Turbid Obsession (Camren)

By Elenoire_jolie

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"Non poter fare a meno di qualcosa non significa che la possediamo, ma che ne siamo posseduti." More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13 (prima parte)
Capitolo 13 (seconda parte)
Capitolo 14
Capitolo 15
Grazie e buon anno a tutti...
Capitolo 16 (parte 1)
Capitolo 16 (seconda parte)
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 18 (parte due)
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23 (prima parte)
Capitolo 23 (seconda parte)
Capitolo 24 (prima parte)
Capitolo 24 (seconda parte)
Capitolo 24 (terza parte)
Capitolo 25
Capitolo 26 (prima parte)
Capitolo 26 (seconda parte)
Capitolo 27 (prima parte)
Capitolo 27 (seconda parte)
Capitolo 27 (terza parte)
Capitolo 28 (prima parte)
Capitolo 28 (seconda parte)
Capitolo 28 (terza parte)
Capitolo 29 (prima parte)
Capitolo 29 (seconda parte)
Capitolo 29 (terza parte)
Capitolo 30 (prima parte)
Capitolo 30 (terza parte)
Capitolo 30 (quarta parte)
Capitolo 31 (prima parte)
Capitolo 31 (seconda parte)
Capitolo 31 (terza parte)
Capitolo 32 (prima parte)
Capitolo 32 (seconda parte)
Capitolo 32 (terza parte)
Capitolo 33 (prima parte)
capitolo 33 (seconda parte)
capitolo 34
capitolo 35 (prima parte)
capitolo 35 (seconda parte)
capitolo 36 (prima parte)
capitolo 36 (secondo parte)
capitolo 36 (terza parte)
capitolo 37
capitolo 38
capitolo 39 (prima parte)
capitolo 39 (seconda parte)
capitolo 40 (prima parte)
AVVISO IMPORTANTE
capitolo 40 (seconda parte)
capitolo 41 (prima parte)
capitolo 41 (seconda parte)

Capitolo 30 (seconda parte)

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By Elenoire_jolie

Lo avevo deciso da quando avevo intravisto quel frustino mentre Lauren era stata come posseduta nel suo vortice di arte che non arricchiva ma che impoveriva, che non curava ma che mutilava e che, nella fattispecie di quelle ore critiche, pesanti come macigni e dolorose come lame acuminate, ne era stata posseduta per impoverire me come aveva già fatto con tante altre, per mutilare la mia dignità prima integra e intatta, poi affossata e soverchiata, come non aveva mai fatto nessuno prima, come lei non aveva fatto con nessun'altra prima di me.

Tutte quelle donne, tutti quei corpi sessualmente colmi di soddisfazione ma sgonfi di qualsiasi accenno di considerazione, di umanità, di una loro anima, erano stati ben felici di abbassarsi a quel livello, di farsi ritrarre senza un valore come tante prostitute di strada vogliose. Prostitute che si prostituivano in modo diverso pur di ottenere loro stesse la prostituzione di Lauren in cambio, che gli vendevano il loro corpo da incastonare in una tela per ottenere loro il suo di corpo da toccare e con cui godere su un letto o da qualsiasi altra parte, in qualsiasi altro luogo.

Loro si erano volute prostituire, io no. Loro avevano liberamente scelto di vendergli il loro corpo da scarnificare, da privare di ogni oncia di orgoglio, io no.
Io non lo avevo voluto, io non lo avevo scelto, io non lo avrei mai e poi mai voluto e scelto, io ero stata costretta a farlo, io ero stata privata di ogni facoltà motoria e di azione, drogata e imprigionata per essere portata a farla quella miserabile fine. Ma questo non cambiava le cose, non cambiava quello che lei era riuscita a prendersi e a farmi perdere a me, non cambiava quello che, volontariamente o meno, forzatamente o meno, era stato il risultato finale.
L'epilogo fallimentare che ero finita con il subire era stato quello a prescindere, era stato quello indifferentemente da quella che era la mia volontà. Non era esistita la mia volontà, era stata uccisa di una uccisione premeditata tanto quanto lo era stata la mia dignità, aveva cessato di esistere, me l'aveva tolta così come mi aveva tolto anche tutto il resto.
Il mio volere era stato muto, lo era diventato, perché tanto l'unica persona che avrebbe potuto sentirlo aveva deciso deliberatamente di non farlo, di ignorarlo bellamente per potermi fare a pezzi insieme a lui. Volutamente, con insistenza e senza la minima esitazione.

Io non avevo scelto niente di tutto quello, io non ero stata consenziente a offrirgli la mia dignità su un piatto d'argento, io non avevo neanche ottenuto il suo corpo in cambio, la sua prostituzione per quel dolore che, in ogni caso, se non mi avesse strappato via tutti i brandelli di potere decisionale, non avrei accettato di offrirgli neanche se lei avesse acconsentito a diventare il mio giocattolo sessuale per tutte le notti a venire.

Io non ero come le altre, ma lei mi ci aveva comunque fatto sentire durante la massima sopportazione impotente di quel fardello schiacciante.
Anzi, anzi no. Mi aveva fatto sentire addirittura inferiore a quella manica di sgualdrine che gli morivano dietro, lei mi aveva messa su un livello inferiore. Almeno loro avevano avuto il loro tanto agognato orgasmo, io invece non avevo avuto altro che una doppietta di apici sessuali mancati. Una croce sulla croce, una sofferenza fisica su una sofferenza psicologica, una frustrazione aggiuntiva da aggiungere al serbatoio già colmo di eccitazione repressa che mi aveva fatto accumulare. Almeno loro avevano avuto la loro lauta ricompensa prima e, magari, anche dopo. avendo intuito la quantità di stronzzagine e perversione di Lauren non mi avrebbe stupito. Era una quantità quasi pari alla mia e io, se avessi avuto le sue stesse sadiche manie di grandezza e velleità artistiche post coito, ne avrei fatto buon uso anche dopo essermi riempita l'ego con una raffigurazione su misura del piacere che ero stata in grado di dare. Per sentirmi ancora più potente, per sentirmi ancora più piena.

Io raggiungevo le mie manie di grandezza con il sentirmi dominante, sottomettendo da un punto di vista fisico. Lauren raggiungeva le sue dominando e sottomettendo da un punto di vista mentale, prettamente emotivo. Io avevo i miei schiaffi e le mie sculacciate prevaricanti, a pieno palmo aperto, lei aveva i suoi machiavellici processi mentali da riprogrammatrice psico emotiva con cui plagiarti a suo piacimento. Era una caratteristica, la sua, che tendenzialmente potevo vantare di possedere anche io, che aveva sempre avuto la sua debita efficacia in passato prima di doverla far scontrare con una vera intenditrice del settore come si era dimostrata essere Lauren. Con gli altri aveva sempre funzionato, ero sempre riuscita a metterla in pratica, ma con lei no, con lei pareva aver perso tutto il suo valore e tutto il potenziale che avevo da sempre creduto di potergli attribuire.
E, a parti inverse, come rovescio della medaglia, si poteva dire esattamente la stessa cosa del suo lato dominante che, se messo diametralmente a confronto con il mio, andava a perdere il suo potenziale su tutta la linea, andava a diventare un istinto di sottomissione in piena regola, il suo totale opposto.

Lei riusciva ad entrarmi nel cervello come un chiodo fisso, io riuscivo ad entrargli sotto la pelle. Lei riusciva a manipolarmi mente e corpo con delle emozioni sfibranti tutte nuove, in netto contrasto e assorbite in una continua guerra tra di loro, e io riuscivo a sottomettere il suo corpo fino ad avere la deliziosa impressione di averlo schiavo lascivo delle mie prevaricazioni. Apparentemente entrambe riuscivamo in quello, in quei due fronti contrapposti. Apparentemente. Che io lo volessi o meno, che Lauren lo volesse o meno.

Il problema era che il suo vantaggio peculiare, in una situazione morbosa come quella in cui mi trovavo con lei, poteva essere o, meglio ancora, era effettivamente superiore al mio in quanto a privilegi che portava a Lauren e danni che arrecava a me, alla mia testa dirottata verso quei lidi tragicamente emozionali, sorprendentemente più forti e, per diretta conseguenza, più terrificanti di quanto avevo creduto inizialmente. Più andavo avanti con lei, più mi saliva il desiderio di possederla, di averla come mia. Più mi faceva internamente male, più quei lidi si avvicinavano alla rotta distorta, più quelle emozioni da crepacuore crescevano di entità, più mi costringevano a prenderne consapevolezza, a farmene una ragione di quello che sentivo ossessivamente, se altro non potevo fare, se proprio altro non mi era rimasto da fare.
Più il tempo passava, più avevo modo e maniera di trovarmi ad avere a che fare con lei direttamente, più diventava difficile ignorarmi e ignorarla, ignorare quello che mi suscitava dentro: il sangue che ribolliva per le sue varianti opposte di passione e odio, quella voglia inequivocabile di lei anche se mi stava facendo mettere in discussione ogni cosa, di me stessa e non, anche se mi stava scombinando tutti i piani con una rapida discesa verso la rovina. La rovina, Quella che ormai era diventata la costante voglia e mania assillante di averla mia, mia e basta. E non perché dovevo, non perché era negli interessi personali delle mie tasche farlo, ma perché io volevo, perché io la volevo.
Era un induzione irrazionale difficile da contrastare nella sua insistenza illogica. Ma finché sarei stata parzialmente in grado di tenermene anche solo di un passo a debita distanza propedeutica, allora potevo dire di essere ancora in grado di non farmene contaminate e avvolgere completamente. Allora potevo dire di avere ancora dalla mia un qualche deterrete che la teneva in parte lontana dalla mia testa e dai pensieri dai tratti sentimentalmente confusionari che ci immetteva dentro, anche quando c'è l'avevo accanto o di fronte, anche davanti alla prospettiva ammaliatrice di un contatto con lei o davanti alla senziente eccitazione della realtà di un possibile contatto tra me e lei.
In quelle due eventualità, specie nell'ultima per gli ovvi motivi della mia attrazione palpabile nei suoi confronti, era nettamente più difficile appigliarmi alla conservazione ancora integra di quel deterrente sotto forma di ragione e auto controllo difensivo che mi era rimasto accanto per salvarmi dal dilagare in quello spazio illimitato di contraddittori sentimenti inespressi e appositamente oppressi.

