Come la pece

By lettrice_incognita

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Teen drama. "Trovai il coraggio di alzare gli occhi nei suoi. Erano neri come la pece e profondi come un pozz... More

1. La ragazza della porta accanto
2. Quando le tende sono inutili
3. Salvami
5. Insonnia
6. Nessuno da cercare
7. Dubbi
8. Rosso Malpelo
9. False accuse
10. Il primo indizio
11. 72h in un solo giorno
12. Cosa mi succede?
13. Sepolte nella cenere
14. E... se fosse lui?
15. Algebra e pancake
16. Illegale
17. Cedimenti
18. Grigliate e salotti
19. Rotture
20. Vecchio giocattolo
21. Notti tormentate
22. Pozzanghere
23. Amleto
24. Chicago
25. Mc
26. Romeo e Giulietta pt.1
26. Romeo e Giulietta pt.2
27. Pool party
28. Così per sempre
29. Litigi e notti stellate
30. Ti prego, Wendy
31. Verità a galla
32. Boschi e grigliate
33. Alzarsi e sorridere
34. Hale
35. Rabbia, autocommiserazione, rabbia, isolamento
36. Riappacificamenti
37. La partita
38. Adrenaline in my veins
39. Toga e tocco blu
40. Prom
41. This girl is on fire
42. The end

4. Dov'è andato?

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By lettrice_incognita

Dopotutto la festa era andata bene, tralasciando quello che mi era successo in cortile. Lisa era una delle poche persone a sapermi tirare su il morale quando non riuscivo a farlo da sola e probabilmente era per questo che la consideravo la mia migliore amica. Ovviamente era una che ti sapeva anche ascoltare e consigliare, a modo suo. Obiettivamente, però, era permalosa. Riuscivo ad  avere una pazienza allucinante e a piantare una bandiera bianca anche nei litigi altrui. Probabilmente tutto ciò era dovuto all'educazione che mi avevano dato i miei genitori, ma essere così mi aveva sempre fatto sentire bene.

O forse era semplicemente questione di carattere.

Mi alzai fino a sedermi e appoggiai la schiena ai cuscini. Mi ero appena svegliata e non mi ero ancora alzata dal letto. Presi il cellulare dal comodino e accesi la connessione. Feci scorrere la bacheca di Instagram, prima di alzarmi e rifare il letto.

Continuavo a pensare a quello che mi era successo la sera precedente. Sentivo un fastidioso bruciore dove le sue mani avevano toccato la mia pelle e fui immediatamente travolta da un senso di nausea. Cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Aiden?

Una lacrima scivolò dall'angolo del mio occhio ed ebbi la maledetta tentazione di guardare fuori dalla finestra.

La finestra di Aiden era spalancata, ma non vedevo se lui era all'interno della stanza. Mi voltai, decidendo che fosse meglio non farsi notare anche se le tende erano tirate. Mi aveva fatto ben capire di non gradire la mia presenza e io avevo deciso di non disturbarlo più. Volevo essere solo una vicina gentile e fargli sapere che se aveva bisogno di qualcosa poteva rivolgersi a me, ma a lui non importava, come non era importato a sua madre.

Mi chiedevo se quella persona così altezzosa e monotona lo avesse rimproverato per come si era fatto conciare. Io volevo semplicemente ringraziarlo per avermi difesa, ma a lui non interessava nemmeno questo. E poi, come aveva detto lui: l'ha fatto perché doveva.

Volevo assolutamente capire se si fosse fatto almeno qualche amico, ma i ragazzi del mio gruppo non ne parlavano mai. Lisa non ne aveva parlato molto, come faceva quando conosceva per la prima volta una nuova persona. Lei sapeva sempre tutto di tutti e lo dimostrava con i pettegolezzi che grugniva tra un like ed un altro.

Aprii la porta ed uscii fuori dalla mia camera. Le scale erano invase da un profumo delizioso di cioccolato e zucchero a velo. Quel profumo invadeva la nostra casa ogni sabato mattina. Era l'unico giorno in cui mia madre non lavorava di mattina e così ne approfittava per riempirci di pancake.

Quando arrivai in cucina, trovai mia madre con il cellulare in una mano e una tazza di caffè nell'altra.

