Un giorno molto verde

By mcastel

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Cronaca di un giorno molto verde, tra poesia e racconto More

Quadro I: Morning Glory

Quadro II: Carla e Tommaso

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By mcastel

il silenzio del parco

Carla si alzava presto la mattina, in quei giorni. Soprattutto in quei giorni, per avere il tempo per capire, per pensare, per ascoltare il silenzio del parco. A ventitré anni appena compiuti, nella casa in cui abitava da sola. La casa che dà sopra il parco, la sua casa nuova.

Carla aveva degli occhi di un azzurro profondo, limpido. Capelli biondi appena un poco mossi, mani lunghe e dita affusolate, e un sorriso docile, un'attenzione viva sulle cose. Pur essendo bella, non lo faceva pesare, anzi molte volte non sembrava esserne nemmeno cosciente. Nelle conversazioni tra amici, in università, aveva quel suo modo particolare di rischiarare il volto in ampi sorrisi: piccole gemme brillanti, che si mostravano per un istante, e subito dopo - per pudore, per timidezza - si ritiravano.

Quei suoi modi delicati e leggeri, avevano incantato Tommaso, fin dalla prima volta che l'aveva vista.

Anche quella mattina, come per abitudine, Carla avrebbe fatto colazione con calma, nella sala da pranzo. Il balcone, aperto sul sinuoso sentiero di terra e piccoli sassi, sovrastato di alberi e lastricato di rocce irregolari, lasciava già filtrare la limpida luce del mattino. Era piuttosto abitudinaria, da quando era da sola: ai primi trilli della sveglia, come gli altri giorni, subito si sedette sul letto. Si infilò le pantofole di peluche - quelle grosse pelose con davanti la faccione sorridente di due gatti sornioni (uno dei primi regali che le aveva fatto Tommaso) - poi andò in bagno per passarsi un poco di acqua fresca sulla faccia, come faceva di solito, come primo incerto tentativo di svegliarsi. Infine si diresse verso la cucina, già un po' più presente a se stessa.

Muovendosi, scavandosi dello spazio suo nell'ambito di quella placida mattina, ascoltava i piccoli rumori che producevano le sue stesse azioni, amplificati dal silenzio circostante: l'apertura del cassetto ove prendeva un cucchiaio, della porta del frigorifero dove era custodito il latte, della mensola dove teneva la scatola del muesli. Ancora, il fruscio sottile della sua vestaglia, poi il rumore di una auto lontana, che passava veloce...

Sono qui, da sola.
Sono nella mia tana, al sicuro.
Sono all'ingresso del mondo, il mondo dei grandi....

Di più, di più ancora: sono entrata, ormai.

Carla non era si abituata per davvero: ancora le sembrava strano, abitare in una casa da sola, senza mamma, papà, senza Anna, la sorella più piccola. Tutto pareva così diverso, così nuovo: una vibrazione di continua novità pervadeva tutte le cose. Un senso strano di qualcosa, di qualcosa che stava per cominciare, o ricominciare. 

All'ingresso del mondo. Ecco,
il mio mondo, all'ingresso del mondo.

Appoggiò le cose, con una misurata calma, sul piccolo tavolo ovale della sala, un bel tavolo di legno scuro. Quella mattina, ogni oggetto, ogni azione non era sola, divisa, separata, ma come fasciata di pensieri, di considerazioni, di costruzioni della mente che errava, si muoveva quasi a caso, favorita dal silenzio tutto intorno. Quasi volteggiasse su un tiepido sogno di merlatura celeste, di un vaporoso, onirico castello.

Nella luminosa quiete dell'inizio del giorno, la realtà le appariva così, magicamente cristallizzata: poteva quasi entrarne nei dettagli, sorprenderne qualcosa dei congegni segreti, delle dinamiche usualmente protette, custodite al riparo dagli sguardi lucidi e razionali tipici del giorno pieno. Le cose sono sempre, nel mattino, assai più limpide e chiare.

Condizione pur fragilissima, sorta di equilibrio sottile e precario: ad un accenno di azione soltanto, al movimento di un braccio, di una gamba - fino al battere stesso di una sua palpebra - ecco che i pensieri si raggrumavano all'improvviso, collassando come in un precipitato denso il quale, rientrando speditamente nella sostanza delle cose, le rendeva corpose e toccabili, di nuovo sperimentabili. Concrete. Al contrario, le cose che non erano oggetto di pensieri parevano improvvisamente restringersi, quasi si stremassero, confinate ad una esistenza appena solo virtuale, sottile, trasparente, irrevocabilmente impalpabile. Sfinite, stremate dal non essere oggetto di vera attenzione.