Quel deterrente non era neanche il mio astio per lei ad ogni incontro/scontro mentale o fisico, o entrambi i due combinati insieme, non era neanche la rabbia del momento per qualcosa che poteva dire o fare che mi faceva salire il sangue al cervello e che covava sotto alle coltri anche nei giorni a seguire come un memoriale da non scordarsi, di cui non perdere le tracce.
Era il mio passato, era chi ero, quello che ero diventata, era Carlos, il nostro legame, quello che sempre e comunque mi sentivo di dovergli a mente lucida, quando Lauren non era nei paraggi o quando avevo degli sprazzi di ragione indisturbata e della mia reale identità incontaminata da qualsivoglia distrazione possibile, dalla distrazione insistente del suo pensiero, dei miei pensieri interamente concentrati su di lei e quel desiderio pressante di possederla in tutti i sensi che non voleva saperne di zittirsi o di affievolirsi, se non di rado, se non quando quegli sprazzi ancora esenti dalla sua influenza ignorante venivano a soccorrermi riportandomi il ricordo di chi ero e di chi dovevo essere, riportandomi al pensiero Pacifico e rassicurante di Carlos, riportandomi quel barlume di sanità mentale in grado di fare la differenza. Non era chissà quanto grande, non era chissà quale barlume e, di certo, non era la mia sanità nella sua interezza e il  controllo fermo e invalicabile che non avevo mai avuto alcun tipo di problema a mantenere in passato, a mettere in atto in ogni circostanza non soccombendo e facendo soccombere. No, non lo era. Magari lo sarebbe stato.
Ma, considerando il modo in cui Lauren riusciva a farmi sentire, il modo con cui riusciva a trascinarmi in un circolo vizioso reso tale da quelle mie stesse sensazioni siderali nei suoi confronti, era ugualmente abbastanza, era ugualmente sufficiente a non farmi perdere nel vortice tossico di quel circolo vizioso senza davvero non poterne più uscire in nessun caso, senza neanche più avere dalla mia quegli spazzi di barlume luminoso reinventato ad ultima ancora di salvezza su cui poter fare ancora affidamento per non smarrirmi del tutto, per rimanere a galla e parzialmente cosciente di quelli che erano i miei obiettivi reali e di quelle che dovevano essere necessariamente le mie uniche intenzioni coercitive riguardo lei.

Era abbastanza, era sufficiente, ed era talmente fondamentale per non essere spedita in un punto di non ritorno di dipendenza da vederlo addirittura e tutto ad un tratto come quel tutto che, se confrontato con il tutto cui ero sempre stata abituata, era di fatto niente.
Un confronto francamente deprimente che, però, con Lauren assumeva una valenza da non sottovalutare. Con lei quel niente che prima non aveva mai avuto motivo di esistere, di prendere una forma e una consistenza nella mia testa, mi era strettamente indispensabile per rimanere mentalmente collegata, per non cadere nel fondo di un legame ambivalente ma pericolosamente irresistibile con le sue tentazioni a peccare, a trasgredire, a seguire ciecamente quegli istinti di vicinanza e passione sprovvisti di alcuna logica.

Lauren rappresentava la prima vera minaccia che mi si pareva davanti sotto quella forma, con quella scia concreta di pericolo e allerta ad attentare il mio equilibrio ormai precario sotto più fronti. Lauren non era un gioco da sottovalutare, Lauren mi aveva dimostrato di avere tutte le carte in regola per relegarmi nella deleteria condizione mentale di farmi diventare una vittima del mio stesso gioco psicologico strutturato  negli anni per drogare gli altri con la mia subdola seduzione silenziosamente strisciante, messa in pratica ad arte per marchiare nel profondo, studiata apposta per lasciare il suo segno indelebile nel tempo.
Il suo vantaggio di entrarmi dentro era superiore a quello che io potevo dire di avere perché sovvertiva quelle leggi, perché cambiava il flusso del consueto andamento, perché lo avvertivo sul corpo e nella mente, meschino e imprevedibile, farmi tanto bene quanto male. Era superiore perché la sua seduzione ugualmente subdola spadroneggiava sovente sulla mia, spesso, a volte, in più occasioni di quante ne avrei volute ammettere e di quanto fremevo nel solo ricordarmele.
Era superiore, pareva esserlo, semplicemente.
Non lo dicevo io, lo diceva come mi faceva sentire ogni volta che agiva in qualche modo nei mie confronti, in qualunque modo, ogni volta che lei veniva da me, che io stavo con lei, che ogni mio sensore celebrare e fisico si attivava e rischiava puntualmente di andare in tilt al solo accenno lontano di una sua vicinanza carnale ad allontanare quel divario accattivante di voleri che si rifiutavano, ostinati e per ovvie ragioni, a lasciarsi esprimere liberamente, di non ammissioni che si costringevano in un continuo sfiancante ad essere debitamente taciute e murate, sotto chiave, sotto strati e strati di un cemento solido ma sprovvisto di una calcificazione adeguata ad assicurarne una stabilità indistruttibile, a sventarne la consunta eventualità di un crollo e tracollo futuri.
Lo diceva quello, lo diceva il mio soffocare in quelle sensazioni contrastanti, in quelle prime avvisaglie di quello che quella donna era in grado di farmi provare sia volendolo che non, che io lo volessi o meno, quella donna: la mia unica minaccia per eccellenza, il mio attentato a quello che ero sempre stata e che mi sembrava a tratti indistinti di non essere più, che avrei potuto non tornare ad essere più definitivamente. Con tante varianti sul tema, tante insicurezze, paranoie inquiete del caso, tanti demoni forse anche peggiori da arginare per non impazzire, ma con una passione divorante in circolo nel sistema per cui avrei potuto anche essere portata ad impazzire ogni secondo, con ogni demone che si poteva presentare alla mia porta. Avrei potuto morirne di quelle sensazioni, se solo mi fossi degnata di lasciarmi andare fino in fondo e abbondare anche quell'ultima scialuppa di ragione, quella mia ancora di salvataggio, se solo il pensiero stesso che io in alcuni momenti particolarmente travolgenti ed esenti da tutto il mio sistematico autocontrollo, non solo avrei potuto ma avrei proprio istintivamente voluto lasciarmene soffocare da dentro con e per una folle morte dei sensi. In una altra contraddizione in piena regola quel pensiero di un altro volere che non doveva, non avrebbe dovuto esserci, era anche lui un altro deterrente referenziale per una auto convincimento indotto che si, io "potevo" ma che, no, io non "volevo". Una voglia che, proprio essendo tale e in qualche atipica logica contro corrente, si annullava da sola per essere quello che era, che diventava una sostanziosa bugia buona da raccontarmi e in cui credere ciecamente proprio per la verità profonda e indesiderata che in realtà rappresentava.

Quello che io avevo fatto a lei sottomettendola fisicamente in ginocchio, ci scommettevo, lo sapevo, era niente rispetto al suo aver molestato di proposito la mia dignità con i movimenti sporchi ma precisi come un cecchino di quel pennello nelle sue mani. Non era stato un pennello, non per me, non per come lo avevo visto io sapendo a cosa gli era servito, come e per quale motivo ne aveva fatto uso. Era stato una miccia e al contempo il fiammifero che la attivava per far esplodere metaforicamente la mia anima, indirizzata e finalizzata unicamente per fare esplodere quella senza disintegrare necessariamente null'altro.
In termini di danni arrecati le umiliazioni che io avevo inflitto a lei erano state niente rispetto a quella che lei aveva appena inflitto a me, rispetto al dolore palpitante subito dal mio orgoglio alla consapevolezza onnipresente di quello che Lauren aveva ritratto di me, di come lo aveva fatto e del perché esplicitamente espresso.
Niente. Le mie, rispetto alle sue, non erano state niente, non erano nemmeno minimamente paragonabili.
Ecco, ecco un altra tacca da aggiungere al pratico rendermi conto che il suo potere su di me era attualmente superiore al mio su di lei, ecco un qualcosa che non solo me lo diceva, ma che me lo dimostrava semplicemente prendendosi gioco di me pur non facendolo.

Mentre lei si era divertita a mettermi un numero addosso dipingendo ogni forma spoglia del mio corpo su quella tela, mentre il suo ego si era gonfiato presumibilmente oltre ogni misura nel fare a pezzi il mio, io avevo visto quel frustino relegato con cura in un angolo Attiguo alla mia posizione, io avevo iniziato a mettere a punto passo dopo passo la degna, adeguata vendetta da fargli patire per mantenere fede a quelle due promesse che mi ero fatta prima di iniziare a soccombere impotente a quello spicchio di inferno, prima che lei iniziasse di fatto a prendere il pennello in meno ed entrare nel suo personale delirio di onnipotenza ai miei danni.
Quel frustino aveva attirato il mio sguardo come un diamante talmente brillante da luccicare anche al buio e lo aveva reso avido come solo il rinfrescante miraggio di una fonte di acqua cristallina poteva renderlo per una povera anima in pena sperduta e disidrata nei più aridi dei deserti.
Un miraggio, era stato un miraggio, era stato quel miraggio che poi ti accorgevi essere stato non solo quello ma, piuttosto, una concreta visione celestiale davanti ai tuoi occhi perfettamente sfruttabile perché non visionaria come inizialmente avevi creduto.
Era stato la lampadina che mi si era accesa per attenuare le conseguenze della sofferenza che aveva avviluppato il mio cervello, viva e presente, durante quella brutale spedizione punitiva atta a sporcarmi in maniera parzialmente permanente.
"Parziale" perché definitiva non poteva esserlo se mi muovevo a fare quello che avevo intenzione di fare per riscattarmi su tutta la linea.

Immagini di quello che potevo fargli con quel frustino, di come e con quanta forza potevo divertirmi ad usarlo su Lauren, avevano dato il via ad un intera pianificazione mentalmente silenziosa e pensata nei minimi dettagli.
La vendetta che iniziava a prendere piede nei macchinari della mia psiche, fino a formarsi nel suo completo, mi aveva permesso di vedere sotto un'ottica quantomeno sopportabile la mia costrittiva impotenza nel non poter fare nulla per impedirgli di farmi quello che mi aveva fatto. Immagini di lei messa a novanta gradi e del suo lindo e perfetto posteriore  totalmente esposto e bello aperto davanti alla mia faccia, contuso e rosso come una fiamma incendiaria dopo la scarica di dolore materiale che era in mio programma fargli assaporare, mi avevano calmata e trasportata come su una nuvola bianca, al riparo dalla zona di cielo tetro in tempesta, mi avevano messa nella condizioni in quel frangente agevoli di accettare momentaneamente l'ineluttabile realtà dei fatti che mi attendeva, che nessuno sarebbe arrivato a fermare e che, difatti, aveva finito con il realizzarsi e con lo spezzarmi quella metà di anima che mi sarei ripresa, che in parte stavo per riprendermi.

