♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vk...

By bisdrucciola

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"Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le ste... More

✤ P R O L O G O ✤
family is where life begins and love never ends.
you'll regret someday if you don't do your best now.
kill 'em with success, bury 'em with a smile.
don't ever run backwards.
never work just for money or for power.
you can be the moon and still be jealous of the stars.
and then you came into my life.
i'm jealous. wanna know why? because we started as 'just friends' too.
love is both: how you become a person, and why.
can i be your lei-tsu?
i like people who shake other people up & make em feel uncomfortable.
heavy hearts don't have to drown.
kiss me until i forget the thought of somebody else near your lips.
you became one of my stories.
the tip of my finger is tracing your figure.
we're too young and immature to give up, you idiot.
i just want you to talk to me. tell me how you feel. about life. just talk.
i want you. all of you. on me. under me. tasting me. wanting me.
it hurts too good to say no.
the more i learn about you, the more i like you.
to die would be less painful.
do you think the universe fights for souls to be together?
life is not about hiding, life is about living.
there's nothing wrong with you.
i am desperately craving your lips.
a sea of whiskey couldn't intoxicate me as much as a drop of you.
i hope you can see me for what i am and continue to love me the same.
i've been holding back for the fear that you might change you mind.
i tried so hard to not fall for you, but then our eyes locked and it was over.
my heart's your home, no matter where you are, u'll always have a place to stay.
all my mistakes are drowning me, i'm trying to make it better piece by piece.
perhaps it's better this way.
he's stuck inside my brain so much that he can call my head "home".
i think i need you, and that's so hard to say.
tell me pretty lies, tell me that you love me, even if it's fake.
how can i look at you and feel so much happiness and sadness all at once?
i've hella feelings for you, but i'm so fucking scared.
you spread warmth and inspire my life, just like the sun does.
lips so good i forget my name.
one of the hardest battles we fight is between what we know and what we feel.
he dreams more often than he sleeps.
mommy, daddy, don't you know? You lost your daughter years ago.
ça ne casse pas trois pattes à un canard
i wanna feel you in my veins.
as humans we ruin everything we touch, including each other.
I just wish i could lose this feeling as fast as i lost you.
in the end, we'll all become stories.
And he dreamed of paradise every time he closed his eyes.
un piccolo regalo...
you're burning inside of me and i'm still alive in you.

look at your cuts. each one is a battle with yourself that you lost.

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By bisdrucciola


Jimin tornó a casa alle sei del pomeriggio. Il sole stava già tramontando e la fredda sera cominciava a manifestare la sua supremazia. Il buio dell'ultimo giorno dell'anno lunare.
Jimin si ritrovava con il cellulare pieno di chiamate perse da parte dei suoi amici che lo invitavano alle caratteristiche cene di festa e con il cuore svuotato, seppur saturo di odio. Nessuna chiamata di Jungkook, nessuna chiamata dei suoi genitori, nessuna chiamata di suo fratello. Nessuno sarebbe stato con lui, in quella fredda notte del ventotto febbraio. Si chiuse la porta alle spalle, sentendosi inghiottito da tutto ciò che apparteneva a lui da troppo tempo. La stessa casa che aveva sempre amato lo faceva sentire oppresso in se stesso, il divano su cui si era fatto cadere era come fatto di cemento, la sua anima era pietra e l'aria sembrava soffocarlo. Era tornato tutto come prima, il soffitto era ancora bianco e non nutriva nessuna soluzione al suo dolore, le piante dei piedi gli facevano male per il troppo tempo passato a posate in un set fotografico e la tv era spenta, schermo nero ed opaco. L'unica cosa diversa era Holly che dormiva indisturbato nella sua cuccia in un angolo del soggiorno. Jimin si sentí mancare una parte di sé che era sempre stata latente e che in quel momento se n'era ormai andata, scomparsa in una nube di insicurezze e segreti. Che cazzo aveva combinato con la sua vita? Forse, si disse, aveva amato troppo. Non importava chi, esistono persone che, purtroppo, amavano troppo. E una di quelle era Jimin. Come una lumaca che non trovava più il suo guscio, egli non riusciva più a trovare il se stesso che aveva solcato la porta di V's per la prima volta. Qualcosa che alimentava la tristezza ardeva in lui e lo consumava lentamente, sopra il suo solito divano, dentro la sua solita casa. La medesima domanda gli logorava la mente da quella mattina: cosa voleva dirgli Yoongi?
Da una parte non gli importava più, era come se avesse gettato via mesi interi di sentimenti e ci avesse pestato sopra. Non voleva più amare Yoongi e, possibilmente, nessun altro. Voleva costruire un muro attorno al suo cuore ed estirpare ogni cosa che valesse. Avrebbe voluto ripensare al volto di Yoongi che gli sorrideva sotto la luce della mattina e non provare altro che odio. Ma perché quel maledetto gli impediva di odiarlo? Perché aveva avuto paura di suonare il campanello? E di nuovo, cosa voleva dirgli? Non voleva saperlo, perché una parte di sé gridava che se solo l'avesse saputo, tutto sarebbe di nuovo andato a vuoto. Eppure, c'era ancora una fiamma in lui che lo incitava a continuare a soffrire. E sembrava irrazionale, contraddittorio ed insensato, ma quella frazione di sé affermava che ne valeva la pena, di soffrire per amore. Quella perpetua fiamma lo rassicurava che alla fine di tutto quel viaggio apparentemente sconclusionato ci sarebbe stata la sua eclissi, finalmente indisturbata.
Holly si era svegliato e aveva udito i rumori dei vicinati che si divertivano con gli amici a cena, dunque si era affrettato a saltare sullo stomaco di Jimin per ottenere protezione. Il ragazzo lo guardó impassibile e strinse a sé la creaturina spaventata, come se stesse proteggendo se stesso dalla debolezza che stava prendendo il sopravvento. L'insicurezza di sapere cosa lo avrebbe atteso dopo che tutto sarebbe finito lo distruggeva come le rovine di qualcosa di bellissimo che cadono dopo un sisma.
C'era una possibilità che tutto, ad un tratto, finisse veloce come lo sparo di una pistola?

In questa parte non intendo incitare a nessun tipo di violenza o promuovere l'autolesionismo in nessun modo. I fatti e i personaggi sono frutto di pura fantasia e il passo seguente si tratta solo di una narrazione che non riguarda in nessun modo la realtà in cui vivo io o persone legate a me. Oltretutto, se siete affetti da queste problematiche in prima persona, oppure sentite che potreste essere facilmente influenzabili vi invito a pensare prima di leggere.
Grazie per l'attenzione.

