♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vk...

By bisdrucciola

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"Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le ste... More

✤ P R O L O G O ✤
family is where life begins and love never ends.
you'll regret someday if you don't do your best now.
kill 'em with success, bury 'em with a smile.
don't ever run backwards.
never work just for money or for power.
you can be the moon and still be jealous of the stars.
and then you came into my life.
i'm jealous. wanna know why? because we started as 'just friends' too.
love is both: how you become a person, and why.
can i be your lei-tsu?
i like people who shake other people up & make em feel uncomfortable.
heavy hearts don't have to drown.
kiss me until i forget the thought of somebody else near your lips.
you became one of my stories.
the tip of my finger is tracing your figure.
we're too young and immature to give up, you idiot.
i just want you to talk to me. tell me how you feel. about life. just talk.
i want you. all of you. on me. under me. tasting me. wanting me.
it hurts too good to say no.
the more i learn about you, the more i like you.
to die would be less painful.
do you think the universe fights for souls to be together?
life is not about hiding, life is about living.
there's nothing wrong with you.
i am desperately craving your lips.
a sea of whiskey couldn't intoxicate me as much as a drop of you.
i hope you can see me for what i am and continue to love me the same.
i've been holding back for the fear that you might change you mind.
i tried so hard to not fall for you, but then our eyes locked and it was over.
my heart's your home, no matter where you are, u'll always have a place to stay.
all my mistakes are drowning me, i'm trying to make it better piece by piece.
perhaps it's better this way.
he's stuck inside my brain so much that he can call my head "home".
tell me pretty lies, tell me that you love me, even if it's fake.
how can i look at you and feel so much happiness and sadness all at once?
i've hella feelings for you, but i'm so fucking scared.
you spread warmth and inspire my life, just like the sun does.
lips so good i forget my name.
one of the hardest battles we fight is between what we know and what we feel.
he dreams more often than he sleeps.
mommy, daddy, don't you know? You lost your daughter years ago.
ça ne casse pas trois pattes à un canard
i wanna feel you in my veins.
as humans we ruin everything we touch, including each other.
I just wish i could lose this feeling as fast as i lost you.
look at your cuts. each one is a battle with yourself that you lost.
in the end, we'll all become stories.
And he dreamed of paradise every time he closed his eyes.
un piccolo regalo...
you're burning inside of me and i'm still alive in you.

i think i need you, and that's so hard to say.

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By bisdrucciola


Jimin ritornó a casa alle sei e mezza di quella stessa sera. Il suo appuntamento era a mezzanotte davanti al Nyam Nyam e non aveva la benché minima idea di cosa fare. L'ansia cominciava a farsi sentire e conviverci per ancora cinque ore era come stare sotto tortura. Doveva ancora decidere cosa mangiare, come vestirsi, se truccarsi o meno e, cosa fondamentale, doveva evitare di pensare a Yoongi. A priori. Già iniziavano ad arrivargli piccoli input nel cervello che gli immettevano delle fantasie irrealizzabili, immaginari che avrebbe dovuto schivare. Immaginó che, quella sera, al posto di Sunmi ci fosse lui e fantasticò su vari modi con i quali quella notte poteva svolgersi. La cosa evidente che fece vergognare Jimin, però, fu proprio il fatto che le sue fantasticherie terminavano tutte allo stesso modo. Lui con le labbra sulle sue, la pelle dell'uno e dell'altro che frizionavano e il calore di entrambi che li avvolgeva in un solo brillante fuoco. Scosse la testa all'improvviso, appena il suono del campanello echeggiò nel silenzio e si diresse verso la porta. «Chi diavolo sarà a quest'ora?» Si chiese il biondo, il quale inevitabilmente non voleva visite quella sera. Aprí la porta e notò con piacere che chi aveva suonato era solo la sua storica vicina di casa. Tutte le mattine quella signora di ottantasette anni suonati portava fuori il suo cagnolino, alle sei e mezza, ogni giorno. Sul suo campanello non c'era segnato nessun nome e nessun cognome e, quando le si chiedeva come si chiamasse, lei rispondeva con una sonora risata che gli corrucciava tutte le rughe del volto e poi affermava che non se lo ricordava. Jimin l'aveva sempre trovata una vecchietta adorabile, gli faceva tenerezza e non era il solo a pensarlo. Chiunque nel suo isolato la conosceva e molti si erano arresi a chiederle quale fosse il suo vero nome, tutti la chiamavano Signora Yeppeun (la pronuncia era Yuppun), che significava letteralmente Signora Amabile. Si divertiva ad invitare i suoi vicinati a casa sua a prendere un té e raccontare delle storie sul suo passato. Era veramente una persona bellissima, lo dicevano tutti, persino Jungkook l'aveva conosciuta e lei aveva subito complimentato i suoi grandi occhi neri da bambino. Jimin, inoltre, era uno dei suoi vicini preferiti e quella sera il biondo se l'era ritrovata di fronte alla porta di casa sua, con un grande sorriso, intenta a reggere una teglia di alluminio che bastava per sfamare un esercito intero.

"Buonasera Signora Yuppeun, che ci fa qui fuori a quest'ora?" Quella sorridente anziana era talmente più bassa del biondo che quest'ultimo si dovette chinare un po' per raggiungere il suo livello.