In quel modo ero riuscita a sopravvivere psicologicamente al duro affronto personale che quei momenti di amara agonia e punizione infernale mi avevano causato, in quel modo, concentrandomi fissa nel mettere appunto tutti i dettagli della mia vendetta e concentrandomi anche a pregustarne già il momento in cui gliela avrei portata e donata con tutto il mio cuore, ero riuscita a mettere in secondo piano quello che era stato il mio feroce impulso di rimettermi a dimenarmi come una pazza che, come ovvio risultato, non mi avrebbe portato ad altro se non a dilungarmela da sola quella spessa agonia interiore.

L'unico attimo che mi era davvero parso non finire mai, almeno fino a quando Lauren non era ufficialmente uscita da quella stanza infestata e sparita definitivamente per dare del meritato riposo ai miei occhi già stracolmi della sua vista, era stato anche l'unico che mi aveva deconcentrato per più del necessario dalla macchinazione mentale dei miei intenti futuri, era stato quando si era squarciata il palmo della mano con quel paio di vecchie forbici arrugginite.
Una scossa di sincera preoccupazione mi era corsa per tutta la schiena, decisamente diversa da quelle di eccitazione sessuale che mi scatenava un suo contatto in ogni sua forma ma, non per quello, di intensità inferiore in termini di reazione istintiva. No, non era stato affatto inferiore ed era stato un moto vivo di preoccupazione Vera altrettanto istintivo.
Non mi ero mai preoccupata prima per qualcuno, non con quella apprensione che chissà da dove mi era venuta fuori e, soprattuto, non per qualcuna delle mie vittime da raggirare. Pensare che, poi, anche questa prima non richiesta, blasfema novità emotiva mi era capitata con Lauren, mi era capitata perché Lauren, proprio lei, si era fatta intenzionalmente male, aveva avuto ancora di più del ridicolo con un contorno vario pinto di assurdo e di orrendo.
Mi ero incazzata a morte con lei per quello che si era fatta e mi ero incazzata a morte con me stessa per la reazione che mi aveva suscitato e che doveva essere la sola che non avrebbe mai dovuta suscitarmi. Avrei dovuto essere contenta di vedere quel taglio, tutto quel sangue sgorgarne fuori, avrei dovuto essere contenta che Lauren, proprio lei, la finta moglie divenuta il mio supplizio e il reale attentato al mio potere e il mio intero essere, proprio lei che odiavo tanto oltre che a desiderare tanto e che odiavo ancora di più appunto perché la desideravo realmente, si era ferita da sola. Avrei dovuto, certo. Quella era la prima reazione istintiva che avrei dovuto avere e quella era stata, invece, la reazione che non avevo mai avuto, che non era arrivata a sfiorarmi neanche in un secondo tempo. Mi ero solo preoccupata e non mi aveva mai fatto piacere. Anzi, il vedere tutto quel sangue colare dal suo polso mentre era invasata nella sua crisi artistica dei poveri, mentre era stata intenta a portare a termine il mio linciaggio sociale di donna, mi aveva oltretutto trasportato in una dimensione in cui addirittura né il danno che mi aveva arrecato e né il mio piano vendicativo sembravano avere la stessa importanza che gli avevo attribuito fino a quel momento, fino a quella visione color cremisi a stordirmi le orbite e agitarmi dall'interno.
E dire che avrei dovuto piuttosto gioire internamente per quel taglio profondo, e dire che se fossi stata io a farglielo ne sarei stata entusiasta ed eccitata, e dire che fino a qualche attimo prima di quella che era stata l'incisione di quel taglio e tutt'ora non vedevo decisamente l'ora di vedere la morbida carne del suo culo rossa scarlatto per come mi sarei intrattenuta a percuoterla con il frustino che tenevo in mano.
Così, alla fine, mi ero convinta che era quello il motivo per cui la cosa non mi aveva fatto piacere come avrebbe dovuto: perché non ero stata io a ferirla, perché non ero stata io a causargli del dolore nel piacere. Era evidente che farsi quello squarcio gli aveva fatto tanto male quanto bene, perché apparentemente gli era servito per la mia umiliazione su quella tela, perché dopo che aveva iniziato ad imbrattarla in alcuni punti imprecisati con il suo sangue vivo gli si era accesa una luce ancora maggiore nello sguardo quasi spiritato e incentrato unicamente su quello che stava ritraendo di me. Una luce oserei dire anche più sadica e abbagliante.
Il perché gli era stato evidentemente di qualche utilità usare il suo sangue per portare a compimento il ritratto del mio corpo nudo, sbeffeggiato dal piacere che gli aveva fatto patire, era stato onestamente un mistero e lo era ancora. Un mistero cui inizialmente, colta dalla frenesia di quella preoccupazione incazzata imprevista, non avevo dato molto peso ma che, poi, era praticamente diventato un arcano da dover svelare ad ogni costo, una domanda assillante nella mia tesa.
Ci avevo pensato a lungo dopo che Lauren se ne era andata, alla frenetica ricerca di una risposta che, però, pareva non avere motivo di esistere. Dopotutto, nonostante il rossore causato dalle corde sui miei polsi, il mio addome e le mie caviglie, nessuna di quelle zone era mai arrivata al punto di essere sfregata tanto forte da sanguinare, nemmeno in occasione delle mie due inutili esplosioni motorie da tentativi disperati di liberazione. E, da quello che avevo osservato, nemmeno uno dei tanti corpi ritratti e appesi sulle mura di quella stanza avevano su di loro anche solo una traccia di sangue o di colore rosso a metterne in risalto un qualsiasi particolare che che potesse avere delle attinenze effettive con il sangue e il suo colore.
Avevo pensato a quello, al perché del suo sangue per il mio di corpo, per delle ore ininterrotte sia una volta che tutto era finito, sia una volta tornata al sicuro nelle mia stanza pronta per entrare in azione, per mettere in atto il mio piano vendicativo.
Avevo pensato a quello e, poi, avevo pensato a quello che era stato il suo modo di andarsene, avevo pensato a come si era sbrigata a coprire la tela in maniera meticolosa, senza lasciarne esposto neanche un centimetro, senza prima mostrarmela per sbattermi in faccia il suo splendido lavoro, per farmi sentire ancora più inferiore e umiliata come mi aspettavo sarebbe stata entusiasta di farmi maggiormente sentirmi. Avevo pensato a quel sorriso aperto di vittoria che non c'era mai stato, all'espressione inquieta e cinerea che invece ne aveva preso il posto, malgrado il suo essere riuscita a pieno nel suo intento, nel fare a pezzi la mia dignità come voleva.
Avevo pensato a quel silenzio pesante che non era mai stato spezzato da quelle che avrebbero dovuto essere le sue prevedibili prese per il culo, avevo pensato alla sua fretta inquieta di uscire lei da quella stanza il prima possibile, per non dovermi vedere, per non correre il rischio di incrociarmi con lo sguardo come se fosse stata lei quella ad essere stata appena schiacciata e distrutta, come se fosse stata lei e non io cui avevano appena portato via un pezzo fondamentalmente di se stessa.
Erano durati poco quei pensieri, quelle altre domande irrisolte. Loro, a differenze del mistero del suo sangue, erano durati molto poco. A farli sparire dal mio cervello insieme a quei rimasugli ingombranti di quella era stata la mia imprevista preoccupazione per lei, era stata la sua ultima "sorpresa" prima di lasciarmi davvero andare, la persona, per meglio dire e nella  fattispecie, che aveva tanto "premurosamente" mandato a slegarmi.
Davanti a quel suo ultimo colpo intenzionale, provocatorio, ogni calma riflessione che mi ero fatta, ogni barlume di sana perplessità, di grande voglia di capirla e capire il suo atteggiamento contraddittorio era andato allegramente a farsi fottere, se ne era andato e basta per lasciare di nuovo spazio solo e soltanto alla rabbia, al male che volevo rendergli, al modo crudo con cui avevo progettato di ripagarla e restituirglielo.

Flashback on

Fissavo la porta da cui era appena uscita e chiudevo gli occhi fino a serrarli. Fissavo la porta, quella porta, solo per poi cadere intenzionalmente in una oscurità muta, dove tutto quello che mi circondava smetteva di tormentarmi, smetteva di ricordarmi quale crimine della mia anima si era appena consumato implacabile in questa stanza, la stessa in cui continuavo ad essere ancora impossibilitata ad alzarmi e andarmene, la stessa che sentivo stritolarmi per quello che aveva racchiuso, per quello che adesso, a conti fatti, significava.