- Buongiorno - la salutai dolcemente, sedendomi a tavola. Mio padre era già uscito per andare a lavoro e lei aveva già passato qualche ora da sola.

- Buongiorno, lì ci sono i pancake ancora caldi - mi informò, indicando un piatto bianco al centro del tavolo. Al suo interno vi erano impilati tre o quattro fette di pancake. Me ne misi due nel piatto e le cosparsi di cioccolato e granella di nocciole, come facevo sempre.

- Vuoi il succo? - mi chiese alzando gli occhi dal cellulare. - Sì, lo prendo io -.

Mi alzai e presi il succo dal frigo e un bicchiere di vetro.

- Com'è stata la festa ieri sera? -.

Mi sedetti a tavola con i miei pancake e il mio succo davanti, e lei lasciò stare la bacheca di Facebook per ascoltarmi.

- Bene, ci siamo divertiti -. Tagliai un pezzetto di pancake con la forchetta e me lo portai alla bocca. - Dylan non ha bevuto, vero? -.

- No, mamma, tranquilla - sospirai con un sorriso che servì poco a celare tutta la mia esasperazione.

- Perché non vai ad aiutare Jennifer a pulire, adesso? Le farà piacere sicuramente - propose, bevendo il caffè dalla sua tazza. Mi scrutò attentamente con quegli occhi da cerbiatta, contornati da qualche piccola ruga, e aspettò con pazienza una mia risposta.

Ci pensai un attimo e poi scelsi di andare. Jennifer non sembrava una cattiva ragazza e con quella scusa avrei potuto conoscerla meglio. Finito di fare colazione, la chiamai per avvertirla del mio arrivo e feci una doccia al volo. Indossai un jeans e una T-shirt a maniche lunghe grigia e uscii di casa.

Dieci minuti dopo ero già a casa sua. I suoi genitori non erano ancora rientrati e si vedeva.

- Ho iniziato alle sette, stamattina - sbuffò, raccogliendo dei bicchieri rossi di plastica da terra e gettandoli in un sacco nero.

- Per questo sono qui - le dissi, iniziando a togliere i tappeti per portarli fuori. Erano pieni di briciole, patatine e salatini. Ancora non avevo visto vomito da nessuna parte, fortunatamente.

Uscii dal grande portone, cercando di non perdere l'equilibrio con quei tre grandi tappeti fra le braccia. Pesavano un quintale quei cosi.

Il sole era alto in cielo e i raggi erano davvero molto caldi a quell'ora del giorno. Vidi sfrecciare due auto della polizia oltre il cancello degli Hamilton. Poi sistemai i tappeti in modo da poterli sbattere e tornai dentro. Jennifer aveva raccolto tutti i bicchieri e stava passando un piccolo aspirapolvere portatile sul tessuto elegante e costoso dei divani.

- Dov'è l'aspirapolvere? - chiesi cortese - Quello normale, intendo -. Non avevo nemmeno avuto bisogno di urlare per farmi sentire: quell'aggeggio non faceva alcun rumore.

- C'è uno stanzino in cucina, è lì -.

Feci per dirigermi in cucina, ma mi bloccò.

- Wendy... - sospirò, spegnendo l'aspirapolvere e mettendosi in posizione eretta - Mi dispiace -.

La guardai confusa, non capendo cosa centrasse lei con quello che era successo la sera precedente.

- Ti riferisci a ieri sera? -.

Annuì, abbassando lo sguardo. - Tu non centri nulla, Jen - la rassicurai, facendo un passo verso di lei.

- Non era mai successa una cosa del genere per le mie feste, al massimo una stupida lite tra amici - continuò con aria colpevole.

- Può capitare, tranquilla. Ah! -.

Alzò gli occhi su di me al suono di quell'esclamazione.

- Dovresti dire ai tuoi di mettere una maniglia fuori - le consigliai ridacchiando. Le sue spalle si rilassarono e sul suo viso comparve un sorriso rasserenato.

***

Portai le mani alle spalline dello zainetto, continuando a camminare verso casa. Alla fine Jennifer mi aveva invitato a restare a pranzo da lei e avevo accettato. Mi piaceva conoscere nuova gente e lei non mi sembrava niente male. Mi aveva raccontato che era quasi sempre sola perché i suoi lavoravano spesso fuori città e sua sorella maggiore, Carrie, passava molto tempo fuori casa. Così le avevo detto che quando voleva poteva venire da me.

