THE SLEEPLESS KING (Libro 1)...

By SilviaVancini

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[Il cartaceo di THE SLEEPLESS KING è già disponibile su Amazon!] Taehyung non vuole diventare Re. Ha scoperto... More

PRIMA DI COMINCIARE LA LETTURA:
Prologo
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epilogo
SPAZIO AUTORE:

1

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By SilviaVancini

La sveglia viene spenta da una manata quando attacca a suonare.

Atsuko non si preoccupa di rimetterla in piedi. E' già tanto che quell'affare non sia caduto dal comodino.

La donna apre gli occhi. E' stesa sul suo materasso, nella sua stanza, in un appartamento di Londra. Sopra di lei pende una lampadina elettrica e i rumori del traffico si sentono già di prima mattina. Atsuko è ancora in bilico tra l'età adulta e la vecchiaia, ma la battaglia si è protratta al ventunesimo secolo. Striature di capelli grigi e pigiama a parte, non è cambiata di una virgola.

Ormai è da un paio di anni che lavora e vive dai Richardson. Principalmente si occupa a tempo pieno di Philippe, loro figlio, ma fa anche qualche faccenda domestica quando la signora Richardson è stanca.

Atsuko non si concede mai i famosi cinque minuti, ma oggi se ne sta prendendo uno buono per fissare il soffitto.

Non era un sogno.

Se lo fosse le basterebbe distrarsi un attimo, prendersi un bicchiere d'acqua o fare una capatina al bagno per scordare tutto, ma non succederà. Potrà anche essere ingiallito di secoli e secoli, ma Atsuko sa ancora distinguere un sogno da un ricordo.

E che ricordo. L'ultimo in assoluto che ha del regno e di Taehyung, il ragazzo che non voleva essere re.

Chissà com'era andata a finire quella vecchia storia, poi. Atsuko se ne era andata da quel posto e non aveva più avuto notizie. Magari si era ammazzato davvero.

Atsuko si gira a pancia in giù, le molle del materasso cigolano tutte.

Non doveva pensarci. Il passato è passato, fine.

Se lo sapevate, perché non avete fatto niente?

Brutte bestie i sensi di colpa.

***

"Sì, signora Richardson, sono appena arrivata."

Atsuko gira le chiavi e spegne l'auto. Esce dal veicolo con il cellulare fra spalla e orecchio, ma non c'è bisogno di avere tanta fretta. Il portico delle scuole elementari è ancora gremito di genitori e questo significa che i bambini non sono ancora usciti e che lei è puntuale. Si limita giusto a raddrizzarsi la camicia prima di attraversare l'enorme parcheggio.

La voce della signora Richardson pare il ronzio di un'ape attraverso il cellulare. "Scusati tanto con Philippe! Lo so che preferisce quando vengo a prenderlo io, ma oggi proprio-"

"Lo viene a prendere tutti i santi giorni, per uno in cui non riesce capirà. Oh, adesso devo lasciarla, stanno uscendo i bambini."

Atsuko mette via il cellulare e velocizza il passo. Infiltrarsi tra i genitori non è mai un'impresa facile considerato quanto lei sia bassa e loro scalpitanti, ma a suon di gomitate riesce sempre a farsi spazio (tutta pratica fatta ai concerti degli Imagine Dragons. Non si è mai troppo vecchi per la buona musica, neanche dopo sette secoli).

Spalancate le porte d'ingresso, i bambini escono da scuola con lo stesso entusiasmo di una banda di galeotti intenti ad evadere. Si lasciano le maestre alle spalle e corrono dai genitori, tutti uguali con le loro divise bianco-verdi. E' una fortuna che Philippe sia biondissimo, come la madre, perché la sua testa funge da insegna a neon.

Atsuko lo intravede e si alza sulle punte dei piedi. I genitori attorno a lei le rifilano occhiatacce su occhiatacce, ma lei si sbraccia lo stesso per attirare la sua attenzione. Sta attaccando a chiamarlo a gran voce quando lo sguardo le si impiglia.