I pensieri, i suoi pensieri. Era quello infatti il momento delle giornata in cui riusciva a pensare più chiaramente, evitando la pressione indotta delle cose da fare, quella che maggiormente urgeva più avanti nel giorno. Sei mesi non sono tanti, dopotutto, stava pensando anche quella mattina. Sì, forse aveva ragione Tommaso. Forse le sue esitazioni erano un residuo soltanto, una scoria dell'essere ancora fanciulla, ancora bambina. Un pezzo di un mondo che ormai non era più il suo, non doveva essere più il suo. Forse sì, poteva staccarsi: poteva farlo ormai, senza troppa paura. Andare, fare da sola, muoversi, decidersi. Forse - anzi certamente - crescere. Crescere, per poi tornare, davvero più adulta, più definita, compiuta; meno ragazza e più donna.

Io la vedo così, in questo modo mi pare di capire...
Un adulto è così... così capace di amare, anche se non c'e' la vicinanza, il suo conforto...
Espone il cuore - insomma - mette il cuore negli eventi.
Costruisce, capisce.
Ritorna.
Io credo sia così, debba essere così.
Non aver paura, Carla, non aver paura..
Lo so che ci tieni, lo so, per cui non aver paura.

Parole strane, inattese, quelle che Tommaso le aveva detto la sera prima. Le erano rimaste in testa, e sembrava fossero anch'esse in casa, come cose vive, vicino a lei. Eccole lì infatti - quasi le avvertiva, palpabili presenze - che giravano per la stanza, si posavano delicatamente sugli oggetti, sulla tazza della colazione, sui biscotti. Permeavano l'aria, lo spazio libero tra le cose, gli oggetti. Chiedevano qualcosa, forse d'essere accettate, assimilate. O magari rifiutate, respinte. Comunque, comprese. Ma di più, ancora. Portate fin sotto la pelle, nella carne. Tutto è vero solo quando arriva nella carne, pensa. Finché ciò non avviene, scontrano e reagiscono, come elementi in aspra collisione dentro un irrequieto composto chimico; reagiscono con i pensieri e le mille obiezioni della mente. Del resto, già lo capisce, non è una comprensione delle cose che potrai mai dar pace, ma una adesione.

...ma se non fossi capace... se fosse inutile...
se magari, dopotutto, trovassi anche qui,
anche qui, senza bisogno di cercare altro, altrove...
Ma perché non mi tieni qui, Tommaso!
Dimmi di stare qui,
di stare -
qui.

Lo sai che non potrei partire,
allora.

Se tu appena me lo dicessi.
Solo
questo.

Solo,

una parola...

Oppure solo
un silenzio -
forse
soltanto questo.

Uno sguardo fermo
nel silenzio
di silenzio -

che mi lasciasse vestire
tutta intera solo vestire
della parola non detta:
"rimani".

Tante volte già, ormai, aveva sperato segretamente, intimamente, che lui la aiutasse, la convincesse a rimanere. Oh, ma certo! Se solo glielo avesse chiesto, se si fosse finalmente deciso a chiederglielo, non ci sarebbero più stati problemi: non ci sarebbe stata l'angoscia della scelta. Sarebbe stato più facile, in tutti i sensi. Sarebbe rimasta a casa. A casa, a casa: e basta fantasie.

Sì, vi erano delle volte in cui avrebbe di gran lunga preferito non dover scegliere. Più la cosa riguardava la sua vita, più l'energia si sperdeva nei mille risvolti delle conseguenze a breve e lunga scadenza della sua decisione, più lei si paralizzava nell'incertezza. In ogni ambito. Chissà, forse per quello aveva lasciato svaporare diverse occasioni di storie sentimentali, diversi possibili amori. Più o meno tutte le occasioni, le proposte, le aveva scansate. Fino ad ora: ora era diverso, era quello giusto. Lo sapeva, senza errore lo sapeva. Glielo diceva il corpo, il cuore, il respiro. Glielo dicevano le mani, i piedi, la pancia, glielo diceva la pelle, tutta quanta la pelle. E allora non voleva più scivolare via, non voleva perderlo. Nemmeno per un giorno, un minuto. Figurarsi poi, settimane, mesi.

Perché mi lasci andare allora?
Dici che mi ami,
(e lo sento, lo vedo, lo

annuso bene, che mi ami):
e allora, perché ?
Perché non mi leghi, mi stringi
finalmente, qui
mi costringi?