"Oh, caro! Ho sentito che sei molto felice questa sera, quindi ho cucinato un po' di kimchi. Era il piatto preferito di mio marito!" Esclamò la donna con la voce rauca, rovinata dalla vecchiaia. Gli porse la teglia con molta grazia e gli sistemò la giacca in un punto in cui era stropicciata. Purtroppo, la Signora Yeppeun non aveva mai avuto figli, poichè suo marito era deceduto in giovane età durante la guerra di Corea. Quella storia, che la raccontasse o meno, era riservata solo ai vicinati più stretti, proprio come lo era Jimin. Non gliela aveva nemmeno raccontata tutta, solo qualche accenno. Il biondo tenne la teglia in mano e poi si chiese come diavolo avesse fatto quell'anziana signora a sapere che fosse piuttosto agitato quella sera.

"Oh, grazie mille per essersi disturbata per una cosa del genere! Ne sono davvero contento, grazie." Ed era la verità. Grazie alla premura della signora, ora aveva qualcosa di buono da mangiare prima del suo appuntamento con Sunmi. Pochi secondi dopo, la vide allontanarsi e la fermò immediatamente. Di certo non voleva lasciarla cenare tutta da sola. "Signora Yeppeun, lei è la benvenuta dopo questo regalo, sono certo ce n'è abbastanza per entrambi." E i suoi occhi indicarono la teglia di Kimchi. La signora gli sorrise e si sistemò i capelli ricci e bianchi, lunghi fino a poco più giù delle orecchie.

"Grazie dell'invito." Jimin aprì di più la porta per facilitare l'entrata della donna assieme alla sua stampella di metallo e poi la richiuse dietro di loro.

"Allora? Che mi racconta?" Chiese Jimin in tono allegro, mentre preparava a tavola. Guardò l'ora e fortunatamente si accorse che l'orario era ancora precoce per prepararsi. La signora, solitamente, andava a letto molto presto e dunque, secondo i suoi calcoli, sarebbe senza dubbio riuscito a fare tutto.

"Niente di che." Poi ebbe un lampo improvviso. "Ah già, mia nipote mi ha detto che adesso ho un uomo tedesco che mi corteggia, veramente bello, dovresti vederlo." Disse lei.

"Come un tedesco?" Domandò Jimin, confuso, appoggiando il kimchi al centro della tavola e facendo sedere la donna nella sedia davanti alla sua.

"Sì, dice anche che a volte mi nasconde delle cose o me le fa dimenticare. Assurdo, eh?" Chiese la signora tutta contenta e finalmente Jimin capì cosa intendesse.

"Ah, lei intende l'Alzheimer!" Esclamò, sorpreso, Non poteva mica dirle che le dispiaceva, quindi si limitò a stare al gioco.

"Ma come? Lo conosci anche tu?" E la vecchietta prese un boccone del suo Kimchi. "Caspita, che uomo popolare!" Commentò poi.

Jimin cercò di trattenere le risate e si limitò ad annuire, dicendo, "Sì, proprio un grande uomo, Alzheimer."

"E invece per te c'è qualche nuova conquista alle porte? Un ragazzo così bello e dolce deve avere moltissime pretendenti." Disse lei, mangiando un'altro boccone. "Scusa, potresti ripetermi il tuo nome, caro?"

"Park Jimin." Le sorrise, mentre si portava le bacchette alla bocca. "E sì, ho conosciuto una ragazza e stasera sarà il nostro secondo appuntamento." Rivelò.

"Oh, che meraviglia! Bisogna festeggiare! E lei ti piace?" Gli chiese tutta eccitata, con gli occhi grigi che le brillavano.

"Sì, lei mi piace, però..." Jimin esitò, aveva bisogno di parlarne, un bisogno vitale, e dal momento che la signora aveva il suo amico tedesco, se lo sarebbe scordato sicuramente anche prima di uscire dalla casa. "C'è un'altra persona che mi interessa davvero, davvero tanto." Confessò.

"Oh, caro, e chi sarebbe questa persona?" Gli chiese lei, un po' preoccupata data la connotazione malinconica che aveva assunto la voce di Jimin.

"In realtà, è un ragazzo." Vide il volto della vecchietta confondersi un attimo e poi tornare rugoso e luminoso.