Yoongi era a casa sua, immerso nella vasca da bagno nell'acqua bollente e un libro tra le mani. Una luce calda e soffusa proveniva da una sola lampada a muro dietro di lui e nessun suono lo disturbava. Anzi, forse lo disturbava il suono dei suoi stessi pensieri. Fin da bambino, aveva sempre avuto dei pensieri fin troppo rumorosi. Glielo ripeteva sempre suo padre. «se vuoi fare carriera,» diceva «devi stare zitto e fare tutto come sta a bene a te, perché gli altri ti metteranno sempre i bastoni tra le ruote.» e questo lo diceva anche di sua madre. Lui era un benestante sviluppatore di siti web, lei una semplice cassiera di un supermercato. La sua era sempre stata una famiglia mia nata, una famiglia sbilanciata e senza futuro. Yoongi era soltanto il risultato di un amore malato e violento. Un amore che lo aveva privato di qualsiasi credenza sia religiosa sia morale. Yoongi credeva solo alla morte. Ogni schiaffo che suo padre scagliava sul volto di sua madre lo rendeva insensibile e lo faceva ricredere sull'esistenza dell'affetto tra gli uomini.
Sua madre possedeva dei capelli bellissimi, neri e lunghi. Anche lui aveva i capelli neri, ma quelli della donna che lo accudiva sembravano sempre luminosi e morbidi. Quando era molto piccolo si divertiva sempre ad afferrarli e metterli in bocca. Lei iniziava a ridere e diceva: «Yoongi, insomma, se non la smetti mamma si offende e va via, eh» Allora lui la smetteva, guardava il volto della madre che sorrideva e sapeva che non l'avrebbe mai abbandonato. Sua madre rideva e piangeva sempre con le persone che amava, era una donna stupenda che faceva volgere su di lei tutti gli sguardi quando camminava per le strade. Sua madre, però, aveva la pelle abbronzata. Il suo sorriso congedava con gioia tutti i clienti del supermercato e le amiche bisognose, il suo viso trasmetteva una fresca solarità. Fu Yoongi l'unico che la vide cambiare, piegarsi ad anni di inaudita sofferenza.
Allo scoccare dei suoi quarantacinque anni, prese l'abitudine di riempire il bicchiere di vino fino all'orlo per almeno tre volte durante i pasti, ricevendo oltraggi da parte del marito. Yoongi non capiva perché gli occhi della sua amata madre fossero sempre circondati da aloni scuri. Aveva solo sette anni.
Anno dopo anno, lei inizió a portare in camera delle siringhe, dicendo che si trattavano di medicine per un po' di debolezza causata dalla mezza età che si avvicinava. Per tutta la sua infanzia, Yoongi non riuscì a comprendere cosa fossero i tonfi che sentiva provenire dalla camera dei suoi genitori. Per lui, quella si trattava di pura e semplice normalità. Era soltanto un bambino, non poteva capire nulla.
Gli occhi di lei continuavano, con l'avanzata degli anni, a spegnersi, le sue dita si abituarono al vetro della siringa e sulle braccia esili cominciarono a comparire cicatrici circolari e rosse. Si grattava sempre le braccia e le coscie. Sul volto apparirono gradualmente sempre più rughe e punti rossi e i suoi occhi rimanevano gli occhi di un cadavere. Non sorrideva più, ma i marchi sul suo corpo peggioravano ogni singolo giorno che passava e i tonfi all'interno della sua camera si facevano sempre più rumorosi ogni notte. Suo padre inveiva su di lei, la prendeva per i capelli quando osava contraddirlo oppure semplicemente aprire bocca in momenti sbagliati. «vedi, figliolo, è così che si trattano le donne quando non rispettano noi uomini.» e Yoongi poteva solo abbassare la testa e continuare a vivere la sua infanzia da bambino ricco e felice. Tutto sommato, suo padre era un padre premuroso. Gli comprava sempre il gelato quando lo portava al parco e gli permetteva di accarezzare i cani dei vicini. Si impegnava nella sua istruzione e lo aiutava coi compiti, sorridendogli sempre. Yoongi aveva sempre ammirato suo padre, fino ai suoi tredici anni. A quell'etá si rese conto che i cambiamenti di sua madre non erano normali, che era costretta in quella casa solo a causa di problemi di denaro e che suo padre la picchiava a sangue ogni singola notte. Realizzó che la donna la quale gli prometteva di non abbandonarlo mai solo con un sorriso non riusciva più nemmeno a sorridere. Quando l'eroina le entrava nelle vene restava insensibile nella sua camera, come se fosse un cadavere, immobile sul letto. Una volta l'aveva sentita urlare, un urlo sconnesso e stridente mentre era ancora in quelle condizioni. Yoongi aveva spiato dalla serratura e aveva visto suo padre che la minacciava con un coltello puntato sulla carotide, poi non si ricordó più niente. Si rammendó solo un fiume di lacrime, quelle che aveva trattenuto per tutta la sua vita, e poi ricordò la voglia distruttiva di mettere fine ad ogni cosa. Iniziò ad odiare suo padre e a scoprire cosa nascondeva la casa in cui aveva sempre vissuto. La paura si presentava ogni volta che l'uomo osava sfiorarlo o appena i suoi occhi si posavano sui propri. Quell'uomo era un mostro, la corazza era la sola cosa che lo rendeva ancora un uomo. Ma non sono le fattezze che rendono umani gli esseri umani, non basta la pelle per determinare l'umanità di una persona. Yoongi era sempre stato un bambino con un'intelligenza fuori dal normale, aveva pochi amici che non sapevano nulla della vita che conduceva. A lui andava bene così.
Ogni volta che vedeva suo padre venir lodato dai colleghi provava una fitta e pensava a sua madre, che aveva dovuto lasciare il lavoro e abbandonare la sua vita per un essere ripugnante. In quel periodo, se solo lui avesse perso il lavoro, l'intera famiglia sarebbe finita sul lastrico. E non era l'unico che non poteva permettersi di sbagliare. Yoongi era sempre stato un alunno eccellente, ma un giorno dei suoi quattordici anni, quando aveva portato a casa un'insufficienza, suo padre avanzó le mani anche su di lui, piazzandogli un pugno in pieno viso. E fu quel giorno che inizió a vivere nel più profondo e abissale terrore. Ad ogni errore, suo padre non apriva la bocca, ma alzava le mani. Cosí anche sul suo corpo cominciarono a comparire lividi, seppur meno evidenti di quelli che presentava la pelle di sua madre. Lei non poteva denunciare nulla o l'avrebbe uccisa, lui gliel'aveva detto puntandole il coltello alla gola. Era una donna resa impotente da un uomo che non meritava di essere definito uomo. Yoongi si domandó fin troppe volte come si potesse fare questo alla propria famiglia, ad una madre e ad un figlio. Tramó il suo odio come una tela indistruttibile, pianse fino a morire per poi rinascere il mattino seguente. Inizió a ferirsi di sua spontanea volontà, al fine di provare una minima parte del dolore che riceveva sua madre. Almeno i segni che ricoprivano il suo corpo di donna sarebbero stati anche i propri. Poi non pianse più e si limitò a tagliare e tagliare la sua pelle ogni sera, fino a svenire. Se era privo di sensi, non sentiva i tonfi provenire dalla camera dei suoi. Il sangue che sgorgava lento dalle sue ferite lo rassicurava sul fatto che fosse ancora vivo e che riuscisse a sentire ancora dolore. A volte, desiderava non provare più niente. Una notte d'estate recise le vene verticalmente ed in profondità, guardó il soffitto e sentí il sangue sgorgare fuori dal suo corpo come la sua anima. Il giorno dopo si era ritrovato all'ospedale, con suo padre che lo guardava con una delusione e una rabbia profonda negli occhi. I giorni seguenti alla dimissione, Yoongi sopportó un tortura fatta di calci e pugni, ognuno proveniente dalle nocche e dagli stivali dell'uomo che avrebbe dovuto amarlo incondizionatamente. «non sei buono nemmeno a suicidarti.» aveva detto. «sei una delusione.» continuava all'infinito, fino a quando sua moglie non lo fermava e prendeva il posto del figlio. L'anima di Yoongi si scurì insieme alla vita di sua madre, per sola mano di suo padre. L'uomo che aveva sempre ammirato si era sgretolato ed era diventato un essere esecrabile e crudele. Il tempo era diventato un crogiolo di dolore, scandito dagli orologi sparsi tra quelle quattro mura tra le quali era germogliato l'inferno. Il legame malato e consumato di Yoongi con tutto ciò che lo circondava si fece sempre più flebile, fino a punto di recidersi del tutto. Aveva perso tutto a partire dalla sua nascita. Era stato condannato ad un circolo vizioso di angosce, sangue, tagli e traumi.
Una sera, -se la ricordava perfettamente-, aveva quindici anni e tante lacrime inaridite sparse sul cuscino e si ritrovarono tutti e tre a cena insieme. Sua madre si era riempita il quarto bicchiere di vino fino all'orlo e suo padre aveva sbattuto la mano sul tavolo con tutta la sua forza. Quando si arrabbiava, le sue vene cominciavano a pompare sulle tempie, la faccia diventava rossa, la mascella si induriva e i denti si digrignavano. Il volto di suo padre diventava il volto di un mostro, gli occhi di sua madre estrinsecavano una paura distruttiva e logorante. Yoongi guardó i suoi genitori, coloro che gli avevano donato sangue al posto dell'amore e che avevano reso la loro casa un raccapricciante castello delle torture. Quelle quattro mura impedivano ad ogni suono di uscire, vide solo suo padre scagliare la bottiglia di vino a terra e osservó quest'ultima frantumarsi sul pavimento della loro cucina accessoriata. Yoongi guardó il collo della bottiglia, al quale rimaneva un'estremitá affilata e, mentre il suo cervello attutiva le urla dell'uomo, aggrappó il vetro rotto e si avventó su di lui.
Aveva ucciso cosí suo padre. Il suo corpo inerme cadde a terra e il sangue si diradó dal suo fianco al pavimento come una macchia d'olio: veloce e letale. Una screziatura rossa e scintillante sulle mattonelle bianche della cucina. Ricordó che la mano gli tremava, ma che le dita erano strette alla bottiglia come se potesse infrangerla tra esse. L'arma di un peccato capitale stretta tra le dita di un ragazzo di appena quindici anni. L'estremità acuminata stillava sangue, il sangue del mostro che aveva ucciso lui e sua madre.
Suo padre giaceva accanto a lui, con i denti ancora stretti in un'espressione livida d'ira e la pelle diafana, com'era sempre stata. Gli assomigliava e odiava se stesso per questo. La donna pianse vedendo cadere il suo mondo, con la testa del figlio tra le mani. Yoongi non respirava, non trovava più l'aria tra le fiamme dell'inferno. Il suo corpo si abbandonò tra le braccia martoriate della madre e ci restó per tempo indefinito.
Quella stessa sera, aveva guardato per l'ultima volta sua madre che chiamava la polizia mentre faceva i bagagli e aveva pensato a quando lei gli sorrideva per rassicurarlo che non lo avrebbe mai abbandonato. Quella notte invece lei non sorrideva, perché non sapeva più farlo. Suo figlio non le avrebbe mai chiesto di restare tra le mura che l'avevano distrutta.
Yoongi rimase da solo, con la polizia che entrava in casa e le ginocchia sporche di sangue. Era rimasto lì, tra le grinfie della vita, e quella fu l'ultima volta che la vita lo guardó piangere.

