Non voglio mica la Luna

By supergiusi99

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-La smetti di mettere sempre in dubbio il mio rapporto con Luna? Ho 27 anni, cazzo! Sono in grado di prendere... More

Capitolo 1 - Io e Mari (gli anni di scuola)

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By supergiusi99

"Tutti qui ci provano
Aspettano un tuo segno
E intanto sperano
Che dal tuo essere amica
Nasca cosa però
Non si ricordano
Il principio naturale che
La regola dell'amico non sbaglia mai
Se sei amico di una donna
Non ci combinerai mai niente
Mai non vorrai
Rovinare un così bel rapporto"
Max Pezzali, La regola dell'amico.

Filo's pov

Non è noto il momento preciso in cui è nata l'amicizia profonda che lega me e Maria, penso però che sia scattata una magia in quel momento, una magia che ci ha permesso di sopportarci a vicenda e di perdonarci dopo ogni litigata, per un quarto di secolo e senza che avessimo alcun legame di sangue. Mari per me è la sorella che non ho mai avuto. Altruista, sensibile, sincera, curiosa, introversa, gentile e senza peli sulla lingua, Mari è semplicemente una persona splendida, forse la più bella che abbia mai conosciuto e sicuramente quella che conosco da più tempo.

Sulla nascita della nostra amicizia girano varie leggende. La mamma di Mari racconta che la prima volta che ci siamo visti è stato a casa sua, una sera di settembre, prima dell'inizio della scuola materna. Aveva invitato i miei a cena per farli ambientare a Pico di Paco, un piccolo comune in provincia di Milano dove abito tutt' ora.
Pico di Paco è un tipico paesino di provincia, dove non ci sono occasioni per divertirsi a parte il mercato della paizza venerdì e la messa della domenica mattina. Un comune per vecchi, potremmo definirlo, ma che mi ha sempre abbastanza affascinato per i suoi grandi spazi verdi curati, le villette a schiera e la tranquillità che regna per strada (a parte quando c'è il mercato).
All'epoca ci eravamo trasferiti da poco nell'attico di 200 metri quadri dove abito tuttora, nella palazzina di fronte alla vecchia casetta di Mari. Io e lei avevamo mangiato solo una fetta di pizza e poi eravamo scappati in cameretta a giocare con le bambole di Mari. Da allora iniziammo entrambi a chiedere alle nostre famiglie di vederci in ogni momento libero. La signora Giuditta, la mamma di Mari, la lasciava a casa mia tutto il giorno. Stavamo a casa con mia nonna dato che sia i miei genitori sia i genitori di Mari lavoravano tutto il giorno, e a volte di pomeriggio scendevamo nel parco del quartiere a giocare con i bambini più grandi.

Non ho idea di quanto sia vera questa storia perché mia nonna ne racconta un'altra versione. Dice che io e Mari ci siamo conosciuti all'asilo e quando lei mi veniva a prendere le facevo "una testa così", allargando le braccia, parlando della mia fidanzata Mari, di quanto fosse simpatica e quanto mi divertissi a giocare con lei. Mia madre ha elaborato una versione ancora diversa: sostiene che ci siamo conosciuti nel parco del quartiere, dove andavamo a giocare tutti i giorni, e che Mari fosse venuta a casa mia soltanto sporadicamente, dopo aver iniziato la scuola materna.
Non so quale delle tre versioni sia vera, ma ricordo benissimo quando la chiamavo "la mia fidanzata" davanti ai miei genitori, a mia nonna, ai miei compagni di classe e perfino davanti alla maestra Maddalena. Quello è stato l'unico periodo della mia vita in cui io e Mari siamo stati fidanzati.

Successivamente, con l'inizio delle elementari avevo smesso di dire in giro che era la mia fidanzata e lei non mi chiese niente. Ci allontanammo a poco a poco ma rimanemmo comunque amici. Eravamo in classe insieme ed eravamo compagni di banco, ma durante la ricreazione preferivo giocare con le figurine di Yu-Gi-Oh con Luca e altri compagni. In terza elementare iniziammo ad andare a catechismo insieme, il mercoledì alle cinque, all'oratorio gestito da don Stefano.