"Oh, allora tu sei il più adatto a sentire la storia mia e di mio marito!" Esclamò la vecchietta, più raggiante che mai. "Perché non l'hai detto subito!" Lo riprese giocosamente. "Quando ero un po' più giovane di te, forse sui sedici anni, l'importanza di una persona risiedeva nella famiglia." Iniziò la storia di un passato che sembrava lontano anni luce, ma che in realtà era più vicino di quanto ci si aspettasse. "Tutti coloro che incontravo, adulti, mi ripetevano "mi raccomando, onora la tua famiglia" E quando andavo a comperare il pane al mercato "mi raccomando, onora la tua famiglia" E quando andavo a raccogliere la legna "mi raccomando, onora la tua famiglia". Ma nessuno di loro sapeva che io mi ero invaghita del fornaio. Ventiquattro anni di pura beltà, braccia forti, bel sorriso." Sorprendentemente, ricordava ogni singolo dettaglio di quell'episodio accaduto anni e anni prima. Jimin aveva sentito che questo era l'effetto dell'alzheimer e non commentò fino alla fine del racconto. "Insomma, i gusti delle ragazze non sono cambiati nel tempo. Non ricordo quanti mesi passarono, ma un giorno di quelli mi disse che anche lui  ricambiava il mio sentimento e sai cosa aggiunse? "Mi raccomando, metti sempre te stessa al primo posto" E in quel momento me ne innamorai come quando desideri l'acqua alla fine di una lunga camminata. Cammini, cammini, ti stanchi, ti sbucci le ginocchia e il desiderio dell'acqua si infervora sempre più, fino a che alla fine non la raggiungi e ti godi l'acqua più buona della tua vita." Jimin, attonito, ascoltava la Signora Yeppeun e si sbalordì per quella similitudine. Lui voleva Yoongi come quell'acqua. "Il problema era che quella differenza d'età, a quel tempo, avrebbe fatto scandalo e avrebbe, inevitabilmente, portato disonore alla mia famiglia. Tutto quello che mi avevano insegnato a casa, al mercato e mentre raccoglievo la legna era andato in fumo con quel ragazzo. Feci la mia scelta, rifiutai la mia famiglia, ci sposammo e insieme andammo a vivere in una casa in una cittadina a Nord, proprio appena la guerra di Corea ebbe inizio. Lui si arruolò nell'esercito e dopo tre lunghi anni di attesa con poche lettere, mi arrivò un telegramma. Era deceduto in guerra, onorando lui stesso il suo paese." E terminò il suo racconto, con un sorriso più dolce sul volto. Prese tra la sua mano rugosa e callosa quella di Jimin e gli disse delle parole che solo una saggezza del genere potevano contestare. "Quindi, Jimin, metti sempre te stesso al primo posto, non ascoltare ciò che viene dall'esterno. Questo è un mondo opportunistico, spregevole e comunque colmo di meraviglie. Ascolta sempre la tua mente e il tuo cuore come ho fatto io a quel tempo e avrai la vita più ricca che tu possa desiderare, anche non avendo un singolo Won in tasca. E semmai dovesse capitare un disaccordo tra le due parti, pensa bene alla soluzione che ti fa tremare di più il petto." Jimin la vide, per un attimo, come la figura materna che non aveva mai avuto. Sentiva un senso di consapevolezza, di condivisione, di complicità che aveva provato poche volte in vita sua.

"La ringrazio moltissimo, Signora Yeppeun." Disse sinceramente Jimin, per poi tirarsi su dalla sua sedia e aiutare l'allegra vecchietta ad alzarsi dalla sua. Come già sapeva, lei andava a letto molto molto presto. La accompagnò verso l'uscio e la salutò, agitando la mano. "Ah, e le consiglio di star lontana da Alzheimer, la notte scorsa l'ho visto rientrare a casa con un'altra ragazza." Le disse in modo figurativo.

"Oh! Ma davvero? Quel birbaccione di un tedesco!" Esclamò la donna, ridendo e incamminandosi verso la casa accanto. "Buona fortuna con il tuo ragazzo e... la tua ragazza." Gli disse, per poi sparire dietro l'angolo.

Jimin chiuse la porta e inalò un gran sospiro. A quel punto due immagini presero il completo sopravvento della sua mente, lasciandolo vagare da solo per i sentieri tortuosi della sua stessa testa. Cominciò a sentire una musica muta, un silenzioso ritmo e si figurò in testa un posto buio, illuminato solamente da luci colorate. La parvenza di Sunmi davanti a lui lo travolse: i capelli neri e ribelli che ricadevano disordinati lungo le spalle, la sensualità dei suoi fianchi, il suo corpo esile attaccato al suo e gli occhi neri e spenti puntati su di lui. Una sembianza selvaggia, indomabile, quasi eversiva. I colori vividi, la musica silente e gli odori forti di quel fermo immagine trasportarono Jimin a figurarsi un'altra persona, la quale irruppe violenta tra i suoi pensieri. Questo ricordo prese la forma di una vecchia fotografia in bianco e nero, fredda, rovinata, dai contorni guastati e scoloriti. Ed ecco la sensazione di cui parlava la signora Yeppeun, un fremito gli colse il petto appena gli si parò davanti il corpo magro e slanciato di colui che non riusciva a scollarsi dalla testa. L'unico i quali occhi di ghiaccio, pur essendo scuri come l'inferno, riuscivano a pietrificarlo, la quale voce lo intimidiva, lo accendeva e lo soddisfava, il quale corpo e la carne lo compiacevano e appagavano in un modo estraneo, alieno a tutto il resto. Una frenesia particolare che confondeva con l'euforia, anche se alla fine facevano male come lance, trapassarono il suo corpo da parte a parte. Ripose in un cassetto immaginario quella figura così avvenente e ritornò sulla terra, compiendo, nonostante le parole dell'anziana signora, la scelta sbagliata. Si spruzzò il profumo più costoso che possedeva, si vestì con firme famose, tra le quali c'era una giacca di V's, e si guardò allo specchio. Si piaceva, ma qualche millilitro di fondotinta non gli avrebbe fatto male, e poi quei capelli necessitavano di essere lievemente arricciati. Prese il ferro e se lo passo su delle ciocche, per poi applicarci sopra della lacca giusto per non farli rovinare durante la serata. Guardò l'orario per la milionesima volta ed era assolutamente ora di andare. Mancavano solo tre quarti a mezzanotte, nemmeno Cenerentola era puntuale quanto Jimin.

Raggruppò tutte le cose più importanti in una tasca, poi si fermò e si diresse verso camera sua. Aprì il cassetto del comodino e afferrò un preservativo, anche se dubitava che l'aria si sarebbe scaldata così tanto quella sera. Fu finalmente pronto per uscire di casa, quindi entrò in macchina e la fece partire. Ci voleva circa mezz'ora per raggiungere il Nyam Nyam da casa sua, ma era perfettamente in orario, dunque non si preoccupò della tempistica. Fece sempre le stesse strade che risvegliavano in lui tutti i ricordi della prima sera con Yoongi, ma decise di reprimere quella strana sensazione al petto che provava ogni volta che ci pensava. Arrivò nel tempo prefissato e parcheggiò l'auto con molta calma. Non era troppo nervoso, sapeva che sarebbe finita bene. Era sicuro di piacere a Sunmi, ma non era certo che a lui piacesse lei. Si buttò comunque, uscendo dalla macchina con decisione e percorrendo la stessa stradina privata in modo da arrivare nella via malvista della discoteca.