Erano appena passate le tre del pomeriggio quando giunsi nelle vicinanze di casa mia. Vidi due auto della polizia parcheggiate lì vicino e accelerai il passo. Aprii il cancelletto ed entrai nel piccolo giardino.

- Mamma? - chiamai dopo aver aperto la porta.

Entrai in salotto e la vidi seduta con una tazza di caffè in mano. - Perché ci sono le auto della polizia qui fuori? -.

Mi esaminò attentamente, per poi allungarsi a posare la tazza sul tavolino di legno. Restai immobile davanti a lei, con lo zainetto sulle spalle. Era successo qualcosa? Dov'era mio padre? Gli era successo qualcosa?

- Li hanno chiamati i Sanders - mi spiegò.

I Sanders abitavano nella villetta alla nostra sinistra. Erano una famiglia dolcissima. Marito, moglie e due figli maschi. Uno dei due era un anno più grande di me, Stephen. Con loro viveva anche la signora Amy, la vecchietta più saggia e dolce che conoscessi. Mi trattava come se fossi stata la nipote femmina che non aveva mai avuto.

- Perché? Cosa è successo? - chiesi preoccupata e incuriosita allo stesso tempo. Mi feci scivolare lo zainetto dalle spalle e mi sedetti sulla poltrona.

- Steph non è rientrato a casa ieri sera. Non risponde al telefono e nessuno dei suoi amici sa dove sia - sganciò la bomba.

Schiusi le labbra, che tremolavano per il terrore.

Le richiusi, deglutendo a fatica. - Be'... - balbettai - Può anche essere una fuga da adolescenti, qualcosa del genere... -.

Mia madre sospirò, guardando fuori la finestra.

- Lo spero -.

***

- Non posso crederci... - mormorò Lisa, sconvolta.

- Neanch'io. Insomma, ieri sera sembrava tranquillo alla festa -.

- Pomeriggio devi lavorare? -.

- No, domani mattina -.

- Allora vengo da te, okay? - propose.

- Ti aspetto -. Riattaccai e lanciai il telefono sul materasso. Era sdraiata sul letto di pancia, con il libro di letteratura sotto gli occhi. Avevo già studiato un po' quel pomeriggio, ma continuavo a distrarmi per un motivo o un altro. Mi mancavano le ultime quattro pagine per finire e non impiegai molto a studiarle. Nel weekend mi portavo sempre avanti con i compiti per la settimana.

Chiusi il libro dopo aver finito. Lisa non era ancora arrivata, ritardataria com'era, così ne approfittai per sistemare un po' la stanza.

Mi soffermai davanti la finestra. Quella di controllare che Aiden fosse nella sua camera era diventata un'abitudine mal sana. Avevo paura che le mie tende fossero troppo leggere e avevo iniziato a cambiarmi in bagno. Avevo anche chiesto a mia madre di cambiare le tende, ma quando aveva iniziato a fare domande scomode avevo lasciato perdere.

In realtà non sapevo mai se lui era lì, tranne quando lasciava le finestre aperte. Doveva essere uno che amava l'aria e quella volta che mi aveva beccata era appoggiato al davanzale per respirare aria fresca. Quella era l'unica cosa che sapevo su di lui.

***

Il caos che infestava la scuola quel lunedì era indescrivibile. A metà giornata erano arrivati dei giornalisti, che se ne stavano là piazzati nell'attesa di intervistare qualcuno. Alcuni dicevano anche che sarebbe arrivata la polizia per interrogare gli alunni.

Nessuno stava attento alle lezioni. Nessuno parlava d'altro. Tutti avevano in bocca la scomparsa di Stephen Sanders, avvistato per l'ultima volta nella villa degli Hamilton quel venerdì sera.

- Questa cosa mi terrorizza - confessò Lisa, riponendo il rossetto nella tasca dello zaino. La guardai dal riflesso dello specchio, con un'espressione a dir poco corrucciata. Questa storia iniziava a preoccupare anche a me. Se fosse stata una semplice fuga da adolescente, doveva essere già tornato, no? Be', in realtà non lo sapevo. Non mi era mai passata per la testa una cosa del genere.