Quell'anno avevo anche provato diversi sport. Mia madre, avvocato di successo, voleva a tutti i costi un figlio che eccellesse in qualcosa e io, non essendo un genio a scuola, avrei dovuto per forza eccellere in un'attività sportiva, in modo che lei avrebbe potuto vantarsi con gli altri di avere un bambino prodigio. I sogni di mia madre non riuscirono a realizzarsi subito. Mi ero iscritto per tre mesi a calcio con Davide, un mio amichetto. In lui nacque una vera passione per questo sport mentre a me non piaceva minimamente. Si era rivelato troppo violento, bisognava stare sempre a correre mentre io mi perdevo nei miei pensieri e non riuscivo a stare al passo. Così provai nuoto (troppo noioso), equitazione (troppo costoso) e il basket(troppo difficile). Erano bastate sole tre lezioni per capire che non sarei mai riuscito a centrare il canestro, e nemmeno mi interessava allenarmi per riuscirci.
Alla fine della terza elementare era evidente che non ero portato per nessuno sport e mia madre era completamente disperata. Non riusciva a scoprire il mio talento nascosto. Per fortuna in quarta elementare provai tennis e anche se all'inizio trovavo difficile e noioso seguire la pallina con gli occhi e cercare di prenderla con la racchetta, col passare dei mesi mi appassionai a questo sport semplice ed elegante, che pratico tuttora.

Poi vennero le medie. Andavamo tutti i giorni a scuola insieme in bicicletta e ci raccontavamo i nostri sogni. Mari faceva sogni davvero belli: castelli incantati, macchine che volavano, mostri con cinque teste e cavalieri che la salvavano. Secondo me era per via dei libri fantasy che leggeva. Io invece me li inventavo quasi tutte le volte perché me li dimenticavo e mi vergognavo di dirglielo, non volevo sentirmi inferiore a lei. Avevo già un aspetto abbastanza brutto: ero basso, brufoloso e con i capelli senza una forma precisa. A volte erano ricci a volte erano appena appena mossi e non riuscivo mai a sistemarli. Mari invece sembrava sempre impeccabile: legava i suoi capelli neri e lisci in una coda, non aveva nemmeno un brufolo ed era anche più alta di me. Stava diventando proprio carina e una volta ricordo che mi arrabbiai con Davide che l'aveva definita "una gran gnocca".
-Tu la mia amica non la tocchi! - gli dissi mentre stavamo uscendo da scuola.
-Ma non è la tua ragazza!-
-Lei non è la ragazza di nessuno-.
-Allora io ci provo con lei! - ribatté fiero il mio amico.
Cavoli, ero geloso della mia migliore amica e non me ne rendevo nemmeno conto!
-Tanto non le piaci! -.

Non era una bugia. Mari mi aveva detto che Davide le stava antipatico perché disturbava le lezioni di matematica con le sue battutine e per colpa sua spesso non riusciva a capire i ragionamenti del professore. Aveva ragione. Davide era mio amico ma non mi piaceva questo suo modo di fare. Voleva sempre dire la sua, non alzava mai la mano e cercava di innervosire i professori, in particolare quello di matematica. Mari mi raccontò qualche giorno dopo che Davide l'aveva aspettata fuori da scuola. Io non c'ero perché quel giorno ero a casa con la febbre. Avrebbe voluto accompagnarla a casa.
-Guarda che so arrivarci anche da sola a casa-.
-Sì, lo so però io vorrei accompagnarti-.
-E io non voglio-.
-Perché?-
-Perché sei brutto-.
Sincera e diretta, come al solito. Davide si offese però.
-Non è assolutamente vero! Cecilia ha detto che sono il ragazzo più bello della classe!-
-Provaci con lei allora!-
-Ma lei è fidanzata con Michele!-
-Be', mi dispiace ma in ogni caso non ti voglio-. Chiara, decisa, sicura.
-E a te nessuno ti vuole! - ribatté, ferito nel suo orgoglio.
A me qualche giorno dopo disse che Mari era bella ma stupida perché poteva avere un fidanzato invece l'ha rifiutato e io mi sentii speciale in quel momento. Facevamo la strada insieme tutte le mattine e non le aveva mai dato fastidio la mia presenza. Forse le piacevo. Non lo so.