Niente: una parte di lei non capiva. Ma un'altra parte aveva pur iniziato a comprendere, a comprenderlo. Tommaso aveva percepito, aveva realizzato di disporre ormai di questo potere, di questo potenziale d'influenza. L'aveva capito e forse per questo non voleva abusarne. Sì, era qualcosa che lei gli aveva consegnato, senza quasi volerlo. Che lei gli aveva consegnato senza sapere di farlo, senza pensarci. Era qualcosa di prezioso di lei che ora era nelle sue mani, e lei stessa pretendeva, lei stessa sapeva che sarebbe stata trattata con cura. Da qui in avanti, sarebbe stata trattata con cura. Per questo si era consegnata, si stava consegnando, sempre un po' di più. Solo per questo.

Eppure faceva male. Ora, fa male.

... e metti, inietti del ghiaccio
tra il caldo fitto, il segreto morbido
pulsare del sangue, mi
denudi, mi riveli senza carità,
alla luce impersonale e fredda
della distanza:
perché?

Ah, se solo l'avesse trasportata su una decisione, se l'avesse forzata, in qualsiasi modo! Lei certo glielo avrebbe lasciato fare, lo sentiva. Ormai lei da sola non era come prima, non era più come prima. Non poteva più giocare ad essere completa, a fingersi autonoma, integra, levigata e piena. Ormai per far tornare i conti, chiudere il quadro, bisognava essere in due. Era diventato necessario, improvvisamente necessario, essere in due. Una necessità ineludibile, quasi imbarazzante. Per cui, perfino pensare da soli era inutile. Era diventato inutile.

...Ma no, non voglio pensare le ragioni, non ne ho voglia.
Mi stanca pensarle -- è così glaciale, astratto tutto quanto! Non trovi?
Abbracciami, baciami, invece. Riscaldami, di nuovo:

da sola, ho freddo.
Se tu mi stringi tra le braccia,
non mi stanco.
Se sento il tuo respiro vicino,
se avverto le tue labbra,
comprendo. Sento.

Ora guarda fuori dalla finestra, in ricerca di un diverso piano di riflessione, magari più riposante. Un assetto più conciliante da portare nella mente, un ritmo libero e morbido per addolcire i pensieri più inquieti. I raggi del sole mattutino giocano con le fronde degli alberi, mosse dal vento. Sembrano alludere ad un ordine segreto delle cose, sottile e giocoso oltre le più intrepide aspettative degli uomini: qualcosa che sbuca fuori quasi nel segreto, bagna le cose solo sull'orlo. Senza farsi mai bloccare, ridurre, razionalizzare.

una settimana per decidere

Una settimana. Ancora una settimana per decidere, per seguire una o l'altra delle possibilità. Ancora soltanto pochi giorni nei quali indulgere - anche rifulgere - in questa visione ampia, sfocata, dispersa, espansa su varie traiettorie. Abbandonata infine la calda vibrazione del dubbio, ci sarebbe stato da affrontare gli effetti pratici di una decisione presa. Di ogni decisione presa. Qualsiasi sia. Ritornare sopra un percorso definito, ben delineato, assimilare le conseguenze delle scelte fatte. Farle proprie. Accoglierle, indossarle, viverle.

Muoversi su una corsia nuova: proprio questo pensiero, la spaventava e l'attirava allo stesso tempo. Percepiva bene come l'attesa della decisione allargasse e quasi sbiadisse i contorni delle cose, delle iniziative. Appannasse, stemperasse le sue stesse risoluzioni. Il non risolversi la manteneva in uno spazio semimorbido e ovattato, un ambito di movimento più largo - piacevole, alle volte - con bordi sfumati, complessi. Iridescenti. Sembrava tutto scivolare in secondo ordine, rapprendersi e fermarsi, in attesa di una decisione.

Decisione non semplice. Da perderci intere giornate, analizzando i pro e i contro. Dopotutto, non sarebbe stato nemmeno così facile rifiutare, lasciar perdere. Sei mesi a Parigi, frequentare i corsi alla Sorbona, girare per i baulevard, respirare l'aria magica della città. Inebriarsi degli umori, impregnarsi dei colori, godere delle diecimila sfaccettature di luci, impressioni, stati d'animo, della capitale francese.

Parigi. Vi era stata in gita con la scuola, l'ultimo anno del liceo. Di un incanto dolce e pervasivo, totalmente affine alla sua sensibilità. Da allora, pensare di essere a Parigi ha quel suo fascino sottile, magico. Certamente le avrebbe fatto piacere poterci tornare. Ma non era solo questo: sarebbe stata la prima volta, la prima volta nella sua vita, il primo momento di allontanamento netto, deciso, definito, dal suo ambiente, dalla famiglia. Dopo la casa tutta per sè, ecco profilarsi anche una traiettoria di un pezzo di esistenza tutto per sé, tutto suo. E mica per ribadire, stabilire, un'autonomia o un distacco particolare. Non per opporsi a qualcosa. No, non era il tipo, e lo sapeva. Piuttosto, ne subiva il fascino, sentiva come un gusto nuovo dentro l'attrattiva delle mille imprevedibilità, celate dietro il semplice fatto di partire, il fatto semplicissimo - quasi banale - di decidere di partire.

