THE SLEEPLESS KING (Libro 1)...

By SilviaVancini

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[Il cartaceo di THE SLEEPLESS KING è già disponibile su Amazon!] Taehyung non vuole diventare Re. Ha scoperto... More

PRIMA DI COMINCIARE LA LETTURA:
Prologo
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epilogo
SPAZIO AUTORE:

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By SilviaVancini


 

“Entrerete nell’arena a gruppi di tre. Cercherete una piccola scatola di legno e uscirete nel minor tempo possibile. Non importa se si tratta di una simulazione, voglio la stessa serietà di una vera missione, chiaro?”

I Dodici risposero di sì come un tutt’uno.

Stavano attraversando la strada principale del regno e il popolo sbucava da tutte le parti per ammirarli. Un paio di bambini gli si erano accodati dietro, ridevano, giocavano, ma loro non si scomposero. Avrebbero anche potuto farlo. Adrian era il primo ad aver preso una bimba in braccio.

Era da minuti interi che Jungkook provava a superare Ridge (sì, faceva parte dei Dodici), ma quello era invalicabile. Doveva avercela con lui. Di solito non gli avrebbe impedito così esplicitamente di affiancare il generale.

Strano ma vero, quei due si andavano a genio. Non si erano mai parlati prima del torneo, ma da quando erano nei Dodici avevano trovato l’uno nell’altro lo sfidante senza scrupoli che cercavano. Quell’ostilità era una novità e Jungkook credeva di sapere a cosa fosse dovuta.

Il ragazzo si era legato i capelli. Si doveva accontentare di un codino ridicolo, ma era la prima volta in assoluto che ci riusciva da quando Bertha glieli aveva tagliati. Pelato com’era, Ridge doveva essere geloso di come la chioma gli stesse ricrescendo in fretta.

Adrian frenò e i Dodici finirono tutti uno contro l’altro. L’arena era già in vista.

“Io vi lascio qui. Al mio ritorno voglio essere messo al corrente di ogni problema. Omettere informazioni solo per fare bella figura non vi sarà d’aiuto quando ad Ophidia vi troverete in difficoltà.”

Il generale si congedò. Fece dietrofront con una piroetta e la bimba che teneva in braccio si aggrappò al suo mantello prima di scoppiare in una risata.

I due tornarono ad attraversare il regno, gli uomini iniziarono a dividersi in gruppi e a decidere l’ordine d’entrata. Il loro parlottio fu interrotto da una voce lontana.

“Scusate il ritardo! Sono qui!”

Allo stesso modo in cui una singola mosca può dar noia a decine di persone, i Dodici si voltarono tutti nella stessa direzione. Il principe stava correndo verso di loro. Teneva il mantello tutto fra le braccia e la corona gli pendeva su un occhio.

Ecco, la solita palla al piede. I Dodici tornarono a camminare, come se far finta di niente fosse abbastanza per liberarsi della scocciatura, ma dovettero schivare Jungkook. Il ragazzo si era fermato sul posto. Non andava incontro al principe, ma aspettava che lo raggiungesse.

“Cosa ci fate qui?”

“Mi hanno detto di partecipare alla simulazione. Sai, con il mio piccolo esercito. Devo integrarmi nella squadra.”

Avere la gola secca non impediva a Taehyung di far dell’ironia. Rallentò la sua corsa e si mise a camminare insieme a Jungkook, ma quest’ultimo rimase palesemente sconcertato dal suo aspetto.

C’era qualcosa che non andava. Aveva gli occhi gonfi, la pelle chiazzata.

Jungkook guardò il suo principe come se gli dovesse delle spiegazioni. Taehyung gli tirò il codino.

“Altezza, in che gruppo preferite stare? Sono tutti da tre.”

Taehyung non fece in tempo a vedere chi gli aveva posto la domanda. Lui e Jungkook avevano raggiunto l’arena e si erano riuniti ai Dodici.

“Quello in cui sta Jungkook va bene.”

“Allora è con noi.”

A parlare era stato un uomo che non conosceva. Aveva l’aspetto di un lupo di mare e un sorriso bonario. “Io sono Bennet, lui è Ridge.”

Taehyung si fece una bella risata nervosa, ma se la tenne in bocca.

Sapeva già che Ridge faceva parte dei Dodici. Lo aveva visto vincere al torneo, lo aveva visto alla proclamazione di Re Gerard, ma avrebbe fatto volentieri a meno di interagire con lui. Da vicino le sue cicatrici facevano proprio impressione e aveva dei polpacci così spessi che una mucca non avrebbe-

“BUH!” fece Ridge e Taehyung saltò all’indietro.

