♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vk...

De bisdrucciola

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"Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le ste... Mais

✤ P R O L O G O ✤
family is where life begins and love never ends.
you'll regret someday if you don't do your best now.
kill 'em with success, bury 'em with a smile.
don't ever run backwards.
never work just for money or for power.
you can be the moon and still be jealous of the stars.
and then you came into my life.
i'm jealous. wanna know why? because we started as 'just friends' too.
love is both: how you become a person, and why.
can i be your lei-tsu?
i like people who shake other people up & make em feel uncomfortable.
heavy hearts don't have to drown.
kiss me until i forget the thought of somebody else near your lips.
you became one of my stories.
the tip of my finger is tracing your figure.
we're too young and immature to give up, you idiot.
i just want you to talk to me. tell me how you feel. about life. just talk.
i want you. all of you. on me. under me. tasting me. wanting me.
it hurts too good to say no.
the more i learn about you, the more i like you.
to die would be less painful.
do you think the universe fights for souls to be together?
life is not about hiding, life is about living.
there's nothing wrong with you.
i am desperately craving your lips.
a sea of whiskey couldn't intoxicate me as much as a drop of you.
i hope you can see me for what i am and continue to love me the same.
i've been holding back for the fear that you might change you mind.
i tried so hard to not fall for you, but then our eyes locked and it was over.
my heart's your home, no matter where you are, u'll always have a place to stay.
all my mistakes are drowning me, i'm trying to make it better piece by piece.
perhaps it's better this way.
he's stuck inside my brain so much that he can call my head "home".
i think i need you, and that's so hard to say.
tell me pretty lies, tell me that you love me, even if it's fake.
how can i look at you and feel so much happiness and sadness all at once?
i've hella feelings for you, but i'm so fucking scared.
you spread warmth and inspire my life, just like the sun does.
lips so good i forget my name.
one of the hardest battles we fight is between what we know and what we feel.
he dreams more often than he sleeps.
mommy, daddy, don't you know? You lost your daughter years ago.
ça ne casse pas trois pattes à un canard
i wanna feel you in my veins.
as humans we ruin everything we touch, including each other.
I just wish i could lose this feeling as fast as i lost you.
look at your cuts. each one is a battle with yourself that you lost.
in the end, we'll all become stories.
And he dreamed of paradise every time he closed his eyes.
un piccolo regalo...

you're burning inside of me and i'm still alive in you.

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De bisdrucciola


SCUSATE L'ATTESA SECOLARE!
IMPORTANTE: dopo aver letto questo capitolo, vi prego di dare un'occhiata all'angolo delle INFO che ho inserito alla fine per farvi sapere una cosina che ho deciso di fare c:

Jungkook uscì dal bagno lucido e freddo dell'ospedale con il viso stanco, gli occhi arrossati, le palpebre inumidite dal pianto e le guance rigate dalle lacrime che bruciavano come ferro rovente sulla pelle. I suoi piedi avanzavano e strisciavano sul pavimento grigio senza volontà, le sue pupille straziate guizzavano placidamente da un angolo all'altro del corridoio asettico, dove alcuni medici e infermieri lo guardavano senza alcuna espressione sui visi impalliditi dalla luce candida dei led affissi al soffitto. Si passò il dorso della mano sul viso e se lo sentì avvampare sotto quel tocco, quasi come se le sue guance fossero piene di ferite e le sue mani ricoperte di sale. Ripensò alle dita di Taehyung che gli accarezzavano il volto la notte, quando pensava dormisse, e il suo stomaco si irrigidì, facendogli provare un dolore ripugnante capace di estendersi sulle gambe e sul petto. Il contorno delle sue labbra color ciliegia era gonfio e arrossato, come se le lacrime non avessero risparmiato nemmeno quella parte del suo viso da bambino. Vide Hoseok seduto da solo su una sedia davanti alla stanza dove risiedeva Taehyung, con i gomiti poggiati sulle cosce coperte dai jeans e le mani premute sulla faccia come per nascondere il dolore. A differenza di quando parlava, Hoseok piangeva nel modo più silenzioso che avesse mai sentito. Il corvino si avvicinò ad una delle sedie libere accanto a lui, avvertendo ancora le braccia di Jimin da sopra i vestiti e il calore del suo corpo che lo confortava dalla pesantezza che sorreggeva la sua anima. Perchè Jungkook si era appena reso conto che l'anima si sente solo quando deve portare dolore, la percepiva premere sotto le ossa e fremere ad ogni pensiero e ricordo che riguardava Taehyung. Che altro poteva essere se non l'anima? Quel gravare insopportabile all'interno del suo corpo che inibiva ogni sua sensazione apparte la sofferenza. E sapeva per certo che Hoseok stava facendo i conti con la sua, proprio come lui. Vedeva la sua schiena tremolare sotto il peso della sua anima e nulla era più doloroso di una guerra contro la speranza basata su un'incertezza. Jungkook allungò un braccio sulle sue spalle, fissando davanti a sè con gli occhi assenti. I singhiozzi di Hoseok si intensificarono, dunque il moro iniziò ad accarezzargli con delictezza la spalla. "Non preoccuparti, si sveglierà e ogni cosa tornerà come prima..." Disse, con la voce smorzata dall'incertezza. "Lo so che lo farà, lo farà per tutti noi, perchè lui è un ragazzo forte. Lui è il più forte che io abbia mai conosciuto. Giusto, Hoseok?" Jungkook non aveva mai avuto l'occasione di parlare molto con lui, ma in quel momento il dolore era una valida merce di condivisione. Lo aveva sempre pensato dopo aver incontrato Taehyung, che il farsi attraversare dalla sofferenza rende persone migliori. Il ragazzo dai capelli biondi annuì, ancora col volto tra i palmi e la schiena china.

"Mi ha tolto dalle strade... mi sento la persona più fortunata del mondo ad averlo incontrato, Jungkook." Gemette il ragazzo, con un tono acuto d irregolare. Jungkook ebbe un tonfo al cuore e sentì la sedia sprofondare insieme ad esso. Capiva Hoseok meglio di chiunque altro.

"E ti sentirai anche più fortunato dopo averlo riavuto, te lo prometto." Gli disse Jungkook, sorridendo controvoglia, per poi tornare a guardare il muro bianco davanti a sè. Aspettava con ansia che Jin e Namjoon uscissero da quella camera, in modo da poter vedere di nuovo colui che gli aveva fatto capire cosa volesse dire Ti Amo.