Camminò tranquillamente tra i soliti ragazzi ubriachi, tra i drogati di ero, come dicevano loro nel loro alternativo glossario, di coca, di maria e di meta. Storse il naso alla vista di quindicenni che si facevano delle canne davanti a tutti, mentre ci provavano con un gruppo di ragazze messe peggio di loro. Si domandó che razza di genitori avessero, poi passó avanti, ove i raggi di luce colorata incontravano il cielo e ove la situazione di persone tossicomani aumentava. Si posizionò davanti alla porta di ingresso per aspettare Sunmi, tirò fuori il cellulare e controllò qualche notifica fino a quando una ragazza sui diciannove anni non gli diede uno strattone al braccio.

"Ehy..." Fece, con la voce impastata dall'alcol e rauca dal fumo. "Sei carino..." E gli rise in faccia, stringendosi anche di più a lui. "Ce l'hai un po' di roba?" Gli chiese, avvicinando la bocca che puzzava di vodka alla sua. Jimin rimase immobile e schifato dalle condizioni in cui era quella ragazza. Aveva la minigonna strappata, il top tirato su tanto da far intravedere il seno e la biancheria intima che si poteva immaginare dai vestiti, se così si potevano chiamare. Jimin non le rispose, aspettando che lo lasciasse in pace. "Eddai, guarda che li ho i soldi." Gli assicuró lei con un sorriso sbilenco, contraddistinto dal rossetto sbaffato.

"Senti, non ho niente, ora vattene." Fece Jimin, con la tentazione di andare a prendere la macchina e portare a casa quella poveretta. Cercò di staccarla da sé con molta delicatezza e finta indifferenza, ma lei non demordeva. Si avvinghiò di nuovo a lui con più forza.

"Ohi, ti faccio un pompino, guarda che dicono che sono brava a farli." Suggerì lei al suo orecchio, mettendogli una mano sui pantaloni. Alcuni ragazzi, a quelle parole, si girarono verso di lei come predatori che avevano intercettato una preda.

«Oh Signore Gesù.» Imprecò Jimin tra sé e sé, cercando di allontanare la ragazza che coi tacchi era anche più alta di lui. Riuscì a staccarla di un po', ma questa non voleva proprio arrendersi.

"Ehy, ehy," Strilló una voce che Jimin ricordava molto bene. Maledí quella ragazza e già fu convinto che il suo appuntamento fosse andato a rotoli. "Che stai facendo, puttana?!" Urló Sunmi, dandole una spinta decisa e facendola cadere a terra con violenza. "Vai a trovare la droga da qualche altra parte, pagandola, magari." Le gridó contro, poi si ricompose e con un gran sorriso salutó Jimin. "'Sera, Jimin!"

"'Sera Sunmi..." Rispose il biondo, mettendo le mani in tasca, imbarazzato. "Senti quella mi si è avvinghiata addosso e non riuscivo a scansarla e..." Fu subito interrotto.

"Lo so, Jimin, so come funziona qui." Lo rassicurò Sunmi, mentre la ragazza ubriaca gli stava strillando contro parole in Satoori così sbiascicate che Jimin non riuscì a capire. Poi, la vide iniziare a vomitare e lì si giró completamente verso la ragazza dai capelli corvini che aveva di fronte. «Possibile che ogni volta che vengo qui devo vedere una persona vomitare?!» Si chiese, incredulo e un po' scosso. Rivolse lo sguardo completamente a Sunmi e notò che indossava dei pantaloncini corti, delle calze nere velate, un top stretto di cotone nero con le spalline sottili, delle scarpe dalla suola rossa... «Aspetta, suola rossa? Christian Louboutin? Yves Saint Lauren?» Si chiese Jimin, interrogativo. Fare la cameriera e permettersi scarpe del genere era impossibile, si disse, decisamente turbato. Lasció perdere e si rassicurò sul fatto che ancora non la conosceva tanto bene da essere abile di indagare tra le sue finanze. Inoltre, si era truccata in modo molto più pesante della volta precedente. Jimin non era mai stato uno di quei ragazzi che ripetevano "le donne sono meglio senza trucco" come mantra di vita, poiché era consapevole che le ragazze si truccavano per piacere a se stesse o per una loro passione personale. Pensava di meritare un Nobel solo per aver capito questa piccola cosa sulle donne. Eppure, quella volta stette in silenzio su quell'argomento. "Che facciamo con lei? La portiamo a casa?" Propose, riguardando la ragazza ancora in ginocchio a terra, la quale rischiava di perdere i sensi con un gruppo di ragazzi che la osservavano ambiguamente.

"Stai scherzando? Pensi che si ricordi addirittura dove sta di casa? Quella è una prostituta, mica scherzavo quando le ho dato della puttana." Il volto di Sunmi si era incupito, qualcosa nei suoi aveva cominciato a brillare d'irrequietezza e Jimin ne fu per un frangente intimidito.

"Sicura che non sia pericoloso lasciarla lì in quel modo?" Domandó il biondo, incerto.