Pensare che era accaduto quasi per caso. Un piovosissimo ed insulso mattino di ottobre, mentre si trovava immersa in una lunga coda davanti agli sportelli della segreteria di facoltà, girando lo sguardo un po' annoiato, aveva infine posto l'occhio su un manifesto con l'annuncio di un bando per borse di studio all'estero. D'improvviso, era stata ripresa del suo antico sogno di specializzarsi in letteratura francese.

Però, quasi quasi, perché non provare?
Magari faccio la domanda, così per scrupolo,
tanto mica me l'accettano, tanto è
sicuro che la borsa se la prende qualcun altro..

Era un gioco, uno scherzo, un diletto di cose impossibili. Poi a fine maggio le era arrivata a casa - una delle prime lettere che riceveva a casa nuova! - una busta larga e sottile con sopra il marchio dell'università. Dentro vi aveva trovato alcuni fogli con la descrizione puntuale delle varie pratiche da sbrigare, un elenco di documenti richiesti, e infine una lettera con scritto che lei, in base al suo curriculum ed ai voti ottenuti negli esami già conseguiti, aveva superato la selezione per l'assegnazione di una borsa di studio per Parigi.

Ricordava con nitida precisione il momento esatto in cui aveva aperto la lettera: si trovava sul balcone che dà sul parco, nel pomeriggio luminoso di tarda primavera, seduta su una di quelle sedie bianche da giardino che aveva comprato con mamma, appena pochi giorni prima. Alzando lo sguardo dai fogli che aveva in mano, osservava le persone passare camminando sulla distesa verde, proprio sotto di lei: i bimbi usciti da scuola che schiamazzavano allegri, un signore di mezza età con un cane pezzato che strattonava all'impazzata seguendo una qualche sua pista, una ragazza dall'aria gentile con un faldone di libri sotto il braccio, che procedeva con una strana celerità agitata.

Però soprattutto ricordava l'emozione insolitamente intensa che l'aveva investita, nello scorrere quelle poche righe, la sensazione sorda del sangue che le pulsava nelle tempie. Cosa stava accadendo? Improvvisamente l'assaliva l'indecisione, il non sapere, non capire cosa volesse davvero. Partire, sul serio? Certo, solo qualche mese prima, l'avrebbe fatto senza pensieri: riempire il borsone, prendere il biglietto, i documenti, andare. Ma ora era diverso.

Ora aveva Tommaso.

nelle sue difese

Era a febbraio che aveva conosciuto Tommaso, quella strana sera al pub, con gli altri amici. Quella volta, rammentava Carla tra se, che non le andava affatto di uscire: si sentiva triste, annoiata, senza sapere nemmeno il motivo. Oggi non sarei per nulla di compagnia, Mariella, lasciami stare... aveva detto alla sua amica, al telefono. Invece poi era andata così: dietro le insistenze di lei, aveva accettato. Però non andiamo lontano, voglio tornare a casa presto.... Chi viene? Non troppa gente, vero? Ma li conosco tutti?

Qualcuno c'era, di non conosciuto. Qualcuno che presto avrebbe fatto breccia nelle sue difese, avrebbe creato un varco nella sua timidezza. Quel suo modo di guardare, così premuroso. Sempre gentile, pacato. Ma che strano: sembrava gli brillassero gli occhi, quando la guardava. E poi, come la guardava. In una maniera dolce, quasi avvolgente. Lei se ne era accorta subito. E stavolta non aveva risorse, non aveva obiezioni, eccezioni, riserve, verso il fatto di sentirsi così avvolta, così protetta. Stavolta, per la prima volta, non le aveva: non riusciva ad averle. Si era sempre riparata, aveva sempre trovato il modo di farlo. Adesso niente, non lo trovava più.

Così si erano messi insieme, dopo appena una settimana. Da ridere, a pensarci. Lei, che si era ormai convinta che non avrebbe mai amato nessuno. Lei così strana, così diversa. Forse troppo riservata, timida. Troppo in un modo, troppo nell'altro. E invece. Un fatto semplice, una cosa che succede. Un solo fatto, sorpassa mille pensieri. Così, per questo fatto semplice, ecco che le sue aspettative erano mutate, erano già diverse. Come ti cambia, un amore.