Jin osservava Taehyung, mentre Namjoon gli stringeva la mano fino a fargli male. Le lacrime gli scendevano sul volto silenziose e letali come veleno, il pollice giocava ininterrottamente con la fede d'oro sul dito anulare e i denti torturavano il labbro inferiore. Entrambi erano seduti su due sgabelli accanto al letto e la luce del pomeriggio intensificava sempre di più la propria presenza, filtrando dal vetro impolverato di quella stanza pregna di triste silenzio. Jin allungò la mano su quella dello stilista, disegnando piccoli cerchi sul dorso liscio di essa. Conosceva Taehyung da più tempo di chiunque altro, avevano iniziato V's insieme e l'avevano portata avanti, contando solamente sui loro sforzi.Ogni volta che si presentava un problema, sapevano esattamente come risolverlo e ogni volta che qualcuno aveva una richiesta, il primo pensiero di Taehyung era quello di parlarne in prim'ordine con lui. Aveva ascoltato ogni sua fissa poetica, ogni sua paranoia e ogni suo barocchismo, tutti i giorni fino all'ultimo e non poteva credere che tutto ciò che Taehyung era stato, in quel letto, non aveva più espressione. Restava lì tra quelle lenzuola, con le labbra chiuse e la mente proiettata al paradiso. Chissà, si chiese Jin, se fosse stato capace di incontrare sua madre. "Abbiamo tutti dei rimpianti quando vediamo che qualcosa ci sta venendo portato via, no?" Sussurró, muovendo a malapena le labbra. "Ebbene, il mio è quello di non averti detto prima che ti reputo una delle persone più importanti della mia vita. L'ho sempre fatto, sin da quando mi hai chiamato per la prima volta socio. Non so cosa stai sognando adesso, magari starai..." La voce di Jin si interruppe e divenne un flebile bisbiglio smorzato dai singhiozzi. "... starai pensando a qualche poesia delle tue, quelle con le parole incomprensibili e significati costruiti. Avrei voluto dirti prima che sei stato un leader e una persona meravigliosa, avrei voluto dirti prima che avrei voluto che fossi il mio testimone. Se questo è il momento di lasciarti andare, Taehyung, voglio che tu sappia che è stato un onore averti avuto al mio fianco in tutti questi anni, come socio e come amico. Ti sarò debitore finchè anche il mio cuore non cesserà di battere." Jin si schiaffò una mano in volto, cadendo in un limbo di dolore che gli strinse la gola e lo stomaco. Namjoon lo strinse forte a sè, come se dovesse proteggerlo da un mostro enorme e ripugnante. Come se quel mostro si chiamasse destino ed entrambi non potessero far assolutamente nulla per impedirlo. Namjoon avvertì il corpo caldo e lievemente sudato di Jin da sotto la camicia, col suo viso che premeva sull'incavo del collo. Sentì la sua schiena tremolare, mentre le lacrime scendevano sul suo volto. Namjoon discinse un braccio dal suo fidanzato, continuando ad accarezzargli la schiena, poi poggiò l'altra mano sopra quella di Taehyung.

"Sei stato un amico, Taehyung. A differenza di tutti gli altri, io non ho nessun rimpianto. Ho vissuto una vita magnifica con te accanto, dal primo momento in cui ti ho incontrato, fino a quando mi hai aiutato a scegliere l'anello per Jin e mi hai permesso di fargli la proposta durante la sfilata. E non ho molte cose da dirti, perchè tutto questo..." Namjoon fece una pausa, rivolgendo lo sguardo in un angolo non ben preciso di quella stanza. Lo fece per evitare di piangere, lui non era il tipo che piangeva. E anche se ne aveva una voglia incredibile, in quel momento piangere era un gesto inutile e sconclusionato. Piangere non avrebbe risvegliato Taehyung e non avrebbe smesso di farlo soffrire. "... tutto questo io non me lo sarei mai immaginato." Tirò su col naso, accorgendosi che il suo tono di voce si era fatto più acuto e impastato. "Non credo di essere ancora pronto a dirti addio, amico mio." Jin continuava a piangere tutto ciò che la sua mente reputava intollerabile.

La mamma, in mezzo ad un campo di rose sconosciuto al mondo terreno, si accese un'altra sigaretta. Taehyung ciondolava davanti a lei con gli occhi sbarrati, che non celavano le lacrime. Non sapeva se i suoi occhi piangevano per la gioia, la malinconia o la sorpresa, fatto stava che dentro di sè non riusciva a sentire nulla, apparte la forte volontà di restare a volar via col vento, insieme a sua madre. Lei non faceva altro che guardarsi in giro e fumare, sbuffando nembi di fumo che predicevano una tempesta di parole. Taehyung lo sapeva bene, quando sua madre aspirava per più di quattro secondi, era perchè era impegnata a ricercare le sillabe giuste al fine di reggere un discorso importante. L'ombra delle sue ciglia sembrava avvolgerle interamente il volto, nei suoi occhi si rifletteva tutto l'infinito di quel campo. Taehyung la guardava con gli stessi occhi di quando era bambino, i quali filtravano l'immagine di una donna ferita nel profondo, ma forte come una foglia d'autunno che non si spezzava nonostante il forte vento. Le dita che terminavano con le unghie ingiallite dalla nicotina si poggiarono sulla sigaretta e la trasportarono fuori dalle labbra per l'ultima volta. "Amore mio, questo non è il tuo posto." Sussurrò, mentre una lacrima limpida le solcava una guancia. Le sue pupille vagavano frettolosamente in tutto lo spazio intorno a lei, come se ne dipendesse la sua pace interiore.

"Mamma, che stai cercando?" Le chiese Taehyung, attonito e ammirato.

"Una via d'uscita." Rispose lei, con la voce corrosa dal vizio che non era mai stata capace di togliersi.

"E come mai?" Domandò di rimando il ragazzo, con i capelli biondi smossi dalla brezza leggera che si era alzata.

La donna rivolse gli occhi di nuovo su suo figlio, esattamente nello stesso modo in cui lo aveva guardato da appena nato. "La vedi?" Gli pose una sigaretta ancora non iniziata dinanzi agli occhi. "La vita si trova anche in una sigaretta, basta guardarla con gli occhi che tu hai sempre avuto. Ti ho guardato crescere dal cielo, Tesoro mio, e so che sei un uomo meraviglioso ed intelligente. Proprio per questo ti chiedo di capire questa semplice metafora." La madre sorrise leggermente, con gli occhi saturi di lacrime. "Immagina che la parte bianca di una sigaretta rappresenti la vita e che quella gialla invece sia il segno che lasci all'interno delle altre persone dopo la morte." Taehyung corrucciò le sopracciglia, pensando che lui aveva smesso di fumare prima di morire. Chissà perchè lo aveva fatto? "Se ci pensi bene, la vita scorre alla stessa maniera di una sigaretta che si consuma. Piano piano e poi, tutto d'un tratto, la sigaretta finisce. Allora in quel momento entra in gioco la parte gialla, ovvero il ricordo e i segni che la tua vita ha lasciato nelle altre persone." La madre poggiò una mano sulla guancia di Taehyung, accarezzandogli dolcemente il volto.

"Qual è il punto di questa metafora?" Chiese il ragazzo interrogativo, con la mente persa in un universo composto di domande abuliche.

"Che la tua sigaretta, Taetae, non era ancora finita." Replicò lei, facendo un altro tiro della sua, la quale invece era quasi terminata.

nota dell'autrice:
l'avevo detto in uno dei capitoli precedenti, quello della sfilata, ma lo ripeto in caso di dimenticanze. Hoseok era un ballerino di strada che viveva con la nonna malata, dunque la sua passione era l'unica cosa che riusciva a sostenere lui e le cure per l'unica parte della famiglia che gli era rimasta. Aveva abbandonato gli studi e per questo, visto che era molto giovane, non aveva quasi speranza di ottenere un lavoro. Eppure Taehyung, passando per la strada dove Hoseok ballava con il suo gruppo, gli lascia il biglietto da visita di V's e lo assume come ballerino.

