Come la pece

By lettrice_incognita

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Teen drama. "Trovai il coraggio di alzare gli occhi nei suoi. Erano neri come la pece e profondi come un pozz... More

1. La ragazza della porta accanto
2. Quando le tende sono inutili
3. Salvami
4. Dov'è andato?
5. Insonnia
6. Nessuno da cercare
7. Dubbi
8. Rosso Malpelo
9. False accuse
10. Il primo indizio
11. 72h in un solo giorno
12. Cosa mi succede?
13. Sepolte nella cenere
14. E... se fosse lui?
15. Algebra e pancake
16. Illegale
17. Cedimenti
18. Grigliate e salotti
20. Vecchio giocattolo
21. Notti tormentate
22. Pozzanghere
23. Amleto
24. Chicago
25. Mc
26. Romeo e Giulietta pt.1
26. Romeo e Giulietta pt.2
27. Pool party
28. Così per sempre
29. Litigi e notti stellate
30. Ti prego, Wendy
31. Verità a galla
32. Boschi e grigliate
33. Alzarsi e sorridere
34. Hale
35. Rabbia, autocommiserazione, rabbia, isolamento
36. Riappacificamenti
37. La partita
38. Adrenaline in my veins
39. Toga e tocco blu
40. Prom
41. This girl is on fire
42. The end

19. Rotture

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By lettrice_incognita

Il suono della chiave nella serratura gettò il mio cuore nel vuoto, facendomi svegliare di soprassalto.

Il ronzio della Tv mi distrasse dalla causa del mio risveglio. Fissai lo schermo dalla luce celeste con gli occhi ridotti a due fessure.
Dove sono?

Mi sollevai su un gomito, facendo scivolare i capelli su un lato, e mi guardai intorno. Pian piano riacquistai la sensibilità in ogni parte del corpo e, mentre la mente cominciava a svegliarsi, percepii un corpo vicino al mio. Avevo trovato Aiden prima ancora di chiedermi dove fosse finito. Spostai lo sguardo a sinistra, vedendolo dormire con la testa sul bracciolo del divano. Era seduto, ma continuava a dormire nella posizione più scomoda che avessi mai visto. Abbassai gli occhi e vidi le sue gambe dove prima c'era la mia testa.

- Ciao, ragazzi -.

Sgranai gli occhi, restando bloccata per l'imbarazzo. Mi voltai a scatti, forzando uno dei miei sorrisi. Sentii Aiden muoversi alla mia sinistra, segno che si fosse svegliato anche lui.

Mi misi subito a sedere sotto lo sguardo di Amanda, sua madre. Aveva i capelli un po' in disordine, ma il trucco era impeccabile. - Salve, signora - la salutai, ma da quelle parole uscì fuori solo un verso gracchiato. Andò via senza nemmeno sforzarsi di ridere o dire qualcosa. - Vado a casa - dissi frettolosamente ad Aiden. Avevo paura che suo padre comparisse da un momento all'altro.

Non rispose, ma quando lo scorsi di sfuggita con la coda dell'occhio notai che rideva sotto i baffi. - Togliti quella faccia - lo minacciai, mettendomi il giubbotto.

Alzò le mani in segno di resa, allargando però il suo sorriso. Mi accompagnò alla porta.
- Scusa se mi sono addormentata - aggiunsi prima di andare via.

- Non importa -.

Gli sorrisi. - Ci vediamo domani -.

Attraversai il vialetto e raggiunsi il cancelletto.

- Wendy! - mi chiamò. Mi voltai immediatamente, guardandolo in tutta la sua bellezza. Da appena sveglio, con i capelli scompigliati e gli occhi arrossati, sembrava diverso. Era come se avesse tolto la sua maschera, quella che lo difendeva dal mando esterno e lo rendeva un ragazzo così forte e temuto. - Vieni con me a scuola, domani? -.

Feci un sorriso a trentadue denti, prima di incamminarmi verso casa mia.

***

- Non mi piace affatto questa situazione - disse mia madre, sedendosi per fare colazione con il suo tailleur blu. - È un bravo ragazzo -.

- I vicini parlano, però. Sei stata tutta la sera da lui - continuò e io non risposi. Mi sentivo in colpa a dare quelle preoccupazioni ai miei genitori, anche se non era successo davvero nulla. - Non è che credi alla voci che girano su di lui? -.