Tommaso è il primo amore vero, profondo. E' attraverso di lui - del suo sguardo, del suo viso, del contatto con la sua pelle - che un intero universo prima solo appena presentito, le si sta dischiudendo davanti, anzi le esplode dentro, con ampiezze e gradazioni del tutto impreviste, con passioni e colori che la colgono di sorpresa. Non si è mai sentita così innamorata, mai. D'altronde, non se lo è mai permesso. Ed ora, invece. Essere oggetto delle sue attenzioni, la fa sentire più serena, più contenta di sé, del proprio corpo; di quel corpo misteriosamente fiorito intorno a lei, che ha sempre riguardato con impietosa e analitica severità.

Questo amore, come ogni amore, viene a sparigliare le carte. Ne è rimasta così impigliata dentro, così presa e coinvolta, che avverte un acuto disagio assalirla al solo pensiero di cambiare, di allontanarsi, di non rimanere. Aprire, aprirsi ancora, aggiungere materiale, cose, sensazioni, progetti, o cominciare piuttosto a richiudere, delimitare? Ecco, magari, restringere e sagomare la vita dentro uno spazio dai confini netti. Organizzare e approfondire le cose, scavarle, rifinirle, ripensarle.

camminarlo

In un certo senso, è un poco come osservare il parco, camminarlo, sentirlo - pensa adesso Carla, mentre allo specchio si liscia pigramente i lunghi capelli dorati. Cioè, tu magari cammini per il parco e percepisci la dolcezza di percorsi erbosi, collinette sterrate, filari di grandi alberi... però alla fine il senso di sicurezza che ne hai, che ne guadagni, dipende in un certo modo dal fatto che lo puoi delimitare. Sì, tu sei nel parco - certamente ne sei all'interno - ma allo stesso tempo, ne conosci i confini.

Si ferma un attimo colpita da questo pensiero, cercando di articolarlo meglio, di guardarci dentro, di entrarvi, di percorrerlo. Di abitarlo. Tu stai camminando nel parco, ovvero sei in questo posto, in questa situazione – vi sei dentro - ma al medesimo tempo, questo ambiente lo hai pur definito, conosciuto, idealmente circoscritto: non continua indefinitamente in ogni direzione. E' come incastonato in una zona di universo, di spazio. E' dunque protetto: tu questo lo sai. Allora se lo sai - ecco la cosa com'è, si dice - sei anche tranquillo, in fondo: puoi sceglierti un percorso, un cammino, sapendo quanto impiegherai per arrivare, per incontrare quella persona che - magari - ti ha dato appuntamento dall'altra parte. Forse proprio dove il parco discende giù, dopo quella collinetta, giù pian piano fino a lambire la Nomentana: stando fermi là in cima si può osservare l'affrettato ansioso perenne moto della città, da una prospettiva attraente di più serena quiete, di calma.

Al dunque - pensa uscita dal bagno, mentre sceglie quale gonna indossare - vuol dire che sai come muoverti per ottenere quello che vuoi, conosci le direzioni da prendere. Non continui a buttar dentro altre cose da elaborare: ormai lavori a sottrarre, raffinando quello che hai già tra le mani. Intervieni solo sul materiale di vita ed esperienze cha hai già accumulato. Cerchi di sagomare, di plasmare: di togliere quel che non serve. Di arrivare all'essenziale. A ciò che davvero conta, per te.

la luce di quel pomeriggio

"Quello che dici forse è giusto, ma non è per te. Non in questo momento della tua vita, Carla. Non ora!" Le aveva detto proprio questo, Riccardo, con quell'aria spaccona ed esuberante che si porta sempre appresso, con quell'ostentata sicurezza, quell'atteggiamento ad essere, o ad apparire, più grande e saggio della sua età. E curiosamente, pensava Carla, ogni tanto ci prende pure! Quella volta poi aveva una strana perentorietà che traspariva tra le parole, tanto che lei ne era rimasta colpita in maniera particolare. Ricorda benissimo l'istante in cui le aveva detto così, dove si trovavano, persino il particolare colore della luce di quel pomeriggio. Persino i singoli gesti, l'ambito stesso dei pensieri, ritornano ancora adesso nitidi alla mente.

E il suo stato d'animo, certo. In realtà aveva avuto l'impressione che, allorché si stava definendo il suo interesse per Tommaso - quando cioè le sue onde di attenzione sentimentale, certo disperse per l'atmosfera più erraticamente di quanto avrebbe desiderato, si stavano condensando infine su una persona ben definita - proprio Riccardo, quasi fosse dotato di antenne sensibilissime, avesse intuito in lei una indecisione ed anche un certo turbamento. Che cioè avesse letto attraverso l'incertezza di Carla verso questo suo nuovo sentimento.

Era andata avanti per alcuni giorni, in questa maniera indefinita, ambigua. Finché un pomeriggio Riccardo, partendo da un pretesto banalissimo, la aveva condotta man mano su un discorso ampio, articolato; indefinito sì, ma solo in apparenza.