Jin e Namjoon uscirono da quella camera intrisa d'afflizione circa dopo dieci minuti, mano nella mano, con gli occhi pieni di una speranza morente. I capelli rosati di Jin avevano bisogno di cure che in due giorni, quasi tre, non avevano avuto. Quelli di Namjoon invece erano ancora ben saldati e tenuti fermi da una bandana nera. I suoi occhi erano gonfi, fissavano il vuoto ed estrinsecavano una patina di nebbia, come se la sua vista fosse stata offuscata dal primo momento che aveva visto Taehyung in quelle condizioni. Jungkook li guardò e non si sentí solo. Si domandó dove fosse Jimin, ma poi fu distratto dal suo braccio che scivolava via dalle spalle di Hoseok. Egli si era alzato in piedi, mentre con i dorsi delle sue mani si asciugava il volto dalle troppe lacrime. Quando lo scoprí, Jungkook notó che la sua pelle era arrossata e le sue labbra indubbiamente più gonfie. I suoi occhi erano identici ai propri, caliginosi e seri, fissati in punti della stanza che non trasmettevano nulla. Forse, si disse Jungkook, quando si è tristi si fissano gli angoli delle stanze perché sentire la completa indifferenza di qualcosa rende insensibili, oppure solamente per concentrarsi sul dolore che ribolliva all'interno del corpo mentre il muro bianco restava lí, come a dare certezze. Ed Hoseok in quel momento non ne trovava più, di certezze. Si limitava ad asciugarsi le lacrime da solo e decidere se avesse o meno la forza di entrare nella camera trecentoventuno. Alla fine decise che la forza bisognava farsela. Osservò Jin che si aggrappava a Namjoon come se fosse la sua àncora di salvezza e poi il nulla. Ascoltava il suo cuore che batteva ovunque nel suo corpo, sul petto, rimbombava sulle tempie e pulsava sulle gambe. Mosse un passo e pensò per un attimo di potersi sgretolare come una torre dopo un terremoto, ma non successe. Non successe nulla e questo fatto lo turbava in modo inverosimile. Camminò verso la stanza, chiuse la porta dietro di sè e ascoltò il suono del legno e del ferro che si serrava. La sua vita era diventata una miscela di suoni ed immagini non collegate, frammentate, come vecchie foto in un album con troppa escursione temporale da una pagina all'altra. Si fece cadere sullo sgabello accanto al letto e non ebbe il coraggio di scrutare cosa ci fosse all'interno di quelle lenzuola. Solo l'idea gli creava un nodo alla gola tremendo e lui non voleva piangere. Guardò la mano inerme che giaceva sopra il materasso e per poco non ebbe un mancamento. "Io come faccio a crederci..." Sussurrò, con la voce arrochita e affievolita dalla volontà sempre più prorompente di piangere. "Sei stato tu che..." Hoseok trovò dentro di sè il coraggio di guardare in volto Taehyung, ma non altrettanta per trattenere le lacrime a quella vista. Il volto di Taehyung restava in silenzio; il suo solito sorriso, sparito; i suoi occhi brillanti, chiusi. La vista di Hoseok si appannò, il suo corpo andò a chinarsi su quello esanime dello stilista e le parole gli morivano dentro come in una spietata guerra di trincea. Strinse i denti per sopportare il dolore che si schiudeva dentro di lui e spinse il volto tra le lenzuola per fare in modo che non dovesse più asciugare le sue stesse lacrime. "Sei tu che mi hai tirato fuori dalla strada, Taehyungie..." Sussurrò, con parole sincopate e ovattate dalla stoffa del lenzuolo. "Mi hai permesso di salvare mia nonna con la sua malattia, l'unica persona che mi rimaneva... mi hai accolto a braccia aperte. Mi hai salvato e non posso credere che io non possa salvare te. Mi fa stare male, Taehyung, l'idea che potrei non rivederti più." Hoseok restò in quella posizione finchè le lacrime non smisero di cadergli dagli occhi. Poi tutto si fece silente un'altra volta. L'imbrunire prendeva il sopravvento, nessuno aveva ancora mangiato nulla da quella mattina. Gli uccelli non si sentivano più, il vento si era calmato e la sera calava senza disturbi. Hoseok rimaneva senza voce, inerme sul corpo di chi lo aveva salvato da una vita miserabile e vuota. Non riusciva a muoversi, a cogliere gli impulsi né più a parlare, perché non sapeva cosa dire. Era sprofondato nella consapevolezza che ogni sua parola diveniva vana in quella stanza, ogni sua rassicurazione diveniva solo aria consumata e ogni sillaba era soltanto voce sprecata. Taehyung non si sarebbe svegliato sotto richiesta di nessuno, tantomeno la sua. Volle disperatamente restituirgli il favore, fare ciò che Taehyung aveva fatto per lui, ma non poteva inviargli nessun biglietto in paradiso. Lí la posta non arrivava mai, nemmeno con le preghiere. Sprofondó in cui che chiamava ovvietà, quella dura, quella che svuota per quanto è cruda e smembra ogni cosa per quanto sua insopportabile. Taehyung, forse, non si sarebbe più svegliato, un biglietto non gli avrebbe salvato la vita, le cure che poteva dargli non avevano nessun effetto. Hoseok non poteva fare niente e nulla fece per i restanti minuti.

Il tempo scorreva veloce come sabbia in una clessidra, il tic morboso dell'orologio scandiva i secondi con efficienza morbosa e Hoseok se lo sentiva rimbobare nelle orecchie. Avrebbe voluto restare lì, ma anche andarsene per sempre da qualche parte in cui il dolore non esisteva. Quella sera nessuno avrebbe mangiato la propria cena e lui non aveva la minima intenzione di fare un'eccezione. Avrebbe voluto restare lì fino a morire di fame, senza più alcuna volontà di alzarsi da quel letto, mentre rifletteva su tutte le cose che Taehyung gli aveva donato. La stoffa delle lenzuola sembrava raffreddarsi appena la luce calava all'esterno. Il sole, rimasto indisturbato per l'intero giorno, in quel momento si abbassava lentamente verso i meandri della Terra, lasciando spazio all'oscurità della notte imminente. Hoseok si chiese come sarebbe stata la luna quella notte, ma si rese conto che le risposte gli mancavano anche su quel particolare. "Taehyung, la vedi la luna nei tuoi sogni? Mi servono ancora tante risposte." Sussurró, rendendosi conto di avere un peso enorme sulle sue spalle che gli impediva categoricamente di alzarsi da quella posizione. Chissà se qualcuno conosceva un luogo dove la vita non ti cadesse addosso, si chiese, ormai arreso all'idea che ogni volta che trovavi la fine, la vita ti allungava il percorso.

Hoseok uscì da quella camera con le gambe che tremavano e il palmo della mano che percorreva delicatamente tutta la superficie della porta della camera trecentoventuno, percependo quel finto legno color mogano scivolare freddamente sotto la pelle sudata. Davanti a lui, solo un corridoio di luce bianca artificiale. Il medico della loro area, quello che gli aveva parlato quella mattina, restava in piedi appoggiato al muro, con in mano il suo cellulare. Hoseok notó che l'uomo stava componendo un numero telefonico, infatti poi si portó l'arnese all'orecchio e aspettó colpendo il pavimento con la suola della scarpa. Hoseok notó che il suo viso era impaziente, ma sereno, dunque quasi sicuramente stava chiamando qualcuno della sua famiglia. Il sorriso che fece appena quel qualcuno rispose gli fece intuire che era probabilmente suo figlio o sua figlia. Inoltre, non portava più il camice bianco da lavoro ed era in jeans e camicia, quindi probabilmente aveva appena finito il suo turno e stava chiamando la famiglia per avvisarli che stava tornando a casa. A volte, l'osservazione di Hoseok era così avveduta che faceva male anche a lui, vedere la felicità pura nei volti della persone e sapere che lui non ne aveva mai avuta tanta messa insieme. E poteva sembrare il contrario, ma la sua sensibilità lo rendeva vulnerabile ad ogni particolare fuori luogo. Proprio come il sorriso involontario di quel dottore nel momento in cui lui stava cadendo in pezzi. Pensó che fosse triste vedere una persona che viene riempita di felicità e un'altra che ne veniva interamente prosciugata. Gli sembrò quasi ingiusto, ma poi pensò alle parole di Jungkook e decise di distogliere lo sguardo dal volto del medico, il quale continuava a parlare gioiosamente al telefono. «Non preoccuparti, si sveglierà e ogni cosa tornerà come prima... lo so che lo farà, lo farà per tutti noi, perchè lui è un ragazzo forte. Lui è il più forte che io abbia mai conosciuto. Giusto Hoseok?» Gli aveva detto così e Hoseok non aveva altra scelta che crederci, oppure avrebbe perso la testa. Sprofondó in una di quelle sedie di plastica e lanció uno sguardo a Jungkook addormentato su quella accanto alla sua. Teneva il capo poggiato al muro, leggermente chinato verso lo schienale duro della seduta, le labbra schiuse, gli occhi serrati e le gambe rannicchiate verso il petto, avvolte dalle braccia come un bambino spaventato. Hoseok gli diede una leggera pacca sulla spalla, ma non fu abbastanza per svegliarlo, sebbene avesse mugugnato qualcosa sotto voce. Jungkook avvolse ancora di più le gambe a sé e corrucció le sopracciglia, come se nei suoi sogni avesse qualcosa che lo preoccupava. Probabilmente, pensó Hoseok, era così. Gli diede un'altra pacca, alzando il tono mentre lo chiamava da quel sonno irriquieto e finalmente Jungkook si destó. Tiró su il volto e stette per interi secondi a fissare coi suoi occhi scuri e gonfi il ragazzo dai capelli biondi che lo aveva svegliato. Poi, abbassando lo sguardo e sentendosi in imbarazzo, si ricompose sulla sedia e incrociò le braccia al petto sbuffando. "Dimmi che è successo qualcosa." Sussurró. "Qualunque cosa." Continuó poi, rivolgendo lo sguardo ad Hoseok. Quest'ultimo osservó per un attimo le pupille scure di Jungkook e gli sembrarono così trasparenti che poteva vederci attraverso. Quegli erano così limpidi e cristallini che non avevano più nulla di dire. Erano vuoti. Hoseok distolse lo sguardo in fretta.