Il processo giuridico lo aveva superato con la scusante della legittima difesa, aiutandosi col mostrare i traumi che sarebbero sempre rimasti impressi sui suoi polsi. Sul suo stomaco padroneggiavano marchi scuri, sulle sue braccia delle lievi cicatrici arrossate. Tutti lo guardavano negli occhi per capire, poiché era da lì che erano riusciti a comprendere che Yoongi era un ragazzino ormai morto. Fu affidato ad un ospedale psichiatrico e poi ai servizi sociali, ma fino a sedici anni non smise mai di autoinfliggersi dolore. I tagli lo riportavano da sua madre, il dolore era ormai un amico di famiglia che gli ricordava com'era stata la sua infanzia. Distrutta, recisa da un uomo immondo. Non si pentí mai di ciò che aveva fatto, ma il sangue e la parvenza del padre lo rincorsero ogni notte per anni interi. Quando entrò in una comunità di ragazzi come lui, smise di tagliare i suoi polsi, finalmente comprendendo che non c'era modo di riportare indietro nemmeno quella struggente parte di sua madre. Pensó ai suoi capelli e al suo sorriso per un'ultima volta, poi buttò tutte le sue fotografie. In quel momento, fece una promessa a se stesso. Si disse che non avrebbe mai dovuto fidarsi o innamorarsi di nessuno, si disse che avrebbe eccelso nella sua vita e che sarebbe diventato un uomo migliore di suo padre. In quel momento, cancelló la sua infanzia e staccó una parte di sé, risultando nel più completo anonimato. Si promise che tutto ciò che avrebbe fatto in futuro non avrebbe mai riguardato il suo passato. Si tinse i capelli di grigio, il colore della fiacchezza e dell'equilibrio, di chi guardava tutto da lontano.
Nel suo futuro, però, Yoongi si era reso conto di aver fallito ogni cosa.

La notte era caduta come una goccia di inchiostro nel cielo limpido, come succede sempre d'inverno. Jungkook aveva solo una coperta che divideva la sua schiena dall'erba rigogliosa e morbida del parco a circa tre kilometri dietro casa sua. Il vento faceva frusciare le foglie dei frassini, faggi e melie tutt'intorno alla zona per pic nic. Erano alberi latifoglie e d'estate permettevano di avere grandi zone d'ombra. Anche gli arbusti emettevano rumori delicati che rimbombavano nel silenzio apparente di quel parco. Poi, si sentivano gli schiamazzi delle persone rintanate in casa o nei ristoranti vicini, tutti che aspettavano la mezzanotte con impazienza per festeggiare. Invece Jungkook se ne stava disteso sulla coperta nera, la quale impediva al suo corpo di inumidirsi con l'erba smeraldo che scuriva sotto di essa. Le luci del suo quartiere erano fievoli, giuste per agevolare la vista e non troppo forti per accecarla. Nessuna luce elettrica, quindi, soffocava il cielo sopra di lui. Le stelle brillavano e scintillavano incastonate nel nero e nessuna nuvola le disturbava. Le stelle stavano sempre in silenzio, eppure l'uomo avrebbe potuto osservarle per mesi interi, meravigliandosi ogni notte per la loro innata bellezza. Ed anche Jungkook, in quel momento, restava in silenzio con loro. Il vento freddo gli perforò i tre strati di vestiti che portava, dunque si strinse ad uno degli spettacoli più belli al mondo, oltre alla volta celeste. Taehyung accanto a lui osservava il cielo in silenzio religioso, con i capelli che svolazzavano secondo la direzione dell'aria. Lui pensava e ripensava alla poesia che sua madre portava sempre in borsa e più se la immaginava, più voleva raccontarla a Jungkook. Lo sentí cingersi a lui, con le braccia che si aggrappavano alla sua felpa pesante. Lo stilista si voltò a guardare ciò che iniziava a scaldarlo sempre di più con il corpo. Jungkook aveva una mano stretta alla stoffa sul suo petto, il viso a pochi centimetri dal suo e gli occhi semichiusi. Il più grande si giró su un fianco e avvolse entrambe le braccia intorno al corpo di Jungkook. Sopra di loro, una coperta di stelle. Ciononostante, il paradiso per Taehyung non si trovava più aldilà di quei punti luminescenti, bensì risiedeva nel viso di Jungkook.
Erano lì, da soli, immersi nel buio e nel freddo, tuttavia i loro occhi e i loro corpi riuscivano a mischiarsi e parlarsi sotto ciò che entrambi chiamavano amore. Il fruscio e l'ululare del vento tra i rami li accompagnava ancora, Jungkook sentiva il calore delle braccia di Taehyung che cingevano il suo torso e le sue dita erano ancora strette alla felpa dello stilista. Entrambi indossavano i cappucci per proteggere le orecchie dall'aria gelida, i suoni erano attenuati dal cotone, la luce soffusa.