I Dodici se la risero nella grossa. Lui stava morendo di vergogna, ma sotto sotto pensava di meritarselo. Non era mai bello essere squadrati dalla testa ai piedi.

Jungkook era l’unico ad essere rimasto serio. Non aveva voglia di perdere tempo in stupidaggini quando c’era una missione da portare a termine.

“Dai, andiamo, pelandroni!”

I Dodici risero ancora di più quando il ragazzo si mise a spingere Ridge da dietro con entrambe le mani. Effettivamente era un bambino rispetto a loro. Dovevano tutti essere sposati, con moglie e figli.

Vedendo Ridge e Jungkook insieme, Taehyung inarcò le sopracciglia.

Tante storie per un bacio e poi Jungkook andava d’amore e d’accordo con lo stupratore di mariti? Pff.

Taehyung, Bennet, Jungkook e Ridge entrarono nell’arena per primi. Si divisero per setacciare prima la pista da combattimento, poi gli spalti, ma nessuno trovò la scatolina di legno. Decisero di ispezionare i corridoi interni dell’edificio e dovettero infilarcisi in fila indiana.

Erano spazi bui, angusti. Le pareti, il pavimento, tutto era fatto di legno, per cui dovettero pensarci due volte prima di accendere le torce che avevano con loro. Alla fine decisero di usarne solo due e le tenevano rispettivamente il primo e l’ultimo della fila, Ridge e Taehyung.

Nessuno diceva niente, ma era chiaro che avevano sottovalutato la difficoltà della missione. Poteva non essere impegnativa dal punto di vista fisico o strategico, ma trovare un oggetto così piccolo al buio e con la fretta di finire non si stava rivelando affatto semplice.

Dopo più di mezzora passata a girovagare, Ridge si piantò in mezzo al corridoio.

“Vicolo cieco. Torniamo indietro.”

“Non può essere un vicolo cieco. Abbiamo già cercato lungo gli altri corridoi, è rimasto solo questo.”

“Dillo al muro che ci sta sbarrando la strada, Jungkook, non a me.”

Il ragazzo sospirò e il quartetto fece dietrofront. Ridge diventò l’ultima ruota del carro e Taehyung capitaneggiava.

Si piantò anche lui in mezzo al corridoio dopo aver camminato un altro po’.

“C’è una stanza.”

“Siamo già passati di qui e prima non c’era nessuna stanza.”

“C’è una stanza, vi dico.”

Effettivamente c’era un’apertura laterale. Taehyung ci si infilò dentro, ma i tre soldati erano scettici. Ridge scansò Jungkook e Bennet solo per andare a ripescare il principe quando non ne venne fuori subito.

“Altezza, non abbiamo tempo da perdere.”

“Prima non c’era. Deve nascondere qualcosa per forza.”

Taehyung aveva appeso la sua torcia a un gancio apposito e si era messo a bussare contro le travi delle pareti. La stanza era talmente piccola che si era illuminata a giorno e non aveva un solo pezzo di mobilio.

“Facciamo così, Altezza: voi rimanete qui a cercare, noi continuiamo il nostro giro. Vi torniamo a prendere prima di uscire.”

Taehyung non ebbe il tempo di ribattere. Ridge era uscito in corridoio e a giudicare dal rumore di passi si era ripreso il posto da capitano senza chiedere niente a nessuno. Bennet gli corse subito dietro mentre Jungkook rimase dov’era.

Il ragazzo sbucò con la testa nella stanza.

“Dobbiamo proseguire, Altezza.”

“Vai pure con gli altri, io cerco qui.”

“In una squadra non ci si può dividere così. Ridge vi voleva solo provocare per farvi uscire da lì.”

Taehyung lo ignorò. Continuò a bussare alle pareti come niente fosse e Jungkook si innervosì. Entrò nella stanza a passo spedito, già pronto a trascinarsi il principe dietro per tutta l’arena. Gli afferrò il cappuccio del mantello, la porta della stanza si chiuse.

La porta che non c’era mai stata.

Perché la stanza aveva un’apertura e non una porta.

Jungkook si girò subito, ma era troppo tardi. Si fiondò sul pannello di legno che stava tappando l’uscita e ci diede uno, due, tre calci, ma questo si limitò a traballare.