"Non è migliorato nulla, ma non ci sono peggioramenti." Gli rispose infine il ragazzo, cingendo insieme le mani sul grembo. "Ora devo andare a trovare mia nonna in casa di riposo... però, Jungkook," Non riusciva a guardarlo negli occhi, come sé tutta quella malinconia potesse intingersi nei loro corpi e diventare una crosta indistruttibile. "...non puoi restare qui tutta la vita, vai a casa, vai da tuo fratello... ma ti prego, vai a casa." Hoseok cercava di mettere tutta la sua convinzione nella voce, di renderla quasi autoritaria, ma il tremore delle corde vocali era troppo accentuato per accertarne la serietà. Jungkook fissó per una decina di secondi il muro davanti a sé e scosse la testa vistosamente. I suoi bulbi erano aridi, come se le lacrime fossero evaporate e avessero dato spazio solo al sale.

"Io non posso lasciarlo solo." Disse, con la voce molto più dura e convinta di quella di Hoseok. "Io non voglio abbandonarlo, voglio restare qui finché non morirò e potrò rivedere le stelle che si riflettono nei suoi occhi." E poi scoppió in un pianto a dirotto. Hoseok gli accarezzó la schiena con delicatezza; in quel momento Jungkook gli sembrava un soprammobile di porcellana finissima. Alzó gli occhi e vide una figura alta e abbastanza massiccia avvicinarsi, involontariamente notó una certa somiglianza con Jungkook, ma non voleva esserne troppo sicuro. Era abbigliato con una giacca di pelle soprastante ad un maglione nero e dei jeans lunghi dello stesso colore, lievemente schiariti all'altezza delle ginocchia. I suoi capelli erano corvini e l'unica parte del suo corpo che faceva contrasto era la pelle chiara e scoperta del volto e del collo. Hoseok realizzò che quegli occhi erano esattamente identici a quelli di Jungkook, in tutto e per tutto. Erano straordinariamente grandi ed espressivi, due pozzi pieni di nero petrolio che specchiavano all'interno di essi l'intera stanza. Portava con sé una confezione di ramen caldo e una coca-cola fresca, cercando di bilanciarle e non farle cadere dalle mani molto più grandi e massicce di quelle sottili e lunghe di Jungkook. Il ragazzo guardó preoccupato il più piccolo e poi Hoseok, in modo abbastanza interrogativo.

"Piacere di conoscerti, sono il fratello di Jeongguk... mi dispiace molto se non posso darti la mano, ma sono un po' indaffarato." Indicò tutto ciò che trasportava tra le mani e gli sorrise brillantemente, coi denti diritti e regolari. Jungkook lo guardó stranito, poi sbottó di nuovo a piangere come un bambino. Suo fratello gli sussurrava dei "no" e dei "va tutto bene" che non arrivavano alle sue orecchie, ma poi il più grande poggió tutto a terra e abbracció con forza Jungkook, il quale gli si avvinghió addosso con prepotenza e bisogno. Suo fratello per poco non cadde, giacché era rimasto in equilibrio in una posizione non troppo stabile e comoda. Eppure sentire la presenza di Jungkook così vicino a lui lo rassicurava un po'. Avrebbe solo voluto visitarlo prima, ma doveva aiutare il suo capo a ristorante e non poteva deviare il suo lavoro per una visita in ospedale. Solo a quel punto, nella tarda sera, aveva trovato qualche minuto libero prima di scappare al lavoro. Quella volta avrebbe ritardato un po', ma non gliene importava nulla. Avrebbe sempre protetto il suo fratellino, fino a quando lui l'avrebbe voluto e anche in futuro, quando non se ne sarebbe accorto più. Le mani di Jungkook gli stringevano la giacca di pelle e il suo viso era immerso nell'incavo della sua spalla. Il maggiore gli avvolse le braccia intorno alle spalle e gliele accarezzó leggermente, lasciando un asciutto e quasi impercettibile bacio tra i capelli neri. Jungkook si staccò da lui per primo, ma le sue mani andarono a finire annodate tra quelle del fratello. "Jungkook, mi dispiace tanto..." Lo guardó e dall'occhio destro del minore scese una lacrima, un delle tante versate e da versare. "Davvero io non mi sarei nemmeno immaginato una cosa del genere... è inconcepibile e io non so come aiutarti." La mano del fratello andó a finire sulla guancia del minore e poi scivoló sulla nuca, conducendo il volto verso il proprio petto. Jungkook cercò di separarsi da lui una seconda volta, ma tutta la forza che gli era rimasta era stata spazzata via da pianto. Strinse la mano del fratello, forse tanto forte da lasciare impressi i segni delle unghie sulla sua pelle e poi si abbandonò ai singhiozzi di nuovo. Non si vergognava di essere così debole, non sentiva più niente. Riusciva ad avvertire solo il dolore che lo sorpassava a ondate lasciando vuoti che voleva colmare con le lacrime. Taehyung era ancora vivo dentro di lui e Jungkook avrebbe voluto soltanto morire per raggiungerlo, ma come poteva? C'era ancora troppa vita da abbandonare. Suo fratello si staccò da lui in silenzio, Jungkook rimase a mani conserte e con i gomiti poggiati sulle cosce.

"Non ho fame, Hyung." Le sue pupille si staccarono dal viso del fratello e andarono a finire nel vuoto bianco della parete del corridoio. Sentiva un po' freddo, l'aria condizionata negli ospedali era qualcosa di irreggibile, ma quasi stentava a farci caso. Il fratello storse la bocca e compose il suo volto in un'espressione preoccupata e pensierosa.

"Che ne dici di andare dentro insieme? Vorrei che mi parlassi di lui il più possibile, tutto quello che ti ricordi, tutto quello che ti ha detto." E detto questo ebbe la certezza che sarebbe senza dubbio arrivato in ritardo al lavoro. "Ci stai?" Chiese, guardando Jungkook, che era tornato con gli occhi su di lui. Il ragazzo annuì e si alzó senza pensarci due volte, quindi si incamminó con una lentezza consumante verso la stanza e aprì la porta. Taehyung era ancora immobile sullo stesso letto, ma gli infermieri avevano approfittato di quel momento per cambiare le lenzuola. Erano sempre uguali, bianche e morbide. Gli occhi del ragazzo erano ancora chiusi, il suo viso imperturbabile e entrambe le braccia poggiate sulla riversa delle coperte. Jungkook inalò una grande quantità d'aria a pieni polmoni, fino al punto di sentirli dolere, e poi la soffiò via come per lasciarla andare per sempre. Lui si sedette sulla poltrona marrone accanto al letto, suo fratello sullo sgabello di fianco ad essa. Erano le sette della sera, dalla finestra gli alberi scurivano e la loro ombra si univa al cielo, nere come l'avvento della notte. Ma Jungkook non aveva voglia di contemplare il cielo. In realtà, non aveva voglia di contemplare nulla. Gli mancava la voce di Taehyung, gli mancava così tanto che era come se gli mancasse un polmone, come se gli mancasse una gamba, come se il cuore non gli battesse più. Gli mancava stringerlo tra la proprie braccia e promettergli l'infinito, gli mancava rassicurarlo sul fatto che sua madre lo ammirava anche se non c'era più, gli mancava ascoltare tutti i suoi ti amo, le sue strampalate teorie, le poesie e le storie che si ricordava a memoria. Gli mancavano le labbra, gli mancavano quegli occhi brillanti e sensuali, gli mancava il calore del suo corpo. "Da quanto è che è in queste condizioni?" Chiese suo fratello, senza distogliere lo sguardo dal corpo immobile di Taehyung. Il sottotono della sua pelle sempre più grigio, le sue labbra incolori, le ciglia lunghe che creavano una silente ombra sulle gote ferme.