Erano seduti su una panchina nel vialetto che correva internamente all'università - da una parte le aule di biologia, dietro di loro l'aula grande di lettere - mentre il sole spandeva con generosità imbarazzante la luce rossastra del tramonto, tra l'edificio lungo ed irregolare delle facoltà universitarie e l'ipermercato supergalattico al di là della strada. Riccardo parlava, e parlava di cose che ora sembravano idee astratte, ora invece parevano indicare persone e situazioni ben concrete, mentre lei ancora non riusciva a inquadrare chiaramente il contesto, a porre degli argini al significato e all'ambito del suo dire. Guardava i suoi capelli ricci che si muovevano assecondando i movimenti irregolari della testa, e quasi stordita per il copioso fluire delle sue parole, non riusciva più a capire se parlasse veramente di lei, o di qualcun altro, o di nessuno in particolare.

Con lui non era una cosa infrequente: Riccardo era generoso nel parlare, deciso nella ricerca di contatto, con uno sguardo ed un modo di fare, che non si accontentava di restare a giocare sulla superficie, ma scavava verso l'interno, sempre. Sembrava non contento fino a che non riusciva a ricevere segnali non ambigui, tracce certe dell'avvenuto coinvolgimento della parte più sincera e vera delle persone. Insofferente dei discorsi di superficie, li stanava subito e se ne svincolava quanto più rapido possibile: di solito ponendo una domanda, inserendo un'interruzione, una svolta imprevista, una guittezza verbale, magari solo un'esclamazione.

Diventare amico di Riccardo senza aprire alla sua vivace attenzione una parte pur sostanziale di sé, era davvero impossibile. E forse era per questo che – superata una iniziale diffidenza – Carla aveva pian piano iniziato a interessarsi al suo modo di vedere le cose, a cercarne i suoi giudizi, e anche, senza che lo avesse chiaramente pianificato, a confidarsi con lui, confortata in questo dalla sua attenzione, sempre non formale, lucida, puntuale.

Attraverso il suo giudizio le pareva che le sue stesse impressioni, le sue sensazioni, le ritornassero più ragionate, complete, più arricchite. Era certa che lui capisse, in realtà, molte altre situazioni ben oltre la superficie, nelle cose e nelle persone.

Indubbiamente Riccardo aveva un modo di fare che le piaceva. L'aveva attratta, probabilmente, proprio la loro diversità di caratteri, la difformità di atteggiamenti, di comportamenti. Per lei, una riserva sempre fresca di cose da capire. Ma non solo. Nella sua sicurezza così spavaldamente ostentata lei intravedeva, con uno sensibilità tipicamente femminile, una certa dolcezza - fragile in fondo - che la commuoveva e la seduceva al medesimo tempo. Che groviglio di sensazioni complicate! pensa Carla, finalmente pronta per uscire.

Con un moto di inconsueta vanità, si regala ancora un'ultima occhiata allo specchio. Ma sono bella? Sono bella, per gli altri? Sono davvero desiderabile? Una dolce rassicurazione, piovuta in lei da chissà quale remoto angolo di universo, la pervade e la calma. Prende borsa e chiavi, si chiude la porta dietro si se. Arrivo, mondo!

E che anche questa volta, Riccardo avesse ragione, che in fondo avesse sempre avuto ragione, Carla lo capì, finalmente lo capì, la sera stessa.

l'aria, di fine primavera 

Ed ecco, era stata una giornata piena, la mattina trascorsa a seguire i corsi in università, poi a pranzo dalla mamma (Ma mangi abbastanza? Ti serve qualcosa? Ti ho preparato un bel polpettone, devi mangiare più cose sane, certamente non te le stai mica a preparare da sola...), poi alle quattro era passato a prenderla Tommaso, ed avevano passeggiato un paio d'ore, a parlare e guardare le vetrine. Di proposito, Carla non aveva ripreso l'argomento della borsa di studio, né Tommaso da parte sua ne aveva fatta menzione.

Era stato un pomeriggio magico, quasi fatato. L'aria di fine primavera, il clima così confortevole, i colori pastello del tardo pomeriggio – che sempre avevano destato il tenero stupore di Carla – il senso di luccicante attesa che sembrava contagiare la città, per la fine del giorno lavorativo, forse anche per l'arrivo del fine settimana...

Così quel giorno aveva voglia di scherzare, di ridere, di giocare. Fare un po' la bambina, insomma, per cacciare via i pensieri complicati. Dopo aver indugiato un poco di fronte alle vetrine del negozio di vestiti (con Tommaso in attesa paziente) e a quello del negozio di musica e dischi (e lei che aspettava, assai poco pazientemente), avevano virato l'attenzione sugli interessi comuni, così avevano preso un pezzo di pizza al taglio e si erano diretti al parco, per osservare insieme la luce calda della serata.


