RESILIENZA

By blackhairblackdress

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[yoonmin]❝Jimin era Gennaio, Yoongi era Giugno.❞ title cred: © blackhairblackdress More

Resilienza ❀ intro
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➳ trailer ❀
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-every breathe you take.
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⊱turquoise
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⊱ tutte le sfumature delle tue guance quando mi volto e ti sorrido
⊱ Orange
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⊱ acrhomatopsia.
⊱ultramarine
⊱cherry
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⊱ Chartreuse
⊱ blue sky
⊱ ultrablue
⊱ Ruby Red
⊱ Royal Blue

⊱ Magenta

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[Nei media:
Les Filles Désir by Vendredi sur Mer]

Min Yoongi
Magenta
"Sorry about the blood in your mouth. I wish it was mine."


Tic tac, tic tac, tic tac.
Il rumore dell'orologio, appeso sul camino, non cessava più. Si era fuso al ticchettio della pioggia sulle foglie e sui rami, diventando più oppressivo. Le paranoie di Yoongi erano pensieri infondati, fermi come la nebbia, sensi di colpa dati dal lato peggiore della natura umana: pretendere l'amore lì dove non c'era. Al di là dei suoi ricordi, della nicotina sui polpastrelli delle dita, dei dischi graffiati, dell'inchiostro sulle pagine, vi era un muro alto che gli impediva di raggiungere il presente. Era lì: chiuso a chiave in una cantina, nello splendore di un'età che era ormai stata macchiata. Poteva chiudere gli occhi e sentire le urla, toccare le cicatrici spesse sulla schiena, esisteva tra le mura di quella casa un interruttore in grado di riportare la luce nella sua vita? Yoongi sarebbe riuscito a trovarlo?

«Torna in te figliolo, ti prego, torna in te»

Avvertiva un senso di disorientamento e pian piano stava venendo schiacciato da un mostro invisibile. Lo sguardo vuoto era sul pavimento: suo padre era quasi davanti a lui, riconosceva bene quei passi, il rumore pesante delle sue scarpe avanzava verso la cucina ed era sempre più vicino a lui e alla sua dolce lettera. Il candore del soffitto lo soffocava e non capiva più perché fosse lì, in quella stanza colma di crocefissi e puzza di candeggina, a che scopo serviva ricordare? Era tutto finito, gli era stato dato un cognome e non aveva il diritto di macchiarlo con simili vergogne. Non più.

Strinse con più ferocia la pagina ingiallita  «Come un paletto conficcato al petto, vedere questo sguardo sul tuo volto mi farà sempre star male» disse alla madre, ritrovandosi nel torace pezzi del suo cuore macerato dalla disillusione.

L'espressione della donna si trasformò presto in una smorfia di dolore. Tentò di sottrarre le lacrime alla vista del marito, coprendosi il viso con le mani, ma questo ovviamente non bastò «Cos'è tutto questo baccano in casa mia? Ritorno dal lavoro e mi ritrovo mia moglie in un fiume di lacrime!» urlò suo padre «Sei stato tu? Hai fatto piangere tua madre?» Non aveva saliva nella gola, l'agitazione gli contorceva lo stomaco, in un attimo nascose il foglio dentro la tasca dei jeans e si voltò con disprezzo verso l'uomo «Come se tu non l'avessi mai fatto!» esclamò con un vago sorriso «Tutte le volte in cui l'hai tradita con qualche minorenne della tua fottuta parrocchia di ipocriti»

Per un attimo nulla ebbe più senso. L'orologio sul camino parve fermarsi. Il padre gli assettò un pugno sul volto, macchiando di rosso la pelle candida del figlio. Proprio in quel tragico momento, Yoongi si sentì finalmente a casa: il sangue sui denti e le chiazze di rosso sulla felpa. Non c'era alcun dolore fisico ma solo una scarica di adrenalina che gli scorreva nelle vene.

