♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vk...

By bisdrucciola

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"Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le ste... More

✤ P R O L O G O ✤
family is where life begins and love never ends.
you'll regret someday if you don't do your best now.
kill 'em with success, bury 'em with a smile.
don't ever run backwards.
never work just for money or for power.
you can be the moon and still be jealous of the stars.
and then you came into my life.
i'm jealous. wanna know why? because we started as 'just friends' too.
love is both: how you become a person, and why.
can i be your lei-tsu?
i like people who shake other people up & make em feel uncomfortable.
heavy hearts don't have to drown.
kiss me until i forget the thought of somebody else near your lips.
you became one of my stories.
the tip of my finger is tracing your figure.
we're too young and immature to give up, you idiot.
i just want you to talk to me. tell me how you feel. about life. just talk.
i want you. all of you. on me. under me. tasting me. wanting me.
it hurts too good to say no.
the more i learn about you, the more i like you.
to die would be less painful.
do you think the universe fights for souls to be together?
life is not about hiding, life is about living.
there's nothing wrong with you.
i am desperately craving your lips.
a sea of whiskey couldn't intoxicate me as much as a drop of you.
i hope you can see me for what i am and continue to love me the same.
i've been holding back for the fear that you might change you mind.
i tried so hard to not fall for you, but then our eyes locked and it was over.
my heart's your home, no matter where you are, u'll always have a place to stay.
all my mistakes are drowning me, i'm trying to make it better piece by piece.
he's stuck inside my brain so much that he can call my head "home".
i think i need you, and that's so hard to say.
tell me pretty lies, tell me that you love me, even if it's fake.
how can i look at you and feel so much happiness and sadness all at once?
i've hella feelings for you, but i'm so fucking scared.
you spread warmth and inspire my life, just like the sun does.
lips so good i forget my name.
one of the hardest battles we fight is between what we know and what we feel.
he dreams more often than he sleeps.
mommy, daddy, don't you know? You lost your daughter years ago.
ça ne casse pas trois pattes à un canard
i wanna feel you in my veins.
as humans we ruin everything we touch, including each other.
I just wish i could lose this feeling as fast as i lost you.
look at your cuts. each one is a battle with yourself that you lost.
in the end, we'll all become stories.
And he dreamed of paradise every time he closed his eyes.
un piccolo regalo...
you're burning inside of me and i'm still alive in you.

perhaps it's better this way.

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By bisdrucciola


Il rumore sordo delle sirene dell'ambulanza fecero allarmare Jimin e Jungkook tanto che entrambi si precipitarono fuori dallo spogliatoio con i capelli sparati in maniera indistinta e confusa in aria. A quel punto, non videro altro a parte l'enorme direttore della rivista che parlava con la ragazza dal volto spigoloso che aveva accolto Jungkook. I due gli chiesero cosa fosse successo e dove fossero andati tutti senza di loro, ma l'uomo li guardò in modo divertito, quasi come se si facesse beffa della loro preoccupazione.

"Allora?" Fece impazientemente Jimin, facendo colpire la suola della sua scarpa contro il pavimento ripetutamente. Jungkook aveva chinato la testa di lato, impaziente di aspettare una risposta.

"Quando sono arrivato io era già tutto finito, ma pare che Tizio abbia spaccato il naso a Cajo." L'uomo alzó le spalle sorridendo. "Siete meno noiosi di quanto mi aspettassi, peccato che non ho visto nulla." E tiró fuori dalle tasche un grande sigaro. I due si guardarono attoniti e Jimin notò che Jungkook era visibilmente sbiancato. Mentre lui arrossiva, il suo amico scoloriva e diventava pallido quando qualcosa lo preoccupava abbondantemente. Non ebbe il tempo di riflettere su cosa pensasse perché il minore si buttò a correre giù per le scale e Jimin poté solo seguirlo con lo stesso veloce passo. Jungkook arrivó sfinito all'entrata dello stabilimento e vide Namjoon e Jin di spalle, con un'ambulanza parcheggiata di fronte. Non vide Taehyung. Il suo corpo ebbe un forte fremito lungo tutti i muscoli che lo fece fermare dietro quella porta di vetro e che quasi lo fece cadere a terra. E se Cajo fosse stato proprio lui? Se lo chiese automaticamente, facendo defluire quasi completamente il sangue dalle guance. Il suono acuto dell'autovettura gli riempiva le orecchie e gli incideva i timpani come un coltello dalla lama affilata. Sentí una mano afferrare la sua con forza e una pulsione portarlo ad uscire fuori da quel foyer centrale. Realizzó che quella mano era di Jimin, preoccupato solo un po' meno di lui. Jungkook si concentrò sull'aria invernale che gli colpí con violenza il viso e la situazione gli sembrava così surreale da farlo estraniare completamente per qualche secondo. Il rumore dell'ambulanza aumentó smisuratamente e, quando finalmente si rese conto che si trovava all'esterno, iniziò a guardarsi intorno per trovare Taehyung. I suoi occhi trovarono così la loro ancora tra i dottori che salivano e scendevano, trovarono quella figura che lo metteva a disagio tanto quanto lo faceva sentire bene. Camminó frettolosamente verso di lui, gli afferrò le spalle e gli fece voltare il viso verso il suo, ritrovandoselo a pochissimi centimetri di distanza.

"Grazie a Dio non sei tu." Jungkook fece scivolare le mani sul collo del ragazzo e gli sorrise involontariamente, col cuore che faceva balzi di gioia.