Seduti su una panchina, ad un certo momento si erano trovati improvvisamente su un argine di silenzio, a guardarsi negli occhi: un enorme smisurato sublime spaventoso argine di silenzio. Allora lui l'aveva d'impulso stretta a sé e l'aveva baciata con forza. Di norma Carla tendeva ad allontanare un poco i baci così sensuali, a porre una distanza, come un margine di riserve e incertezze, come una richiesta di attesa. Una richiesta a cui Tommaso si era piegato, finora, senza troppe rimostranze. Ma quella volta chissà perché era più contenta e allora senza capirlo bene si era lasciata più andare e si era anche - in effetti - lasciata baciare davvero e quel bacio era così diventato inaspettatamente dolcissimo, certo più dolce di quanto avrebbe potuto pensare, di quanto avrebbe voluto. Tanto che lei precipitando in tale inaspettata dolcezza ad un certo momento si era dovuta ritrarre - si era voluta ritrarre anche se non voleva anzi soprattutto sentendo che non voleva - perché improvvisamente imbarazzata di sé, delle reazioni del suo corpo alto e basso che muovevano ormai quasi in automatico e le strappavano via il controllo, volevano strapparglielo via, con una nuova inaudita prepotenza, così forte e perentoria che la spaventava.

Così per un altro poco erano rimasti insieme vicini, stretti stretti, e non avevano detto nulla perché d'altra parte nulla in quel momento si poteva dire che non fosse veramente poco importante, e allora pensava Carla che era pure bello stare in silenzio e trascorrere la vicinanza così guadagnata, facendo intanto placare la burrasca che le era montata dentro.

una stoffa di risposta 

Sì, bello davvero rimanere abbracciati, mentre il sole si appoggia pigro ed indolente al profilo degli edifici che contornano il parco e tutto il mondo sembra improvvisamente tenero, pieno di una incantata seducente morbidezza generosamente effusa su tutte le cose. E una nuova ulteriore dolcezza attraversa adesso i loro corpi vicini e si unisce trepida a quello che hanno intorno - ed ecco, tutto ricade in qualche modo nell'ambito del loro amore - ed insieme e dopo tutto questo lei avverte (con un grandissimo senso di liberazione) di essere sicura che Tommaso le vuol bene veramente, che lei è amata davvero, e qualunque cosa dovrà succedere domani o il giorno dopo e qualsiasi cosa dovrà decidere in futuro per questo loro amore, cioè se rimarrà con lei o qualcun'altra invece lo prenderà per se, se qualcuna che non è lei in futuro lo bacerà lo stringerà e si farà stringere e tocare, in ogni caso di una cosa semplice adesso è assolutamente certa: e cioè che in questo momento così eterno lui, davvero, le vuole bene.

Ed è così, è come se una struttura buona e delicata si sia posta silenziosamente in opera. C'è qualcosa, qualcosa appena sotto ogni cosa che ora vedono, che sostiene ogni cosa che possono vedere, che potranno mai vedere. E' come se tutto si componga, adesso, in modo compiutamente armonico. Misteriosamente, radiosamente consonante. In un certo senso, come quando era bambina. Quando sotto Natale la portavano a vedere i presepi, e quelli più belli le ispiravano una pace ed un senso di armonia non lontani da quanto sta provando ora.

C'è qualcosa poi, c'è come un presentimento di sicurezza, di casa, come una possibilità intravista di cedere, di rilasciare la tensione della ricerca, di aver trovato un approdo, di potersi riscaldare nella constatazione pacificante che sì, ormai è chiaro, definito, certo, lei con Tommaso avrebbe potuto passare l'intera sua esistenza, avrebbe anche potuto forse, avrebbe potuto lasciarsi amare senza più paura d'essere ferita, che un giorno magari si sarebbero sposati, avrebbero forse avuto dei bambini, che avrebbero dormito tante notti vicino, che lui sempre le sarebbe rimasto accanto. Ma no, forse nessun altra glielo porterà via. Forse poco fa ha solo avuto paura, una terribile ma ingiustificata paura.

Vuole dirglielo subito, dirgli subito tutto questo, ma ha ancora pudore, non sa bene come farlo. Così rimane solo in silenzio, a lasciar intrecciare il suo sguardo mite con quello di lui, affidando solo agli occhi tutto quel mondo di cose che improvvisamente, urgentemente, finalmente sente di voler dire, di poter dire...

