Come la pece

By lettrice_incognita

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Teen drama. "Trovai il coraggio di alzare gli occhi nei suoi. Erano neri come la pece e profondi come un pozz... More

1. La ragazza della porta accanto
2. Quando le tende sono inutili
3. Salvami
4. Dov'è andato?
5. Insonnia
6. Nessuno da cercare
7. Dubbi
8. Rosso Malpelo
9. False accuse
10. Il primo indizio
11. 72h in un solo giorno
12. Cosa mi succede?
13. Sepolte nella cenere
14. E... se fosse lui?
15. Algebra e pancake
16. Illegale
17. Cedimenti
18. Grigliate e salotti
19. Rotture
20. Vecchio giocattolo
21. Notti tormentate
23. Amleto
24. Chicago
25. Mc
26. Romeo e Giulietta pt.1
26. Romeo e Giulietta pt.2
27. Pool party
28. Così per sempre
29. Litigi e notti stellate
30. Ti prego, Wendy
31. Verità a galla
32. Boschi e grigliate
33. Alzarsi e sorridere
34. Hale
35. Rabbia, autocommiserazione, rabbia, isolamento
36. Riappacificamenti
37. La partita
38. Adrenaline in my veins
39. Toga e tocco blu
40. Prom
41. This girl is on fire
42. The end

22. Pozzanghere

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By lettrice_incognita

Quando tornai a casa avevo i nervi a fior di pelle. Josh aveva accusato ingiustamente Aiden. Mi sentivo in qualche modo in colpa. Se non avessi chiesto a Josh dove si trovava suo padre la sera dell'omicidio, tutto questo non sarebbe mai successo.

Avevo cacciato tutti in un grosso guaio, soprattutto Aiden. Non ci parlavamo ancora, era uno stronzo, ma non potevo fare a meno di stare male per lui. Ormai avevano tutti smesso di parlare di lui, nessuno sembrava ricordare che un mese prima un ragazzo fosse stato ucciso. E ora?

Ora avevo fatto concentrare il padre di Josh su di lui. Quell'uomo non mi convinceva affatto, non era quello che dimostrava di essere e la cosa mi spaventava più del dovuto ora che sapeva delle nostre indagini.

Sicuramente si era posto qualche domanda. Bolton gestiva una gara clandestina, non era a casa la notte in cui un ragazzo era stato ucciso e suo figlio gli andava a dire che il nuovo arrivato gli poneva domande sul suo conto. Se non era stupido -e non lo era- a quell'ora si era già dato qualche risposta.

Uno stupido ragazzino dai capelli rossi vuole mettermi i bastoni fra le ruote?

Ero quasi certa che quello fosse stato il suo primo pensiero, però non aveva fatto a meno di uscire tardi da casa quella sera, con tutti noi presenti. Forse questo faceva parte del suo piano, forse pensava che Aiden avrebbe condotto Josh da lui, che ovviamente non si sarebbe fatto trovare nel luogo in cui si teneva la corsa.

Crollai sul letto con quei pensieri che mi divoravano da dentro. La mia mente si stava trasformando in una gabbia, sempre più stretta. Le sbarre mi stavano schiacciando, impedendomi di respirare.

Mi addormentai con quella sensazione, opprimente come la nebbia, e, dopo un tempo che mi sembrò brevissimo, vidi mio padre e il signor Bolton. Erano tornati nella loro versione oscura, quella un po' sfocata, quella dei miei incubi.

Quella volta, quando aprii la porta, non vidi Stephen appeso ad una corda. No, quella volta no. Quella volta vidi una ragazza dai capelli chiari, non molto lunghi. Aveva la pelle bianca, tanto pallida quanto fredda. E solo quando alzò la testa, mostrandomi i suoi occhi totalmente bianchi, con le iridi riverse all'interno, riconobbi lo stesso viso che vedevo ogni giorno allo specchio.