In realtà nessuno parlava di Aiden come il presunto assassino da settimane. Le notizie del nuovo arrivato e dell'omicidio stavano già passando di moda. Tutti avevano già dimenticato chi fosse il rosso e facevano finta di non sapere che un adolescente era stato assassinato appena un mese prima.

- No, tesoro -.

Annuii, finendo il mio latte. - Posso andare con lui a scuola? -.

Mia madre restò paralizzata per qualche secondo, non riuscendo a digerire l'ennesima novità.

- Non in macchina, spero - parlò ad un tratto mio padre con uno sguardo ammonitore. Mi trattieni dallo sbuffare solo perché erano i miei genitori. - Va bene. Gli dirò di andare a piedi -.

Speravo solo che dopo tutta quella fatica riuscissi a convincere i miei genitori che Aiden era una buona compagnia. Non era esattamente come Bryan, Josh o Dylan, ma il concetto era quello. Di quei tre sapevo tutto, erano i miei migliori amici. Di lui, invece, sapevo solo che si era trasferito dal Connecticut e che era figlio unico; ma in compenso eravamo riusciti a legare spinti dalla nostra curiosità.

Dopo quella constatazione mi resi conto che, se nessuno lo incolpava più per l'omicidio di Stephen, non avevamo più motivo di indagare per dimostrare che l'assassino non fosse lui. Cosa che però non potevo ancora confermare.

- Ci vediamo dopo - li salutai, dando un bacio per ciascuno e uscendo di casa.

Mi incamminai verso il suo cancelletto per avvisarlo che ero pronta e salii i gradini del portico per suonare il campanello. Aspettai un paio di minuti prima che la porta si aprisse.

- Ehi... - le parole mi morirono in bocca quando vidi una cascata di boccoli e una collana di perle attorno al viso di Amanda Evans.

- Salve. Aiden? - le chiesi con voce tremante. Ero ancora troppo imbarazzata per quello che era successo la sera precedente. Chissà cosa aveva pensato di me. Forse che avevo passato la serata a limonare con suo figlio approfittando della loro assenza, o peggio ancora...

- Aiden è già uscito per andare a scuola - mi informò con la sua solita freddezza. Probabilmente Aiden aveva ereditato questa caratteristica dalla madre.

Quelle parole ruppero il mio cuore in mille pezzi. Restai a fissarla inebetita, non sentendo più il cuore pompare sangue. Annuii e fingendo un sorriso girai i tacchi. Mi infilai le mani nelle tasche della giacca a vento, camminando verso scuola. Perché non mi aveva aspettato per andare a scuola? Me l'aveva proposto lui.
Se n'era forse dimenticato? Eppure non era una persona sbadata.

Passai il tragitto a torturarmi il labbro e a pensare a quanto accaduto. La colpa era mia?

Quando giunsi a scuola non lo vidi in giardino. Gli altri erano tutti riuniti in gruppo, così mi incamminai verso di loro. Scorsi solo dopo la presenza minuta di Jennifer. Dylan le cingeva le spalle con un braccio e la cosa la diceva lunga su di loro. Li salutai e, quando rivolsi uno sguardo a Dylan, lui mi lanciò un'occhiata loquace.

- Wendy! Hai fatto i compiti di matematica? - mi chiese la mia migliore amica. Annuii, sapendo che mi avrebbe chiesto di copiarli. Mi sorrise e mi scoccò un bacio sulla guancia. Le sorrisi di ricambio, prima di spostare la testa verso Bryan che stava raccontando uno dei suoi strani sogni.

Finì appena in tempo per il suono della campanella. Entrai accanto a Lisa. Avremmo avuto matematica a prima ora, perciò la seguii fino al suo armadietto per prendere il libro.
- Tutto bene? Mi sembri un po' giù - le dissi. Ultimamente parlava e rideva di meno. Non sembrava nemmeno più lei.

Aprì l'anta del suo armadietto e ne tirò fuori un libro. - Sì, certo -.