Quella non fu l'unica volta in cui Davide ci provò con lei. A settembre nel mio paesino si celebra ogni anno la festa del paese e il parco comunale si trasforma in un luna park, con una ventina di attrazioni, bancarelle e venditori di peluche.

Mari venne a trovarmi per l'occasione. Era da tanto che non ci vedevamo dato che il mese di agosto ero stato in vacanza in Puglia con i miei, come ogni anno, nella grande villa dei nonni materni, al mare. Lei invece si era trasferita in un altro quartiere di Milano con sua madre, che aveva ricevuto quella casa in eredità da una vecchia zia anni prima. I suoi si erano separati. Suo padre era partito per gli Stati Uniti con la sua compagna.
Io non riuscivo a concepire una cosa del genere e sperai con tutto il mio cuore che i miei genitori riuscissero sempre a darmi una certa stabilità e armonia familiare, si prendessero sempre cura di me come facevano e non perdessero mai la testa per altre persone.

Era un venerdì sera e ci eravamo accordati per andare alle giostre. Mi aveva chiamato anche Davide quel pomeriggio, per chiedermi di uscire con lui, Luca e altri nostri amici. Gli risposi che dovevo uscire con Mari visto che non la vedevo da un po'. -Ti stai fissando troppo con Mari! Pensa di più ai tuoi amici!-
-Ma lei è mia amica!-
-Filo, svegliati, l'amicizia tra maschi e femmine non esiste! Hai una cotta per lei, se n'è accorto pure Luca...

-Non volevo riflettere sulle parole del mio amico. In ogni caso a Mari non piacevo, si vedeva. -Siamo amici. Lei è come una sorella. Non potrei mai stare con lei!-
-Tu sei proprio stupido Filo. Hai una ragazza molto, molto gnocca che viene apposta da Milano per vederti e non ci vedi nulla di male... è ovvio che le piaci!-
-Non dire sciocchezze, e poi faccio quello che voglio con Mari. è una mia amica e basta!-
Era evidente che Davide fosse invidioso di me. Volevo essere lui al posto mio. A lui Mari piaceva e quando la vidi davanti alla porta di casa mia capii bene anche il perché.

Dopo quel mese di vacanza era "diventata una bella signorina", come disse mia nonna. Era cresciuta, era diversa ed era la creatura più bella che avessi mai visto. Era alta quanto me (ero alto circa 1 metro e settanta all'epoca, per fortuna in seguito sono cresciuto), aveva lunghe gambe abbronzate (penso si sia abbronzata prendendo il sole sul balcone, perché non è andata al mare), il viso era sempre lo stesso: occhi neri e capelli lunghi castano scuro della stessa tonalità ma quello che mi colpì di più furono le forme che si vedevano da sotto alla t-shirt rosa. Le era cresciuto il seno e questo bastò per farmi rimanere imbambolato davanti a fissarle le tette per almeno una ventina di secondi.
-Filo tutto bene? Hai preso troppo sole per caso?-
-Sì, sì, sto benissimo...- risposi.
-Non sembra. Mi fai entrare così saluto tua madre?-
-è che sei bellissima Mari-
-Ci stai provando con me? Dai levati e non prendermi in giro-.
Mi spostai e lei si diresse verso la cucina, dove mia nonna stava cucinando la cena. Cavoli era così bella e non se ne rendeva conto: com'era possibile? In quel momento pensai di essere in un bel pasticcio: mi ero preso una cotta per la mia migliore amica. Quella sera mangiammo le polpette sul terrazzo, insieme ai miei e a mia nonna, dopo di che uscimmo per la prima volta insieme. Gli altri pensassero quello che volevano, noi ci volevamo bene e ci bastava questo.

