'... fantastico oh mio Dio, non posso crederci"- sorrisi a trenta due denti, bevvi un sorso di vino e poi gli prestai di nuovo la mia attenzione.

-"Ma.."-

-"Ma?"- scosse lui la testa, confuso.

-"Mia è un opportunità unica questo mio amico è una persona difficile e pretenziosa, se gli piaci ci sarà un motivo"- nel frattempo imboccava un altro pezzetto di tonno dalla forchetta, e io ingerivo la mia carne a cottura media.

-"Lo capisco ma.. io ho smesso di cantare"- gesticolai e distolsi lo sguardo per non incoricare quello della verità.

-"Tu che cosa?"- rise come un matto.

-"Devi essere impazzita Johnson sul serio"-

-"Parker non scherzo, ho fatto una figuraccia alla Juilliard era il mio più grande sogno"- spiegiai, tento salda la mano sul petto. Ero felice e sconfortata allo stesso momento, non volevo perdere quell'occasione ma neanche giocarmi l'ultima opportunità che mi si era stata data.

-"Ascolta, mio padre mi ha insegnato molte cose sull'ambito della musica: io ne capisco, sono una persona competente per dirti che ne vale la pena e poi credimi.. "- fece una pausa per poter ridacchiare - "E poi a L.A Reid non gli si piace che gli appuntamenti vengano cancellati"- sorrise sotto i baffi mentre attaccò le sua labbra al calice.

-"Che cosa?? Tu mi hai già fissato un'incontro?"- sbarrai gli occhi.

-"Ho dato lui la certezza che avresti chiamato il suo studio, sono un uomo di parola io"- si -pavoneggiò, io roteai gli occhi al cielo ma poi non potei fare a meno di sorridere.

-"Io be'... non so che dire, ti ringrazio però non avresti dovuto"-

-"Dovevo eccome"- annuii, eravamo arrivati al dolce mezz'ora dopo il cibo si rivelò incredibilmente squisito una delle cene migliori della mia vita, eravamo tornati all'argomento genitori e Parker mi aveva ben illustrato il suo rapporto con sua madre.

-"Non ci siamo mai parlati molto, mia madre ha sempre preteso troppo da me lei ha studiato legge e quando ha scoperto che la mia unica vera passione era l'ambito della musica.. be' è andata su tutte le furie"- stavamo dividendo una fetta di torta al cioccolato con fragole e tanto di glassa.

-"Sul serio? Me lo immagino, sei tremendo adesso figurati da adolescente"-

-"Già però.. me ne pento adesso, ora che è malata intendo"- si intristì, istintivamente portai la mano sulla sua, gliela strinsi ma quando mi resi conto del gesto fu troppo tardi i suoi occhi si erano già schiantati nei miei e il suo viso risultò troppo vicino nonostante ci fosse un tavolo tondo a sperarci.

-"Non preoccuparti, guarirà me lo sento"-

-"Andrà così"- sorrisi, poi corrugai le sopracciglia quando udì il trillo di un messaggio al cellulare, aprì il display e lessi:

Michael:"Piccola mi manchi molto, tornerò il prima possibile"

Mi umettai le labbra, quel messaggio mi riportò bruscamente alla realtà al fatto che stessi mentendo a Michael e che mai mi sarei aspettata di avere un atteggiamento simile, per giunta nei suoi confronti. Non risposi, chiusi il display del cellulare con l'amore in bocca e un mattone sullo stomaco. Di colpo, mi passò la fame.

-"E' Michael Reed?"- indicò il ragazzo, con lo sguardo la mia borsetta.

-"Si"- sibilai, schiarendomi la voce.

-"E.. lo sa che sei qui? Con me?"- sorrise.

-"No, meglio di no.. non credo tu rientra molto nelle sue corde per ora"-

-"Vorresti dire che è geloso del sottoscritto?"- con fare superbo indicò se stesso, quella volta ci risi su stranamente.

-"Un po, credo di si"- continuai la mia risata che però venne cessata dalle mani di Parker che avevano afferrato di nuovo le mie, la sala stava cominciando a svuotarsi nel frattempo.

-"Sai, volevo scusarmi: si insomma, mi rendo conto di essere un tipo insopportabile delle volte ma.. lo facci soltanto per non pensare alla mia vita, voglio vivere in maniera sperierata capisci? Perciò scusami se ho avuto un atteggiamento scorretto verso di te"- i suoi occhi mi parvero sinceri, così come il suo discorso.

-"No.. non preoccuparti, forse anch'io ho esagerato"- annuii.

-"Su una cosa non ho mai mentito però"- bevvi un altro sorso di vino, mi accorsi soltanto pochi secondi dopo di averne bevuto troppo: la testa divenne pesante e le palpebre non riuscivano a stare aperte.

-"Cosa?"-

-"Tu sei bellissima Mia, e ti prego non spaventarti o.. non pensare che lo dica soltanto per essere notato lo penso davvero"- sorrisi, la vista mi si annebbiò per qualche secondo percepì una strana vicinanza, l'alcol in quel momento mi giocò un brutto scherzo datone che pochi istanti dopo avvertì sulle labbra una forte pressione assieme ad un calore estremo.

Le labbra di Evans erano premute contro le mie, lui aveva chiuso gli occhi io li tenni sbarrati. Quando mi resi conto di tutto ciò che stava accadendo trovai la forza necessaria per mollare a lui uno schiaffo che anche i camerieri occupati ad apparecchiare udirono. Mi alzai scattosamente dalla tavola, ero allibita e improvvisamente piena di ansia allo stesso tempo.

-"Mi fai schifo, e io che pensavo.."- alcune lacrime mi scorse dalle guance.

-"No Mia aspetta posso spiegarti.. credimi è il vino non volevo farlo ma tu.. cavolo tu mi piaci ok?"- gesticolò quest'ultimo. Ero su una crisi di nervi: avevo mentito alla persona che amavo, ero a cena con un megalomane e mi ero fatta baciare così stupidamente.

Si, ero una stupida.

-"No, non voglio sentire più niente da te"-

-"Per favore"- mi massaggiai la fronte, ero improvvisamente sudata e disperata.

-"No Evans, io sono fidanzata lo capisci questo? Amo un'altra persona e se pensi che io sia quel tipo di ragazza ti sbagli di grosso"- strillai, attirammo l'attenzione dei camerieri che si bloccarono a guardare la scena.

Afferrai con violenza e fretta la borsetta alla sedia, lui mi bloccò un polso fui sul punto di mollargli un altro schiaffo ma l'altra sua mano me lo impedì.

-"Ti supplico Mia ascoltami per favore, mi dispiace va bene? Lascia almeno che ti accompagni a casa"- mi liberai violentemente dalla sua presa, portai indietro i capelli sulla fronte e arricciai le labbra dalla rabbia.

-"Vaffanculo!!"- strillai come una matta, trotterellando fuori dal ristorando e affettandomi per poter chiamare un taxi.

Tutto era successo in un millesimo di secondo, avevo sbagliato fin dall'inizio ad accettare quell'invito la colpa era mia, soltanto la mia. Ero un mostro, mi sentivo usata ma al contempo sapevo di essere da meno: l'immagine di Michael comparve davanti ai miei occhi caddi in un profondo pianto, cosa avevo fatto? Odiavo me stessa per essere stata così ingenua, per essermi lasciata andare a qualcuno di cui evidentemente non potevo fidarmi. Michael di me, non poteva fidarsi più, arrivò il taxi e ancora scombussolata vi salì a bordo.

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