Alzai entrambe le sopracciglia, anche se non poteva vedermi da dietro l'anta. Quando la chiuse mi rivolse uno sguardo fugace e si voltò per incamminarsi. Era chiaro che non volesse parlarne, di qualunque cosa si trattasse. Per me non era assolutamente una novità e ormai la conoscevo abbastanza da poterlo dire. Lisa si chiudeva in se stessa quando qualcosa andava male e pian piano si allontanava da chi le stava vicino. Probabilmente è da lì che si riconoscono gli amici. Se una persona ti resta accanto anche quando cerchi di allontanarla vuol dire che sa quello che stai passando ed è pronta ad aspettarti.

Tra me e Lisa era successo così da subito. Alle medie non eravamo mai state amiche, ma vivendo a West Chester era impossibile non conoscerci. Il primo giorno delle superiori Lisa era arrivata in ritardo e, mentre noi stavamo già facendo il giro della scuola guidati da due dell'ultimo anno, lei era arrivata di corsa senza fiato. Tutti avevano cominciato a ridere e lei era diventata rossa come un pomodoro. Ridevano anche le sue amiche, senza comprendere il suo imbarazzo.

- Non arrivate a quest'ora ogni mattina se non volete guadagnarvi l'odio dei prof - aveva commentato uno dell'ultimo anno, scatenando ulteriori risate.

Ricordo di aver fissato Lisa in silenzio, guardando come il colore rossastro della sua pelle fosse in contrasto con il biondo cenere dei suoi capelli. Erano i capelli più biondi che avessi mai visto.

- E allora? Non possiamo essere tutti perfetti nella vita -.

Non sapevo neanche perché avessi detto quelle parole, né dove avessi trovato il coraggio. Fatto sta tutti smisero di ridere per guardarmi. Poi avevano iniziato a ridere più forte di prima.

Il suono della seconda campanella mi scosse dai miei ricordi. Lisa stava oltrepassando la porta dell'aula di matematica, davanti a me.

L'istinto di guardare se Aiden fosse presente fu inevitabile. Non mi sforzai nemmeno di frenarlo e un secondo dopo i miei occhi lo trovarono seduto in fondo accanto alla finestra.

Era stato uno stronzo. Mi aveva chiesto lui di andare insieme in macchina a scuola. Che stupida...

Mi ero addormentata a casa sua come una povera illusa. Illusa che potessi essere in grado di abbattere il muro che lo circondava. Illusa che potessimo essere amici, dato che eravamo insieme alla ricerca di un assassino. Illusa, illusa, illusa.

***

Josh e Dylan erano seduti ad un tavolo del Tina's. Erano due opposti e sinceramente non capivo come potessero essere così amici non avendo nulla in comune. Ogni volta che vedevo Josh stavo male. Avevo visto suo padre gestire una corsa di auto clandestina sotto i miei occhi e non potevo dirglielo. Non ero io a doverlo fare, eppure una vocina dentro di me mi diceva che dovevo, perché Josh era sempre stato un buon amico. Lisa e Bryan non l'avevano visto e mi spaventava da morire il fatto di essere l'unica a conoscenza di una cosa simile.

Nei miei film mentali lui veniva a sapere tutto, compreso che io lo sapessi, e così la nostra amicizia terminava in quell'istante. Non sapevo quanto spessa fosse la differenza tra sogno e realtà.

Portai un hamburger a Dylan e il secondo caffè americano a Josh. Mancavano solo dieci minuti alla fine del mio turno, così mi sedetti accanto a loro, in assenza di nuovi clienti.

- Forse giovedì riesco a giocare - mi annunciò Dylan.

- Il coach ti ha riammesso in squadra? -.

Un sorriso strafottente comparse sulle sue labbra sporche di olio. - Giovedì giochiamo contro una scuola di Philadelphia. Come potrebbe fare il coach senza di me? - si pavoneggiò.

Alzai gli occhi al cielo, sorridendo.

- Non penso di lavorare, quindi voglio esserci mentre li annientate -.

- Contaci -. Diede un morso al suo panino, come se non ne avesse mai visto.

- Ma Bryan? - chiesi stranita. Ogni scusa era buona per uscire.

- Aveva da studiare -.

Josh per poco non sputò il caffè che aveva in faccia. Risi anch'io. - Bryan che sta a casa per studiare? -.

Dylan scrollò le spalle ampie. - Non gli ho creduto neanch'io - constatò.

- Io devo andare a casa - proruppe Josh, infilandosi il chiodo di pelle. Mi alzai dal divanetto per farlo passare e poi presi il suo posto. - A domani - lo salutammo io e Dylan all'unisono.