"Questa è la terza notte." Rispose Jungkook, con la voce smorzata dalla tristezza. "Il medico..." si bloccò, chiedendosi se avesse o meno la forza di ripetere quella orribile sentenza. "...ha detto che se non si sveglierà uno di questi giorni, non ci sarà più speranza che lo faccia in un futuro." Sussurrò poi, prendendo tra la sua la mano di Taehyung. Quella mano esanime era l'unica cosa che riusciva a toccare per sentirlo più vicino, visto che non aveva la forza di sfiorare altra pelle scoperta. Aveva paura che l'avrebbe sentita troppo fredda sulla sua. Il fratello non risponde, ma fa scivolare una mano sulla schiena del minore, stringendogli la spalla con decisione per tranquillizzarlo. "E se non si sveglia..." questa volta non riuscí a continuare per via di groppo alla gola che gli fece inghiottire nel dolore le parole.

"Jungkook, raccontami di lui." Sentenziò il fratello, con la voce ferma. "Non pensare ad altro." Jungkook gli lanció un'occhiata confusa, poi tornò a guardare la sua mano legata a quella di Taehyung in un nodo indissolubile. Si chinò per lasciargli un bacio ovattato e asciutto, poi si fermò ad osservare il vuoto.

"Che dovrei dire? Sarebbe inutile." Disse, senza più speranza.

"No, il medico mi ha detto che i suoi sensi funzionano. Lui ti sente, Jungkook. E queste che dirai potrebbero essere le ultime parole che sentirà, ok?" Replicò il maggiore, guardandolo con fervore. Jungkook chiuse gli occhi per un attimo, poi esaló un lungo sospiro.

"Mi manca." Disse. "Voglio che torni da me e ci resti per sempre." Aggiunse poi. "Ce l'avevamo promesso. Due vite insieme, avevamo detto." A Jungkook scappò una lieve risata, straziata dagli occhi colmi di lacrime. "Lui é speciale. Non é come tutte le persone che ho conosciuto fino adesso. Lui è davvero diverso." Una lacrima si fece strada sulla sua guancia. "Sai che le persone sono tutte imperfette, no? Nessuno è senza difetti e nemmeno Taehyung fa eccezione. So che di difetti ne ha molti, come tutti noi, ma dico che è diverso perché sono i suoi difetti che sono riuscito ad amare esattamente come i suoi pregi. E non mi era mai successa un cosa così. Ti ricordi quando mi avevi detto che quando ami una persona ne diventi come dipendente?" Chiese.

"Sí, mi ricordo." Rispose il fratello, notando che Jungkook non piangeva più.

"È vero. Quando mi diceva che mi amava io... avrei voluto sentirlo per il resto della giornata. E lo sai per quanto ho ignorato e represso quello che provavo per lui? E lo sai quanto diavolo me ne pento?" Strinse di più la mano a quella di Taehyung, senza guardarlo. "Avrei potuto passare così tanto tempo con lui prima di questo giorno, avrei potuto ascoltare il doppio dei suoi ti amo, avrei potuto memorizzare meglio il suo volto senza la paura che mi scoprisse a guardarlo. Lo sai quante volte l'ho osservato da lontano e ho pensato a quanto fosse bello? Troppe per ricordarsene. E sai quante volte ho pensato che avrei potuto stare a sentire le sue storie per tutta la mia vita?" Si fermò, ma non pianse più nemmeno più una lacrima. I suoi occhi si erano inariditi, le sue ossa si consumavano per l'enorme rimpianto e il peso esagerato dei ricordi. "E poi è vero che siamo entrambi pieni di paure, perché io le ho viste le sue paure. Ognuna, con i miei occhi. Credo che le paure non siano mai abbastanza, perché io non ho mai temuto di perderlo per sempre in questo modo. Non avrei mai pensato che qualcuno me lo potesse portare via così. E io vorrei solo vedere chi ha fatto questo bruciare, é una cosa tanto crudele?" Chiese. Suo fratello ci pensò.

"Il dolore rende crudeli, a volte. Non siamo noi a volerlo, è solo il desiderio di riempire un vuoto che purtroppo può essere curato solo col tempo." Poi ci pensò ancora un attimo. "Abbiamo tutti il diritto di pensare a cose crudeli quando ci capitano, é logico, finché rimane solo un pensiero." Fece un'ennesima pausa. "Perché anche veder bruciare colui che ha fatto questo a Taehyung, sicuramente non te lo riporterà indietro in nessun modo."

"Hai ragione, ma come può esistere una persona che riesce a fare questo ad un'altra persona?" Chiese Jungkook, con le guance asciutte.

"Se lo sapessi, Kookie, il mondo sarebbe già un posto migliore." Rispose il fratello.

"Che vuoi dire con questo, mamma? Non capisco, cosa diavolo c'entra quella sigaretta con la mia vita." Domandò Taehyung, stringendo il tessuto dei suoi pantaloni di lino bianchi. Con quelle parole, sentiva le sue certezze che si allontanavano col vento forte che si era smosso. Le rose continuavano a non muoversi, come se fossero fatte di cristallo e fossero solo incastonate nel terreno come pietre preziose. Taehyung non sentiva freddo, il sole però non riusciva a vederlo in quella volta tanto celeste e pulita. Fece ricadere lo sguardo su sua madre, scoprendola sempre uguale. Anche quando era morta, nel suo letto di ospedale, aveva lo stesso viso calmo e lievemente disturbato da rughe che accompagnavano i suoi sorrisi con armonia. E in quel momento, gli stava sorridendo, anche se era uno di quei sorrisi che si fanno per non piangere.

"Taetae, se mi ascolti, puoi tornare alla tua vita." La sua voce suonava più lontana, come se quel vento la facesse deviare in direzioni differenti. "Ma se non fai in fretta svanirai come ho fatto io. Quella volta, io avevo visto tuo padre." Gli disse, con una lacrima che scendeva dalla sua guancia. "Ma tu devi lasciarmi andare adesso."

"No!" Urlò Taehyung, afferrandole un braccio con le mani ormai quasi invisibili. "No! Non voglio! Io voglio restare con te, della mia vita non c'è rimasto più niente!" Ed era vero. Era come se i ricordi fossero defluiti col sangue dalla ferita sul fianco. Le rose sotto i suoi piedi si spezzarono senza che lui se ne accorgesse e gli graffiarono le caviglie.

"Ascoltami, ti prego." Fece allora lei calma. "È mai successo che ti mentissi?" Chiese, strattonando via il braccio dalla mano di suo figlio. "E tu mi hai mai disobbedito?" Taehyung ripose la mano in tasca e tentò di ricordare. Ma nulla di presentò.

"Non lo so." Disse. "Non ricordo più nulla." Concluse, completamente perso nell'anonimato. "Non so nemmeno più il mio nome. Ricordo solo la sensazione del sangue che mi bagna i vestiti e il buio." Si girò e non vide più sua madre. Un tonfo al cuore gli spaccò il petto, i brividi di freddo gli invasero le braccia, una lacrima di profonda tristezza si fece strada sul suo volto. Non ricordava nulla, ma riusciva a sentire di essersi perso tra la vita e la morte.