"La vuoi sentire una cosa importante?" Chiese Taehyung, appoggiando tutte e cinque le punte delle dita sulla guancia di Jungkook. Accarezzó col pollice la cicatrice che il ragazzo aveva sulla guancia e gli sorrise dolcemente. Il minore schiacciò il volto sul petto dello stilista, ritrovandosi completamente inondato dal suo odore. Quella volta, non indossava nessun profumo costoso che si mescolava al suo, era soltanto Taehyung con una felpa di due taglie più grande di lui. Jungkook annuí in maniera appena percettibile, avvertendo il palmo del più grande che gli carezzava la schiena delicatamente. Tutto ciò che voleva era pressato sul suo viso e tra le sue braccia. Ed era pazzesco come quel ragazzo stesse bene tra le sue braccia. Taehyung emise una risatina appena accennata ed infilò la mano nel cappuccio del minore, iniziando a passare le lunghe e secche dita tra i capelli neri. Ripensó a quella poesia, cercando di ricordarsi ogni parola, ogni sfumatura della voce, ogni virgola ed ogni punto, poi strinse leggermente i capelli del ragazzo appena si rammendó l'intonazione cantilenante che usava sempre sua madre. Gli occhi gli si fecero lucidi, Jungkook non poteva vederlo, ma le stelle che risiedevano pacifiche nel cielo ai i suoi occhi risultarono, in un attimo, opache e vuote. Spinse leggiadramente il volto del minore ancor più verso di sé e sentí ogni singolo particolare di lui sopra la stoffa. Reinizió a passare la mano tra i suoi capelli, percependo il suo respiro sulla felpa e il suo odore entrargli dentro e rimanere attanagliato alla sua anima. "Però adesso dovremmo sederci, in modo che te la dico." Spiegò Taehyung, con il tono calmo e pacifico simile alla neve quando si scioglie. Avvertí Jungkook stringere con forza le braccia attorno ai suoi fianchi e scuotere la testa alla maniera di un bambino. Neanche Taehyung voleva muoversi, ma doveva farlo.

"No, Tae, te la dico io una cosa importante." Sentí la stoffa della sua felpa vibrare al primo contatto con la voce sommessa e attutita di Jungkook. Lo stilista aggrottó le sopracciglia e sorrise involontariamente. Chissà se gli stava mancando l'aria in quella posizione. "Non voglio staccarmi da te per nessun motivo al mondo perché ti amo. Ti amo tanto, tanto, tanto." Quello era il suo primo amore, lo stringeva come se stesse cingendo un bicchiere di cristallo indistruttibile. Lo stringeva a sé come se si fosse trattato di un diamante bramato da chiunque, come per sottolineare che avrebbe fatto qualunque cosa pur di non perdere mai, per nulla al mondo, Taehyung.

"Okay, ho capito." Taehyung ritiró la mano dai suoi capelli e smise di stringerlo a sè. "Se non vuoi muoverti tu, lo farò io!" Esclamò, posizionandosi con uno scatto sopra il grembo di Jungkook e afferrandogli entrambe le braccia. Il minore aveva spalancato gli occhi, solo il tempo di pensare e si era ritrovato Taehyung sopra di lui, che lo osservava con un ghigno. Sentiva il calore del corpo dello stilista espandersi dal basso ventre alle coscie e per un attimo ripensó alla notte prima. Jungkook non arrossiva mai, ma i suoi occhi scintillarono appena le immagini nella sua mente si fecero più fervide. Taehyung discinto, la sua pelle color miele sulla sua, le sue labbra carnose e umide lungo il suo collo e la mano imperativa tra i suoi capelli. Si sentiva di nuovo in quel modo, col maggiore che stava avvicinando sempre di più il volto al suo. La sua figura si mescolava col cielo, ma Jungkook non fece a meno di pensare al fatto che guardare Taehyung era mille volte meglio di guardare le stelle. "Voglio recitarti una poesia, la mia preferita in assoluto. Era anche la preferita di mia madre." Sussurrò il ragazzo più grande, con il viso poco distante da quello di Jungkook. Nel frattempo, si frugò velocemente in tasca, afferrando il suo accendino. Anche se aveva finito le sigarette, poteva contare sempre sulla presenza di quest'ultimo. Jungkook restava disteso sotto di lui con un'espressione attonita in volto, si chiedeva quale pazzia delle sue aveva in mente lo stilista. "Non sono esattamente fiammiferi, ma andrà bene lo stesso." Taehyung impugnò il suo accendino, ricomponendo il suo bel viso in un'espressione nettamente seria. Jungkook gli scoccó un'occhiata lievemente preoccupata. Che ne capiva lui di poesia?

"Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte." Lo stilista inizió a parlare solennemente, ma con il suo tono normale, flemmatico ed euritmico. La sua voce sembrava essere stata creata per narrare storie e raccontare poesie. Jungkook si dimenticó del cielo saturo di stelle e si concentró su colui che aveva reinventato ogni cosa gli appartenesse, rendendo così il suo mondo degno di essere vissuto. Vide Taehyung accendere l'accendino proprio di fronte al suo volto. "Il primo per vederti tutto il viso." Disse, poi lo spense nuovamente. "Il secondo per vederti gli occhi." Fece riscattare l'accendino, illuminando gli occhi tondi e neri di Jungkook. Taehyung rimase senza fiato, le stelle poteva guardarle benissimo riflesse in quelle pupille. Jungkook afferró la mano libera dello stilista, stringendola. Non riusciva più ad inalare aria. Poi il maggiore rispense la fiamma. "l'ultimo per vedere la tua bocca." E la riaccese, quella minuscola luce per scrutare le labbra color ciliegia che aveva sempre amato. Infine, spense definitivamente l'accendino e sentenzió: "e tutto il buio per ricordarmi queste cose mentre ti stringo fra le braccia." Taehyung aveva finito di raccontare la sua poesia piena di parole, mentre Jungkook era rimasto completamente sprovvisto di esse. Teneva la bocca schiusa, gli occhi stupiti sui suoi e le sopracciglia che simulavano un ponte ripidissimo. Taehyung lo squadrava con un sorriso a labbra serrate, il più dolce che avesse mai visto. E che andassero a quel paese tutte le stelle e pure il cielo, lui voleva solo Taehyung. Allungó la mano verso il volto del maggiore, lo condusse tranquillamente verso il proprio e annulló la distanza fra le loro labbra. Quando Jungkook baciava Taehyung era meglio di qualsivoglia poesia, quando Taehyung baciava Jungkook era l'inizio di un'esplosione di parole mai dette, bensí sussurrate a labbra chiuse. Jungkook sorrise sulle labbra dello stilista mentre le baciava in modo confusionario e disordinato, tenendo il palmo ben saldo tra il collo e la mascella. Le estremità delle dita riuscivano a sfiorare la nuca di Taehyung, ricoperta di lisci capelli biondi cenere. Il parco era solo loro, il vento continuava a tirare facendosi libera strada sotto la stoffa dei loro vestiti e la mezzanotte si avvicinava. Mancava mezz'ora, niente di più, niente di meno. Taehyung aggrappò il cotone della felpa di Jungkook, passó la mano sotto di essa e gli cinse un fianco. Sentí Jungkook mugugnare sulle sue labbra, mentre il suo corpo veniva riempito di brividi appena la pelle nuda del fianco ebbe avuto contatto con la mano dello stilista. Jungkook staccó le labbra per primo, consapevole che erano in un parco al freddo, e Taehyung capí. Ritrasse la mano dal suo corpo e gli sorrise dolcemente.

"Grazie." Sussurrò il più piccolo, unendo nuovamente le loro mani insieme. Ormai conosceva a memoria quelle ruvide di Taehyung. Le dita erano così lunghe che quasi faceva fatica a stringerle tra le proprie, alcuni calli e ferite si raggruppavano sul dito medio, ovverosia quello che aveva un importante ruolo nel suo lavoro. Il palmo era secco e liscio, sembrava perennemente arido dal sudore e probabilmente era uno dei fattori più favorevoli, dato che impugnare una penna o una matita era parte fondamentale di ciò che faceva per vivere. Jungkook riusciva ad amare anche quei particolari insignificanti, era come se dentro di sé ospitasse una nebulosa di emozioni fortissime e contrastanti.

"Di cosa?" Chiese lo stilista, stendendosi di nuovo accanto al minore, sempre stando attento a tener unite le loro mani insieme. Jungkook diede un'occhiata veloce al cielo, sinceramente non sapendo cosa rispondere, e quella volta fu l'unica in cui riuscì a trovare una soluzione tra quelle stelle anonime ma bellissime.