"Ha scelto lei di fare quella vita, deve accettarne le conseguenze." Esordì Sunmi, con una durezza nella voce che avrebbe fatto invidia a Yoongi. "Entriamo, dai, non preoccuparti per lei." Addolcì un po' il tono. "Tra un'oretta arriverà un'ambulanza e la porteranno in ospedale, finisce sempre così." Ora il suo tono si era acquietato ed era ritornata la sua voce velata. Jimin si rincuoró e avvolse il braccio intorno ai fianchi della ragazza, scortandola all'interno.

"Andiamo, allora." Disse Jimin, alzando le spalle e sorridendo.

"Sei un ragazzo dolce." Osservó lei, con un dolce sorrisetto che faceva increspare all'insù le labbra rosse e carnose sul volto magro.

"E tu sei una ragazza intraprendente." Le rispose Jimin, entrando nel locale e sentendo già la musica rimbombargli nel petto. Sunmi indicó il bancone scuro ed illuminato dalla striscia blu di luce a led e Jimin annuì, stavolta senza fare più caso alla quantità ingente di persone che saltava e ondeggiava sulla pista da ballo. Si sedettero sulle loro sedie alte e si guardarono negli occhi per un po'.

"Questo giro lo pago io." Fece Jimin, deciso, dopo un po'.

"Oh no, tu hai pagato per me ieri, oggi ti ho invitato io e pago io." Rispose lei, sembrava irremovibile. "Tutti i giri che ti pare." Aggiunse poi, chiamando il barista con un dito.

"Facci un Vodka Lemon e un..." Fece guizzare gli occhi neri e spenti verso Jimin, affinché le dicesse cosa voleva ordinare.

"Angelo azzurro." Disse Jimin, grattandosi la nuca. Non l'aveva mai preso, ma dal nome gli sembrava invitante.

"Mi raccomando Eunji, falli forti." E gli fece un occhiolino fugace, ottenendo un sorrisetto dal barista che, a occhio e croce, aveva circa una trentina d'anni. Allora, pensò il ragazzo, era vero che aveva molti amici lí dentro. "Mh, allora avevi detto la verità riguardo alle conoscenze qui dentro." Disse, giusto per iniziare una conversazione.

Notò che Sunmi si era irrigidita per un istante, ma poi gli sorrise con un lato della bocca. "Sai, sono una persona socievole, ma con te sono stata solo fortunata." Si chiuse nelle spalle.

"Ma come siamo sdolcinati." Rise Jimin, al quale piaceva fare un po' il tipo stronzo, a volte. "Anche per me non è stato male." E alzó le sopracciglia, ostentando indifferenza.

"Sei carino quanto menti." Osservó lei. "Con questo voglio dire che fai schifo a mentire, ma che sei tenero quando lo fai." Si corresse poi.

"Quindi sono carino quando faccio schifo." Jimin rise di nuovo. "Non è molto conveniente, ma tu sei bellissima quando dici la verità." Confidó Jimin, mostrando uno dei suoi sorrisi più belli.

"Mh, questa mi è piaciuta." Il barista gli poggió i drink di fronte. "Direi... che sei sull'otto e mezzo." Valutó la ragazza, sbattendo le palpebre più volte.

"E come faccio ad arrivare a dieci?" Domandó Jimin, mentre portava la cannuccia alla bocca e iniziava a sorseggiare il suo cocktail. Era azzurro davvero, ma si angelo aveva poco. Il sapore pungente non era male, tuttavia.

"Non sono così semplice, quello dovrai scoprirlo tu." Anche lei cominció a bere piccoli sorsi del suo Vodka Lemon. Freschetto per bere qualcosa col limone, giudicó il biondo, ma lí dentro era un inferno, quindi poteva anche andare.

"Sono uno che ha molte doti." Jimin, bevette metà del suo cocktail forse troppo velocemente e la testa cominció a girargli un po'. Pensó che fosse un effetto del ghiaccio, anche se, purtroppo per lui, non era affatto così.

"Tante doti? Mh... sono curiosa, adesso." Disse lei, poggiando il mento sul palmo della mano. "Tipo?"

"Non sono così semplice, quello dovrai scoprirlo tu." Ripetè Jimin con lo stesso tono di voce, provocando una risata divertita nella ragazza. Bevette un altro sorso come per festeggiare, ma la testa non smetteva di girargli.

"Sei anche divertente." Ammise Sunmi, con la cannuccia tra i denti bianchi. "Uno a zero per me." Fece, riferendosi al fatto di scoprire le doti dell'uno e dell'altra. "Se hai fatto, andiamo a ballare, ho voglia di muovermi stasera."

Jimin annuì e osservó il suo bicchiere vuoto. Appena poggió i piedi per terra, però, non sentì il pavimento sotto i piedi, la musica gli risultó ovattata nelle orecchie, mentre la vista peggiorava e peggiorava gradualmente. La figura di Sunmi davanti a lui duplicava, triplicava e si sfuocava senza criterio, le luci diventavano delle nuvolette colorate e le persone sembravano statue di cera sciolte, indistinte e dai contorni indefiniti. Poggió una mano sul bancone per reggersi in piedi, sentì le gambe e le braccia indebolirsi e Sunmi lo osservó preoccupata.

"Ehy, tutto bene?" Gli diede uno schiaffetto su una guancia e Jimin contrasse le labbra in una linea, scuotendo la testa. "Cazzo, ti hanno messo qualcosa nel bicchiere, vieni in bagno." Esordì lei, reggendolo sulle spalle e accompagnandolo verso il bagno. Jimin si chiese dove avesse preso tutta questa forza, prima aveva spinto una ragazza venti centimetri più alta di lei, ora lo reggeva come se pesasse quanto una piuma. Bizzarro, ma il biondo non era nello stato adatto per pensare a cose del genere. Arrivati davanti alla porta del bagno dei ragazzi, Jimin si preoccupó per lei.