Ci fece un cenno con la testa e, dopo aver pagato alla cassa, uscì dal locale.

Il mio migliore amico si pulì il muso con un tovagliolo di carta, uno di quelli che non servono a nulla e puntò i suoi occhi dritti nei miei. Avevamo un'ottima intesa, ci comprendevamo al primo sguardo, e probabilmente questa era la mia parte preferita del nostro rapporto.

- L'ho letto alla fine - sputò finalmente fuori.

Alzai un angolo della bocca. - Orgoglio e pregiudizio? -.

- Sì -.

Sgranai gli occhi, entusiasta che finalmente avesse capito ciò che doveva fare. - Lo hai detto a Jennifer? - domandai. Odiavo quando dovevo tirare le parole di bocca a chi mi stava difronte.

- Le ho detto che fa schifo quel libro -.

Mi coprii il viso con entrambe le mani. Non gli avevo insegnato niente?

- Dylan... - mormorai, scuotendo la testa.

- Togliti quella faccia. - ordinò sicuro di sé - Sono riuscito a conquistarla lo stesso -.

Ridi di gusto. Vedere Dylan così preso da una ragazza era stranissimo.

- State bene insieme -.

- Non iniziare con queste smancerie, Jones - mi rimproverò. Ridacchiai, per poi alzare lo sguardo verso il grande orologio affisso alla parete con il sorriso ancora sulle labbra.

- Il mio turno è finito. Devo correre a casa a finire di studiare storia - lo informai, alzandomi e sentendo le gambe pesanti.

- Devi smetterla di studiare così tanto. Ti accompagno? - propose.

- No, vado a piedi -.

- È buio. Ti do un passaggio -.

- Dylan, ho voglia di camminare un po' - lo zittii prima di salutarlo.

Erano passate le sette quando stavo per raggiungere casa. Le strade erano illuminate dai fari e dalle luci dei negozi in fase di chiusura. Mia madre era dovuta tornare a lavoro nel pomeriggio per un imprevisto, venendo a meno al suo impegno. Dalla morte del mio vicino di casa, i miei genitori avevano cominciato ad accompagnarmi in macchina o prestarmela per andare e tornare da lavoro. Non volevano che girassi da sola dopo il tramonto. A me, in realtà, piaceva anche.

Camminare sola era un modo per rilassarsi, prendere una boccata d'aria fresca e schiarirsi le idee. A me non dispiaceva affatto.

Superai la casa dei Walker e poi quella dei Sanders, vedendo già le luci del portico accese. L'auto di mia madre era già  parcheggiata davanti il vialetto. Mi domandai come mai la sua apprensione non l'avesse convinta a venirmi a prendere da lavoro. Probabilmente era rientrata al momento.

Il cancelletto era aperto e vedevo le luci del salotto accese dalla finestra. Attraversai il vialetto, ripassando mentalmente le cose che avrei dovuto finire di studiare dopo cena.

Faceva sempre la doccia appena tornata da lavoro quindi aprii la lampo della mia borsa alla ricerca delle chiavi. Spostai il portafogli e le carte stropicciate di alcune caramelle, poi scossi un po' la borsa sentendole tintinnare.

- Dove sono? - sbuffai.

- Si sistemerà tutto - disse una voce dietro la porta. Era mia madre.

- Potrebbe saltare tutto in aria. È un rischio troppo grande -. Era una voce femminile e, seppur l'avessi già sentita, non riuscivo a capire chi stesse parlando dietro la porta di casa mia.

- Ciao, Rebecca - aggiunse, ma mia madre non rispose. Scesi di corsa i gradini del portico e, proprio nel momento in cui la porta si aprì, feci finta di star salendo sul portico.

- Ciao, Wendy - mi salutò. Cercai di mascherare lo stupore con un sorriso di cortesia.

- Salve, signora Evans -.

Spazio autrice

Buon Santo Stefano e buon mercoledì a tutti!

È un capitolo pieno di dilemmi, lo so. Ma ormai ci sarete abituati. Come la pece è un dilemma anche per me.

Ad ogni modo, vorrei tanto sapere cosa ne pensate di Amanda Evans e Rebecca Jones. Cosa nascondono?

Buone feste, xx

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