Incontrammo Davide e altri miei amici vicino agli autoscontro.
-Da quando state insieme voi due?-chiese Luca.
-Non stiamo insieme- ribatté orgogliosa la mia amica.
-Ah, e allora perché siete usciti insieme?-
-Siamo amici e voi siete stupidi perché pensate che le femmine servano solo per quella cosa lì. Possiamo offrirvi anche altro-.
-Be', allora perché non lo offri a noi dell'altro?-
-Luca smettila, è una mia amica ma non la mettere a disagio per favore. Non è come le altre, lei sa volere bene veramente, ha dei valori ed è... semplicemente splendida-.
Al sentire queste parole notai che Mari arrossì. -E così ti piace Filo? - chiese Davide. Non era stato l'unico ad accorgermi del suo rossore.
-è un amico e mi ha detto delle cose davvero belle-.
-Raccontateci pure quello che volete che tanto noi non ci crediamo. Mica siamo scemi!-
-Non ci interessa!- ribattei parlando a nome mio e di Mari, e ci allontanammo. Decidemmo di tornare a casa. Quando fummo lontani dal rumore della festa e da orecchie indiscrete Mari mi chiese: -Pensi davvero che io sia splendida?-
-Sì- risposi imbarazzato.
-Be', anche tu sei splendido. Non intendo che mi piaci o ti amo ma sei una brava persona. Mi hai difeso davanti ai tuoi amici e hai preferito uscire con me e non con loro. Grazie.-
-Figurati-.

Mi piaceva stare con lei. era divertente, spigliata, sincera... mi raccontava i libri che aveva letto quell'estate passata sul balcone di casa e dei suoi sogni. Non aveva un'idea precisa sul lavoro che volesse fare, ma voleva aiutare gli altri, in qualche modo. Infatti aveva scelto di frequentare un liceo delle scienze umane vicino a casa sua.
Mi chiedevo come riuscisse a essere così solare nonostante i suoi si fossero separati e avesse dovuto trasferirsi in città, lontano da me e dai tutti gli altri suoi amici.
- Quando tornerai di nuovo qui, a Pico di Paco?-. Vidi il suo volto incupirsi improvvisamente. -È così importante? Guarda che la città è bella e offre un sacco di stimoli per l'adolescente-. -Ma a Pico di Paco ci sono io, non vuol dire niente secondo te?- -Filo,mia madre ha detto che non si può restare ancorati allo stesso paese per tutta la vita. Fosse per me resterei ancora qui a fare le gare in bicicletta con te, Davide e Luca, ma non dipende da me, capisci?-. Cosa dovevo capire? Che gli adulti erano profondamente egoisti e non pensavano che anche noi adolescenti (o bambini) di 14 anni non avessimo dei bisogni?
Non volevo offendere la mia amica dicendole che aveva dei genitori egoisti,perciò mi limita ad annuire e a rispondere:-Sì, Mari, ti capisco perfettamente-.

Con l'inizio delle superiori non ci vedevamo più ogni mattina. Di quel periodo, essendo più recente, ricordo molte più cose.

Io frequentai il primo anno al liceo scientifico. Non era stata una scelta mia, ma di mia madre. Io avrei preferito frequentare un istituto tecnico o un professionale, visto che non avevo proprio voglia di studiare. Io, Davide e Luca eravamo usciti dalle medie col sei e, se fosse stato per noi, avremmo smesso di studiare a quattordic'anni. Non mi piaceva studiare e non mi impegnavo. Loro due si iscrissero all'istituto tecnico commerciale Mattei, un po' più lontano da casa ma dove si studiavano materie più utili di latino e storia dell'arte. In prima superiore non studiai niente e mi feci bocciare apposta per convincere mia madre che il liceo non era la scuola per me, e andare al tecnico con Davide e Luca. Infatti vennero bocciati anche loro e l'anno seguente ci ritrovammo in classe insieme, in prima superiore, al Mattei. Mia madre fu sconvolta per questo evento e mi portò addirittura da una psicologa dell'età evolutiva, con cui però litigai dopo la prima seduta e che per questo non volle più vedermi. Mio padre sperava che mi rendessi conto che non ero adatto a quella scuola per somari (come se il loro figlioletto bocciato non fosse un somaro), che smettessi di fingere e facessi emergere il genio nascosto che albergava in me. Speravano che finite le superiori avrei finalmente chi diventare nella vita e ripensandoci a posteriori, andò proprio così. In quel periodo però vivevo in un eterno presente, volevo solo divertirmi con i miei amici, trovarmi una tipa e sperare nella grazia dei professori per essere promosso senza debiti. Non sarei mai stato il ragazzo diligente, educato e studioso di cui vantarsi con gli amici e i colleghi di lavoro.

