THE SLEEPLESS KING (Libro 1)...

Od SilviaVancini

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[Il cartaceo di THE SLEEPLESS KING è già disponibile su Amazon!] Taehyung non vuole diventare Re. Ha scoperto... Viac

PRIMA DI COMINCIARE LA LETTURA:
Prologo
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epilogo
SPAZIO AUTORE:

6

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Od SilviaVancini

Il silenzio era snervante. Una mosca continuava a prendere contro il portafrutta e la Regina arricciava il naso ogni volta.

Per la prima volta in assoluto, Taehyung si trovava da solo con la famiglia reale al completo. Si erano incontrati di prima mattina in un salotto e si erano accomodati al tavolo più bello che avesse mai visto. Era robusto, in legno scuro, ed era già apparecchiato con pane e frutta. Poteva essere una colazione frugale, ma la luce calda che proveniva dalle tante finestre dava al tutto un’atmosfera idilliaca.

C’erano suo padre, la Regina, le loro figlie (sorellastre!), il generale Adrian e suo figlio Louis (cugino!). C’era anche Re Gerard, seduto proprio al fianco di Taehyung. Anche lui sembrava star sperando che fare colazione tutti insieme fosse un’eccezione di quella giornata e non un’usanza.

Doveva essere un modo per dare il benvenuto a Taehyung, ma le tre principesse non facevano che lanciargli occhiate ostili e lui non poteva biasimarle: la sua presenza aveva la stessa discrezione di un enorme cartellone appeso sulle loro teste. Tentativi falliti di avere un maschio: uno, due, tre!

Tentativo Numero Due era quella che lo guardava peggio, ma era anche l’unica a far conversazione. Si chiamava Charlotte, era bruna come il padre e doveva avere sedici, diciassette anni. Portava un rosario al collo e imburrava il pane nello stesso modo in cui si sarebbe pulita una spada sulla gonna.

“Volevo farvi i complimenti per ieri, Altezza. Eravate molto elegante.”

Altezza. Taehyung odiava il suo titolo già così tanto.

“Anche la corona è molto bella. E’ stata forgiata ad Ophidia, vero?”

Louis saltò su, l’unico bambino della tavolata. Era l’immagine sputata di suo padre.

“Posso provarla?”

“Louis, non è educato.”

“Scusa, papà.”

Taehyung si era già tolto la corona. “Non c’è problema.” 

Tutto contento, Louis se la mise in testa e i presenti lo guardarono tutti. Una delle principesse si complimentò per la sua bellezza e il bambino rise.

Per quanto potesse odiare anche quella, Taehyung non aveva problemi ad ammettere che la corona era davvero stupenda. Era sottile, semplice, senza pietre incastonate o disegnini vari. Non formava un cerchio completo ma faceva due volte il giro del capo, come un nastro dorato. Le estremità andavano a cingergli le tempie e raffiguravano la testa e la coda di un serpente.

Louis ci giocò un po’, poi Adrian tornò ad allungarla a Taehyung con un occhiolino. Era un gesto innocente, ma a Taehyung mise soltanto ansia.

Stare con le mani in mano lo uccideva. Ogni minuto passato in tranquillità era un minuto che spodestava il suo ritorno a casa e loro erano a tavola almeno da un quarto d’ora.

Le occasioni di trasgredire, di fare del suo peggio, come aveva detto Adrian, non arrivavano e Taehyung non poteva aspettare che piovessero dal cielo. Se le doveva creare da solo.

“Allora, Altezza.” fece la regina. “La colazione è di vostro gradimento?” 

Taehyung stava masticando e le fece segno di aspettare un attimo. Re Gerard non ebbe i riflessi pronti quando il ragazzo gli prese la mano e ci sputò dentro il malloppo di cibo che aveva in bocca.

“C’è di meglio.” fece, poi risucchiò il proprio boccone.

L’effetto fu immediato: Re Gerard cacciò subito la mano in una bacinella d’acqua, schifato. La Regina guardava dal sovrano a Taehyung con occhi strabuzzati e per poco Tentativo Numero Tre non si fece prendere da un conato di vomito. Re Quentin era esterrefatto e gli angoli della bocca di Adrian singhiozzarono verso l’alto. 

“Io ho finito qui.”

Taehyung si alzò da tavola e gli occhi di tutti lo seguirono fino alla porta. Il ragazzo si sforzò di camminare lentamente, ma quando fu fuori dalla stanza si allontanò a grandi falcate. Se fosse rimasto un secondo di più sarebbe scoppiato a ridere, o peggio. Avrebbe chiesto scusa.  