E quel freddo. Quel freddo e quella paura strana, di essere avvicinata, sfiorata, quel freddo che aveva sempre scoraggiato, distillato il contatto, perfino con Tommaso, inizia improvvisamente a stemperarsi. C'è ancora, d'accordo: c'è sempre. Eppure, non è più quel blocco blu compatto che era prima. Quel blocco compatto completo inscalfibile. Quello che finora l'ha indotta a non farsi mai avvicinare oltre un certo limite. Per paura. Paura di qualcosa che a volte desidera, a volte brama, ma che fino a ieri la spaventava, la spaventava da morire. Ora è diverso, forse ora non deve più difendersi. Forse da ora non deve più. Non ce ne è più bisogno, semplicemente. Tommaso non le avrebbe fatto mai del male: niente di lui le può far male se lei rimane morbida, così. Forse è questo l'amore vero, l'amore tra uomo e donna? Rimanere morbidi, nel tempo. Ecco perché certa gente non ne ha paura. Ecco perché vi si può abbandonare. Ora lo capisce. Finalmente lo capisce.

E' giusto, ma non è per lei. Non ancora, non in questo momento della vita, della sua vita. Così abbandonata nell'abbraccio di Tommaso, Carla sente risuonare in lei quelle parole di Riccardo, e le sente improvvisamente vere, vere in maniera definitiva, inequivocabile, ed insieme sente sciogliersi il cuore nella gratitudine a Riccardo per la cura e la attenzione che le ha sempre dimostrato, per averla consigliata tanto che ora le sue parole le risente dentro, ed insieme così finalmente tranquilla per i suoi sentimenti, così come sta comprendendo in questo momento. Così come comprende anche, finalmente, che a Riccardo ci tiene, certo, ma in modo diverso da quanto vuol bene a Tommaso. Con Tommaso può essere cedevole, accogliente, morbida. Sente di poterlo circondare di lei, di poterlo perfino, col tempo, farlo cadere in lei, con tranquillità. Di poterlo assorbire tutto in lei senza averne alcun danno. Qualcosa è cambiato, e si sente pronta a riceverlo, a proteggerlo e custodirlo. Questo la conforta e la solleva: i dubbi che tanto l'avevano fatta penare, ora si dileguano, davanti alla semplice, nuda realtà.

Proprio questo – ora lo capisce – le permette di voler bene ad altre persone, la istruisce a voler bene nell'abbraccio di questo amore, questo amore che, accolto, fuga ogni ambiguità, ogni incertezza.

Si apre allora una strada chiara chiara; quasi il presentimento lucente di una bella possibilità. Di una possibilità che può divenire reale. Di quelle cose preziose che ella coltiva segretamente in se, nutrendole di pensieri morbidi, di quelle che finora pensava, temeva fossero solo illusioni, che comunque non vuole abbandonare perché la riscaldano e la aiutano a chiarire e comprendere anche il mondo fatto come sequenza di cose persone e situazioni; quelle che uno dice, anzi che lei stessa quasi dice "non ci credere, non ci credere che certo poi rimani delusa, bambina mia; ormai sei grande".

Si sforza di separarsi un poco da lui, per poterlo guardare. Deve dirgli qualcosa, e deve osservarlo in volto. "Tommaso, ma se io allora parto... tu rimarrai? Rimarrai?" Vorrebbe aggiungere con me, ma non osa. Quelle due parole le rimangono in gola, ma le colorano ugualmente il volto, si esprimono nel viso. Quelle due semplicissime parole, adesso, le sente danzare nel suo petto, nel suo ventre.

Lui la guarda in silenzio, con tenerezza. Le porge un fazzoletto. Accidenti! Una lacrima è scesa lungo la guancia, tracciando un silenzioso sentiero, minima secrezione esterna che tradisce quell'oceano di profondità insondabili, esplose quasi tutte all'interno: evidentemente sta piangendo, nemmeno si era accorta. Si è troppo scoperta, si è fatta scoprire. Forse non avrebbe dovuto chiedere, forse non ancora. Come posso ancora chiedergli qualcosa, su quale base pretendere qualcosa... Che imbecille, che stupida! Chissà cosa penserà, chissà cosa penserai, chissà cosa...

E Carla viene abbracciata. Mentre piange, viene abbracciata. Come una regina, incoronata inaspettatamente nel momento stesso della caduta, nella discesa rovinosa ed irresistibilmente dolce verso il suo mare più interno.

Succede così che la risposta, l'intera, completa, esaustiva, esauriente risposta, la trova adesso. Non è dove lei l'ha cercata fino ora; non sta nelle parole; non è fatta di parole, di concetti, di argomenti, di valutazioni.

E' di tutt'altra stoffa: la risposta, è un bacio.

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