Urlai, terrorizzata. Ero stanca, sfinita da quegli incubi. Non avevo nemmeno la forza di aprire gli occhi, ero debole. Quell'urlo disumano mi aveva tolto le ultime energie che mi restavano. Era già tanto che non fossi crollata prima. A volte a scuola mi sentivo mancare il respiro, la mente supplicava di spegnersi e gli occhi di restare al buio. Ma non succedeva, non potevo permettermi di svenire. La notte era diventata la mia più grande paura, ero terrorizzata dall'idea di andare a dormire. Un'altra verità distorta mi si sarebbe ripresentata davanti. Solo che, alcune volte, non sapevo distinguere quale fosse la parte vera e quella distorta.

- Che succede? -. La porta si spalancò di botto, rivelando mio padre in pigiama.

- Ho avuto solo un incubo. Tutto okay - lo rassicurai, nonostante sentissi andare il cuore sotto sforzo. Ho appena sognato te, avrei voluto dirgli, mentre mi uccidevi, papà.

- Stai bene? -.

- Sì, buonanotte -. Gli voltai le spalle, aspettando che uscisse dalla mia stanza. Il cuscino era bagnato, saturo di sudore. Sentii il suono della porta combaciare con lo stipite e mi alzai a sedere, mettendo i piedi giù dal letto. Il pavimento era gelato e mi fece venire in mente quando ero piccola. Avevo il terrore di sporgere un braccio, una gamba o una mano fuori dal letto perché credevo che, di notte, sotto di esso vivessero dei mostri, pronti ad afferrarmi e fare di me il loro spuntino.

Lanciai uno sguardo alla sveglia, che segnava appena le quattro del mattino. Era arrivato l'ennesimo sabato.

Mi alzai molto lentamente. In realtà avevo paura che le mie gambe cedessero e che finissi sul pavimento, così mi avvicinai alla finestra con tutta la calma che avevo, sfiorando la parete alla mia destra con le dita per essere sicura di non cadere.

Scostai le tende, mi inginocchiai sul davanzale e aprii la finestra per respirare un po' di aria pulita. Pensavo che la luna e l'aria fresca mi avrebbero aiutata a tornare serena.

Inspirai, chiudendo gli occhi. Mi riempii i polmoni e poi lasciai che tutta l'aria uscisse. Scivolai sul davanzale, appoggiando la schiena al telaio in legno e distesi le gambe per tutta la lunghezza della finestra.

Le gambe sollevate, la schiena rilassata, la luna, il venticello che mi soffiava in faccia. Quel piccolo angolo della mia stanza stava diventando il mio paradiso terrestre. Chiusi gli occhi, gettando la testa indietro e appoggiandola al legno dietro di me. Eppure c'era qualcosa che non andava.

Aprii gli occhi di scatto, cercando con lo sguardo ciò che cercavo.

Probabilmente avevo svegliato anche lui. Fatto sta che quando mi vide aprì anche lui la finestra.

Lo guardai, aspettandomi che dicesse qualcosa, o che la richiudesse e tornasse a letto in silenzio. Invece non fece niente di tutto ciò.

Mi fissò per quelle che mi sembrarono ore, ma erano stati solo secondi. Mi voltai, scesi dal davanzale e tornai al letto. Mi accontentavo di non dormire piuttosto che restare sotto lo sguardo di un troglodita.

***

- Ma perché continua ad andare dietro quell'oca? - sbuffò Lisa.

Soffiai sul bordo della tazza, rannicchiandomi sotto il plaid. - È un maschio, a loro non interessa dell'intelligenza - le risposi, potendo finalmente bere un sorso di cioccolata senza scottarmi.

I miei erano usciti a fare compere, così ne avevo approfittato per invitare Lisa per guardare un film.

Le immagini si interruppero per lasciare due minuti per i messaggi promozionali.