Io e Mari intanto continuavamo a frequentarci. Lei andava al liceo linguistico e pareva non avere nessun genere di problemi, né a scuola né in famiglia. Suo padre era in America e non lo vedeva da più di un anno ma a lei non mancava per niente, diceva che con lui non aveva mai avuto un bel rapporto e viveva bene con un solo genitore.

Io non riuscivo a capire, se non ci fosse stato mio padre a sopportare mia madre, io penso che sarei fuggito.

Quella donna credeva di programmare tutta la mia vita nel minimo dettaglio, per ogni mio successo si sentiva realizzata lei, perché era stata lei a generare quel bambino prodigio. In ogni caso non è che riuscissi ad avere tanti successi. A sedic'anni vinsi un torneo di tennis contro un ragazzino tre anni più piccolo di me, il voto più alto che prendevo era otto in educazione fisica e, dopo un'estate passata con Mari a studiare, riuscivo ad avere la promozione a settembre.

Ogni anno infatti ricevevo il debito d'inglese e francese. Era evidente che non fossi portato per le lingue ma mi toccava studiarle, giusto per avere un diploma. Era grazie all'intenso ripasso d'inglese e francese che facevo ogni estate con Mari che riuscivo a passare gli esami, altrimenti penso che a quest'ora sarei ancora a scuola a prendere tre e mezzo al compito di francese.

Con Mari ci sentivamo almeno una volta a settimana e cercavamo di ritagliarci qualche ora libera nel weekend per stare insieme. D'inverno andavamo al cinema, al centro commerciale o a mangiare la pizza fuori. D'estate facevamo lunghe biciclettate fino al canale. Non era un vero fiume ma era comunque un posto molto bello da vedere e piuttosto tranquillo, circondato da parchi, villette e prati, dove riuscivamo entrambi la nostra vita liceale sembrava molto lontana. La maggior parte delle volte però facevamo esercizi d'inglese e francese o ripetevamo brani. Mari mi spiegava con pazienza tutte le regole grammaticali di francese, mi correggeva la pronuncia di alcune parole inglesi e mi riassumeva i brani più difficili. Per lei parlare era in una lingua straniera era davvero semplice, penso che avesse una vera passione.

Mi piaceva stare con lei, eppure, da quella volta prima di andare alla festa del paese, non l'avevo mai più vista con gli occhi a cuoricino. Non saprei dire bene il perché, era ingrassata sui fianchi ma il viso rimaneva splendido, la sua pelle era talmente luminosa da splendere pure in una giornata di pioggia. Eppure quella sua luminosità non mi riusciva a farmi battere il cuore, era sempre lei, la mia migliore amica e non riuscivo a guardarla con occhi diversi.

Mi ero abituato alla sua presenza, al suo sorriso smagliante, alle sue curve che si notavano da sopra alle t-shirt, il suo viso senza trucco e bellissimo. Aveva dei bei lineamenti e non mi piaceva quando si truccava. Nascondendo quei piccoli brufoletti, allungando la forma dell'occhio con eyeliner e mascara e mettendo uno strato leggere di gloss sulle labbra, diventava un vero schianto e non volevo che attirasse qualche ragazzo. Ero geloso, non volevo che qualcun altro vedendola così bella avesse la grande idea di provarci e mettersi con lei.