Jungkook era uno sciocco. Davvero aveva pensato che la simulazione potesse essere così semplice? Trovare un oggetto nel minor tempo possibile, senza trappole e senza nemici?

Ormai era fatta. Avrebbe fatto la figura dell’allocco davanti al generale Adrian quando avrebbe riportato com’erano andate le cose. E di chi era la colpa, ovviamente?

“Non riesci ad aprirla?” chiese Taehyung.

Jungkook si voltò verso di lui. Solo con un paio di canini scoperti sarebbe sembrato più furioso.

“No. Non riesco ad aprirla.”

“Dai, non prendertela, è solo una simulazione. Spero solo che ci vengano a tirar fuori di qui prima o poi.”

“Se ci si accontenta dei risultati mediocri durante l’addestramento, ci si accontenta dei risultati mediocri in battaglia!”

Taehyung fece un gesto svolazzante, come a voler dissipare il dramma di Jungkook. In quattro passi attraversò l’intera stanza e andò a sedersi contro una parete, arreso al suo destino.

Jungkook rimase in piedi a scervellarsi fino a quando non si esaurì. Si cavò il mantello, si arrotolò le maniche della camiciola e si lasciò cadere contro la parete opposta. Rimase lì a fissare il vuoto, incavolato.

Passò qualche secondo di silenzio. Le fiamme della torcia specchiavano i loro crepitii giallastri sulle pareti e l’aria pareva soffocante.

“Quindici.” disse Taehyung.

“Quindici cosa?”

“I petali del tuo crisantemo.”

Jungkook abbassò gli occhi sul proprio avambraccio. Il fiore si stagliava sulla sua pelle come una macchia nera, i petali erano piegati in una curva elegante. Dalla corolla perfetta che formavano si vedeva che c’erano ancora tutti.

Jungkook si tiro giù la manica della maglia. “E’ maleducazione contare quelli altrui.”

“Davvero?”

“No, ma mi dà fastidio.”

“Ne hai più di me. Io ne ho nove.”

“Sei volte in meno in cui rischierete la vita. Il solito privilegiato.”

Taehyung roteò gli occhi, ma non riuscì ad offendersi.

“Conosci la leggenda del crisantemo?”

“Se vi dico di no inizierete a raccontarmela?”

Jungkook incontrò lo sguardo dell’altro. Faceva il superiore, ma nelle sue pupille scintillava la curiosità.

Taehyung fece leva sulle braccia e andò a metterglisi seduto di fronte. Prese il braccio di Jungkook e tornò a sollevargli la manica, come se per raccontare avesse bisogno del supporto visivo, poi espose anche il proprio. Allineò i loro crisantemi.

“C’era una bambina. In Giappone.”

“Cos’è il Giappone?”

“Il Giappone è un posto piuttosto lontano. Un insieme di isole.”

“Quanto lontano?”

Taehyung era a un centimetro dal toccare il crisantemo di Jungkook con un dito. Aspettava il suo consenso guardandolo fisso negli occhi.

“Tanto lontano.” 

La porta venne buttata giù.

I due ragazzi fecero appena in tempo ad alzarsi che il legno schizzò da tutte le parti. Ridge era piombato all’interno della stanza e aveva uno scarpone incastrato in quel che rimaneva del pannello.

“Finalmente!” esclamò Jungkook. “Perché ci avete messo tanto?”

“Avevamo di meglio da fare, dolcezza.”

Ridge lanciò la scatolina in aria, Jungkook la prese al volo. Sospirò amaramente quando trovò all’interno un bigliettino di congratulazioni.

Bennet parlò da fuori dalla porta. “Avrai la tua occasione, Jungkook. Oggi è andata così.”

I quattro uscirono dall’arena, insieme. Era già tardo pomeriggio, ma i Dodici dovevano aspettare che tutti avessero finito per andare a far rapporto al generale. Taehyung era l’unico senza vincoli.

“Io vado, Jungkook. Sono stanco.”

“Come volete.” fece l’altro. Era chino a terra per allacciarsi gli stivali, Taehyung vedeva solo la sua nuca.

“Ci vediamo domani nella sala allenamenti?”

“Come al solito.”

“Ho qualcosa nell’occhio?”

Jungkook alzò il viso. “No.”

“Bene. Allora vado.”

Taehyung andò. Jungkook lo guardò allontanarsi con le sopracciglia increspate.

Certo che il principe era proprio una persona strana.

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