- Ieri sera ti ho vista con gli occhi lucidi -. La sua fu una domanda innocente, detta senza cattiveria, ma mi fece malissimo perché la mia mente si concentrò di nuovo su Aiden, su quello che mi aveva detto.

- No, ti sbagli - dissi ridacchiando per risultare più convincente. Non avevo nessuna voglia di raccontargli della nostra discussione. Prima smettevo di parlarne, prima lo avrei cancellato dalla mia mente.

- Aiden continua ad evitarti? - continuò con premura, come se cercasse di accarezzare un leone. Meditava, studiava ogni mossa, e poi provava a fare un altro passo.

- Sono io che lo evito, in realtà - dissi, alzando gli occhi nei suoi. Alzò un angolo della bocca.

- Ti piace, vero? -.

- È una situazione strana, difficile da spiegare - sviai l'argomento, tornando con gli occhi sulla TV.

Mi mancava discutere di Stephen, di vederlo entrare dalla mia finestra. Quella volta che mi aveva abbracciata, l'altra che mi aveva quasi baciata. Sembrava essere passato un secolo.

Perché aveva stroncato tutto di punto in bianco? Perché mi aveva parlato in quel modo? E, sopratutto, perché dopo tutto questo mi aveva seguita in bagno a casa di Josh?

I protagonisti del film che stavamo guardando si baciarono, accompagnati dalla colonna sonora e un grande The end comparve sullo schermo.

- Il finale mi ha lasciato perplessa - commentò Lisa, fissando ancora lo schermo.

- Potevamo guardare Titanic -.

- Wendy, l'abbiamo guardato venti volte - si lamentò, mettendosi in piedi. Lasciò la tazza sul tavolo da caffè davanti il divano e si infilò nel giubbotto.

- Ci vediamo domani? - mi domandò, avviandosi verso la porta.

- Lavoro tutto il giorno -.

- Dico a Bryan di passare, allora -.

Annuii, accompagnandola alla porta. Mi abbracciò prima di uscire e recarsi alla sua auto.

L'aria aveva l'odore di terra bagnata, le pietre bianche del vialetto di erano sporcate di fango e la staccionata era diventata lucida. Lisa scavalcò una pozzanghera e aprì la portiera. Il suono delle suole di gomma contro l'asfalto bagnato e quello dell'acqua che schizzava di qua e di là catturarono la mia attenzione.

Era una figura incappucciata, con il viso messo in ombra dal cappuccio della felpa. Il mio cuore sussultò, prima che lo riconoscessi dalla camminata composta, né troppo rilassata né troppo rigida, semplicemente di chi non vuole dare nell'occhio. Stava tornando da chissà dove.

Salutò Lisa con un cenno del mento e poi si voltò a guardarmi di sottecchi. Il suo sguardo era più ombroso del solito, ma riuscì a provocarmi la pelle d'oca con la stessa intensità di sempre.

Lisa mise in moto e abbassò il finestrino. Il suo sguardo era della serie "È il caso che scenda?". Le sorrisi e lei annuì, partendo.

Aiden si era fermato davanti il cancelletto chiuso. Era la seconda volta in due giorni che provava ad avvicinarsi. Era stato lui ad allontanarmi, quindi perché ora mi si avvicinava?

- Come stai? - mi chiese. In quell'esatto istante, i suoi occhi abbracciarono i miei. Fu un abbraccio violento, passionale e carico di malinconia. I suoi occhi volevano dire un sacco di cose, ma non ero in grado di leggerli, così li spostai sulla strada del tutto deserta, niente di strano con quel tempo incerto. Esitai qualche secondo, lì in piedi davanti la porta di casa. Come stai?
Un soldato non chiede ad un avversario "Come stai?" dopo avergli sparato ad una spalla.

Lo guardai con indifferenza e mossi un passo indietro, chiudendo la porta.

Restai ferma con le spalle alla porta, presi un sospiro e feci due passi verso il divano. Un sospiro e due passi, quello fu il tempo che Aiden impiegò ad aprire il cancelletto e raggiungere la porta di casa mia.