"M-ma tu non puoi entrare qui, andrò da solo." Disse, cercando di staccarsi da lei, ma quest'ultima glielo impedì categoricamente.

"Sei pazzo? Qui dentro ci potrebbero essere persone che ti farebbero cose cinque volte peggiori della droga che hai in circolo adesso." Spiegó e diede una manata alla porta del bagno, irrompendo impetuosamente all'interno. Jimin vide due o tre varietà di bianco, ma non seppe riconoscere la sistemazione della stanza. C'erano due figure stese a terra che sembravano immobili e un uomo enorme che stava in piedi in un angolo.

"Ehy, ciao Daehyun." Salutó Sunmi, come se fosse tutto normalissimo. "Sciacquati la faccia, è questione di minuti e finirà l'effetto." Sussurró a Jimin dolcemente.

"Sunmi? Chi è quel tipo?" Domandó l'omone mentre si asciugava le mani.

"Lavoro." Disse Sunmi seriosamente, facendogli cenno di cambiare stanza. Jimin sentì quella risposta e non la capí, credette che fosse solo l'effetto della droga, dunque non chiese niente e continuó a sciacquarsi la faccia con l'acqua gelida. Dopo alcuni minuti abbondanti, tiró su il volto dal lavandino, se lo asciugó e si accorse che la vista stava cominciando a ritornare gradualmente. Ora riusciva, per lo meno, a definire i contorni e ad analizzare un minimo le espressioni facciali. Sunmi era seria davanti a lui, distante e fredda come quel bagno. Le due persone sdraiate a terra non erano altro che due ragazzi i quali possedevano delle siringhe di eroina e che molto probabilmente rischiavano l'overdose, sempre se fossero ancora vivi per rischiare e basta. Osservò la ragazza, stupito di non cogliere più la minima preoccupazione sul suo volto. Lo ferì un po', ma pensò che alla fine era una cosa positiva. Se lei, che pareva conoscere anche le viscere di quel locale, non si era spaventata, allora significava che non c'era nulla di cui aver paura. Fortunatamente, Jimin si riprese quasi completamente dopo solo una manciata di minuti. Avvertì una mano tra i capelli che gli fece tornare in mente Yoongi e il calore che gli conferivano le sue mani.

"Stai meglio?" Chiese lei, apprensiva, continuando ad accarezzare i suoi capelli biondi. Jimin avrebbe voluto rispondere di sì senza esitazioni, ma tra le immagini di Yoongi che lo perseguitavano e la consapevolezza di aver fatto la figura del coglione quella sera, non sapeva cosa lei pensasse di lui.

"Cristo, mi dispiace di aver rovinato tutto." Si passò una mano lungo il volto già sfinito, privo del suo solito colore roseo. Avrebbe voluto scappare e nascondersi tra le sue coperte, ma una parte di sè insisteva per restare in quel luogo trasandato.

"Andiamo, non dire così, non è stata colpa tua." Nel tono della ragazza non c'era nessuna compassione, solo una fredda malizia e un divertimento infantile. "Siamo ancora io e te... qui dentro..." Sunmi si approcciò con un complice sorriso al volto innocente del ragazzo. "Da soli..." Sussurrò, proprio sulle sue labbra carnose. "É il momento di darti il mio regalo." Concluse, poggiando la bocca rossa su quella di Jimin, che iniziò a seguire i movimenti del ragazza. Almeno un bacio, dopo tutto quel casino, se l'era accaparrato. Fece scivolare le mani lungo i fianchi, senza staccare le labbra dalle sue, e poi le condusse verso il fondoschiena. La sentì tirare un forte respiro durante il bacio che si faceva man mano più sporco e più profondo. Le mani di Sunmi si avvolsero tra i suoi capelli e Jimin ebbe la buona idea di attaccarla al muro con poca grazia. Gli piaceva quando Yoongi lo faceva con lui. Strinse di più le mani ai glutei e sentì gli schiocchi del bacio riempire di più quell'angusta stanza. Sunmi si staccò un attimo per riprendere fiato, diede uno sguardo fuggevole ai corpi dei due sconosciuti a terra e suggerì di spostarsi in una stanza privata che lei conosceva. Jimin, stupidamente, si fidò di lei. Quel bacio gli era piaciuto? Sì e no. Ad un certo punto aveva dovuto immaginare di baciare qualcun'altro per continuare a fare ciò che stava facendo. Era ovvio figurarsi chi fosse questa persona, perciò si rese conto che, anche sfogando la sua voglia con altri, non era la stessa cosa. Seguì la ragazza fino ad una strana porta di legno, più elegante delle altre. Un brutto presentimento prese il sopravvento, ma fu spinto violentemente all'interno prima di ripensare a tutte le sue decisioni. Qualcuno gli afferò entrambe le braccia, bloccandogliele quasi completamente. Un balzo al cuore gli tolse il respiro, il buio gli infuse una paura lacerante e le sue mani iniziarono a tremare. Quando finalmente le luci si accesero, realizzò pienamente dove si trovasse e la gravità della sua situazione. Davanti a lui, a pochissimi metri di distanza, si trovava Sunmi. Il suo viso era una maschera di oscuro e perverso compiacimento, un sorriso si apriva come una ferita sanguinolenta su di esso. Coloro che lo tenevano fermo erano due colossi di due metri, larghi quanto armadi. Uno di loro assomigliava all'uomo che avevano incontrato in bagno qualche minuto prima. Spaventato e incapace di pensare lucidamente, Jimin rimase fermo in quella stanza che sembrava esser stata arredata da uno svuota cantine. Attaccati ai muri pendevano grandi arazzi rossi e dorati, statue di busti sconosciuti erano appoggiati sopra delle colonne bianche di marmo che si ergevano dal pavimento, ricoperto da una moquette rossa, in un angolo aveva intravisto un palo da lap dance e una serie di foto affisse al muro dietro di esso; immagini altamente intime di un ragazzo molto magro, dai capelli ribelli e biondi. Due lettere a LED dell'alfabeto Hangul si potevano leggere chiaramente, una M e una T. C'era scritta una frase sotto di esse, ma Jimin non ebbe tempo di leggerla, poichè Sunmi aveva già attacato a parlare.