La conversazione con suo fratello morí dopo alcuni minuti passati nel silenzio. Nessuno dei due sapeva più come parlare e di cosa parlare. Jungkook stringeva ancora la mano di colui che amava, ma non c'era stata nessuna svolta. Il suono dei macchinari era preciso e cantilenante, un suono ripetitivo al quale Jungkook non si sarebbe mai abituato. Avvicinò il mignolo al polso di Taehyung e lo pose delicatamente sulla vena che rifletteva il battito cardiaco. Era estremamente debole, quasi non si riusciva a sentire il sangue pompare nella vena. Suo fratello alternava lo sguardo tra il viso di Jungkook e quello di Taehyung senza aprire bocca. Il cibo che aveva portato era appoggiato sopra un mobile bianco, posizionato in un angolo della stanza. Lo guardò preoccupato e decise di convincere Jungkook a mangiare, dato che andava avanti a merendine da due giorni interi.

"Ehy, so che è difficile per te, però mangia qualcosa." Disse il fratello. "Ti ho portato del ramen confezionato, ti porto dell'acqua calda ed è praticamente pronto, ti va?" Gli accarezzó le spalle con dolcezza e Jungkook annuí in silenzio. Il suo stomaco stava divorando i tessuti interni e non smetteva mai di gorgogliare e far male, quindi anche se quel ramen avrebbe dovuto mandarlo giù con la forza, almeno avrebbe calmato i dolori di pancia. Il maggiore si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza, congedandosi con un veloce "torno subito" e Jungkook fu di nuovo solo con Taehyung. Tirò fuori il cellulare dalla tasca con la mano libera e cercò su internet una storia che gli era piaciuta moltissimo su una donna cinese. Per diverso tempo aveva cercato storie che a Taehyung sarebbero potute piacere, ma in quel momento non sapeva se raccontargliene qualcuna o no. Guardò il suo volto per la milionesima volta e per la milionesima volta gli venne da piangere, ma non lo fece. Si disse che Taehyung non era ancora morto e che doveva parlargli il più possibile, dato che quei momenti potevano essere i suoi ultimi. Salvò quella storia tra i preferiti e ripose il cellulare sopra le cosce, per poi stringere con entrambe le mani quella ferma e stabile di Taehyung. Intrecciò le dita alle sue come aveva sempre amato fare e ripensò a tutte le volte che aveva visto quelle mani in al lavoro. Tenevano la matita o la penna con una sicurezza e una maestria che non aveva mai visto in nessun altro essere umano, la calligrafia precisa seguita con rapidi movimenti delle dita e del polso e, infine, la colorazione dove le matite o i pennelli esitavano a colpire la carta. Taehyung era straordinario, ma aveva le sue innumerevoli paure ed insicurezze, e forse, se Jungkook ci pensava meglio, erano anche quelle che contribuivano a renderlo una persona eccezionale. Dopo nemmeno due minuti, il fratello tornò con un bollitore di acqua calda e la versò all'interno del contenitore di carta, il quale conteneva il ramen istantaneo. Lo passò a Jungkook insieme ad una bottiglietta di bibita e restò in silenzio per tutto quel frangente. Ci volle un po' prima che Jungkook si abituasse al gusto del cibo, per poi realizzare che la fame di due giorni era difficile da colmare anche con una confezione large di ramen pronto in scatola. Suo fratello lo osservò mangiare, dando qualche occhiata a Taehyung ancora dormiente. Si domandava se si sarebbe mai svegliato e aveva sincera paura della risposta. Jungkook finí quel misero piatto in un battibaleno e lo buttò nel piccolo cestino dei rifiuti vicino alla porta.

"Grazie di essere venuto e di esserti preso cura di me." Gli disse con tono sommesso e occhi bassi. Non aveva nemmeno la forza di guardarlo in viso, forse perché non avrebbe mai voluto che la sua famiglia lo vedesse così debole.

"Non preoccuparti, ma adesso devo andare a lavorare d'urgenza, o rischio di perdere il posto. Prima ho incontrato Jimin, ti voleva salutare e parlare di una cosa, quindi è probabile che sia già lì fuori. Ti va di parlarci?" Chiese, accarezzando i capelli al minore e sorridendogli dolcemente. Jungkook trovò il coraggio di guardarlo e di dirgli che senza dubbio avrebbe voluto parlare con Jimin prima di passare un'altra notte in ospedale. Così il fratello uscì dalla stanza, salutandolo con la mano sulla soglia e poi sparendo fuori da essa. Dopo nemmeno un secondo, Jimin irruppe nella stanza trecentoventuno, con l'aspetto abbastanza sfatto ma felice. Jungkook lo osservò con occhi seri, senza riuscire a sorridergli di rimando. Jimin non osò parlare finché non si sedette nello stesso sgabello dove era seduto il fratello e dopo aver dato una lunga occhiata alle condizioni di Taehyung.

"Jungkook, qualunque cosa succeda, io resterò al tuo fianco, ok? Per sempre. Questi giorni non mi sono fatto vivo perché mi sono successe delle cose, ammetto di aver sbagliato e nemmeno adesso posso restare perché devo assolutamente prendermi cura di Holly." Spiegò il ragazzo dai capelli color grano, poggiando delicatamente la sua piccola mano sopra quella di Jungkook. La accarezzò col pollice e vide Jungkook girarsi a guardarlo per un attimo.

"Che genere di cose ti sono successe?" Chiese il corvino, con degli occhi che avevano bisogno di ascoltare fatti estremamente positivo e allegri. Allora Jimin gli raccontò di Yoongi, di come l'aveva trovato vicino a casa sua, di come lo aveva pregato per farsi ascoltare, di come l'aveva visto cambiare in tutto quel tempo e infine di come si era innamorato di lui una seconda volta, in quella stessa stanza d'ospedale. "Anche se può sembrarti strano," diceva. "io lo vedo diverso, Jungkook. Ha finalmente trovato il coraggio di baciarmi e io ho ritrovato la forza di amarlo. Poi del futuro non mi importa, ne ho ancora di tempo per pensarci su." E aveva concluso il suo discorso. Jungkook non aveva idea di come sentirsi all'ascoltare tutte quelle parole sognanti e si limitò ad essere felice per la vita del suo migliore e di stare uno schifo per la propria. Alla fine, pensava, erano due cose separate. Non aveva nessuna voglia di dar consigli a Jimin anche se, gli faceva male ammetterlo, lui c'era sempre stato. E poi, da quanto sentiva, non gli serviva nessun consiglio particolare. Lo guardò in volto per un attimo ed era come se bellezza di Jimin fosse ancora un po' sfiorita, ma pur sempre straordinaria. Le occhiaie, sebbene stessero svanendo, occupavano ancora un vasto spazio sotto gli occhi, alcuni piccoli sfoghi rossi sulle guance non erano evidenti, ma si vedevano con chiarezza se lo si guardava con attenzione e infine le sue labbra stentavano a riprendere colore. Jungkook si limitò a rivolgergli un sorriso tacito e artefatto, anche se ci aveva messo tutto l'impegno che possedeva. Jimin lo notò e abbassò lo sguardo verso il pavimento, mordendosi il labbro. "Jungkook, mi dispiace tantissimo, ma dovresti tornare a casa, ci sono gli infermieri che resteranno con lui." Gli propose Jimin, con compassione. Jungkook non fece a meno di dargli ragione, ma non aveva nessuna voglia di andare a casa. Avrebbe voluto solo restare con Taehyung per sempre, come si erano promessi. E poi doveva ancora leggergli quella storia.