Fissavo la porta e serravo gli occhi ermeticamente dopo averla fissata per qualche secondo, qualche secondo forse anche di troppo. Facevo solo quelle due cose, in una ripetizione infinita, da dei minuti che non avrei saputo calcolare neanche con due lancette davanti alla faccia, neanche con il loro preciso e inderogabile ausilio per quanto gli ultimi eventi in successione mi avevano scombussolato la testa, in qualche strano e contorto modo anche di più degli effetti sopiti della morfina post risveglio.
Sapevo perché, a parte quando lo celavo appositamente dietro la privazione della vista, in un sereno buio che mi allontanava da ogni sofferto pensiero, il mio sguardo non faceva altro che puntarsi in automatico sulla porta e, più precisamente, sulla sua maniglia in particolare.
Era perché, nonostante quello che mi aveva appena fatto, come mi aveva ridotta da un punto di vista emotivo, avvertivo un pressante desiderio irrazionale di rivederla. E il punto, il vero problema era che, non volevo il suo ritorno imminente, anche se era andata via da così poco, perché volevo ucciderla con le mie stesse mani come solitamente morivo dalla voglia di poter fare quando mi rendevo conto che aveva preso il sopravvento, che aveva vinto lei e perso io una guerra importante come quella che c'era stata qui dentro. No, non era per quello che desideravo il suo ritorno in scena. Era piuttosto perché non riuscivo proprio a venire a capo al comportamento inusuale che aveva adottato prima di sparire in tutta fretta, era perché, che lo volessi ammettere o meno, stavo realmente scalpitando per poterci capire qualcosa di più sul perché, dopo avermi rovinata con quel dipinto, non aveva fatto niente di quello che credevo avrebbe fatto una come lei, una cagna spietata come Lauren Jauregui che avevo imparato, a mie spese, a conoscere bene durante il breve percorso insieme del nostro congiungimento matrimoniale. Un "breve" che, per tutti i problemi che mi aveva già apportato, sulle mie spalle pesava già come se fosse passato un intero anno con Lauren al mio fianco a deliziarmi e farmi ammattire, invece che qualche settimana che erano effettivamente il tempo reale trascorso fino ad ora.
Ero convinta che se tornava, se la rivedevo e avessi avuto modo di studiare più approfonditamente quel tormentato terrore vacuo che aveva reso apatica ogni sfumatura di arroganza nei suoi occhi e quasi cinereo ogni suo lineamento, allora, magari, avrei potuto scandagliarlo meglio nella sua chiusura ermetica ma terribilmente inquieta, avrei potuto, forse, venire a capo di almeno una piccola parte della sua originaria fonte, della motivazione inesplicabile per la quale c'era stata quella tormentata assenza di espressioni, fatta esclusione per quel terrore muto, quella inaspettata assenza della soddisfazione allusiva che avrebbe dovuto manifestare, quella esplosione di orgoglio in esubero che mi sarei aspettata colargli da tutti i pori. niente, non c'era stato niente di tutto quello sul suo viso, malgrado quello che era riuscita a prendersi, a portarmi via, niente se non quel velo mortale di paura inaspettata che poche volte avevo visto riflesso nella faccia di qualcuno, che a quanto pareva l'aveva assorbita talmente tanto nei suoi tentacoli da essere arrivato addirittura a centrare in pieno il compito impossibile di zittire quelle che, a fronte della cocente umiliazione che mi aveva arrecato, la peggiore che poteva arrecarmi, mi aspettavo sarebbero state le sue molteplici battute irrisorie per accentuare il suo divertimento e affondare quanto possibile il coltello nella crepa, più che piaga, che mi aveva aperto nel petto. nessuna battuta irrisoria a sostentare un divertimento che, alla fine, stando allo strano evolversi degli eventi, proprio non c'era stato da parte sua. malgrado tutto, inspiegabilmente.
nessuna battuta irrisoria a moltiplicare per mille le dimensioni della mia crepa che invece c'era, che c'era sempre stata fin da quando avevo preso piena coscienza di quale sarebbe stato il suo intento finale della serata, e che avrebbe potuto far diventare tranquillamente una voragine in piena regola se solo lo avesse voluto, se solo avesse continuato ad agire con il suo solito fare da capostipite delle stronze come tanto mi aspettavo, come chiunque la conosceva un minino e per davvero si sarebbe aspettato da lei.

Quello che c'era di fatto stato successivamente alla mia enorme disfatta e il suo enorme innalzamento era stato quel silenzio assordante che aveva preso inspiegabilmente il posto di cosa poteva dire e di come poteva farlo, con una superiorità ancora maggiore di cui, sempre inspiegabilmente, pareva non avere avuto neanche il minimo interesse di riscuotere. un silenzio che era suonato talmente pesante da assumere quasi le fattezze di un bisbiglio mortale. Glielo avevo letto sul viso che per lei quella mancanza inconsueta di parole da pronunciare, di seguenti colpi per infierire, per versare altro sale sulla ferita, era stato praticamente un equivalente del sordido sussurro di una possibile morte in agguato.

Il vuoto, ecco cosa c'era stato dopo, ecco come si poteva riassumere il tutto in un solo termine sufficientemente esplicativo. un vuoto che solo per pochi attimi mi era sembrato di poter essere tappezzato alla buona dall'inverosimile espressione persa, statica e cucita sui suoi lineamenti fino a che non se ne era andata, fino a che non avevo più potuto vederla e sapere se era rimasta ad adombrargli ogni spiraglio di vitalità o se si era dissipata non appena aveva varcato l'uscio di quella porta. unicamente da quello era stato tappezzato quel vuoto, da quello, dal suo apparire tutto ad un tratto come l'anima più persa quando invece era stata la volta buona che avrebbe dovuto apparire come la più consapevole di tutte, da quello e non dalla pura gioa che sarebbe dovuta essere cucita fissa sul suo viso in sostituzione di quello smarrimento scioccato. Da come Lauren aveva agito era quasi stato come se a soccombere fosse stata lei e a trionfare fossi stata io, come se colei cui era stato portato via un pezzo essenziale del proprio orgoglio fosse stata lei e fossi stata io a prenderglielo via, senza neanche sapere come, senza neanche avere improvvisamente la più pallida idea di cosa era successo, di cosa gli era successo, senza neanche aver fatto o potuto fare nulla per riuscirci, o anche solo per provarci impossibilitata come ero stata, come ero ancora, ma essendoci riuscita ugualmente pur nella mio totale non aver fatto niente e anche in quella che continuava ad essere la mia totale inconsapevolezza generale.

aprivo e chiudevo gli occhi, alzavo e abbassavo le mie finestre su quel mondo circostante adibito a stanza tetra che tanto mi aveva fatto a pezzi e che tanto, in ogni caso, comunque, al momento volevo comprendere in un maniera ossessiva anche a costo di ritrovarmici immersa un altra volta e non propriamente con piacere. la curiosità per quei recenti punti di domanda era tanta, era troppa per non lasciarmene irrazionalmente soggiogare e per non volerci correre incontro malgrado le possibili conseguenze, malgrado le risposte che mi nascondevano avrebbero anche potuto portare ad un nuovo livello di dannazione per quella donna maledetta che di emozioni dannate me ne aveva già causate in abbondanza, ad un livello superiore della mia attrazione insana nei suoi confronti.

non sapevo nemmeno se prima o poi Lauren si sarebbe degnata di venirmi a liberare o se nei suoi infami e infamanti progetti, oltre a tutto quello che c'era già stato, in programma c'era anche l'ulteriormente fisicamente sfiancante idea di farmi passare l'intera notte insonne su questa sedia con i muscoli indolenziti e doloranti per la mancanza necessaria di movimento. non lo sapevo, eppure da una parte ci speravo che aveva in programma per me di farmi passare anche attraverso quella spedizione punitiva, anche se avrebbe inevitabilmente comportato il non sentirmi più ne braccia e ne gambe per tutto il giorno seguente. Ci speravo perchè, in un contorto processo sia sadico che masochista, ricevere quell'ennesimo colpo basso da parte sua a compensare la maggiore umiliazione che mi aveva risparmiato a parole prima, avrebbe fatto si di mettere da parte l'assillo di quelle domande e la conseguente frenesia di volervi trovare le risposte a favore di tutta quella rabbia repressa nei suoi riguardi che fino ad una ventina di minuti fa era stata incredibilmente pronta a scatenarsi e che, ora, a fronte della totale assenza di trionfo che avevo letto sul suo viso e del suo completo opposto che, invece, ci avevo visto inciso sopra, si era come momentaneamente assopita sotto le braci spente del mio focolaio collerico.

Non che avessi cambiato idea sul fargliela pagare a caro prezzo e dargli io la mia di lezione. il piano organizzato prima mentre mi umiliava con la sua "dolce arte" cui avevo pensato incessantemente per poter sopravvivere internamente a tutto quel carico di sfregio, per non pensarci, era rimasto intatto, vivo e vegeto, nella mia mente. Dopo la nullità che mai mi ero sentita e che Lauren mi aveva fatta sentire tutto insieme, non sarebbero state sufficienti un milione di quelle curiose espressioni vuote sul suo viso quando meno avrebbero avuto motivo di esserci. La tempistica fuori luogo e la stranezza implicita del suo atteggiamento nelle battute finali aveva affievolito in una parte la mia carica esplosiva di rabbia e rancore da riversagli addosso con le domande che aveva fatto scaturire, certo, ma non l'aveva comunque minimamente fatta sparire. A seguito del torto che mi aveva costretto, imposto di subire, niente avrebbe potuto fermarmi dal mantenere quelle due cose che mi ero caldamente ripromessa, niente avrebbe potuto impedirmi di agire come avevo programmato di fare per auto risarcirmi di quella parte integrante di dignità che mi aveva tolto, per riprenderla almeno un po.

E, come nei peggiori degli incubi, delle speranze infrante, non avevo dovuto neanche attendere di rivederla e stare a sentire una delle sue tante cazzate a presa per il culo per far riaccendere il mio focolaio di rabbia vendicativa e farne aizzare le fiamme fino a farle scoppiettare anche peggio di prima.

alla vista imbarazzate di chi mi si era parato davanti tutto ad un tratto, spalancando la porta senza il minimo della grazia che a me una come lei e come le sue degne compari mi avrebbero dovuto in ogni caso, il sangue aveva preso a ribollirmi di nuovo ad una velocità esasperante. in una maniera tanto dolce quanto intrisa di cattiveria che voleva sprizzare fuori.

Se non ricordavo male il suo nome era Samantah, e si trattava proprio di colei che nutriva chiaramente una passione addirittura maggiore per Lauren rispetto a tutte le altre, se non altro tutte le altre che vivevano e lavorano nella tenuta. si trattava proprio di colei che mi aveva causato fin dal principio, fra tutte le altre dipendenti, il maggiore fastidio corrosivo alla bocca dello stomaco non solo per come avevo notato con quanto amore la guardava ogni volta, un amore che andava ben oltre alla pura e superficiale libidine, ma anche per come mi era sembrato che, per motivi che non mi volevo neanche immaginare, anche Lauren l'avesse messa su un gradino in più di privilegio rispetto alle altre cameriere, quantomeno.