"Per il modo in cui mi ami." Rispose semplicemente, facendo ricadere lo sguardo sul viso del ragazzo. La luce della luna lo rendeva sensuale e misterioso, come se quella parte di lui al giorno restasse celata e alla notte fosse più visibile di ogni altra cosa. Quel ragazzo nascondeva più sorprese che il cielo stesso. "Tutto ciò che fai per me, tutto ciò che mi dici... io amo ogni singolo particolare di te, Taehyung." Non era mai stato bravo con le parole, in quel caso, tutti i film che aveva visto si erano ripresentati come utili, ma Taehyung sembrava non essersene affatto accorto. Il suo sguardo sembrò farsi più avveduto, vigile su ogni sillaba sussurrata da Jungkook. "Sai cosa ne penso io delle stelle?" Il minore cambiò discorso, dirigendo gli occhi timidi al cielo. Il suo tono era cambiato, non era più grave, bensí si era fatto più acuto ed insicuro.

"Vieni qui." Taehyung stese un braccio verso la sua direzione, lo avvolse a sè con esso e gli fece appoggiare la testa sul suo petto. Entrambi avevano il volto rivolto verso il manto di stelle che in un quarto d'ora sarebbe stato disturbato dai fuochi d'artificio. Jungkook si ritrovó l'avambraccio dello stilista appoggiato sul ventre, quindi decise di allacciare la mano alla sua per l'ennesima volta. Amava quel gioco di tocchi che poteva permettersi ogni volta che stava con Taehyung, amava poter percepire pelle altrui a contatto con la sua, avvertire il suo calore e il suo profumo attraverso i vestiti e sincronizzare il proprio respiro al suo. Sentiva il cuore che batteva proprio sotto la sua schiena, non fu mai tanto felice di udire un battito cardiaco così forte. Insieme, distesi in quel prato silenzioso, guardavano le stelle. "Insomma, dimmi cosa ne pensi delle stelle." Taehyung riprese il discorso precedente, piazzando nuovamente le dita sui capelli di Jungkook, il quale rischiava seriamente di addormentarsi.

"Oh... sí, giusto! Fin da piccolo, ho sempre guardato tantissimi film con mio fratello. Una volta ne avevamo visto uno dove due innamorati andavano a vedere le stelle tutte le notti e io, di punto in bianco, gli dissi che le stelle erano le persone che non potevamo vedere, ma che comunque erano legate a noi in modo positivo." Jungkook sorrise, ricordando la risata sonora del fratello dopo avergli rivelato quella sua strana teoria. Taehyung non muoveva un dito, ascoltava in silenzio, osservando anche lui quella pista immensa di luci. "Per me sono coloro che abbiamo dimenticato nel corso della vita, tutte le persone che abbiamo conosciuto anche per un secondo che sono rimaste incastonate nel cielo e ci guidano verso nuove scelte. Come, per esempio, anche i defunti..." Jungkook abbassò notevolmente il tono di voce appena pronunciata quella frase, ma Taehyung sembrava non aver avuto nessuna particolare reazione.

"Mi piace la tua idea." Si limitó a dire, con una voce intraducibile. Tuttavia, le sue mani non smettevano di accarezzargli i capelli. Il maggiore fissò ancora un attimo il cielo notturno e poi lasció un timido bacio sulla testa di Jungkook. Semplicemente, gli andava di farlo. "Anche io ho sempre pensato che mia madre fosse lassù, da qualche parte, ad osservarmi." Sussurró, con la voce lievemente smorzata dalla malinconia incombente. "Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le stelle, esse si riflettono nei nostri occhi e più questi ultimi sono lucidi, più stelle possono contenere. Quando piangiamo, i nostri occhi diventano un mare di stelle, ci hai mai fatto caso? Beh, io sí. Ho sempre considerato piangere come un arricchimento, il risultato della gioia e del dolore, ovverosia le due cose principali che fanno crescere un essere umano. Dunque, più stelle contengono gli occhi di una persona, più quella persona ha sofferto ed è cresciuta interiormente. Mia madre diceva sempre che la sofferenza era sia un punto di fine, sia un punto d'esordio, bisognava solo saperla sfruttare. Perciò, vedo la tristezza come una sensazione persino più poetica della gioia." Taehyung parlava come se tutte quelle parole fossero state ferme e cementate nella sua mente per troppo tempo, come se tutto ciò in cui aveva sempre creduto avesse lasciato le briglie della sua testa e avesse ottenuto finalmente la spinta per uscire. "Lo so che é un concetto un po' forzato e surreale, ma la realtà la viviamo tutti i giorni, sarebbe noioso parlarne." Continuava ad accarezzare ogni ciocca corvina del minore accuratamente e tener strette le dita alle sue. Riusciva a sentire l'eco del suo battito cardiaco scontrarsi contro il suo palmo e la mano lievemente sudata tra la sua.

"Non è forzato, Tae. Tua madre si riflette nei tuoi occhi e ti guida in tutti i tuoi sforzi. È un concetto meraviglioso." Jungkook non fece in tempo a terminare la frase che entrambi furono sorpresi da degli spari secchi. Nel cielo cominciarono a diradarsi dei fuochi d'artificio verdi, con raggi che si confondevano con le stelle. Poi arrivó un arcobaleno di colori diversi ad illuminare la notte, Jungkook si girò verso il volto di Taehyung e vide il riflesso nei suoi occhi. A detta sua, lui aveva sofferto tantissimo. La sua vista rifletteva gran parte di quei barlumi nel cielo, osservarlo era come affacciarsi dalla finestra e guardare l'universo intero. Il ragazzo sorrise, per poi condurre lo sguardo fino al volto del minore, il quale aveva già le pupille appoggiate su di lui. Taehyung accompagnò il volto vicino al suo, facendolo scomodare da quella posizione, e lo bació. L'anno nuovo l'avevano iniziato insieme, mentre si baciavano nel buio della notte illuminata da millemila stelle e sfolgorii. Jungkook era poggiato con quasi tutta l'interezza del suo corpo sopra Taehyung e le braccia del maggiore lo stringevano a lui con una decisione mozzafiato. Jungkook aveva premuto una mano a terra per non praticare troppo peso su di lui e l'altra la teneva stretta e vagante tra i suoi capelli biondi. Gli sfavillii e i botti dei fuochi d'artificio gli facevano da sottofondo, il cielo era stato spogliato dei suoi segreti, gli occhi erano ormai chiusi e pieni d'amore. Le loro labbra frizionavano donando un'affabile frenesia ad entrambi e niente in quel momento avrebbe potuto fermarli. Le mani di Taehyung scivolavano lungo la schiena di Jungkook coperta da ben due felpe sovrapposte e percepivano il tepore del suo corpo infervorare sulla pelle. Il bacio era lento, con le labbra che non avevano fretta e i cuori che acceleravano gradualmente. Tutte le azioni calme facevano ricordare a Jungkook il modo di parlare di Taehyung, ogni volta che lo baciava era come se mimasse sulle sue labbra lemmi intimi e sillabe bisbigliate. Gli schiocchi del bacio venivano attutiti dagli spari, le loro anime si congiungevano e i loro pensieri fluivano nella stessa direzione. Rallentarono altrettanto il movimento fino a distanziare le loro labbra, le quali però non facevano a meno di sfiorarsi. Le loro fronti si toccavano, i colori dei loro capelli si mescolavano.

"Buon anno nuovo, Jungkookie." Gli disse Taehyung, con voce sommessa e spirata. Le sue mani non lasciarono il suo corpo per un secondo.

"Buon anno nuovo, Tae." Sussurrò Jungkook, spostandogli una ciocca di capelli dagli occhi solo per affacciarsi ancora una volta sul suo porto di stelle.

Era scattata la terza notte del capodanno lunare.