"No, ma grazie per esserti preoccupato per me e sono felice per te e Yoongi, davvero, molto felice. Però, cerca di calarti nei miei panni, come farei a lasciarlo qui? E se si dovesse svegliare proprio stanotte, chi avrà accanto? E se dovesse..." Si bloccò, con quella parola che non riusciva a strisciare fuori dalle sue labbra. "...morire stanotte, chi gli stringerà la mano per l'ultima volta, Jimin?" Chiese, trattenendo le lacrime che rendevano i suoi occhi delle pozzanghere di dolore e malinconia. "Devo restare qui con lui fino a quando una di queste cose non succederà, perchè voglio farlo." Concluse, mentre lasciava districare una lacrima dalle palpebre. Jimin annuì, carezzandogli una spalla e sorridendogli a labbra chiuse. Il petto gli si spezzava, gli mancava da morire il sorriso del suo miglior amico.

"Allora domani mattina sarò qui alle nove per portarti la colazione. E il lavoro ricomincerà tra un paio di giorni, se non ci sono novità..." Lo informò il biondo, senza staccare la mano dalla sua spalla. Jungkook si sentì l'anima pesare come mai aveva fatto prima. Come poteva rientrare in quell'atelier senza pensare a Taehyung, come poteva riprendere la sua vita facendo finta di nulla? Non poteva guardare tutti i suoi disegni, rileggere la sua scrittura, pensare a com'era guardarlo lavorare in silenzio, osservando le sue dita che avvolgevano la matita, al suo polso che si muoveva fluidamente, alla sua espressione concentrata e a tutti in quei momenti in cui si fermava a pensare a chissà che cosa.

"Grazie." Si limitò a rispondere, poi guardò Jimin alzarsi dallo sgabello e spillargli un abbraccio. Lo salutò con la mano, gli dette la buonanotte e successivamente anche lui scomparì dietro la porta della stanza trecentoventuno. Jungkook non seppe come sentirsi, se la sofferenza lo aveva consumato insieme a tutto il resto. Adesso si era abituato alla triste pesantezza della sua anima, la quale lo stava schiacciando insieme alle sensazioni e ai ricordi dell'uno ragazzo che aveva amato. Lo guardò fino a che i propri occhi non ebbero memorizzato ogni singolo millimetro del suo volto, visto che ogni suo singolo sguardo gli sembrava insufficiente. Gli occhi non erano mai stati capaci di contenere nulla e Jungkook aveva paura, un terrore orrendo, che gli rimanesse solo la pochezza che racchiudevano i suoi ricordi. Quella polvere avanzata di sensazioni già vissute, quel sunto di immagini che sbiadiscono col tempo, il suono della sua voce che volava via in un campo, senza più eco a riportarla indietro. Taehyung in quel letto, non era lui. Il Taehyung di cui Jungkook si era innamorato era un meraviglioso insieme di bellezza, di idee, di genialità che non c'entrava nulla con ciò che dicevano le riviste di lui. Ora gli era rimasta solo una mano da stringere e un viso da osservare. Tra le sue dita i calli non svanivano, restavano impressi sulla pelle come marchi. Jungkook amava anche quelli, ma cosa avrebbe amato se la morte gli avesse portato via anche quelle cose? Cosa gli rimaneva? Per cosa avrebbe pianto giorni e notti intere? Restò in quello stato per non sapeva quanto tempo, fatto stava che tutto d'un tratto si era dimenticato del suono dei macchinari tutt'intorno a lui. Quando se ne accorse, tutti quei suoni gli sembrarono amplificati e assordanti. Tirò fuori il suo cellulare cercando di non piangere, e poi si chinò sul freddo volto di Taehyung. Si avvicinò alla sua bocca e la baciò tanto dolcemente che gli sembrò di non averle mai toccate, quelle labbra. Erano fredde anch'esse, ma fece finta che non lo fossero. Finse che quelle fossero le stesse labbra che lo avevano baciato nel giardino della Dongdaemun, che avevano trovato il coraggio di baciarlo per strada e poi tra le sue lenzuola. Ed ecco che tornava l'essenza dei suoi ricordi, le immagini frammentate della sua pelle sudata, delle sue mani sui fianchi, dei denti che talvolta sbattevano per l'irruenza dei baci. La sua pelle se la ricordava calda, ma in quel momento di caldo non c'era rimasto nulla. Gli passò una mano sul volto, sulla guancia e poi poggiò il dito indice sulle sue labbra, chinandosi di nuovo sul suo volto e schioccando un bacio sui suoi occhi. "Hai detto che l'anima te l'ho già baciata tanto tempo fa, vero? Allora posso farlo una seconda volta e se la tua anima è ancora lì e mi ascolta, voglio che sappia che sono pronto a baciarla in ogni momento, anche quando sentirà di star volando via col vento." Passava le dita tra i suoi capelli biondi e guardava la leggera punta di ricrescita scura che compariva alla radice. Si ritirò sulla sua poltrona per l'ennesima volta e accese il suo cellulare, andò su internet e ritrovò quella storia che avrebbe voluto tanto raccontargli. Il fatto che le storie si raccontassero per dare la buonanotte non faceva che ritornare in mente a Jungkook, ma chissà perchè nessuno le raccontava per dare il buongiorno. "Ho trovato questa storia che è tanto triste, sai? Non so perchè l'ho scelta, ma so che a te la tristezza è sempre sembrata più poetica della felicità, per certi versi. Non vorrei raccontare una storia dove il principe azzurro sveglia la principessa con un bacio, perchè lo sai, sono un incurabile realista e raccontarla in queste circostanze mi farebbe più male che morire. Eppure ho trovato questa, che mi è piaciuta da subito. Tratta di una donna che aspetta da anni suo marito, ma suo marito non arriva mai. Era il 221 a.C. quando un crudele imperatore chiamato Shih Huang-ti riunificó il regno Ch'in." Jungkook non riusciva ad impararla a memoria, quindi talvolta buttava un occhio sul testo della storia. "Era un imperatore estremamente crudele, tanto da obbligare tutti gli uomini del regno ad abbandonare le loro famiglie e recarsi tutt'intorno i confini del regno al fine di costruire La Grande Muraglia per proteggere il suo impero. Il lavoro non si arrestava mai, coloro che ormai erano divenuti schiavi lavoravano ininterrottamente notte e giorno, ricevendo razioni minime di cibo e vestiti per l'inverno. Con queste condizioni, tanti uomini continuavano a morire tutti i giorni, altri invece procedevano col lavoro incitati dai soprusi e le torture che i sovrintendenti gli affliggevano.
Tra coloro che erano stati costretti i lavori forzati da Shih Huang-ti c'era anche un giovane di nome Wan Hsi-liang, che aveva una moglie bellissima e piena di diverse virtù. Per tutti gli anni in cui il marito l'aveva lasciata, lei era rimasta ad aspettarlo nella sua umile casa, senza avere mai sue notizie. S'intristiva ogni giorno di più al pensiero che il suo amato marito soffrisse lavorando al servizio di quel maledetto imperatore. Quando a marzo vide arrivare la primavera, sembrava che la sua tristezza si fosse fatta anche più profonda. Passeggiava lungo un ruscello e nel frattempo cantava:
A marzo il pesco è vestito di fiori;
Le rondini a coppie fanno il loro nido.
A due a due volano gaie...
Quanto son triste lasciata sola!
Ma neanche quando venne l'autunno lei ricevette notizie di suo marito.
Venne l'inverno e correva voce che la costruzione della Muraglia stesse procedendo verso nord, dove faceva così freddo che nessuno avrebbe avuto la sfrontatezza di tirar fuori una mano dalla manica. Allora lei, che si chiamava Meng Chiang-nu, si affrettò a preparare molti vestiti imbottiti di cotone e un paio di scarpe per il marito. Ma chi avrebbe potuto portargliele, se la Muraglia era così lontana? Dopo aver meditato a lungo sulla faccenda, la donna decise che glieli avrebbe portati lei di persona. Quando partí faceva molto freddo. Le foglie avevano spogliato gli alberi e, dato che la stagione del raccolto era giunta al termine, i campi erano vuoti e tristemente abbandonati. Meng Chiang-nu camminó e camminó da sola, sempre più malinconica. Poi, dopo essersi accorta di non aver raggiunto la città sperata, si fermó per la notte in un tempio e si addormentò subito dopo aver poggiato la testa su una lastra di pietra. Quella notte sognó suo marito che stava venendo verso di lei per dirle che era ormai deceduto. La mattina dopo, rammendando quel sogno, Meng Chiang-nu rabbrividì per la sofferenza, ma decise di continuare il viaggio.
Un giorno arrivó in una locanda in una regione collinare e vi entró per chiedere informazioni. «Mia Cara,» le disse la donna che gestiva quella locanda. «la Grande Muraglia è lontanissima da qui, ci sono montagne da superare davanti a te. Come può riuscirci una debole giovane?»
Ma Meng Chiang-nu non disse nulla, sempre decisa a portare scarpe e vestiti a suo marito. La vecchia fu molto colpita dalla sua forza di volontà e la accompagnó lungo un pezzo del cammino per dimostrarle la sua simpatia. E così Meng Chian-nu continuó a camminare per valli, fino ad arrivare ai piedi delle montagne. Sormontó paesaggi fatti di pietre, rovi ed erbacce, poi vide un fiume. Dove potrà andare?
Per la notte, dormì in una coltre di cespugli, ma la mattina dopo trovó il suo corpo e l'intera valle ricoperta dalla neve. Pensó di star per morire, ma poi un corvo si posò davanti al suo volto, gracchiando due volte. Ella non capì lo strambo comportamento dell'uccello e restó ferma, fino a che il corvo non volò via, per poi riposarsi davanti a lei e gracchiare nuovamente due volte. Meng Chiang-nu capí che quel corvo la invitava a seguirlo e quindi si alzò e camminó sotto la guida del volatile per lunghe lande desolate. Tra vortici di neve e vento gelido, lei cantava:
Io, Meng Chiang-nu, cammino a fatica, recando pesanti vestiti;
Un corvo affamato è la mia unica guida, ahimé, la mia unica guida.
La Grande Muraglia è lontana, e io son lontana da lui!
Trascorsero tanti giorni tutti uguali prima che arrivasse finalmente alla Grande Muraglia..."