Il campanello mi fece tremare, ma non per la paura.

No, non rispondere. Sai che è lui.

Il campanello squillò un'altra volta. Forte ed insistente, proprio come era stato il suo sguardo poco prima.

Sospirai. I vicini lo avrebbero visto se non gli avessi aperto. Si sarebbero insospettiti, notando l'assenza dell'auto dei miei genitori.

Di slancio mi voltai e tirai la porta verso di me con violenza. Mi aspettavo di trovarmi faccia a faccia con il suo volto, ma invece Aiden stava scendendo dal portico.

Si voltò e risalì con una sola falcata. Feci un passo indietro, sorpresa dalla velocità con cui avesse annientato tutta quella distanza.

Si abbassò il cappuccio rosso della felpa, rivelando i capelli in disordine e donando una nuova luce ai suoi occhi. - Cosa vuoi? -.

Strinsi la maniglia della porta per scaricare l'ansia in qualche modo e trattenni il respiro.

- Assicurarmi che sia tutto okay - mormorò.

Alzai le sopracciglia, spalancando la bocca per dare vita ad un verso strabiliato.

- Sì, Aiden. Ciao - sbraitai, sbattendogli la porta in faccia. O quasi.

Il suo piede bloccò la porta, impedendomi di chiuderla. Avrei tanto voluto gridare per lo strazio, ma mi trattenni per educazione.

- Qual è il tuo problema, Aiden? - sbottai riaprendo la porta.

Spalancò la porta con un braccio ed entrò arrogantemente, lanciando uno sguardo lungo tutto il salotto. Abbassò il capo su di me e richiuse la porta, con più gentilezza rispetto a quella che aveva usato per aprirla.

Eravamo a pochi centimetri di distanza, così vicini che riuscivo a sentire il suo profumo. E non potevo fare a meno di inalarne, ad ogni secondo, quantità sempre più grandi.

- Ho detto una cazzata -.

- Come? -. Feci un passo indietro; non riuscivo a credere alle mie orecchie.

- Non ti ho presa in giro finora, sono sempre stato me stesso - continuò.

Alzai le sopracciglia. - Ah, quindi non è vero che non volevi illudermi? - lo provocai, riprendendo le sue stesse parole. Il suo comportamento mi faceva impazzire.

- Non mi rivolgi la parola da giorni -.

- Ti aspetti che lo faccia? -.

Staccò lo sguardo da me e si passò una mano sul viso. Stava facendo fatica a parlarmi? Era stato lui ad entrare in casa mia con la forza.

Mi allontanai da lui, dandogli le spalle. Era l'ora che capisse di andare via e lasciarmi sola.

- Non volevo trattarti in quel modo, Wendy - sospirò.

Sorrisi, anche se non poteva vedermi. Avevo appena capito quale fosse il suo problema.

- Non riesci a chiedere scusa, vero? Non è per me, non ci riesci con nessuno - sbroccai, girandomi a studiare la sua espressione.

Quei pozzi neri mi guardarono meravigliati, esterrefatti. Era sconcertato e stupito in senso positivo allo stesso tempo. La sua reazione fu una goduria.

- Ho sbagliato, lo so -.

- Perché lo hai fatto? -.

- Ti basta sapere che non è dipeso da me? -.

Mi strinsi il labbro inferiore tra i denti, guardando la parete alla mia sinistra.

- Non lo so, non lo so se mi basta - sospirai. Come potevo perdonarlo?

Fece un passo verso di me, ma io indietreggiai un'altra volta.

- Domani ti va di studiare insieme? - propose, sorridendo speranzoso.

I suoi denti bianchi fecero capolino tra le labbra rosee.

- È la tua ultima possibilità, Evans -.

Era incredibile come riuscissi a farmi fregare da tutti. Ma era ancora più incredibile come lui fosse riuscito a parlarmi senza chiedere scusa.

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