Ormai era fatta, inutile rimuginarci. Aveva il secondo tormentone dei suoi pensieri notturni di cui occuparsi, adesso.

Taehyung ci mise un po’ a cercare un inserviente che non fosse indaffarato, ma riuscì a farsi accompagnare fuori dalle mura del castello. Da lì in poi proseguì da solo, dritto nello spiazzo erboso dove si allenava l’esercito.

L’area era vasta ed era seminata da tante piccole tappe. Ce n’era una per il combattimento corpo a corpo, una per le frecce, una per le spade, e le nuove reclute andavano da una all’altra.

Taehyung sospirò ancor prima di essere arrivato: il verde degli alberi era così smagliante da far male agli occhi e la gente che c’era era vestita tutta con gli stessi colori. Trovare ragazzo-spia sarebbe stato come cercare un ago nel pagliaio.

Gli ci vollero almeno cinque minuti, ma alla fine lo trovò. Si trovava nella tappa del tiro al bersaglio, una delle meno gettonate. Prima ancora di riconoscerne i lineamenti, Taehyung lo riconobbe dal modo in cui si stagliava nell’aria, sottile, tagliente, esattamente come i coltelli che stava lanciando. Ne aveva tra le mani almeno cinque e ne tirava uno alla volta, concentratissimo. Gli uomini attorno a lui lo fissavano con una buona dose di circospezione, ma la mascheravano con la scusa del sole negli occhi. L’unico entusiasta era un vecchio cavaliere venuto a sovraintendere gli allenamenti.

“Bravo il nostro cacciatore!” fece quando anche l’ultimo coltello andò a segno. “Tirare frecce tutta la vita serve a qualcosa, eh?”

“Non sono un cacciatore.”

Jungkook andò a recuperare i coltelli e li staccò dal bersaglio con più cattiveria di quanta ne servisse. Stava già per chiedere chi era il prossimo quando una mano irruppe nella sua visuale e prese l’ultimo coltello prima di lui. Jungkook alzò lo sguardo così velocemente che una persona normale si sarebbe presa uno strappo alla palpebra. 

Il principe gli porgeva il coltello dalla parte del manico. Aveva un’espressione tormentata e il paio di occhi più chiari e non-azzurri che Jungkook avesse mai visto.

Erano così anche la notte prima? Non ci aveva fatto caso.

“Possiamo parlare?”

“E di che?”

“Ieri sera-”

“No.”

“Ti prego.”

“Per l’amor di Di- Voi siete il mio principe. Ordinatele certe cose, non dovete mica stare a sentire le opinioni degli altri.”

“Dobbiamo parlare, allora.”

“Meglio.”

Jungkook si riprese l’ultimo coltello e scagliò l’intero mazzo con una mano sola. La pioggia di lame arrivò ai piedi di tutti quegli stoccafissi che stavano fissando lui e il principe con i punti interrogativi stampati in fronte. Non c’era modo di non riconoscere Taehyung con quel mantello blu.

Taehyung e Jungkook si incamminarono, alla ricerca di un po’ di privacy. Non conoscendo minimamente il posto, il primo lasciò che fosse l’altro a fare strada.

L’erba diventò sempre più alta, gli alberi andarono alla deriva. Ragazzo-spia si guardava attorno tutto il tempo e Taehyung non capì cosa stesse aspettando fino a quando non lo vide fermarsi sul posto e fischiare un paio di note.

Un San Bernardo stava galoppando verso la loro direzione, orecchie al vento e lingua di fuori. Jungkook si piegò sulle ginocchia e il cane gli saltò addosso con una tale forza che lo fece finire col sedere a terra, poi si mise a leccargli il mento. I due rimasero lì a farsi le feste per un po’, con l’erba che arrivava alle spalle di Jungkook e il vento che ne smuoveva i fili gialli come un direttore d’orchestra. Nel bel quadretto di campagna Taehyung faceva la parte dello spaventapasseri.

“Allora, cosa volevate dirmi?”

Taehyung non capì subito che l’altro si stava rivolgendo a lui. Pensava che avrebbero iniziato a parlare una volta andato via il cane.

“Ieri notte eri ubriaco. Ne sono consapevole e se mi porgi le tue scuse possiamo fingere che niente sia mai successo.”

Jungkook rise in modo così genuino, come se si stesse divertendo.

“Porvi le mie scuse? E io che volevo ritirare l’accordo e ricattarvi ufficialmente.”

Che?

Sul serio?

Sul serio serio?

Le sopracciglia di Taehyung si impennarono.

“E questo che vuol dire? Non puoi ricattarmi, lo hai detto tu che sono il tuo principe.”