Nel frattempo ero cresciuto anch'io. Ero cinque centimetri più alti di lei e anche se quella differenza non si notava a prima vista, io la notavo e mi faceva sentire grande, uomo, esattamente come la barba che lasciavo crescere per tre settimane. Ah, cosa si fa a quindic'anni pur di sembrare più grandi! Adesso invece mi rado tutti i giorni, per avere un aspetto pulito, ordinato e, spero, sembrare più giovane.

Un'estate, potevo avere quindici o sedic'anni, ho avuto una cotta per Mari e all'inizio credevo pure di avere qualche possibilità di piacerle, almeno fino a quando non mi rivelò di avere una cotta per Luca.

-L'ho visto l'altro giorno al centro commerciale. Cavoli, Filo, è diventato uno strafigo!-

-Be' non esageriamo... è soltanto alto...-

-È molto più alto di me e sembra Di Caprio!-.

Capivo benissimo la sua cotta: con il suo metro e ottantasette, capelli biondi lunghi e ricci (io sarei sembrato una femminuccia coi capelli lunghi, mentre a lui davano ancora più fascino), occhi azzurri a mandorla, un fisico scultoreo (merito delle tante ore passate in palestra) e un piercing al sopracciglio, Luca affascinava tutte le donne della scuola, professoresse e bidelle comprese. Ricevere un suo occhiolino era il sogno di tutte le ragazzine di prima, che lo guardavano con aria estasiata.

Cercai di spostare l'attenzione su di me: -A chi assomiglio io, invece?- le chiesi, ridendo.

-Mmmm, fammi pensare...-

Mi aspettavo dicesse Timmy Turner (sicuramente Vanda sarebbe una madre migliore della mia) o qualche altro personaggio sfigato.

-Non assomigli a nessuno. C'ho pensato. Tu sei tu e sei speciale, unico e bellissimo-.

-Lo pensi davvero? -

-Certo, e ti auguro di trovare una ragazza che ti valorizzi e apprezzi tutte le tue qualità-.

Non potresti essere tu quella ragazza? Le sue parole erano chiare: il nostro sarebbe stato per sempre un amore platonico.

-Quindi mi dai il numero di Luca? -

-Dai, lascia stare...-

-Sennò gli scrivo su Facebook!-

-Mari, è troppo bello per te!-

-Sei forse geloso? -

-No, no, solo non voglio che tu riceva delusioni...- mentii, e le diedi il numero del mio amico. Ci risi su, ma quando tornai a casa mi chiusi in camera mia, non cenai e scoppiai a piangere. Avevo perso ogni speranza di riuscire a conquistare, mi vedeva solo come un amico, un compagno di avventure, di studi. Nient'altro. Fu la mia prima delusione d'amore.

Ne ebbi molte altre nel corso delle superiori, ma alcune, che io chiamo "storiche" mi sono rimaste impresse: Simona, Valentina e Letizia.

Simona era un anno più piccola di me, minuta, coi capelli ricci e in generale piuttosto carina. Ci scrivemmo per qualche mese ma smisi di risponderle quando la vidi baciarsi con uno molto più grande fuori da scuola. Non sapevo se fosse il suo ragazzo, uno scopamico o qualcos'altro, ma mi fece talmente schifo che mi passò tutto l'interesse.

Valentina invece era la mia compagna di banco. Portava sempre i capelli legati in treccia, era timida, insicura e taciturna. Studiava tantissimo e aveva sempre un libro di narrativa con sé. A me sembrava ne leggesse uno al giorno. Chiamata la cieca per via dei suoi occhiali da vista molto spessi, aveva un'evidente cotta per me, così decisi di chiederle di uscire, per conoscerla un po' meglio. Quella ragazza più che per la bellezza mi incuriosiva per il suo modo di fare. Passavamo tante ore vicini tutti i giorni ma mi sembrava di non conoscerla per niente. Così facemmo un giro in centro a Milano. Scoprii che sotto gli occhiali, che le chiesi di togliere, si nascondevano due occhi verdi meravigliosi e un viso bellissimo (non quanto quello di Mari) ma pur sempre bello. Glielo dissi e divenne tutta rossa. Per il resto la nostra uscita fu una noia totale. Lei era sempre silenziosa. Io le chiedevo di entrare in qualche negozio di abbigliamento ma lei era restia. Così la portai al GameStop e da Foot Locker, i miei negozi preferiti. Lei si perdeva nel suo mondo e, anche quando le facevo delle domande, rispondeva laconicamente. Sapevo che fosse davvero felice di uscire con me e che si sarebbe aspettata un secondo invito, eppure io mie ro annoiato a morte, quindi non le chiesi più niente e tornammo semplici compagni di banco.