Capelli ricci e scuri, sopracciglia spesse, la bocca seria di chi ritiene che sorridere sia uno sport per pochi. Atsuko riconosce quelle singole caratteristiche, ma se collega i puntini l'unica immagine che ci salta fuori è quella di un bambino di dieci anni. Se ne sta tra i suoi amichetti e porta sulla schiena uno zaino più grosso di lui, come tutti.

E' disorientante. E' come tornare a casa e ritrovarsi il letto per il corridoio, il lavandino in salotto, i fornelli in giardino.

"Mamma non c'è?" chiede Philippe. Ha raggiunto Atsuko e si è già messo a tirarla per i pantaloni, impaziente.

"Philippe, chi è quel bambino? Lo conosci?"

Dopo aver guardato nella direzione indicata, il biondino fa spallucce. "E' Jungkook, un mio compagno di classe. Perché?"

Perché non avete fatto niente?

Se lo sapevate, perché non avete fatto niente?

Atsuko neanche si accorge di star scuotendo la testa.

Philippe le strattona un'altra volta i pantaloni. "Voglio la merenda."

Il bambino, Jungkook, si separa dal gruppo e raggiunge quello che dev'essere il padre. Questo si fa carico del suo zaino e lo prende per mano, pronto ad andare.

Non può essere il Jungkook che ha conosciuto lei, non dopo sette secoli. Oddio, non che la reincarnazione abbia date di scadenza, ma è semplicemente troppo impossibile.

"Atsuko!" strilla Philippe.

"Eh? Ah, sì, ci sono. Andiamo."

Atsuko poggia una mano sulla spalla di Philippe e i due cominciano a camminare per il parcheggio. Una volta raggiunta l'auto, la donna si assicura che il bambino sia ben allacciato al seggiolino, poi va a sedersi al posto di guida.

Certo che era davvero la sua immagine sputata.

***

La luce della sala è soffusa, come ogni sera. La televisione da sola sarebbe sufficiente a rischiarare il buio, ma la luce giallognola del corridoio è stata lasciata accesa per Atsuko. Se ne sta con l'asse da stiro appena dietro al divano, intenta ad aizzare lampi e fulmini contro l'antenna satellitare; i Richardson si stanno guardando la replica del "Royal Wedding" che si è tenuto quella mattina e lei preferirebbe ficcarsi una pistola in bocca piuttosto che subirne un altro minuto. Va bene che ha scelto lei di vivere a Londra, ma questo è troppo.

La signora Richardson trattiene il fiato, il signor Richardson butta giù un sorso di birra. Philippe è sdraiato sul tappeto con i suoi pastelli, continua a colorare.

"Io, Meghan, prendo te, Harry, come mio legittimo sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, in malattia e in salute, e prometto di amarti e rispettarti finché morte non ci separi."

Atsuko sbuffa. Sbuffa anche il ferro da stiro.

"Alla presenza di Dio e davanti alla Chiesa, Harry e Meghan si sono scambiati le promesse nuziali. Hanno dichiarato il loro matrimonio con l'unione delle mani e lo scambio degli anelli. Per questo li dichiaro marito e moglie."

L'arcivescovo fa una pausa, le persone fuori dalla chiesa si danno ai primi urletti di gioia. "Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non separi."

Gli occhi di Atsuko volano alla televisione.

Se lo sapevate, perché non avete fatto niente?

"Atsuko, la camicia!"

La signora Richardson grida e la fattucchiera rimpiomba nel ventunesimo secolo. Le luci vengono accese immediatamente e i due coniugi si alzano a guardare il fumo svirgolare verso il soffitto. Il colletto della camicia su cui Atsuko stava lavorando è chiazzato di nero.

"Dannazione. Mi dispiace, potete trattenere il prezzo della camicia dal mio salario."

La signora Richardson le si fa vicina, come a volerla guardare bene in faccia. "Che vuoi che ci importi della camicia... Sei stanca? Vuoi riposare?"

"No, non c'è bisogn-"

Atsuko fa marcia indietro. "Posso prendermi il resto della serata libera? Giuro che finisco di stirare domani mattina."

"Certo, certo, non dovresti neanche chiederlo."

"Grazie."

Atsuko lascia tutto così com'è. Sotto lo sguardo perplesso di Philippe, va in camera a prendere la sua borsa ed esce di casa senza neanche salutare.