Yoongi aveva aspettato la fine del countdown davanti al suo specchio, da solo. Casa sua era buia e fredda, non accendeva il camino da giorni, così come i riscaldamenti. Non gli era rimasto più nulla da scaldare, il suo corpo era arido come un deserto roccioso perennemente assolato, la sua pelle bianca come la neve rischiava di cadere in pezzi e sciogliersi nel suo medesimo deserto. I suoi occhi erano opachi e la loro luce sembrava smorzata, la pelle del viso era esangue, la vasca accanto a lui ancora piena di acqua intiepidita dal tempo che aveva passato immerso in essa. Aveva ripensato alle sue parole, alla stanza dove era stato confinato in un periodo della sua adolescenza e anche allo stesso specchio che era presente in quella camera d'ospedale. Dopo l'uccisione di suo padre aveva passato due anni in un ricovero con degli psicologi che lo seguivano nella riabilitazione, gli avevano vietato l'utilizzo di ogni tipo di oggetto tagliente e pochissime comunicazioni con l'esterno della struttura. In quella stanza c'era uno specchio e Yoongi una notte avrebbe voluto tanto rivedere sua madre. Si ricordó di aver impugnato una lampada e di aver frantumato quel vetro con tutta la forza che aveva, al fine di servirsi dei frammenti affilati per recidersi per l'ennesima volta i polsi. Avrebbe voluto raggiungere sua madre e quel dolore era l'unica cosa che gliela faceva sentire in maniera tanto brutale e dirompente. Immaginava i suoi capelli tra le sue dita quando era ancora un bambino inconsapevole e le sue labbra che sorridevano. Osservò l'immagine nel suo specchio e per un attimo lo rivide, quel bambino dagli occhi curiosi e i capelli neri fumo. Era sempre stato pallido come suo padre, aveva sempre portato con sé una voce profonda come la sua, ma quell'uomo non aveva niente a che fare con lui. Ricordò che quella notte all'ospedale era stata la più tranquilla della sua vita, niente tonfi o colpi provenienti dalle altre stanze e il bruciore terribile delle ferite gli faceva desiderare di non essere mai nato. E la mattina dopo si era ritrovato ancora nel suo letto, ma le lenzuola erano state pulite dai dottori e i tubi nel suo braccio lo rassicuravano sul fatto che era ancora vivo, che aveva perso di nuovo nel suo campo di battaglia, ma che era rimasto in piedi. Lui non aveva parole sulle quali rimuginare, sua madre non gli aveva mai detto nulla di rassicurante e di suo padre gli erano rimasti solo ferite e ricordi rivoltanti. Lui era rimasto solo in un mondo che lo spazzava via come il vento fa con le foglie in autunno. Lui si sentiva come l'autunno, qualcosa che distrugge tutto, che scarnifica gli alberi e fa ascoltare la morte delle foglie nell'aria che raggela ai primi sintomi dell'inverno. Proprio come nel prato dietro casa di Jimin. Tutto ciò che contava in lui era stato distrutto, le credenze che tutti professavano non gli appartenevano, l'amore non esisteva. Altrimenti come farebbe un padre a picchiare il proprio figlio e la propria moglie? Come farebbe un padre a portare la morte all'interno di una casa? Durante la vita era impossibile costruire qualcosa di duraturo, se lo ripeteva ogni giorno dentro quell'ospedale e subito dopo esserne uscito. La vita spazza sempre via tutto, lo aveva sperimentato sul suo corpo, coi lividi, i tagli e le ferite. E lui aveva distrutto Jimin per la sua inutile promessa. Una promessa che lo rendeva solo una marionetta che giocava con i suoi medesimi fili in una vita costruita interamente di cartapesta. Si era detto che niente riguardante il suo passato avrebbe più influito sul suo futuro, ma fino a quel momento si rese conto di aver vissuto in una bugia, nel mezzo di una vita miserabile e vuota. Si era reso conto che l'amore esisteva e che germogliava anche in un'anima logorata come la sua, si era reso conto che tutti gli alberi morti che si era sentito dentro avevano ancora speranza di rinascere. Forse stava sbagliando, forse con Jimin non aveva davvero più speranze, ma se solo avesse iniziato a vivere la vita che voleva, forse il suo passato sarebbe sfumato. L'aveva vissuto come una ruota tutti i giorni del suo presente, anche se cercava di nascondersi sotto braccialetti e sotto una maschera. Jimin glielo aveva chiesto chi fosse lui in realtà, ma Yoongi non aveva saputo rispondere. Il se stesso che conosceva era morto insieme a suo padre e volatilizzato nella notte insieme a sua madre.
Lui, la figura che a tutti appariva fredda ed autoritaria, restava rintanato nel suo bagno, dinanzi al suo specchio cercando di capire chi fosse. Pensò che era lontano soltanto dieci centimetri dalla morte, avrebbe benissimo potuto imitare il gesto che aveva già fatto all'ospedale, ma non voleva farlo. Solo quella volizione di vivere la sua vita come voleva si occupó di salvarlo, e per una volta, Yoongi non si sentí debole. Decise di infrangere la sua promessa di non fidarsi di nessuno, decise di impegnare il suo cuore a credere in ciò che nella sua vita era stato sempre incorniciato con la violenza e di continuare a combattere per la sua vita. Ci fu un momento nella vita di Yoongi in cui dopo tanto tempo sentí di avere una scelta. Fu la prima volta che, senza paura, scelse di fare la cosa giusta dopo una montagna di decisioni sbagliate.
Fu con quella forza che lasciò solo il suo riflesso allo specchio per l'ultima volta.