Infine ci fu Letizia, la mia prima vera ragazza. Con Letizia durò tre mesi. Ci conoscemmo a un diciottesimo, ci scambiammo i numeri e uscimmo un paio di volte, prima di metterci insieme. Avevo diciannove anni e lei venti. Avevo la macchina e la portavo in giro: al lago di Como, a Gardaland, al mare nel weekend. Un giorno mentre la stavo baciando in camera mia, decisi di osare un po' di più. Le misi le mani sotto la maglietta. Si arrabbiò di brutto. Mi disse di essere uno stronzo maniaco che pensa solo al sesso. Credevo le facesse piacere. Non ero esperto di queste cose ma Luca, che era fidanzato con Mati da tre anni, mi disse che alle ragazze piace essere toccate. Con delicatezza, ovviamente. Probabilmente a me toccò proprio l'unica alla quale non piaceva. Non era proprio così. Quella ragazza era una troia e basta. Qualche settimana dopo Davide mi raccontò che l'aveva vista sotto casa con suo fratello più grande.

-Sei sicuro che sia lei?-

-Sì, sì, credimi, era lei. Era sotto casa mia. Mio fratello ha confermato. Ha detto di essere uscito con una certa Leti.-

Forse Davide aveva ragione eppure io non riuscivo a crederci.

-La prossima volta che li vedi mi mandi una foto?-

Qualche giorno dopo la foto arrivò. Era fine maggio, faceva caldo e stavo navigando su Internet in cerca di spunti di ispirazione per la tesina di maturità che avrei dovuto consegnare già un paio di settimane prima e non avevo ancora iniziato. Quando la aprii per poco non caddi dalla sedia. Era Letizia, nuda, in doccia con il fratello di Davide. La foto era stata scattata da dietro al vetro appannato. Loro due erano presi e non si erano nemmeno accorti che Davide fosse entrato in bagno per pisciare. Una foto di un loro bacio sarebbe bastata come prova del tradimento, mentre questa era una prova schiacciante che Letizia fosse una puttana. Non mi aveva mai fatto vedere il suo corpo nudo però l'aveva mostrato un altro. La cosa buona di quella relazione fu che mi diede l'ispirazione per scrivere la tesina. Avrei voluto parlare dei tradimenti, ma non essendo argomento di studio (in qualche scuola si studia, per caso?) decisi di portare il divorzio e di tutte le coppie che si erano separate nel corso della storia. "Una tesina tristemente originale" commentò la mia prof d'inglese all'esame, guardandomi male. Si diceva che suo marito, professore universitario, l'avesse tradita proprio qualche mese prima con un'alunna della scuola. Qualche mese dopo seppi da Davide che suo fratello e Leti si erano lasciati lei era voluta tornare col suo vero amore, il suo professore universitario di letteratura inglese, proprio il marito di quella stronza che mi aveva rimandato tutti gli anni. Pensai che aveva fatto bene a tradire quella donna che non aveva mai voglia di spiegare e chiedeva cose impossibili alle interrogazioni e giurai su me stesso di non infatuarmi di ragazze tanto superficiali.