***

"Bingo!"

"Stiamo giocando a Poker."

"Bingo!"

Il ragazzo dietro al bancone sospira. Manca meno di un'ora alla chiusura del bar per cui lavora, ma ci sono ancora dei clienti. Dovrebbe essere felice che i divanetti di pelle e i tavoli retrò vengano tanto apprezzati, ma non quando a occuparli c'è il solito gruppetto di giapponesi ultrasettantenni.

Sono sempre almeno in sette, massimo undici. Arrivano, ordinano da bere, si versano il sakè dalle loro fiaschette, rovesciano cose, sputacchiano noccioline. Chiedono sempre le carte da gioco e se sono brilli parlano solo in giapponese. Sono quel tipo di clienti per cui il barista si chiede se ha davvero bisogno di quello stipendio.

"Un'altra partita?"

"Scherzi? Questo qui è andato, non distinguerebbe una carta da un cracker."

"Io volevo sapere da Atsuko perché ci ha chiamato a rapporto. E' tutta sera che te ne stai zitta, cara."

A parlare è stata una vecchietta dal viso piccolo e i capelli bianchissimi. Sta raggruppando le carte da gioco una per una, le manine gentili e gli occhi vispi.

Atsuko succhia il suo rum da una cannuccia. A vederla sembra la più giovane della compagnia, cosa che la diverte sempre moltissimo. L'ironia.

"Non ho ancora bevuto abbastanza."

"Se bevi troppo ti addormenti e non racconti niente. Ad aspettare mi si scolla la dentiera."

Tra il gruppetto si alza un brusio di lamentele comprensive.

"Okay, okay, vi dico tutto. Ma niente borbottii."

Dopo aver ottenuto il silenzio, Atsuko posa il bicchiere sul tavolo. Lo tiene con entrambe le mani, come se qualcuno volesse portarglielo via.

"Lo sapete, no? Siamo vecchi. E' naturale pensare più al passato che al futuro."

Nessun borbottio, come richiesto. Atsuko continua.

"Vale la pena di rimediare a un errore davvero vecchissimo? O è meglio star buoni e non sollevare un polverone inutile?"

La donnina dai capelli bianchi aggiunge un'altra carta al suo mazzo. "Dipende dal tipo di errore."

Atsuko tira su un goccio di rum. Non aspettava altro che raccontare tutto a qualcuno.

"Anni fa conoscevo questo ragazzo a cui le cose non andavano benissimo. Una volta mi ha detto di volerla fare finita, ma non ho più saputo come sia andata a finire."

"Quanti anni avrà adesso? Era più grande di te?"

"Oh, è già morto di sicuro. Era del milletrecento dopo Cristo."

Gli amici di Atsuko si immobilizzano. Si guardano un attimo tra di loro, poi prendono tutti a ridere.

"Atsuko, la solita burlona!"

"E io che mi stavo rattristando!"

"Non ci si annoia mai con te!"

"E come avresti intenzione di sistemare le cose? Ordini una pizza per la sua tomba?"

Atsuko batte una mano sul tavolo e si alza in piedi. Il suo primo istinto è quello di rovesciare il rum sul tavolo e fare un bel falò, ma si limita a puntare il dito contro i suoi amici. Ha l'aria decisa del condottiero e il fervore di chi si offende con poco.

"Mi basterà fare in modo che lui e la sua metà si ritrovino qui, nel ventunesimo secolo!"

Le risate scrosciano ancora più forte. Qualche d'uno inizia a battere le mani.

"Cosa avete da ridere? Credete tutti quanti nella reincarnazione, perché fate tanto gli spiritosi?"

Atsuko batte un'altra volta sul tavolo, indignatissima. Se prima non sapeva se fosse il caso di agire, adesso è diventata una sfida personale.

"Lo farò!" dichiara. "Li troverò e le mie cartoline di Natale saranno tutte foto di loro due insieme!"

"Atsuko, sicura di non voler farti curare? C'è un ospedale qui vicino."

Gli altri si devono tenere lo stomaco dal ridere. Atsuko solleva il rum sopra il tavolo, ma il barista la ferma con un: "EHI!"

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