Qualcuno bussò nel cuore della notte.
Fino a quando si trattava di due colpetti esitanti se la dormirono tutti, ma quando partì un vero e proprio concerto di percussioni si alzò un coro di bestemmie. C’era un motivo se nessuno andava mai a disturbare i Dodici e quel motivo si chiamava istinto di sopravvivenza.
Il loro dormitorio era una giungla di letti al piano terra, imbucato in un vicolo cieco. Chiunque fosse lo scocciatore non era capitato lì per caso.
“Jungkook…” chiamò una voce e tutti gemettero.
Il ragazzo si era tappato la testa in un cuscino. Poteva fingere che quella voce non esistesse, ma non poté fare lo stesso con la pioggia di insulti che gli arrivò dai colleghi. Era divertente come provenissero dai punti più disparati della stanza.
“Sì, ho capito, adesso vado…”
Un altro insulto.
“Ho detto che adesso vado!”
Chiedendo a Dio cosa avesse fatto di male, Jungkook si buttò la coperta sulle spalle e si alzò. La strada dal suo letto alla porta era corta, ma lui non riuscì a fare un solo passo senza calpestare qualcosa. Vestiti, scarpe, borsoni. I Dodici non si facevano tanti problemi riguardo al disordine.
Aperta la porta, Jungkook dovette distogliere lo sguardo. Il fuoco di una torcia gli aveva bruciato le retine.
“Altezza, che ci fate qui?”
Taehyung non aveva un briciolo di sonno né sulla faccia né nella voce. Era in camicia da notte anche lui ed era a piedi scalzi.
“Perché non hai reagito?”
“Perché non ho reagito quando?”
“Lo sai quando.”
Jungkook si stropicciò gli occhi. Perché doveva pensare a certe cose a quell’ora?
“Non lo so perché.” rispose. “Volevo vedere se lo avreste fatto davvero.”
“Ma mi avresti fermato, vero?”
“Certo che vi avrei fermato.”
“Sei proprio un bugiardo.”
Taehyung girò sui talloni e imboccò il corridoio da cui era venuto. Jungkook si appoggiò allo stipite della porta.