Non pensavo che la maggiore considerazione che Lauren gli dava, a quanto pareva, fosse dovuta ad un suo ipotetico corrispondere gli evidenti sentimenti di quella donna. non lo avevo mai pensato, mai, neanche per un istante. I sentimenti di Samantah erano talmente ovvi da essere quasi imbarazzanti per chi assisteva al loro esprimersi di continuo senza mai essere ricambiati nella forma totalitaria che il suo amore avrebbe tanto voluto, ti facevano quasi provare una autentica pena per lei e per la sofferenza per il rifiuto infinito che riceveva il suo sogno d'amore ad occhi aperti che, si sapeva, unicamente quello sarebbe rimasto: un inutile, vano sogno. Sicuramente ne era consapevole anche lei e, sempre sicuramente, era proprio per quello che Lauren pareva averne una considerazione superiore: perché gli facevano pena quei sentimenti nei suoi confronti, continuamente e inevitabilmente mortificati, perché era consapevole di essere la causa scatenante di tutta quella sofferenza senza uscita.

Si, era per quello, indubbiamente. Dopo tutto Lauren Jauregui non si innamorava, Lauren Jauregui non si legava, non voleva saperne a priori di concedere quel suo lato dirompente a nessuno. Lo aveva reso ampiamente chiaro e in più occasioni quale era il suo pensiero estremista e il suo diniego assolutistico su quel fronte specifico. Ma, anche così, pur sapendo che la delicatezza di Lauren nei suoi confronti derivava unicamente dalla compassione egoistica che gli smuoveva, pur sapendo che se non riuscivo io a farla crollare emotivamente in quel baratro nessun' altra avrebbe mai potuto riuscirci considerando la loro inferiorità al mio personale cospetto, considerano che nessuna di loro era come, non ero comunque inconsciamente in grado di digerirlo quel suo fare riguardevole verso questa Samantah e verso i suoi patetici sentimenti senza speranza. Non potevo proprio tollerare che avesse delle attenzioni per qualcuno diverse da quelle che si rifacevano unicamente ad un approccio fisico, diverse, su un piano, indipendentemente dal motivo insignificante come in questo caso per cui le aveva, che si differenziava di fatto dal semplice desiderio, dalla semplice voglia di uno sfogo sessuale. Ecco perchè non me ne poteva fregare di meno se il riserbo di Lauren per questa donna era dovuto ad un unico sentimento: la pena. Perchè segretamente non volevo che Lauren avesse nessun tipo di attenzioni minimamente emotive per nessuno se non per me, perchè la cosa mi faceva semplicemente imbestialire anche se consapevole che era tutta una questione di sensi unici, da una parte, e di mera compassione dall'altra.

Quando la ragazza si era avvicinata per slegarmi, dandomi la certezza assoluta che sarebbe stata lei a liberarmi e non Lauren e che, anzi, l'aveva mandata apposta per farmene umiliare ulteriormente, per farmi umiliare apertamente da una delle sue sgualdrine e da Samantah in particolare, la cattiveria e la collera istintive che mi si erano già riaccese dentro erano arrivate ad assumere delle connotazioni dalla liberazione letalmente meschina. Che avrebbe potuto essere fin troppo meschina perfino per me. Non solo mi aveva vista in questo modo, ma, oltretutto, come se non fosse già abbastanza imbarazzante anche semplicemente il fatto che sapesse cosa Lauren mi aveva fatto, guardando con i suoi occhi come mi aveva conciata per poterlo fare, mi avrebbe anche slegata. A quanto pareva Lauren, sapendo bene che effetto altamente improduttivo mi avrebbe giocato, aveva pensato bene di mandarmi per sfregio niente di meno che la sua eterna "sgualdrina innamorata".
Pensare alla bruciante disfatta che sarebbe stata lei, la sgualdrina innamorata, a "liberare" me, proprio me, in quel preciso istante aveva praticamente annullato in un colpo solo tutte quelle umiliazioni che Lauren mi aveva stranamente risparmiato post "opera d'arte", e anche tutte le domande conseguenti.
Vedere Samantah togliere le prime corde, quelle alle mie caviglie, vederla portare a compimento la fine della punizione divina che mi era stata amaramente inflitta dalla mia ossessione e dal suo "amore" non corrispondente, mi aveva portata addirittura nelle condizioni risentite di poter poggiare il mio sguardo su quelle macchie di sangue per terra senza riprovare la minima preoccupazione spiazzante nel guardarle. Quel sentiero sporco di sangue che con la sua scia consistente ti portava direttamente fino alla porta, che soltanto lì si interrompeva. Apparentemente.
Guardarle. Fissarle addirittura per degli attimi infiniti senza la paura incosciente ma vivida del ritorno di quella preoccupazione avvelenata che tanto mi aveva inspiegabilmente catturata quando avevo visto le prime gocce di sangue prendere vita e colare copiosamente giù per formarle quelle macchie, quel sentiero reale. Nessun accenno di preoccupazione al ricordo dello squarcio che si era fatta, alla vista di tutto quel sangue rappreso che ne era uscito fuori e che me lo ricordava. Nessun accenno, non più, neanche uno velato, no, non dopo il suo atto intenzionato e intenzionale di mettermi in una ulteriore posizione di inferiorità rispetto ad una puttana qualsiasi e tentando di farlo mettendomi in quello stato sottomesso davanti ad una delle sue di puttane, e, guarda caso, la prima in ordine di fastidio sulla mia scala piramidale.
Adesso, con Samantah a deridermi in quel modo, con il potere di potermi deridere che Lauren gli aveva delegato mostrandomi a lei così, quelle macchie potevo guardarle senza vacillare di una virgola, su quel sangue senza un apparente spiegazione potevo poggiare i miei occhi per quanto tempo desideravo provando quello che avrei voluto provare fin dall'inizio: una sadica soddisfazione perché era stato perso da chi lo aveva perso, soprattutto. Una sadica soddisfazione e un sincero ribrezzo per quel sangue e per il suo chi, e non una sincera preoccupazione.

Avevo fatto in modo di evitare di incrociare lo sguardo di Samantah ogni volta, tranne due, tranne quando un sollievo quasi irreale per quanto piacevole mi era sembrato, si era impossessato della mia circolazione nuovamente attiva una volta scomparse quelle corde strette, comprimenti, alle caviglie e i polsi che ne avevano modificato il normale corso per tutte quelle ore ininterrotte. Un sospiro di beatitudine inevitabile, piuttosto simile a quello che emetteresti se ti levano un macigno intento a schiacciarti un singolo dito del piede con il suo peso smisuratamente superiore, mi era sfuggito un automatico nel risentire il sangue fluire normalmente in quelle zone ormai libere di blocchi e oppressioni di sorta. Un sospiro beato e il mio sguardo ardente che, sempre in automatico, reagiva a quella mia inevitabile emissione di suono liberatorio andando dritto a puntarsi sulla faccia in penombra della mia falsa "liberatrice" del momento per constatare se se ne era accorta e se la finta indifferenza con cui era entrata nella stanza e iniziato obbediente a slegarmi aveva finalmente lasciato il posto al sorriso divertito che sapevo si era sforzata a reprimere dal primo istante nel vedermi in quello stato.

E aveva sorriso, e la maschera convenzionale che la cara eterna illusa si era imposta di mantenere era caduta senza misericordia non al mio primo sospiro, ma al secondo. Al secondo, rispettivamente dopo che mi aveva tolto le corde ai polsi, quei brividi di soddisfazione che aveva fatto tanto per nascondere si erano rivelati tutti quanti esprimendosi, sprigionandosi in quel furtivo sorriso di goduria emotiva. Furtivo e oserei dire fulmineo, andato via in un battito così come era arrivato per lasciare nuovamente posto ad un ipocrita incuranza alla situazione, ma c'era comunque stato, ma avevo comunque dovuto sorbirmi il suo passaggio ad incrementare la mia mortificazione, la mia mortificazione non davanti a Lauren ma, addirittura, davanti alla sua commiserata sgualdrina preferita. Il colmo dei colmi, un colmo che era arrivata al suo apice.

considerano che io avrei fatto di gran lunga di peggio a parti inverse, considerando quanto godevo sfacciatamente, senza mistero alcuno nel rimarcare a lei e le sue debite compagne che io ero la moglie di Lauren perché io, di fatto, potevo farlo, potevo permettermi di punzecchiarle aspramente riguardo la loro inferiorità di ruolo e goderne anche in maniera ovvia, la ragazza era stata anche fin troppo brava nel fare la parte, nel concedersi solo un sorriso sardonico come massima espressione di insubordinazione nei miei riguardi. Ma, nonostante questo, era stato abbastanza da indurmi in una manciata di secondi a farmi contaminare dalla ingestibile voglia di riversare sui suoi ridicoli sentimenti il livello pericolosamente pieno di cattiveria che avevo raggiunto. Infierendo crudelmente, apportando un ennesima stoccata a bloccare quel fragile cuore palpitante in solitaria, che avrebbe sempre palpitato da solo e mai in coppia con quello che ne aumentava i battiti.
Anche se mi rendevo conto che era solo indirettamente colpa sua, che era stata Lauren a mandarla e che se non gli avesse ordinato di venire non mi avrebbe mai vista in queste condizioni, non avrebbe mai potuto sorridere di me, Lauren non era qui per potermela prendere con lei e io stavo impazzendo di astio vivo anche se avrebbe potuto inferiore notevolmente di più invece di limitarsi ad un solo fuggevole sorriso. Ecco perché avrei riversato seduta stante un po del mio veleno corrosivo accumulato sul suo cuore per scottarlo ancora. A Lauren avrei pensato dopo, con calma e con tanta "premura", ci avrei pensato dopo con quel piano metodico e quegli intenti vendicativi tornati alla loro iniziale auge esclusiva. Nel frattempo, però, avrei alleviato la rabbia scaricandola in parte sul punto debole di Samantah.
Lauren aveva compassione dei sui sentimenti disillusi, tutti ne avrebbero avuta probabilmente, tutti ma non io, di certo io no. A maggior ragione dopo come mi aveva vista, a maggior ragione dopo che era diventata, anche se indirettamente, l'implicita causa scatenate che aveva fatto aumentare la mia vergogna con la sua sola entrata in scena. A quel punto poco mi importava che quel suo sorriso, se bene interpretato davvero, era stato solo un attimo di fuga di una donna morta d'amore, di una donna che per poco le aveva esorcizzate quelle sue pene. Lo sapevo, lo avevo capito riflettendoci bene e poco mi importava, sempre poco, comunque. Riuscivo solo a pensare di volermi prendere un riscatto personale anche con chi delle sue sgualdrine aveva appositamente mandato a raccogliere i miei resti post carneficina interiore che mi aveva fatto passare. Anche, prima di prendermi il più importante, quello con Lauren stessa.