Figli di nessuno, con le orecchie che ronzano dalla rabbia, è il pensiero che ci fa del male, dover vivere all'interno di una fiamma e bruciare sempre. Era solo sopravvivenza e Yoongi aveva sviluppato una tremenda paura di vivere, ancor di più d'amare, d'essere amato, e non sentiva alcun dolore mentre con tutte le forze che aveva si difendeva dai pugni feroci del padre allo stomaco. Piuttosto si sentiva solo, confuso, smarrito in questo mondo che non lo voleva. Combatteva senza sosta, ad un tratto cadde a terra ma riuscì comunque a colpire il volto del padre. Sentiva sua madre urlare,piangere, pregare il marito di fermarsi ma anche adesso non bastava(non è mai bastato).

La luce filtrava dai polmoni, le guance dapprima quasi trasparenti avevano preso il colore di ciliegie mature, diventava doloroso persino respirare. La rabbia di Yoongi si accedeva e si spegneva: sentiva la sua stessa vita in intermittenza. Dentro la testa riecheggiavano quelle parole crudeli "Se non ci fossimo mai conosciuti", tra i ghigni del padre quella voce amorevole e gentile gli fece pensare che se lui e Jimin non si fossero mai conosciuti il rosso del sangue di Yoongi adesso non poteva avere quel colore brillante: era caldo, era vivo, respirava.

Rosso.
Rosso.
Rosso.

Stelle sparse su un cielo che è una pozza scarlatta, iniettatemi dentro al cuore del Ketoprofene.

«Mi disgusta guardarmi allo specchio e vedere ogni giorno i tuoi occhi»

Indossò una mascherina per coprire i lividi sugli zigomi, prese alla cieca dei vestiti dal suo armadio e li mise dentro allo zaino insieme a qualche soldo che aveva conservato. Fuori pioveva ancora e lui voleva bagnarsi: inzupparsi i vestiti e ripulirsi dal sangue che gli colava dal naso. Uscì a passo svelto, lottando contro il vento che gli faceva lacrimare gli occhi, "Non ho paura" ripeteva tra sé e sé "Sono già prigioniero in quella casa, non posso aver paura della luna" .

In soggiorno la tavola era ben apparecchiata. Sul tavolo c'era una bottiglia fredda di vino bianco, due piatti e due bicchieri di vetro. La madre di Jimin ha i capelli ben spazzolati e tirati in una coda alta, gira il mestolo in una pentola fumante e con l'altra si porta una sigaretta tra le labbra dipinte di rosso.
Vede scendere il figlio, alza le sopracciglia e lo scruta.

«Jimin, hai perso ancora peso?»
«Non fa' differenza»
«La fa' eccome! Mi costringerai a chiamare il dottor Choi se continuerai a stringere quella cintura»

Jimin non diceva nulla, respirava, respirava solamente e pensava a come doveva ingerire tutta quella carne rossa. Si siede e la ingoia a piccoli bocconi. Uno. Due. Tre. Quattro. Ha lo stomaco chiuso ma con fatica la porta comunque in bocca.

«La tua giacca puzzava di erba Jimin»
«I miei compagni, a ricreazione, lo sai che lo fanno tutti mamma...»
«Sei pallidissimo, stai perdendo peso, stai facendo uso di sostanze?–Jimin, lo sai che queste cose con l'andare del tempo posson-»

A quelle mille supposizioni l'espressione del figlio diventò visibilmente agitata, posò la forchetta sul tavolo e i suoi occhi diventarono freddi come il vino nel bicchiere della madre.

«Non mi sto drogando mamma! Puoi smetterla una volta per tutte di essere così paranoica?! »

La sua voce si fece più dura e le mani iniziarono a tremare sotto il tavolo, esausto pensò all'incertezza sugli occhi di Yoongi. Poi al padre, al suo ultimo respiro che lento se ne andava insieme alla bella stagione. Pensava alla depressione della madre, al numero sulla bilancia, alla vita che desiderava, alla vita che poteva ancora avere.

«È per quel ragazzo, non è vero?»
«Di che stai parlando?»