La notte avanzava, Taehyung guidava verso casa guardando i palazzi brillanti di Seoul. Avrebbe voluto far visitare casa sua a Jungkook, ma prima l'avrebbe dovuta pulire da cima a fondo, quindi ci aveva rinunciato. Era felice di aver passato una serata intera con il ragazzo che amava e credeva fosse anche l'unico che ascoltava con piacere tutte le teorie che gli frullavano in testa. L'aveva sognato quel momento più di ogni altra cosa: avere Jungkook tra le sue braccia e parlargli di cose che circumnavigavano la sua testa e il loro piccolo mondo. Taehyung aveva sempre avuto tante di quelle idee represse nel suo cervello che quasi non se le ricordava più, ma vedere Jungkook tanto interessato a scoprirle lo rendeva felice di ogni cosa. Anche l'erba che cresceva ai lati della strada gli sembrava assumere un non so che di poetico, quasi gli pareva che da qualunque spaccatura potesse crescere qualcosa di vivente. Ed era cosí estremamente artefatto come concetto che se lo tolse immediatamente dalla testa come se soffiasse su una piuma. I palazzi di vetro riflettevano i fuochi d'artificio sempre più esagerati e variopinti come lampi in un cielo nero indisturbato. In lontananza si potevano vedere i monoliti di appartamenti, anch'essi maestosamente alti e imponenti. Le persone camminavano per le strade vestite di tutto punto, i ragazzi erano pronti per una nottata in un qualunque club selvaggio alla fine di qualche strada di quella enorme megalopoli. Un trio particolarmente bello solcò la strada con indifferenza tale che lo sguardo di Taehyung non potè focalizzarsi quei tre. Era composto da una ragazza dai capelli biondi platino, ricci, molto tendenti al cotonato, sciolti e ribelli. Il colore dei suoi occhi era alterato da due lenti di un azzurro slavato e le labbra risultavano carnose, colorate di un rosso vivo ed opaco. Quella ragazza camminava fiera avvolta nel suo succinto completo nero, composto da un pantaloncino per valorizzare le gambe snelle e lunghe e un top non troppo scollato, ma che lasciava poco da immaginare sul corpo da capogiro che si ritrovava. I tacchi alti sembravano crepare il marciapiede ogni volta che lo sfioravano appena e i due ragazzi dietro di lei davano l'idea di essere due dei suoi succubi sottoposti. Entrambi erano circa dieci centimetri più alti di lei ed avevano lo stesso sguardo serio e l'atteggiamento orgoglioso della ragazza. L'unica cosa che li differenziava leggermente era il colore dei capelli, uno era biondo e l'altro castano, e la forma del viso, il biondo sembrava avere dei tratti più scavati, invece il moro aveva un viso più arrotondato. Taehyung sorpassò quei tre con la sensazione di aver già visto quella ragazza da qualche parte, ma non riuscì a ricordarsi né dove né quando. Continuó per la sua strada senza pensare ad altro che a Jungkook, non erano riflessioni profonde o importanti, anzi, si limitava ad almanaccare su dove fissare il loro prossimo appuntamento, oppure dove portarlo a cena (sicuramente senza clienti). Voleva farlo sentire suo; amato, come aveva detto lui stesso. Erano questi i pensieri che passavano per la testa ad un Taehyung che quasi tremava dalla gioia. Toccava il cielo, ma non un dito, no. Lui il cielo lo abbracciava con l'intero corpo, lui aveva fatto del cielo il suo amante. La felicità che provava non poteva essere definita con il semplice ritratto di un dito che sfiorava la volta celeste, essa era più simile a qualcosa che lo faceva adagiare in un letto di stelle e risvegliare poggiato in una nuvola illuminata dal giorno. Taehyung non toccava il cielo con il dito, Taehyung il cielo lo aveva in pugno.
Giunse davanti a casa sua con il cuore alla gola senza nemmeno comprenderne il motivo e scese dalla sua auto dopo averla posizionata nel garage. Per arrivare alla porta di ingresso, camminó lungo un sentiero di mattonelle da esterno grigie con alcune venature bianche che le rendevano naturali e affiancò la piscina azzurra, la quale faceva specchiare le stelle pur essendo illuminata da luci tutt'intorno i lati. Riconobbe il bianco caratteristico delle pareti esterne della sua abitazione e le colonne che sorreggevano vari balconi affacciati sul giardino. Tutto era curato nei minimi dettagli, gli alberi potati a regola d'arte, le siepi lungo i camminamenti perfettamente squadrate e i faretti che la illuminavano interamente dal basso conferivano un'aria totalmente moderna, anche se la casa elargiva un tocco elegante e vintage. Nulla sembrava in disordine, era semplicemente la sua casa. Si approcciò alla porta, mentre cercava di trovare le chiavi in tasca, le avvicinó alla serratura e si rese conto che non aveva serrato la porta prima di partire. Oppure lo aveva fatto? Si straní appena si accorse che la soglia era già aperta e una brutta sensazione gli salí allo stomaco. Taehyung, insieme alle sue fisse poetiche, era sempre stato un po' paranoico, nonostante il suo timbro di voce molto quieto e pacato. Scrisse a Yoongi che non viveva lontano da lì, solo questione di nove o dieci minuti di strada. Sapeva che sicuramente gli avrebbe risposto in tempo reale. Lo stilista lo conosceva fin troppo bene ed era sempre sicuro che il ragazzo gli avrebbe sempre risposto ad ogni ora del giorno e della notte.

Yoongi, scusa l'ora, ma la mia serratura é stata forzata stanotte. Ricordo benissimo di averla chiusa a chiave prima di essere partito, ma l'ho trovata aperta. Ho paura che ci sia qualcuno in casa. Potresti venire da me? In caso contrario, ci berremo qualcosa insieme per festeggiare.

Ripose il telefono, il vento si fece più freddo e più forte, inspiegabilmente la serenità che aveva provato quella seria era scivolata via come acqua sulla pelle ed erano rimasto solo un coagulo di nervi e brividi. E se qualcuno lo avesse derubato entrando nel suo appartamento? Non aveva mai pensato di assumere una domestica, ma in quel momento se ne pentí come se fosse stata la cosa peggiore che avesse mai fatto in vita sua. Era indeciso sul fatto di entrare o meno prima che fosse arrivato Yoongi, ma poi trovó il coraggio per farlo. Accese la luce il più in fretta possibile e restó in un silenzio religioso, osservando attentamente intorno a lui. Il foyer era in ordine, esattamente come lo aveva lasciato. Le pareti color crema erano pulite, non c'erano segni o vestigi che potevano far sospettare che qualcuno fosse irrotto all'interno dell'appartamento. La lampada era al suo posto sopra un mobile a cassettiera, la sua pianta areca svettava ancora indisturbata dal vaso di ceramica nera. Il cuscino sul divano di legno scuro sembrava appena stirato, così come il tappeto decorato beige che giaceva in pace sul parquet marrone nocciola. Taehyung mosse un passo, ma sotto il suo piede un asse di quel parquet cigoló facendolo saltare sul posto. Una sensazione sempre più inquietante gli attanaglió lo stomaco mentre cercava di liberare la mente e pensare positivo. Si avventó verso il mobile di legno davanti a lui e aprí l'ultimo cassetto. Era in quel luogo che teneva dei soldi da parte. Nel caso di rapina, i ladri avrebbero sicuramente portato via il denaro. Frugó nel suo scrigno di legno e, come pensava, non trovó i suoi soldi. Non si immaginava nemmeno lontanamente che dall'altra stanza una figura vestita di nero avanzava scaltramente verso di lui.