Allora, quando anche le ultime corde, quelle intorno al busto, se ne erano andate a farsi fottere, non ci avevo pensato due volte ad alzarmi da quella sedia non per nascondermi ma per fronteggiarla. Con una postura altera e una sicurezza tutta nuova, certa di che effetto crudele avrebbe avuto su Samantah quello che gli stavo per dire, a differenza di prima non mi era costato nulla incrociare il mio sguardo con il suo. Nulla, nessun imbarazzo, anzi. Consapevole che adesso quella che stava per godere ero io, ero stata ben felice di guardarla dritto in faccia, di nuovo con la certezza di poterla sfidare apertamente perché la mia superiorità rispetto alla sua era inconfutabile, lo sarebbe tornata ad essere a breve, perché non c'erano dubbi su chi ne sarebbe uscita vincente. Non ora che ero libera, non ora che ero intenzionata a colpire la già precaria fragilità dei suoi sentimenti. Un punto debole, estremamente debole, che le altre non avevano ma lei si.
Sarebbe stato come sparare sulla croce rossa ma ne avrei goduto da pazzi lo stesso.

-Certo, non posso dire che non sia stato fisicamente stancante ma, in compenso, posso assolutamente dire che ne è valsa davvero la pena sperimentare questo nuovo gioco per tutti gli orgasmi che ne sono seguiti...Lauren lo ha semplicemente adorato, sai? talmente tanto che ad un certo punto ho persino perso il conto di quante volte è venuta ovunque sul mio corpo.-

La sua espressione in risposta non aveva prezzo. Era diventata improvvisamente bianca come un vecchio cencio, troppo logoro ormai per essere usato di nuovo.
Avevo continuato a fissarla sicura e sfacciata proprio per riempirmi fino in fondo dei risultati di quel primo riscatto che, chiaramente, non mi stavano affatto deludendo.
Con il velo opaco di dolore che gli era calato negli occhi grigi era difficile stabilire a cosa si era messa a pensare dopo quelle mie parole. Forse stava semplicemente soffrendo senza pensare a niente, troppo concentrata a mettere le ennesime pezze a quella ennesima stoccata al cuore, o forse stava internamente facendo il conto di quante volte Lauren era invece venuta con lei, di quante volte era riuscita a farla godere davvero. Se era quello il caso, se davvero stava facendo il conteggio, a giudicare dalla sua espressione che era rimasta invariabilmente cinerea, il risultato doveva essere al massimo una. Una sola volta e, magari, neanche in tutte le sessioni. La sua faccia era simile a quella che aveva avuto Lauren prima, solo che questa di Samantah, a differenza di quella di Lauren, era non solo fin troppo prevedibile ma anche permeata di dolore, dolore e basta, un dolore conosciuto e non da un terrore immotivato ed estraneo.

Non avevo ancora finito con lei, in ogni caso. mancava ancora la sferzata decisiva. Se il suo colorito era diventato quello alla prima battuta crudele, non osavo immaginare quali livelli ultraterreni di pallore sofferente avrebbe raggiunto alla richiesta "disinteressata" che stavo per fargli.

Mentre ero diretta a passo spedito verso la porta e mentre la piccola idiota addolorata era rimasta immobile e pallida a fissare un punto imprecisata come un ameba, mi ero fermata e rigirata nella sua direzione proprio prima di aprire la maniglia per dargli il mio ultimo ben servito.

-Oh, eh cara...quasi dimenticavo...non è che potresti portarmi quel frustino lì all'angolo? Sai, la mia Lauren mi ha fatto promette di raggiungerla più tardi nella sua camera per giocare selvaggiamente ancora un po' insieme...non so con voi, ma con me gode talmente tanto da diventare praticamente insaziabile.

E il colorito che era arrivato subito dopo sul suo volto non aveva affatto deluso le mie aspettative. Vederla passare da un bianco smunto e addolorato ad un viola pesto e fumante di gelosia pura era stata una rivalsa meravigliosamente gratificante eguagliata solo dal ricevere dalle sue stesse mani tremanti il frustino che avrei usato proprio per far piangere e pregare il suo "amore" e la mia ossessione, la sua mandante a sbeffeggiarmi e la mia moglie da fustigare.

Flashback off.

Rimetterla al suo posto in quel modo, dopo quello che mi era stata fatto e come mi aveva trovata, mi aveva fatto risalire di tutti i gradi persi ricollocandomi direttamente alla mia postazione di comando e privilegio. Non solo rispetto a Samantah, ma rispetto a tutte loro, anche se a causa dei suoi sentimenti per Lauren probabilmente non avrebbe riferito a nessuna quello che era successo in quella stanza, non a seguito del male e della mortificazione finali che gli avevo imposto uscendone io vincitrice, se non altro. Non dopo che gli avevo fatto intendere mentendo apertamente, maliziosamente, che quello che era accaduto lì dentro tra me e Lauren era stato tutto il contrario di quello che aveva inizialmente creduto. Non dopo che gli avevo spiattellato che anche quel piccolo sorriso che aveva potuto permettersi non aveva avuto motivo di esistere anche se in realtà lo aveva avuto eccome. Ma la piccola idiota questo non lo sapeva, non lo aveva più saputo, almeno, non più nel momento in cui gli avevo propinato quelle cazzate provocatorie a sfondo sessuale, cui, aveva chiaramente creduto.
Aveva abboccato con tutto l'amo, talmente tanto da non provare  neanche a mettere in dubbio per un solo istante la mia versione, per quanto la riguardava molto inaspettata, dei fatti. Glie lo avevo letto anche negli occhi che si erano fatti istantaneamente spauriti e opachi, oltre, ovviamente, ad averglielo letto nello sbalzo di colorazioni sull'incarnato del viso. Manifestazione espressiva evidente e lapalissiana, quella, già di per sé.
Con quella risalita procace e spedita ai danni della compatita "prediletta" che Lauren mi aveva mandato, in teoria, per affossarmi maggiormente, e che prediletta era appunto e proprio perché compatita, mi ero tolta di torno un po di quella sensazione per me sconvolgente di inferiorità che Lauren aveva voluto instillarmi a forza dentro facendo quello che mi aveva fatto. A quel punto non mi era rimasto altro da fare se non andare direttamente da lei, dalla fonte di tutto quello scherno deprecabile e di quella fossa profonda in cui erano stati risucchiati i pezzi di una dignità che mi era stata spezzata. Non mi restava che ricomporla con un po di colla lenitiva mantenendo quello che mi ero ripromessa di mantenere, curando le aspre ferite apportate al mio orgoglio deprecando io il suo. Non mi era rimasto altro che mettere in atto il mio piano vendicativo in piena regola ed esattamente come lo avevo spassionatamente congegnato.

Quello che era avvenuto dopo era avvenuto in una rapida successione quasi mistica, con la testa che pareva essersi elevata in un altra dimensione e con il corpo che aveva agito, che si era mosso per fare quello che doveva fare in maniera praticamente automatica e meticolosa. Apparentemente Scollegata dalle funzioni cognitive ma, comunque, perfettamente cosciente di cosa fare e di come farlo.
Era stato in quel modo, con quelle modalità "parallelamente" meccaniche, che avevo svolto una routine sistematica una volta aver raggiunto la mia camera, dopo essere uscita definitivamente da quella stanza teatro di quella che era stata la mia scena del crimine emotiva, causa: relativa uccisione del mio orgoglio. Sistematica, si, nel mentre e dopo quello, e prima di ritrovarmi dove mi ritrovavo ora: nella sua camera, in una penombra oscura rischiarata solo dalla poca luce della luna che filtrava dalle tende e che, per ironia della sorte o benevole grazie divina, si era andata a puntare e illuminare proprio le manette e il frustino che ora mostravo fiera davanti a Miss Jauregui, che non avevo smesso di sventolargli in faccia come chiara minaccia prossima ad avventarglisi contro e suggellare quella verbale, di minaccia, con cui gli avevo amabilmente presentato i miei "tesori" e i suoi oggetti di tortura per quella notte.
La luce lunare, dopo tutto, aveva indirizzato il suo fievole cono di luce proprio su di loro. Neanche fossero davvero due lingotti di oro puro o due diamanti grezzi che nel buio attiravano per natura ogni più piccolo spiraglio di chiarore per poi poterci luccicare e risplendere insieme. In ogni caso, per me, con o senza spiragli e luccichii, quel frustino e quelle manette avrebbero comunque assunto quel valore prezioso, il solo fatto che sarebbero stati coloro a permettermi di prendermi la mia tanto attesa vendetta questa notte gli faceva acquistare quel costo metaforico nella mia testa. Glielo faceva acquistare ancora prima di poter sperimentare il grande piacere di usarli su mia moglie.
Un costo e un prezzo non quantificabili. Non per me e, se tutto andava come previsto, se tutto filava come avevo progettato che doveva filare, ben presto non sarebbero stati quantificabili neanche per lei, neanche per Lauren.