La signora Park portò il bicchiere di vino sulle labbra e ne ingoiò un bel sorso «Il bullo, Min Yoongi» disse tutto d'un fiato «Ti piace»

«Non è un bullo»
«Per carità Jimin, come puoi essere così ingenuo?»
«Chi te l'ha detto?»
«Jung Hoseok» affermò, alzandosi e iniziando a togliere i piatti dal tavolo come se niente fosse «Quel ragazzo ti vuole bene ed è davvero preoccupato per te e per i ragazzi che stai frequentando»

«La mia vita non ti riguarda mamma, so badare a me stesso»

«Ma ti sei visto allo specchio? Non hai affatto la faccia di chi sa badare a sé stesso Park Jimin»

«Nemmeno tu, mamma» Jimin si alzò dalla sedia per posare il suo piatto dentro la lavastoviglie «Con permesso, non credo di avere più appetito, mi sento pieno della tua ipocrisia» lasciò la cucina sentendo la madre rimproverarlo dalle scale, usando delle parole prive di profondità.

Si lasciò cadere sulle lenzuola fredde del letto, la gola gli faceva male e sul cuscino sentiva la pelle delle guance andargli in fiamme. Oltretutto voleva ancora bene a Hoseok ma era impossibile trovargli delle giustificazioni. Perché non lo affrontava di petto anziché raccontare tutto a sua madre? Lo evitava da settimane, nonostante frequentassero gli stessi corsi, e adesso mostrava dell'interesse per la sua vita? No, Jimin non voleva crederci, chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella rabbia finché il suo cellulare non iniziò a vibrare da sotto il cuscino.

"Jimin"

La voce di Yoongi era debole come un filo di cotone e, insieme al suo respiro affannato, si sentiva la pioggia sbattere contro qualcosa. Il suo hyung non era lì, nella sua stanza, ma Jimin poté comunque sentire i suoi sguardi ardergli le ossa e vedere i suoi occhi brillare sulla fioca luce delle stelle, gli stessi occhi che non sono mai stanchi di scrutarlo, di farlo arrossire, di ricordagli il potere che aveva sempre avuto su di lui.

"E' successo qualcosa?"

"Nulla Jimin, non è successo nulla, avevo solo voglia di sentirti"

"Non crederai sul serio che mi beva le tue cazzate"

"Non sarebbe la prima volta"

La sua voce era inflessibile e all'apparenza anche rasserenata, nuovamente Jimin immaginò il suo sorriso curvarsi dietro l'ombra del cellulare. Il cuore di Yoongi, se potesse toccarlo, averlo tra le mani, Jimin cercherebbe di tenerlo sul petto e scaldarlo con il suo.

"Dove sei?"

Lo sentì ridacchiare mentre era intento a guardare  fuori la finestra e a cercare il suo sguardo nascosto da qualche parte nel suo giardino "Tutte queste domande... vuoi giocare a fare il fidanzato Jimin?"

"Non sarebbe la prima volta" Jimin scese le scale in fretta e furia, prese il giubbotto e lasciò casa sua. Non si guardò indietro nemmeno una volta e nemmeno controllò la madre: andò via e basta.

"Da bambino eri cicciottello, eri davvero carino. Mi sarebbe piaciuto incontrarti in quegli anni"

"Sei nella mia capanna degli attrezzi?!" Tutt'intorno c'è un silenzio tombale "Cazzo hyung, mia madre potrebbe denunciarti per una cosa del genere"

Non entrava da anni dentro quella capanna, l'aveva evitata come la peste. Camminare tra la polvere e tra i ricordi di suo padre lo impauriva un po' ma decise lo stesso di spalancare la porta, trovandosi Yoongi lì davanti: seduto a terra con delle foto tra le mani e dei lividi rossastri sul volto "Bingo"

«Che hai fatto? Hai fatto a botte?» Jimin corse da lui e d'istinto mise entrambe le mani sulle sue guance, facendo sussultare il più grande per il dolore «Chi è stato?»

«Non starmi così vicino Jimin, lo sai, noi siamo due magneti impazziti» Yoongi abbassò lo sguardo e sorrise «Se mi stai così vicino finisce che poi ti bacio»

«Scusami» Il suo hyung non lo aveva sfiorato, nemmeno per sbaglio, ma il viso di Jimin prese lo stesso a fuoco per l'imbarazzo delle sue parole «Sei scappato via di casa?»

«Tuo padre era una brava persona?»

«Sì, lo era, era il migliore» Jimin sorrise e gli indicò uno scaffale posto in alto sulla parete «Vedi quei vinili lassù? È tutta la discografia dei Pink Floyd, ne andava matto»

«Sembra molto diverso da tua madre»

«È così, lui lo diceva sempre, mia madre è l'altra parte della luna» il suo sorriso si fece più debole «E tuo padre,hyung? Lui che persona è?»