"Di tutte le commissioni che potevano capitarmi..." Rise lei con un angolo della bocca rossa sangue. "Proprio un frocetto smorto mi doveva capitare, ma guarda te." Jimin non ebbe la minima idea di cosa stesse parlando, ma non rispose e stette in represso silenzio. "C'è voluto un attimo per abbindolarti, Park Jimin, sei un ingenuo." Lo insultò, pronunciando quelle parole come un rigurgito. "E di sicuro Yoongi ti ha scopato, poi ti ha piantato in asso, non è così?" Chiese lei, con un fervore inquietante di pazzia negli occhi. Jimin non rispose, si limitò a guardarla con disgusto, mentre questa si avvicinava pericolosamente. "Chi tace, acconsente." Constatò lei, accarezzandogli una guancia con garbo, per poi esplodere in una risata che fece raggelare il sangue al biondo. "Sei così ovvio e il tuo viso dice tutto ciò che senti. Credo proprio di essermi innamorata di nuovo!" Fece un sorriso sbilenco, malato e poi tornò seria, gelidamente impassibile, "Che peccato che io debba fare ciò che faccio con tutti i ragazzi che incontro..." Fece il labbruccio, alzando le spalle innocentemente. A quelle parole, Jimin si inquietò sempre più e cercò di divincolarsi dalla forte presa degli uomini, fallendo. "É inutile che ti impegni, Daehyun e Ching-Lee sono due ossa dure. Ma, parlando di cose serie..." Quel maledetto e disturbante sorriso non riusciva a sbiadire in quel volto deformato dalla follia. "Sai, lavorare come cameriera è una bella merda, uno schifo; pagano poco, sgobbi come un mulo tutto il giorno, devi sempre essere composta e cazzate del genere. Diciamo che con il mio piccolo... disturbo... non è il lavoro adatto. Così, ne ho trovato uno secondario." Disse, facendo guizzare gli occhi spalancati qua e là per la stanza e il volto di Jimin, terrorizzato. "Ebbene, ultimamente in questo locale, che era, tempo fa, il massimo centro di spaccio e vendita illegale di stupefacenti più grande di tutta Seoul, ora gli affari stanno volando basso." Rivolse gli occhi al cielo, sbuffando, per poi scoppiare di nuovo a ridere. "Non ha un fottuto senso, lo so, ma è proprio ora che entro in azione io. Sono colei che deve far funzionare gli affari." Disse. "E tu, Park Jimin, sei parte integrante di tutto ciò. La droga che ti ho fatto mettere nel bicchiere è chiamata "stimolante", il che vuol dire che amplifica gli effetti di qualsiasi altra droga più potente. Anche se senti di esserti ormai ripreso, quella sostanza è ancora in circolo nel tuo sangue." Jimin si chiuse il labbro inferiore in bocca, le sopracciglia erano sofferenti, il suo petto si alzava e abbassava a ritmi irregolari, le braccia sembravano fatte di gelatina, il suo petto formicolava, le gambe iniziavano a cedere, la testa girava senza sosta. "Solo una piccolissima quantità di droga, adesso, avrebbe effetti devastanti su di te, la dipendenza diventerebbe cronica e io farei un sacco di soldi solo per farti diventare uno di quegli schifosi drogati." Sputò le ultime due parole con ribrezzo, quasi come se schifasse ciò che lei aveva contribuito a creare. "E lo farò eccome." Disse, per poi cercare in tasca una pillola di color blu indaco e piazzarsela sulla lingua. "Ora baciami come facevi prima, come minimo immaginavi di baciare qualcun altro." Rise e poi si avvicinò alla bocca del biondo, il quale cercó di allontanarsi il più possibile, serrando le labbra in una linea. Dopo alcuni secondi, la ragazza sputó la pastiglia e il suo sguardo si fece più cupo e duro. "Vuoi giocare? E allora ci vogliono le maniere forti." Fece, poi si allontanò, lasciando Jimin con i due uomini impassibili.