Non avevo avuto modo di vedere bene la sua reazione, il tipo di sfumature arrivate a cambiargli lo sguardo davanti alle "premesse" con cui avevo fatto la mia irruzione in grande stile nella sua camera. Calma e placida, silenziosa e strisciante, ma pur sempre un irruzione e pur sempre in grande stile considerando cosa prevedeva, a quale meravigliosa rivincita fisica e morale aveva appena fatto da apri pista. Avevo potuto osservarla bene solo nel momento in cui avevo sentito il rumore di lenzuola che si spostavano e del materasso che si abbassava leggermente sotto il movimento del suo peso che vi era adagiato sopra, e solo dopo che le manette erano ondeggiate liberamente in aria già per tre giri su stesse e intorno al mio dito indice. Si era mossa, agile e relativamente silenziosa per quanto lo si poteva essere nel compiere un movimento tanto piccolo e insignificante, per accendere la lampada da comodino accanto al letto.
La fine di quella cecità relativa alla sua figura non solo aveva dato inizio ad una piena visuale dei suoi tratti cesellati, ma anche a tanto, tanto "altro". Un tanto "altro" imprevisto e troppo, fin troppo gradevole alla vista ed estremamente allettante per altri "sensi" del mio corpo diventati tutti ad un tratto sensibilmente reattivi e pericolosi. Sapevo, da quell'unica visita che lei aveva fatto a me nella mia camera causa incubi ricorrenti nel pieno della notte, che la mise che Lauren usava per andarsi a coricare durante la notte non era propriamente né delle più sobrie e né delle più coprenti, anzi. Ricordavo ancora la punta tagliente di gelosia che mi aveva colta in quella occasione al pensiero che aveva attraversato un corridoio lungo chilometri in quelle vesti che dire succinte era dire poco, e con la possibilità che qualcuna delle sue più che consenzienti serve sessuali avesse potuto incrociarla e avesse potuto lasciarci gli occhi e anche una dipendenza ormonale ancora più precaria di prima. Mi ero preparata, quindi, alla certezza che me la sarei ritrovata davanti con una altro baby doll trasparente o, al massimo con un un completino intimo in pizzo e terribilmente provocante. Mi ero preparata a quella prospettive ma non al suo corpo perfetto completamente esposto e alla sua levigata pelle bianca completamente nuda.
Lauren era nuda, davanti al mio sguardo già avido e la mia libido già trafitta nel profondo da quello scenario che ti invogliava semplicemente a volerti immergere nel più perverso dei peccati, e che lo faceva senza neanche il bisogno di fare nulla se non quello di mostrarsi, lasciarsi ammirare e divorare e basta.
Era nuda o, almeno, lo era nella parte superiore, dal bacino in su.
Si era messa in posizione seduta con la schiena comodamente appoggiata sulla testata del letto e sui cuscini rialzati e, in quella posizione specifica, il lenzuolo era sceso inevitabilmente scoprendo la sua nudità, rivelando i suoi seni prosperosi senza nessuna protezione a celarne il calamitante potenziale erotico effettivo.
quei capezzoli già turgidi che svettavano sulle sue tette erano praticamente spiccati su tutto il resto, facendomi mettere in secondo in piano quello che realmente avrei dovuto osservare a luce accesa. Sulla sua espressione, a quello che aveva riflesso ad una prima occhiata ai miei oggetti vendicativi di tortura, a come e in compagnia di cosa mi ero presentata, non avevo dato neanche uno sguardo accecata come ero stata da quel magnifico ed esemplare paglia di lato A di anatomia femminile.
Come partenza non era andata affatto bene, per niente. Non era andata affatto come doveva, come mi aspettavo che sarebbe andata. Io ero partita come un idiota e sempre a causa di quella attrazione viscerale che, se messa davanti ad una prova erotica da superare come l'avere sbattuti in faccia i suoi capezzoli turgidi e scoperti e mantenere comunque la lucidità assoluta, era inevitabile che la perdeva e la perdevo in partenza, era inevitabile che da "viscerale" passava direttamente ad "ingestibile" e prendeva vorace il sopravvento su tutto il resto. Se mi sbatteva davanti le sue tette nude in quel modo vizioso, se me le sbatteva nude davanti a prescindere, in realtà, con la sete perenne che il mio corpo aveva di possedere il suo, di possedere lei, e con l'esubero di frustrazione sessuale accumulata in tutti quegli orgasmi mancati era una passaggio davvero già scritto, da "viscerale" ad "ingestibile" era un passo davvero troppo breve e, purtroppo, semplicemente impossibile da imporsi a non compiere.
L'unico pensiero in grado di affievolirmi le pulsazioni dolorose tra le gambe era che tra non molto avrei avuto modo per tutto il resto della notte, come dicevo io, come volevo io, di scaricarmi di tutta quella frustrazione sessuale con gli interessi. Esattamente come mi ero ripromessa.

-E, di grazia, come avresti intenzione di mettermele quelle manette mentre fai quello che vuoi con il mio corpo, mentre usi quel frustino su di me? Sono molto curiosa perché, vedi, a meno che tu non abbia il super potere di trasformare le mie tette nelle mie mani e indurle con quello sguardo eccitato a raggi x con cui le hai guardate per tutto il tempo ad ammanettarsi da sole, la vedo molto dura per te e per il raggiungimento di questi intenti minacciosi che tanto decanti.-

Si sentiva al sicuro, si sentiva protetta. Sembrava non avvertire alcun pericolo di cui veramente doversi preoccupare perché convinta che niente di quello che avevo ideato per farla piegare, per indurla volontariamente a farsi ammanettare e sottomettere poteva realmente funzionare, poteva essere davvero tanto minaccioso per lei da portarla a compiere una tale follia, da portarla a consegnarsi nella mani della mia spietata vendetta. Dopo tutto, in fondo, lei aveva dovuto ricorrere ad una bassezza tale come quella di drogarmi con la morfina dei suoi cavalli per potermi legare stile insaccato, per potermi rendere impotente e innocua al fine di "ammazzarmi" interiormente come aveva fatto.
Ma si sbagliava, si sbagliava a non temere, si sbagliava a sentirsi tanto sicura come sempre e tanto al sicuro in questo momento. Si sbagliava perché io avevo dalla mia una carta da giocarmi anche migliore della morfina, dall'efficacia surrealmente ancora più potente se si considerava che l'avrebbe indotta addirittura a collaborare, buona e remissiva, di sua spontanea volontà.
Era una carta che aveva già funzionato in passato, la carta grazie alla quale ero già riuscita a farla mettere in ginocchio e baciare le labbra delle mie parti intime in quella cucina, davanti a quel piano bar. Per come l'avevo imbastita ad arte per la grande occasione della mia vendetta ero certa che avrebbe funzionato anche questa volta, che mi avrebbe garantito il successo del piano, anche se poi non avrei più potuto usarla in futuro per ottenere  niente da Lauren. Ma per riscattare la mia dignità, per vederla umiliata come volevo dopo quello che mi aveva fatto e per cancellare dalla faccia della terra ogni traccia di quel ritratto, bruciarmela in maniera definitiva adesso ne sarebbe valsa la pena eccome.

-Non sarò io a mettertele, difatti. Sarai proprio tu a mettertele da sola per farmi fare quello che voglio con te e con questi amabile frustino.-

Da sicura che era adesso appariva perfino divertita. Molto divertita. Osservandola bene si poteva dire che si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere e che, molto probabilmente, lo stava facendo solo perché la sua curiosità la faceva comunque ancora da padrone. Da una parte non potevo dargli torto, per il filo conduttore di odio reciproco che ci univa fin dal principio per motivi sia simili che diversi, sia compatibili che terribilmente incompatibili, un po' come lo eravamo noi, anche io avrei trovato la possibilità di una sua volontaria disponibilità in quel senso e per me francamente assurda se non avessi avuto dalla mia il fattore Elsa da poter sfruttare. Assurda, Vanifica e assurda.
Ma quando glielo avrei spiegato per filo e per segno, sotto il marchio di un brillante ricatto emotivo bello e buono, ero convinta che non avrebbe avuto più neanche il minimo istinto di mettersi a ridere di me e delle parole, che, dopo, a posteriori, avrebbe preferito non avere avuto alcuna curiosità  denigratoria al riguardo.

-E, per quanto non mi dispiacerebbe per niente avere un super potere di quel tipo con te dati i vantaggi che potrebbe darmi, purtroppo non ne sono provvista, ergo, non è grazie a quello che ti ammanetterai per me. Temo proprio che dovresti dargli un freno alla tua fervida fantasia depravata perché il motivo per cui ti consegnerai nelle mie candide mani è molto meno surreale e molto più reale di quello che credi.-

Un cipiglio corrucciato gli delineava la fronte. Dal grande interesse che stava dimostrando gli era sparito anche il sorrisino narcisista e borioso, traboccante di malizia, che gli era nato nel constatare quanto e come la vista dei suoi capezzoli mi aveva incantata, nel constatare che effetti collaterali poteva vantare su di me nel semplice mostrarmi il suo seno come mamma glielo aveva fatto, e che non gli si era più levato fino a questo momento. Non osavo immaginare quali strade e in quanti sentieri diversi si stava dirigendo e arrovellando la sua mente per tentare di capire cosa di tanto efficace aveva ideato la mia di mente per poterla portare davvero a fargli fare esattamente quello che volevo io questa notte stessa.
A giudicare dall'espressione sempre più spazientita che gli si formava in viso con il passare dei dei secondi, si poteva tranquillamente dire che non ne stava venendo esattamente a capo. Io, dal canto mio e in previsione di quello che gli sarebbe spettato a breve, mi stavo internamente trastullando come una bambina in trepidazione nel guardarla brancolare nella sua confusione ancora cieca, nel vedere che ora la palese ironia di appena qualche minuto fa dimostrata per il mio possibile piano si era trasformata in un principio di ansioso brancolare nel buio.
E poco importava se era un principio dipeso da altro che da un reale timore, se era dipeso piuttosto da una consueta curiosità che pareva mangiarla sempre viva per ogni cosa. Poco importava perché una volta alla mia totale mercè sarebbe invece dipeso da molto più che un semplice e ansioso timore e sarebbe anche stato molto più che un semplice principio.

-Indovina un po' da chi sono stata prima di venire qui?.-

Una smorfia di non tanto velata ironia gli aveva ridisegnato i tratti. Di nuovo. Un altro cambio scambio e, stavolta indesiderato, tra un interesse reale per la minacciosa situazione attuale e un divertimento tanto  sfacciato quanto inconsapevolmente masochista per la stessa.