«Trascorsero tanti giorni tutti uguali prima che arrivasse finalmente alla Grande Muraglia...»

Taehyung era spaventato.
Sentiva una voce, una voce sconnessa, lontana, fatta da eco di ricordi così inafferrabili che stentava a crederci. Il cuore gli batteva forte nel petto, le lacrime gli bagnavano gli occhi. Non ricordava come fosse sentirsi perso, triste. Sua madre era svanita nel vento, ora non gli rimaneva più niente. Quella voce gli entrava nelle orecchie, gli fluiva nel sangue, gli rimbombava tra le ossa. Di chi era quella voce? Lui conosceva quella storia, ma chi gliela stava raccontando? Cominció a correre per trovarlo, anche se non sapeva più cosa. Sentiva che se solo avesse scoperto chi parlava, forse sarebbe riuscito a ricordare. Sentiva ogni cosa, il vento, il freddo, le rose che inspiegabilmente si erano fatte vermiglie. Il cielo scuriva e scuriva, Taehyung correva verso un ricordo inafferrabile. La voce veniva soffocata, ma poi risuonava più forte di prima. Era una voce giovane, distrutta dal dolore. Taehyung correva, piangeva, urlava. Non sapeva più il suo nome, si ricordava solo il sangue. In quel campo paradisiaco e indisturbato era sceso il buio, i suoi piedi nudi venivano feriti dalle rose che da bianche erano divenute rosse come tutto ciò che rammendava. Avvertiva ogni spina forargli la pelle, le caviglie bruciare, i piedi pistare su punte acuminate e lasciare impronte insanguinate dietro di essi. Sembrava correre via da qualcosa e cercare di raggiungerne un'altra. Il dolore gli vibrava in corpo, la voce si faceva sempre più forte e opprimente, tanto che alla fine Taehyung cedette.
Cadde con le ginocchia a terra, se le sbucció entrambe e i suoi abiti bianchi si intinsero di rosso. Iniziò a piangere a dirotto, ma quando cercó di asciugarsi le lacrime, notó che il loro colore era rosso. Una paura accecante lo prese come una morsa, le sue guance restarono screziate di un liquido scarlatto, le sue caviglie insanguinate. La voce si era fatta più soffice, ma più chiara. Taehyung si attappó le orecchie e spinse il volto verso il terreno per l'esasperazione. Le unghie graffiarono la sua testa, i suoi occhi non smettevano di lacrimare e tingergli il volto di venature rosse. Alcune gocce di sangue caddero sulla sua casacca bianca e le sue mani premevano con violenza sulle sue orecchie. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, ma quando finalmente tutto gli sembrò tranquillo, riaprí gli occhi e la sentí di nuovo.

«Meng Chiang-nu venne a sapere così che suo marito era morto e pianse per i successivi giorni, senza darsi tregua.»

Taehyung ricordò.
Quella voce, quel volto.
Ricordò i capelli corvini, le labbra illibate.
Ricordò le mani lunghe.
Ricordò i suoi occhi, che riflettevano l'intero universo.
Poi si ricordò di tutti quei nomi, di quei volti, di tutti quei sorrisi. Rammendò Jin che lo ringraziava quando gli aveva chiesto di diventare soci per la prima volta, Yoongi che gli rivolgeva il primo sorriso accennato, Namjoon che gli aveva rivelato di volersi sposare, Jimin che gli stringeva la mano. Ricordò il suo primo bacio, il suo primo ragazzo, la sua prima cazzata e poi tutte quelle successive. Più ascoltava le parole di quella voce, più la sua vita prendeva senso come una scacchiera. Ricordò la sua città, tutte le piogge, tutte le giornate calde e quelle fredde, tutte le sensazioni, il giorno in cui sua madre era morta e il giorno in cui era morto lui. Taehyung strinse una rosa tra le mani, percependo le spine che si infilzavano nel palmo. Sentiva dolore, un dolore tremendo e non faceva a meno di sorridere. Perchè finalmente ricordava ogni cosa. Nel buio, Taehyung ritrovò se stesso, ritrovò il suo nome e ritrovò il suo ricordo. Si alzò in piedi zoppicando, con le gote e i vestiti macchiati di sangue, i piedi martoriati di ferite e un dolore immenso nel petto. Cadde un paio di volte, ma si rialzò sempre. Forse sarebbe riuscito ad arrivare a quella voce, forse no.

"Voglio vivere." Sussurró, rivolgendo gli occhi al cielo nero e lasciandoselo alle spalle. "L'ho promesso." E andò dove lo portava il vento freddo, con quella voce incastrata nelle orecchie.

«Il suo pianto e i suoi lamenti furono cosí forti che trecento miglia della Grande Muraglia cedettero.»

"Dottore! Mi serve subito un dottore nella camera trecentoventuno! Dottore! Un paziente si è svegliato!"

FINE


pubblicherò un epilogo tra qualche settimana, vi amo e grazie per aver letto la mia storia fino alla fine

INFO
Tutte le storie che ho trovato e ho inserito nell'intera narrazione le ho trovate su ilbazardimari.net e altrettanti siti internet che troverete se digitate il riassunto della storia. Comunque, vi consiglio caldamente di visitare il blog sopracitato se vi interessano leggende asiatiche (Giapponesi, Cinesi, Indiane, Vietnamite...) in generale. Ce ne sono veramente moltissime interessanti!

INOLTRE, LAST BUT NOT LEAST...
adesso nel mio profilo potrete trovare una raccolta di one shots che ho deciso di iniziare per dar spazio a tutte le piccole storie che scrivo per distrarmi. Ne ho già condivisa una, quindi se volete dare un'occhiata è già pubblicata sul mio profilo. Sono sempre a tema omosessuale, sui membri dei BTS. Sarà un esperimento in cui accoglierò anche richieste, anzi, sopratutto delle richieste da parte vostra. Trovate tutte le restanti informazioni sulla descrizione della storia stessa!

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