"Vi prego, lasciatemi andare!" Li supplicó, quasi con le lacrime agli occhi. "Non ho fatto niente di male e non racconterò niente a nessuno, vi prego aiutatemi." Li pregò con voce lacrimevole. Non uscì nemmeno un respiro da quei colossi, sembravano davvero fatti di pietra. Senza bocca, senza orecchie, soffocati ed intrappolati nell'omertà. Sunmi tornò con una siringa tra le dita, particolare che fece accapponare la pelle a Jimin. Sentì qualcosa trapassargli le scapole, forse la consapevolezza che la sua vita sarebbe stata rovinata da un momento all'altro e che nessuno era lì per impedirlo. Buttó la testa in basso, raccogliendo le sue ultime forze per tentare un ultima volta di scappare. Gli sforzi, si disse, non servivano a nulla poiché la sua forza era stata dimezzata dalla droga stimolante, dunque doveva giocare d'astuzia. Aveva un'arma a portata di mano, la siringa, quindi bastava solo capire come scappare alla presa di quei due giganti. Le sue gambe erano libere e indossava delle scarpe dalla suola di legno duro, con un po' di tacco. Nel momento in cui stava raccogliendo idee, però, Sunmi cominciava ad avvicinare la siringa al suo braccio tremante. «No, no, no.» Smise di ragionare e pistó con violenza prima uno, poi l'altro piede dei due uomini, cogliendoli entrambi di sorpresa in modo che lasciassero la presa. Jimin si divincolò velocemente, mentre una scarica di adrenalina gli infranse il cuore in mille pezzi, facilitandolo nell'afferrare rapidamente la siringa e infilarla nella coscia dell'uomo più vicino. Iniziò a correre e correre, consapevole che ne sarebbe dipesa la sua intera vita. Si confuse tra la gente che ballava e si fece largo a spintoni fino all'uscita. Quella porta non gli era mai sembrata così bella e confortante. Corse fuori, con le gambe che gli facevano male per la droga e la testa che girava, ma non si fermò nemmeno per guardarsi alle spalle. Tutti lo osservarono straniti, ma lui continuó a correre per la strada poco illuminata. Arrivó alla sua macchina, la mise in moto e imboccó subito una delle vie più trafficate, in modo da confondersi con altre auto. Nessuno lo stava più seguendo. Il cuore gli percosse il petto, percepiva il sangue pulsargli nelle vene, il respiro farsi pesante e la voglia di piangere farsi sempre più presente. Si fermò in un parcheggio isolato, cercando di calmare il tremore del suo corpo e la sensazione di freddo che provava. Al pensiero di aver rischiato di perdere la vita, una lacrima cominció a solcargli silenziosa una gota, il naso arrossí e le labbra cominciarono a tremolare, i suoi pensieri vacillavano tra l'orrore e il conforto.

Di dormire da solo, quella notte, non se ne parlava minimamente. Erano le due del mattino, chi avrebbe potuto chiamare a quell'ora così tarda? Sopratutto, per farsi ospitare. Una pazzia, era una pazzia, ma quello che gli era successo era stato troppo sconvolgente per permettergli di restare solo. Solo al pensiero, si sentiva un'orribile sensazione ridurgli a brandelli lo stomaco. Gli venne in mente l'unica persona al mondo che avrebbe sicuramente saputo come fargli dimenticare tutto, almeno per un'ora, anche solo per una notte. Cercó il nome sulla rubrica, indugiando a causa del tremore delle dita, e si portó il telefono all'orecchio, stringendo forte il volante con la mano libera. Vide la pelle delle dita colorarsi di bianco dal momento che stava applicando una forza assurda sul volante. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Un senso di disorientamento lo colse immediatamente. Quattro squilli. Un'altra lacrima gli solcó il volto. Cinque squilli.

"Pronto? Jimin?" Chiese la voce profonda aldilà del telefono.

"Yoongi..." Jimin pronunció quel nome con tanta difficoltà da far male. Le sue labbra non erano più abituate a quelle due sillabe. Era la sua unica salvezza, la quale però era in sé incerta e imprevedibile. Gli bastava sentire la sua voce per avvertire un po' di speranza farsi spazio tra le sue membra. "Y-Yoongi, scusa l'orario, m-ma... posso v-venire a casa tua?"

"Come scusa?" Chiese il ragazzo, incredulo. "Ma ci stai con la testa? Prenditi la responsabilità delle scelte che fai una buona volta!" Il suo tono era impastato dal sonno, ma ancora autorevole e sopratutto fortemente irritato. "Sono le due del mattino, cazzo, torna a dormire."

Jimin sapeva che da lì a poco il maggiore gli avrebbe chiuso la chiamata in faccia. Era obbligato a rivelargli tutto. "Hy-Hyung, aspetta, ascoltami, ti prego." La voce gemente e lacrimevole gli uscì naturale, aveva un bisogno fisiologico di quel ragazzo "Ho bisogno di te, Yoongi, ti prego." Lo pregó in tono rotto, poggiando la testa sul volante e abbandonandosi al pianto. "Ho davvero, davvero bisogno di te." Una quantità ingente di lacrime gli inumidirono il viso e la voce gli uscì straziante come se fosse stato sottoposto a qualche tremenda tortura.

"Jimin, che cazzo é successo?" Chiese Yoongi, prestando più attenzione.

"Io ho... Yoongi ti prego, non lasciarmi solo, ho paura... ho rischiato di morire, non lasciarmi da solo!" Singhiozzó Jimin, completamente vittima del pianto disperato.

"Oh, Mio Dio." Sussurró Yoongi, attonito. "Vivo in via *** al numero ***, dimmi che non sei ferito." Il panico represso nella voce di Yoongi era evidente.

"Non sono ferito." Gemette Jimin, confortandosi al pensiero di vedere Yoongi e di sentirlo preoccupato per lui. L'unica persona che aveva sempre cercato di evitare quei giorni, era ora la sua unica ancora di salvezza. "Ti ringrazio, ti ringrazio." Piagnucolò il biondo, premendo un palmo davanti alla bocca anche più gonfia per il pianto.

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Fanfiction holdarah