-non lo so, Camila cara, forse davanti alla porta della camera di Samantah con una tanica di benzina per tentare di dargli fuoco? Anche se non vedo, in tutta onestà, come questo atto sconsiderato portato dalla tua autentica, folle gelosia per me possa in qualche modo portare me a valutare seriamente il letterale sacrificio umano che consegnare volontariamente le mie carni nelle tue mani comporterebbe.-

Ero io al comando al momento, ero io la detentrice del controllo, lo sapevo. Non avevo dubbi che quello che avevo ideato per arrivare ai miei scopi avrebbe funzionato e, quindi, lo sapevo, sapevo di essere quella con il coltello dalla parte del manico, quella che avrebbe avuto la sua rivalsa e attimi irrefrenabili di "gloria". Di grande "gloria". Eppure, malgrado quella consapevolezza inestimabile e vitale come l'aria, a Lauren era bastato menzionare la mia gelosia corrosiva e immotivata nei suoi confronti per farmi bollire il sangue nelle vene. Gli era bastato ricordami di quanto provavo quel sentimento dapprima sconosciuto e doloroso, che tanto facevo continuamente per negare, gli era bastato per farmi notare che se ne rendeva pienamente conto e parlarne in quei termini derisori appositi per farmi perdere parte della mia lucidità riacquisita a favore di una violenta sferzata di rabbia irrazionale. Quello, gli era stato sufficiente dire quelle cose buttate quasi a caso nel discorso per farmi incazzare parecchio anche se in procinto di vincere io questa fondamentale battaglia in corso, e, poi, dulcis in fundo, gli era stato sufficiente pronunciare il mio nome con quella cadenza graffiante e seduttiva calcata al suo massimo per farmi tremare le ginocchia dal desiderio, per gettarmi con un colpo solo nella fossa delle solite sensazioni contrastanti ma ugualmente estreme in entrambi i frangenti.
Si, quella stronza aveva un grande potere su di me, decisamente, e io lo odiavo, e io odiavo come mi faceva odiare anche me stesse oltre che lei per cascarci puntualmente, per non avere a quanto pareva i mezzi materiali per constatarlo mai. Mai, nemmeno in una circostanza di totale vantaggio come questa.

-No, razza di idiota, non sono stata dalla tua sgualdrina preferita dopo che me l'hai mandata apposta a liberarmi per umiliarmi ulteriormente. Dopo tutto, come hai detto giustamente anche tu per una volta tanto, andare da quella stupida inetta non mi sarebbe servito a nulla per indurti ad un tale sacrificio. In compenso, però, sono andata direttamente dall'unica persona di cui, a quanto sembra, ti importa davvero, la stessa per cui ti sei già inginocchiata passiva ai miei piedi a baciare la mia figa in un passato recente pur di non ferirla in alcun modo, pur di non togliergli anche quell'ultimo brandello di speranza che, poverina, nutre in te.-

Alla realizzazione, finalmente, di chi si trattava, di chi era il mio asso nella manica per potermi vendicare, la sua faccia era sbiancata diventando ancora più bianca di quello che già era. Non agli stessi livelli di pallore di quella disillusa di Samantah ma poco ci mancava. La reazione che volevo, che mi immaginavo avrebbe avuto, per cui avevo goduto immaginandola, ancora prima di arrivarci, e per cui mi sentivo fomentata come non mai ora che era arrivata. Davvero intimorita, davvero schiacciata da una minaccia avvertita come tale e non come una assurdità partorita dal cervello di una demente. Ed era ora, era proprio ora che arrivasse a smetterla di deridermi per sentirsi invece come chi sapeva di avere le spalle al muro.
Quella, quella era la faccia da prime avvisaglie di una sconfitta già anticipata, già scontata, una sconfitta che veniva ad appestarla proprio per il non consueto attaccamento affettivo autentico
Che aveva per qualcuno, che aveva per la buon vecchia Elsa che era appena diventata, a tutti gli effetti e per la seconda volta, Il mio sacro Graal inconsapevole. Quella era esattamente il tipo di faccia che volevo da lei prima di iniziare il divertimento vero e proprio.

-Ho bussato alla sua porta, malgrado l'ora tarda, gli ho comunicato che non riuscivo proprio a prendere sonno e che, quindi, sarei andata da mia moglie in cerca di qualche distrazione. È scontato dirti che, considerando la moglie che sei o, meglio ancora, la non moglie che sei e l'aria fintamente affranta e contrita con cui mi sono presentata al suo cospetto, Elsa non ci ha pensato due volte a comunicarmi che sarebbe passata più tardi da queste parti per sapere se stavo meglio, anche se, entrambe sappiamo molto bene che altro non era che un modo per dire velatamente che sarebbe venuta a controllare te, piuttosto, e come ti saresti comportata...-

Avevo tutta la sua attenzione, tutta la sua preoccupata attenzione e mi piaceva, mi piaceva da impazzire. La sensazione di averla in pugno era incredibilmente eccitante, tanto quanto lo era il fatto che stava lanciando delle occhiate di soppiatto al frustino chiaramente apprensive. Lo guardava, a fasi alterne, cercando di non farsi scoprire, come se fosse il killer che avevo assoldato per farla uccidere, lo guardava come avrebbe dovuto guardarlo fin dal primo istante.

-...immagina cosa potrebbe mai pensare se, entrando qui dentro da un momento all'altro, dovesse trovarmi così...-

Con un unica mossa e, tenendo sempre ben saldi manette e frustino in mano per pura precauzione, avevo sciolto il nodo che mi teneva legata in vita la vestaglia che indossavo e il mio corpo, altrettanto nudo come il suo e nudo del tutto se non fosse stato per le striminzite mutande che mi celavano le parti intime, gli si era svelato davanti in tutto il suo splendore. Un po come avevano fatto le sue tette con me.
La vestaglia, una volta sciolta, era praticamente scivolata giù da sola, senza il bisogno di nessun aiuto aggiuntivo per cadere a terra, un po' come burro liquido sulla mia pelle ambrata.

-...E anche così...tanto per concludere in bellezza...-

Mi ero girata velocemente, sbattendogli apertamente sotto al naso il mio "lato" migliore bello pieno e, sopratutto, lasciandogli tutto il tempo di assimilare per bene tutti i segni rossi da frustate che mi ero auto inflitta sulla schiena.
Prima di rigirarmi di nuovo avevo aspettato almeno dieci secondi abbondanti. Li avevo contati, non doveva essere uno in meno per sortire in lei il giusto effetto. Volevo che si imprimesse bene in mente ogni segno rosso, ognuno di loro, per poi potersi uccidere da sola con la certezza assoluta di quanto avrebbero potuto essere l'ipotetica fine in extremis del suo legame materno con Elsa, di quelle speranze che se ne andavo definitivamente insieme alla pazienza di quella santa donna.
"Ipotetica", si, e non perché non mi sarei mostrata ad Elsa dal momento che Lauren sarebbe finita palesemente con il cedere, ma proprio perché non ne avrei avuto modo in ogni caso. Era tutta una cazzata, una grossa, colossale cazzata. Non ero mai andata da Elsa prima di venire qui, Elsa non sarebbe mai arrivata, Elsa era a dormire sonni profondi nel suo letto senza avere il minimo sentore del fatto che io mi trovavo da sola, con la sua pupilla bella e dannata nella sua camera. Avevo semplicemente fatto quello che mi riusciva meglio fare per farlo credere a Lauren: recitare e mentire, mentire spudoratamente.
Ma questo "piccolo" dettaglio Lauren non lo avrebbe mai saputo. Ovviamente.

-La devasterebbe, nel migliore dei casi. Non sei d'accordo anche tu, Lauren cara?.-

Passati quei dieci secondi in "retro" prospettiva mi ero voltata rimettendomi nelle condizioni di poter fondere i miei occhi con i suoi e quello che avevo visto ardere, letteralmente, nei suoi, era stato un miscuglio semplicemente inebriante di furia e voglia carnale indomiti. Furia per quell'inevitabile che ormai era definitivamente convinta di non poter evitare, esattamente quell'inevitabile che il suo cervello aveva banalmente etichettato come assurdo in precedenza, e la voglia, una grande voglia molto probabilmente dovuta allo spettacolo mica tanto gratuito del mio culo in bella vista.
Tutte le occasioni in cui avevo la conferma di fargli un certo effetto fisico anche io, un effetto quasi imbarazzante per quanto forte, delle scintille di passione febbrile mi scoppiavano dentro facendomi palpitare tra le cosce ad un ritmo scoppiettante.
Occasioni come questa, in cui, di fatto, nonostante la sconfitta Incombente gli era bastato avere una visione così piena e totale del mio culo per dieci secondi per portare il desiderio sessuale nella sua forma più ostile, più primitiva, alla stessa intensità della sua rabbia cruda per non avere scelta nel soccombere, nel soccombere a me.

-Se fai come ti dico, se ti ammanetti al letto a quattro zampe, quando, tra quello che ormai dovrebbe essere appena qualche minuto, Elsa verrà a bussare alla tua porta, io mi rimetterò la vestaglia di corsa e invece di mostrargli quei segni attribuendone la colpa a te gli dirò di quanto, per la prima volta da quando ci conosciamo, tu sia stata in realtà una buona moglie: confortante, quantomeno, e perfettamente in grado di rassicurami in caso di bisogno.
A te la scelta Jauregui...ma ricorda che il temo scorre e che ti conviene deciderti subito considerando che potrebbe essere già agli sgoccioli.-

Non mi serviva aggiungere altro per cominciare il mio gioco sadico al massacro, al suo massacro. Quello che avevo detto era stato il colpo di grazia per farla rassegnare a subire accondiscendente e in silenzio. Lo avevo intuito ancor prima di sentirgli ringhiare sommessamente, rassegnata, un molto cordiale "passami quelle cazzo di manette subito", tanto che, io gliele avevo lanciate sul letto dalla mia postazione mentre ancora doveva finire di ringhiare quelle parole, di ringhiare la sua resa encomiabile.

Neanche un attimo dopo era lei quella a darmi una visione piena e totale, oserei dire impagabile, del suo culo messo a novanta. Passiva, sottomessa, con le braccia allargate alle sponde opposte del letto come a lasciar intendere come l'avrei messa a breve: in croce.
Con quello che gli avrei fatto ci sarebbe finita di sicuro.
Stavo per fargli scontare con gli interessi il male che mi aveva causato, stavo per mantenere quelle promesse con me stessa e riprendermi quella parte della mia dignità distrutta. Ogni promessa è debito, no?.
Questa notte Lauren Jauregui sarebbe stata la mia cagna personale e, difatti, così l'avevo fatta mettere fin da subito, così sarebbe rimasta finché lo avrei voluto io.
La mano con il frustino già mi prudeva, avida di farlo schiantare su quell'ottava meraviglia del modo che le sue natiche meritavano di essere definite.
Si era fatto attendere, avevo dovuto aspettarlo febbricitante per un po, ma quel divertimento vero e proprio era definitivamente, decisamente arrivato.

Bene...dopo mezzo quarto di secolo sono finalmente riuscita a partorire la seconda parte di questa trentesima creatura...
Bevetene e mangiatene tutti quindi. (scherzo)
Ci rivediamo, si spera, tra meno di altro mezzo quarto di secolo e con un altra creatura da partorire e un altra Ostia da consumare...

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