Luca invece era fidanzato da tre anni con Matilde (non con Mari altrimenti l'avrei ucciso), una nostra compagna di classe di una bellezza a dir poco insolita: minuta, brufolosa, con un naso enorme, i capelli a caschetto e la frangetta, Mati aveva degli occhi azzurri bellissimi e penso siano stati quelli a incantare il mio amico, essendo l'unico suo pregio estetico. Davide aveva avuto qualche storiella breve ma si dichiarava sempre single. Diceva di non avere ancora trovato una ragazza in grado di fargli perdere la testa e temeva di essere gay.

-Scusa ma ti piacciono i maschi? Tipo hai voglia di scoparmi?-

-No, mi piace la figa, e se fossi gay mi metterei sicuramente con uno più bello di te!-

-Stai dicendo che sono brutto?-

-Insomma...- disse ridendo.

-Torniamo seri... la verità è che nessuna tipa mi ha mai preso veramente, capisci?-

-Be' veramente non capisco-. Maria mi aveva fatto perdere la testa per anni e pure per Letizia avrei dato la vita (lei invece non mi ha dato manco la figa).

-Io amavo Letizia, mi piaceva tutto di lei e mi facevo in quattro per renderla felice, ricordi? Era bellissima, così piena di vita, di energia, curiosa, mi raccontava dei suoi libri classici inglesi, della sua passione per il nuoto, per la musica...-

-Sì, sì, le so le sue passioni, me ne parlava pure mio fratello-. Mi venne in mente la foto di Leti nuda col fratello di Davide e mi sentii il sangue ribollire nelle vene. Come avevo fatto a non accorgermi che quella ragazza mi tradiva?

-Arriverà quella giusta, prima o poi- sospirai, consapevole che quella era più la nostra speranza che un dato di fatto.

-Nel frattempo fattela una scopata con qualcuna ogni tanto!- mi incitò il mio migliore amico. -Non lo so, Davide, non so se è il caso, io non sono così superficiale, voglio farlo con la persona giusta-.

-Sembri mia madre, Filo! Guarda che non c'è nulla di male, sei contento tu e sono contente loro-. Io non la pensavo come Davide. Anche se avevo avuto le mie cotte, nessuna, nemmeno Leti, mi aveva preso come aveva fatto Mari. Io mi sentivo il suo uomo quando stavo con lei, mi sentivo completo, bello e felice, davvero felice. Ero felice solamente perché c'era lei, che era bellissima e sceglieva di stare con me. Mi piaceva Mari, mi piaceva da una vita e chissenefrega di Simona, Vale e Leti, quando potevo passare il pomeriggio pedalando lungo il canalone accanto a lei. Eravamo amici e saremmo rimasti tali, ma passare il tempo con lei per me era il paradiso.

Alla fine delle superiori mi ritrovavo con i miei soliti amici (Luca e Davide), la mia amica Mari da chiamare per qualsiasi motivo, qualche nozione in più nella testa, due esperienze di tradimento alle spalle, un diploma di ragioneria preso con settantadue e tanta ansia verso il futuro.

Davide in quinta fu bocciato e decise di iscriversi al serale. Luca scelse di frequentare economia all'università. Economia aziendale era la sua materia preferita e intendeva approfondirla. Io non avevo una materia preferita, non avevo talenti particolari e non sapevo proprio cosa fare. Fosse stato per me sarei andato a lavorare, o avrei aperto un canale Youtube dove parlavo di videogiochi. Andava tanto di moda all'epoca e un mio compagno l'aveva fatto. I miei però si sarebbero vergognati di avere un figlio che "dice cavolate sul web e diventa famoso per niente". Volevano un figlio laureato. Erano già abbastanza arrabbiati per il voto basso con cui ero uscita, avrebbero voluto almeno un 85, io invece ero orgoglioso di me perché dopo sei anni ero riuscito a finire le superiori. Così aprii il portatile, consultai i siti di tutte le università di Milano, sperando di trovare una risposta: una facoltà non troppo difficile, che m'interessasse e che facesse contenti i miei genitori. Alla fine la scelta cadde su psicologia per tre semplici ragioni: era la sede più vicina, avevo letto qualche libro di Charmet giusto per curiosità durante l'anno, non c'era il test di ammissione.

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