«Mio padre non è una persona, è un mostro–forse per questo io sono così, perché in realtà gli somiglio»
«Tu non sei un mostro, hyung»

Yoongi voltò la testa, guardando un punto indistinto della stanza, il profumo sulla pelle di Jimin era così buono da fargli pizzicare le narici. Cercava di non cedere all'istinto crudele di prendere la sua mano e avvicinarsela al cuore, baciargli le nocche fredde e sporche di matita. Non lo stava pensando davvero, no, non lo stava pensando.

«Jimin,» prese fiato prima di voltarsi a osservarlo «Se ti chiedessi di baciarmi davanti a una croce, lo faresti?– la profaneresti per me?» Yoongi gli sfiorò i capelli e sembrò soddisfatto quando vide fiorire nelle guance del più piccolo quel suo solito timido rossore. I suoi occhi percorrevano ogni dettaglio del suo viso, come se avesse di fronte una mappa.

«Non puoi continuare a punirti hyung, non è quello che lui vorrebbe per te, lo sai, lo conoscevi meglio di tutti»

«Tradire è ciò che mi riesce meglio, lo ha sempre saputo perché lui era anche peggio» Jimin aveva compreso la verità celata nelle sue parole che non fu difficile per l'irritazione assottigliargli le labbra«Mi provocava e io facevo lo stesso, non volevo vederlo ma senza sentirlo mi sentivo un cane affamato. Una volta la chiamavo rabbia, adesso potrei scegliere un altro nome»

Era insopportabile sapere che le parole che stava pronunciando non erano bugie, era sempre stato un bugiardo ma in quel momento le sue labbra stavano bruciando di verità. Yoongi lo guardava e Jimin non ricambiava i suoi sguardi per orgoglio. Era sempre stato così: si incontravano e poi si tiravano indietro. Come le onde.

«Non ti piace quando parlo di Hanbin»
«No, non mi piace. Non mi è mai piaciuto» Jimin baciò Yoongi con l'ansia rabbiosa dell'incredulità, «La prima volta che ti sei accorto di me; il bicchiere stretto in mano, l'aria stanca da tutti quegli sguardi, mi guardavi e io già mi sentivo il tuo diversivo» Le dita del più piccolo scivolavano leggere sulle ferite del suo hyung «Non mi è mai piaciuto hyung»

Le labbra di Yoongi sulle sue gli sussurravano ancora ricordi di morte, ma gli erano mancante. Esplorò con la lingua ogni centimetro della sua bocca, scendendo poi sul collo appuntito «Chi sei davvero, Jimin?» gli sussurrò sulla pelle accaldata «Non ti ho capito io, non ti ha mai capito Hanbin, quel tuo sorriso gentile che muta spesso in un ghigno severo» si fermò, per un istante, e guardò gli occhi nocciola spalancati del più piccolo sui suoi «Lo sai che non puoi mentire a un bugiardo?» con una mano scese sul suo fianco, sfiorandolo appena con la punta delle dita mentre con l'altra teneva i suoi capelli come redini.

«Il giorno del suo funerale piangevi per lui o per me? Sul tuo cuscino hai versato lacrime date dal senso di colpa o per la collera?»

Il corpo di Jimin tremava sotto quello di Yoongi, una strana luce brillava negli occhi del più piccolo ma la sua espressione restava innocua. Ancora una volta dalle labbra perfette del suo hyung uscirono parole colme di verità, Jimin ingoiò il dolore ma si sentì subito confuso dalla dolcezza nelle carezze di Yoongi «Per continuare a volerti, Jimin, per continuare a spogliarti, il mio posto all'inferno me lo son guadagnato»

Sua madre non può capire, i suoi amici non devono sapere. Lo chiama amore, Jimin lo chiama amore.

//

Diciamo che sono le tre di notte e io venerdì ho l'esame di storia ma ok, vi voglio bene quindi non ho dormito per tentare di correggere questo capitolo (che ho amato scrivere)

Ovviamente non è l'ultimo capitolo. Ormai mi conoscete abbastanza. Non come forse conoscete Jimin.

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