- Pensi che lo troveranno? - mi chiese, voltandosi. Sospirai e mi appoggiai al lavandino con la schiena. - Lo spero. I Sanders sono stati in piedi tutta la notte, suppongo. E anche sabato -.

La campanella suonò. Era l'ultima ora di lezione e dopo quella mattinata infernale non vedevo l'ora di uscire e tornare a casa.

- Dobbiamo andare in classe - proruppe la bionda, aprendo la porta per uscire.

- Oggi pomeriggio lavoro, se ti va passa - le proposi, prima di dirigermi in classe senza aspettare una sua risposta.

La seconda campanella suonò quando oltrepassai la porta dell'aula di letteratura. La maggior parte dei miei compagni aveva già preso posto.

Setacciai la classe in cerca di un posto libero ed ebbi un tuffo al cuore quando i miei occhi trovarono quel rosso così particolare. Non si era accorto di me, fortunatamente. A questo punto poteva considerarmi una stalker.

- Jones, che ne dici di sederti? - proruppe il professore ad alta voce. Sussultai per la paura, immersa nel mio mondo com'ero in quel momento. Non mi ero nemmeno accorta che fosse entrato e che io ero ancora in piedi.

Sentii il viso in fiamme e il cuore palpitare nella gabbia toracica per la vergogna. Tutti mi stavano fissando divertiti. Camminai svelta a testa bassa verso l'unico banco rimasto libero e mi morsi la lingua per il nervosismo.

Aiden Evans era seduto indifferente alla mia destra. Non mostrava un minimo interesse nemmeno per la lezione appena iniziata, continuando a scrivere qualcosa su un foglio bianco che aveva davanti. Quella sua indifferenza, per me, era un treno diretto per l'inferno. Era l'unica persona che dimostrava palesemente di non voler parlarmi e ciò mi frustava. Mi faceva sentire sbagliata, in difetto.

Non voleva nemmeno i miei stupidi ringraziamenti. Lo guardai di sfuggita e notai che l'occhio gli si era sgonfiato e sullo zigomo era rimasta solo un'ombra violacea. Sul labbro inferiore era comparsa una crosta in seguito al taglio. Guardare le sue ferite mi faceva sentire tremendamente in colpa.

Non prenderla sul personale, aveva detto, ma io non potevo fare a meno di pensare a quanto avesse rischiato per colpa mia. Probabilmente non l'avrebbe nemmeno fatto, se avesse saputo che in quel cortile c'ero io.

Passai tutta l'ora a fissare il professore senza riuscire a capire nemmeno una parola di quello che diceva. Aiden mi distraeva in un modo o nell'altro.

Al suono della campanella scappai letteralmente da quella classe. Era stato il lunedì più lunedì di sempre.

Sentii un braccio circondarmi le spalle e mi voltai per vedere chi fosse. - Pomeriggio passiamo a prenderci un frullato - annunciò Bryan.

Josh mi aveva affiancato a sinistra, camminando con le mani nelle tasche dei jeans, silenzioso come sempre.

- Okay, a dopo - li salutai con il solito sorriso gentile, prima di incamminarmi verso casa. Volevo sbrigarmi e arrivare prima di Aiden, per non doverlo avere davanti gli occhi lungo tutto il tragitto. Se lui preferiva evitarmi, allora lo avrei assecondato. Avevo già provato abbastanza ad essergli amica.

Quasi urlai per la frustrazione quando lo vidi tre metri più in là, con lo zaino in spalla e la sua solita aria misteriosa. Avevo i nervi a fior di pelle e mi ritrovai a levare gli occhi al cielo e mordermi la lingua contemporaneamente.

Cinque minuti dopo lui era davanti il suo cancelletto, pronto ad entrare. Le sue parole mi avevano fatto male quel venerdì. Cosa gli costava essere educato con qualcuno che lo stava ringraziando?

Lo superai a passo svelto, sperando che una volta a casa mia madre avrebbe avuto notizie di Steph.

Spazio autrice

Ragazzuoleeee!!!

Vi sono mancata? Voi sì, mi mancate sempre!

COSA PENSATE SIA SUCCESSO A STEPHEN? 😱

Non vedo l'ora di farvi leggere altro, ma nel frattempo ditemi!😻

Ho deciso che aggiornerò ogni mercoledì e sabato (o almeno lo spero😁).

Xx

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