"Cercavi questi?" Taehyung sentí il sangue raggelare nelle vene, il suo cuore fermarsi e le sue mani fremere. Alzó la testa di scatto e nella stanza era apparsa una donna vestita interamente di nero, con una maschera di pizzo sugli occhi. Indossava un cappuccio, da esso si liberavano lunghi capelli corvini. In una mano stringeva una mazzetta di won. I suoi occhi sembravano anch'essi fatti di pizzo, tanto erano spenti e caliginosi. Nell'altra mano stringeva una pistola. Taehyung spalancó gli occhi, rimanendo immobile davanti a quella ragazza armata. "Andiamo, alzati e solleva le mani in modo che possa vederle." La sua voce era vellutata, femminile ed imperativa. Taehyung se la sentì nelle orecchie e poi la percepì fredda sul petto, come se lo stesse pugnalando con una lama costituita da ghiaccio. Non aveva mai provato tanto terrore in vita sua. I suoi muscoli erano atrofizzati, la sua mente non faceva altro che avere pensieri ripugnanti. Si alzó lentamente in piedi, alzando le braccia e fissando la donna con i denti digrignati. La postura della ragazza era così rilassata che faceva paura, sembrava fosse abituata a puntare la pistola addosso alle persone. I suoi occhi erano sorprendentemente freddi, morti. Quella ragazza sapeva uccidere, Taehyung non aveva dubbi. Lei sorrise in modo sbilenco e forzato, le guance le diventarono leggermente rosse e il labbro superiore quasi scoparí. Muoveva il polso fluentemente con la pistola ancora tra la mano, sembrava quasi annoiata da quella situazione. "Oh, signor Kim Taehyung, piacere di conoscerla." Disse, con un tono che, a differenza dell'atteggiamento, trasudava eccitazione. Taehyung deglutì e non rispose, speró che Yoongi entrasse con discrezione. Non voleva morire. Non voleva morire. "Ohi, potresti anche rispondermi, sai? Ignorare le domande è da maleducati!" Esclamó, alzando gradualmente il tono della voce. Taehyung indietreggió senza fiatare, con il cuore che aveva ceduto per la paura e la mente che non elaborava più nemmeno i pensieri. Vide la ragazza fare tre passi verso di lui, con l'arma stretta tra le dita candide e lunghe. A Taehyung non rimase che dire le sue ultime parole. Pregó che quella ragazza non premesse il grilletto, pregó che fosse tutto un sogno. Un incubo. I brividi gli percuotevano la schiena come mai avevano fatto, il tremore alle braccia lo colpì come un fulmine e le gambe quasi gli cedettero sotto il peso della paura. "Ho capito..." sussurró lei, avanzando ancora verso di lui. Il suo sorriso indisposto non si scollava dal suo viso, i suoi occhi non brillarono nemmeno per un secondo. Ora Taehyung aveva la pistola a soli cinque centimetri dal petto. "Tu sei una di quelle superstar che trattano male tutti! Brutto stronzo! Capisco perché lei ti odiava! Ma..." la ragazza gli accarezzó una guancia con finta dolcezza. "... sei molto più bello di persona. Eppure, ho il dovere di ucciderti. Che peccato!" Si allontanó nuovamente da lui, come se avesse paura di una reazione da parte sua. Taehyung era pietrificato. Tutto il suo corpo sembrava essersi trasformato in cristallo già predisposto a cadere e frantumarsi al suolo. La pistola non spostava il mirino dal suo corpo e il suo sangue sembrava esser diventato ghiaccio. Sudava freddo, chi lo voleva morto? Chi avrebbe solo potuto pensare ad una cosa del genere? Non gli rimaneva che piangere. "E, comunque, tanto per la cronaca, la sto portando così alla lunga perché, cazzo, quando mai mi ricapita di avere la possibilità di uccidere uno importante come te?" E rise, distogliendo lo sguardo dallo stilista e fissando un punto indefinito del foyer. Taehyung osservó la lampada sopra il mobile accanto a lui e pensó di afferrarla per difendersi. "Se solo ti muovi, non pensare che io abbia pietà e ti faccia dire le tue ultime parole." Taehyung a quelle parole abbandonó ogni speranza che non fosse quella di morire. "Bene, allora, quali sono? Sei uno stilista di grande fama, vedi di renderle originali." Gracchiò lei in un tono freddo ed annoiato. Taehyung chiuse gli occhi, con la mente che formulava solo parole frammentate, con i muscoli che si slacciavano dalle ossa e i piedi che parevano reggere fin troppo peso. Lo stilista stava per parlare, ma a bloccarlo ci fu una figura nera che si inoltrava nella stanza in assoluto silenzio. La ragazza affinó lo sguardo, Taehyung rivolse gli occhi verso la parte opposta per distrarla. Nella sua mente ora compariva solo un nome: «Yoongi
Le mani gli tremavano, che avrebbe potuto fare? E se fosse morto anche lui solo nel vano tentativo di salvarlo? Vide la figura avventarsi sulla ragazza, poi un colpo di pistola riempirgli le orecchie. La sua vista cominció ad appannarsi, le figure davanti a lui si confusero e tutto ciò che gli stava intorno divenne silente. Il corpo non rispondeva più al cervello, le mani si diressero sul suo fianco destro in un moto automatico, avvertendo così il tessuto della felpa umido di sangue. Un dolore improvviso gli percosse l'intero corpo, le lacrime scesero dai suoi occhi, la testa battè contro il pavimento. Poi non vide né percepì più nulla che non fosse il buio e il freddo. Immaginó di stare per avere tutti quei pensieri nobili e profondi che solcavano la mente dei personaggi dei suoi libri nel momento della fine, ma non riuscì a nemmeno a mettere in ordine le lettere. Le sue mani tremavano sulla ferita che bruciava sul fianco, il sangue sgorgava e lasciava il suo corpo e le gambe si atrofizzavano gradualmente fino alla più assoluta immobilità. Piangeva perché le ultime parole che avrebbe voluto esalare erano bianche come le lenzuola di Jungkook. Non voleva morire.

Yoongi lasció Sunmi correre via nella notte, piegandosi sul corpo di Taehyung esangue. La luce della stanza incombeva su di loro come un angelo sterile, il suono del silenzio e l'eco dello sparo gli faceva fischiare le orecchie, il volto di Taehyung era calmo, come se la morte si fosse già infiltrata in lui. Yoongi si tolse la giacca del completo nero senza pensare un minimo e la premette sulla ferita. Le sue ginocchia erano di nuovo immerse nel sangue, il tappeto era già impregnato di esso. Il suo petto sussultava, il suo respiro smorzato era un suono che, purtroppo, Taehyung non poteva sentire. Gli afferró una mano abbandonata in balia della sofferenza e la sentí fredda e sudata sulla sua pallida e venosa. Gliela strinse, consapevole che colui che aveva sempre ammirato non poteva più percepire il suo tocco. Yoongi strinse i denti, sperando di sentire le sirene dell'ambulanza che si avvicinava. Accarezzó il volto di Taehyung, la sua pelle color miele sembrava esser scivolata via per far spazio ad un grigio cagionevole. Era ancora liscio, il volto illibato del ragazzo che gli aveva sempre concesso una vita da vivere. Solo in quel momento si rendeva conto che non aveva perso solamente una parte della sua esistenza, aveva anche perso tutto il tempo che avrebbe potuto passare con Taehyung. Aveva gettato nel vuoto tutto, senza pensare che quel tutto sarebbe potuto finire. Poggió la testa sul petto di Taehyung e non riuscì a sentire nessuna reazione. Fu in quel momento che una lacrima solcó il suo volto. "Mi dispiace." Sussurró. "Mi dispiace di non aver impedito tutto questo, Taehyung." Un'altra lacrima gli brució la pelle diafana della guancia. "Non ti ho mai detto che ti volevo bene o che apprezzavo tutto ciò che facevi per me. Non ti ho mai detto grazie quando ti preoccupavi di come stavo... ho sempre sottovalutato ogni cosa e adesso è troppo tardi per chiedere scusa." Yoongi aveva perso tutto di nuovo, mentre stringeva la mano di quello che avrebbe potuto essere stato il suo migliore amico.

"Signore, per favore, si sposti. Qui ce ne occupiamo noi."






okay, prima che io cominci a ricevere varie e originali minacce di morte da parte vostra, approfitto della fine di questa -concedetemi il termine- "ciofeca de capitolo" per comunicarvi una cosa carina (?)
Giacché questa FanFiction sta lentamente giungendo al suo termine, sto già preparando una nuova storia (*cheers*) da condividere con voi prossimamente. Ovviamente, sarà un AU! molto intenso, forse anche più di questo che ho trattato in Velvet&Silk. Diciamo che mi servirà molta organizzazione pratica delle informazioni per un motivo ben preciso che vi comunicherò appena avrò le idee un po' più chiare. Per ora, posso dirvi soltanto che sarà ambientata in un tempo non troppo passato e che sono i miei anni storici preferiti in assoluto. Ho scelto proprio questa ambientazione perché mia nonna è vissuta in quegli anni e posso facilmente assimilare informazioni importanti da lei, oltre che da internet. Stay Tuned!

Inoltre, volevo ringraziarvi di nuovo per tutto l'affetto che mi date, dei voti e dei commenti. Non dico che le stelline o le visualizzazioni siano la cosa più importante per me, visto che non mi sono mai curata dei "numeri" che raggiungeva questa ff a livello di classifiche, però ora sento il dovere di ringraziarvi per avermi fatto raggiungere traguardi che non mi sarei mai immaginata prima. L'importante ragazz* è che la storia vi abbia coinvolto fino a questo punto, nonostante la sua immane lunghezza. Sono davvero felice dei commenti che alcuni di voi mi hanno lasciato e sono altrettanto contenta di aver saputo aiutare con la scrittura alcune persone che me lo hanno chiesto durante questo percorso. Insomma, non smetterò mai di ringraziarvi perché sento sempre il bisogno di farlo e mi dispiace non averlo fatto adeguatamente prima. È solo grazie a voi se ho ancora la motivazione giusta per fare ciò che mi piace e non dico tutto ciò perché é lecito farlo, bensì perché lo sento io stessa in prima persona. Insomma, anche se queste parole non vi sembreranno un granché, sappiate che per me è importantissimo vedere che le persone riescono in qualche modo a lasciare un posto nel loro cuore per questa storia. Davvero, credo che quest'ultima sia una delle cose che mi rende più fiera di ciò che ho scritto fino adesso.
Grazie per l'attenzione💕

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