“Il vostro titolo non vale niente se ho un segreto con cui tenervi in pugno.”

Jungkook non aveva smesso un secondo di arruffare il pelo del cane. Taehyung si sarebbe morso le mani.

“Perché?” chiese, ma sembrava rivolgersi a Dio. Gli mancavano solo le braccia al cielo. “Perché? Cosa ti ho fatto?”

“Niente di personale. Mi sono solo accorto di essere stato stupido a non approfittare della situazione. Lei ha tutto, io non ho nulla, le cose vanno equilibrate.”

Taehyung aveva voglia di urlare. Aveva voglia di saltare sul posto così forte da slogarsi un ginocchio, di picchiare i pugni a terra, come un pazzo.

Lui aveva tutto? Lui? Ne siamo sicuri? No, perché Taehyung era stato rapito due giorni prima da casa sua. L’ultima volta che aveva controllato non aveva proprio niente.

E quella spia, cacciatore, o quel che era, doveva smetterla di coccolare il cane, perché Taehyung avrebbe preso quell’animale, lo avrebbe buttato in una pentola e glielo avrebbe fatto mangiare tutto, ossicino per ossicino.

“Cosa vuoi? Oro? Gioielli? Non li ho.”

“Voglio diventare cavaliere.”

“E allora diventalo e basta!”

Jungkook scollò finalmente le mani dal cane, indispettito.

“Bastasse la bravura! Si può anche valere tanto quanto il generale Adrian, ma se non si ha i soldi con cui pagare l’apprendistato si è già alla fine dei giochi. A differenza vostra, Altezza, la manna non mi è arrivata dal cielo.”

“A parte il fatto che non credo di avere accesso al tesoro del castello, cosa vorresti che faccia? Pagarti questo apprendistato? Comprarti il titolo?”

“Il titolo me lo posso guadagnare da solo, grazie tante. Ho bisogno di un’armatura e di una sella nuova. I miei coltelli si stanno arrugginendo e i miei stivali hanno i buchi.”

Taehyung si strappò uno stivale dai piedi e lo tirò contro l’altro ragazzo. Il San Bernardo uggiolò quando venne colpito alla zampa e Jungkook scattò in piedi. Tutta la leggerezza con cui aveva parlato fino a quel momento evaporò e si lasciò dietro gli spigoli.

“Le conviene tenere a mente che so qualcosa per cui farebbe meglio a trattarmi con rispetto.”

“Va’ al diavolo.”

Jungkook fece un passo avanti, mento sporgente e occhi assottigliati. Taehyung si impose di non indietreggiare, ma la voce gli uscì come un gracidio.

“Non sei leale. Ieri hai detto una cosa, oggi ne dici un’altra.”

“Lotto per i miei obbiettivi. Non ho bisogno di essere leale.”

Taehyung resistette quanto poté, poi sviò lo sguardo.

“Cosa vuoi?”

“Un’armatura, una sella e dei coltelli. L’ho già detto.”

“Quando li vuoi?”

“Quando vi fa più comodo.”

“Va bene.”

Il biondo diede la schiena all’altro e iniziò a incamminarsi verso le mura.

“Altezza?”

“Che c’è?”

Taehyung si voltò, esasperato. Dietro gli occhi gli bruciavano le lacrime e Jungkook non poté non accorgersene.

“L’altro stivale.”

A Taehyung venne da ridere. Si tolse lo stivale e lo mollò a terra, poi riprese a camminare. Non si fermò fino a quando non fu al castello e non si diede pace fino a quando non trovò quello che l’altro aveva chiesto.

Lo fece: rubò la sella da una stalla, i coltelli da suo zio e per l’armatura gli bastò chiederne una per sé. Per tutto il tempo non desiderò altro che rinchiudersi nelle sue stanze, ma quando ci si trovò si scoprì insonne. L’alba arrivò con lui che non aveva chiuso occhio.

Domenico, l’inserviente che si occupava di lui (o meglio, la sua guardia carceraria), lo trovò supino a letto, tra le lenzuola scarmigliate. Come sempre, l’anziano si mise a gironzolare per la camera con il suo passo leggero.

“Buongiorno, Altezza. Avete sentito che tuoni questa notte?”

Una finestra venne aperta e la stanza venne inondata di luce. Taehyung restò zitto, con gli occhi aperti.

“Vi conviene alzarvi. Oggi dovete iniziare ad allenarvi con i soldati, ordini del Re.”

“Io resto a letto. Ordini del principe.”

Domenico si fece una risata. Taehyung pianse le lacrime che non aveva pianto il pomeriggio precedente.




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