"Wow, Namjoon dovrebbe dare più spesso pugni a gente a caso." Commentó lo stilista sarcastico, una volta capito di cui il moro stava parlando. Non sorrideva, era solo sorpreso di tutta quella preoccupazione da parte del ragazzo che in quegli ultimi tempi sembrava distanziarsi e riavvicinarsi senza criterio. Jungkook realizzó di aver agito in modo troppo intimo con lui e si staccò immediatamente, portando con sé una quantità ingente di imbarazzo. Nascose le mani dietro la schiena e rivolse gli occhi assenti al pavimento.

"Scusa, pensavo che..." non riusciva nemmeno a trovare una scusa per giustificare tutta quell'ansia. "Insomma, ero preoccupato per te, ecco." Riveló poi, mordendosi il labbro.

"È normale! Anche io sarei preoccupato, ma mica la voglio una rinoplastica!" Scherzó lo stilista, dando una pacca sulla spalla al ragazzo che puntó i suoi grandi occhi neri sul suo viso.

"Non ti serve, il tuo volto è troppo... simmetrico." Osservó Jungkook per la prima volta, dopo aver guardato con attenzione tutti i particolari di esso.

"Già, me lo dicono in tanti." Fece Taehyung con atteggiamento più serio. "Non che me ne vanti, ma ho fatto degli esami e il mio chirurgo mi ha assicurato che i canoni del mio viso sono ideali." Riveló lo stilista. "Cazzate, a che mi serve un bel viso quando ci sono persone come te in giro."

"Che? Cos..? Io? Che c'entro io?" Chiese Jungkook, confuso e completamente perso ad osservare quanto davvero fosse perfetto quel volto.

"Tu sei molto più bello di me." Confessó lo stilista con nonchalance e poi si allontanò senza fiatare, lasciando Jungkook con un'espressione stranita in volto.

«Ma tu ce l'hai uno specchio a casa? Spero di sì, perché non sai che ti perdi.» Si chiese mentalmente, mentre osservava Taehyung andare da un dottore ad informarsi delle condizioni di Youngjae. Aveva capito, dato che era l'unico assente, che era colui che l'aveva prese di santa ragione da Namjoon. Decise dunque di avvicinarsi a Jimin che stava parlando con Namjoon e Jin, appostati proprio davanti all'ambulanza, la quale era in procinto di accendere il motore e partire.

"Qualcuno mi spiega cos'è successo, per favore?" Chiese Jimin con garbo a Namjoon. Aveva notato che Jin era più slavato del solito e che stringeva Namjoon a sé con un braccio avvolto intorno alle spalle. L'aveva sentito sussurrare qualche parola dolce in modo da calmarlo un po', Namjoon aveva fatto finta di sorridere ma quelle parole non ebbero assolutamente l'effetto sperato. Il fotografo continuò a fissare il vuoto, senza capire perché avesse perso così tanto il controllo con quel maledetto ragazzo. Youngjae poteva avere tutto ciò che si potesse odiare, ma Namjoon non era un ragazzo violento, non lo era mai e poi mai stato. Jin lo sapeva, Taehyung lo sapeva e Jimin lo aveva capito in talmente poco tempo da esser convinto che le motivazioni di quel gesto dovessero esser state valide.

"Quello stronzo mi ha picchiato, mi ha sputato addosso, mi ha chiamato culattone e ha baciato il mio ragazzo." Rispose il più piccolo, indicando la ferita dell'anello che gli aveva impresso Youngjae. Non gli faceva più male, ma aveva paura gli rimanesse una cicatrice permanente. L'ultima cosa al mondo che voleva in quel momento era un souvenir di quel giorno. Avvertí il calore confortante di Jin accanto a sé e si avvicinò di più al suo corpo.

"Oh Cristo, ma che problemi ha?" Chiese Jimin incredulo, poggiandosi una mano tra i capelli biondissimi. "Namjoon, sono sicuro che Taehyung capirà ciò che hai fatto..." Cercó di confortarlo Jungkook.

"Ho sbagliato, avrei dovuto reagire in modo meno impulsivo. Scusatemi." La voce profonda del fotografo pareva carta vetrata sul legno. Un suono pentito e cigolante, quasi come se non potesse credere a ciò che lui stesso aveva fatto.

"Namjoon, domani devo parlarti." Taehyung si intromise nella conversazione con tono duro e serio. "Youngjae non potrà partecipare alla sfilata, ha il naso gravemente rotto e il processo tra intervento, ricostruzione e rinoplastica si protrarrá per troppo tempo. Ora devo andare, a domani ragazzi." Lo disse con un tono di voce così piatto da sembrare un discorso di un telegiornale, fatto che fece morire internamente Namjoon.

"Anche noi andiamo, Joonie." Disse Jin, senza particolare volontà. A guardarlo in quello stato, gli faceva male il cuore. "Ehy, tranquillo." Gli sussurró all'orecchio. "Non succederà nulla, vedrai."

"Buona serata!" Gli gridarono Jimin e Jungkook, cercando di trasmettere un po' di serenità sorridendo.

Rimasero così entrambi soli nel parcheggio, col sole che tramontava tra gli alti palazzi fatti quasi interamente di vetro, il quale rifletteva quegli ultimi raggi fiacchi di sole che popolavano il cielo all'imbrunire. Jimin calció un sasso sulla strada e poi si rivolse all'amico, pensieroso. "Quei due sono carini." Commentó.

"Namjoon e Jin?" Chiese Jungkook, che era rimasto immerso nei suoi pensieri da un po' di tempo.

"Giá, gli capitano le peggio cose, ma non si separano mai." Constató il biondo, guardando ancora i fiori rossi all'interno del giardino. "Li ammiro molto." 

"Mi piacerebbe avere una relazione come la loro." Gli rispose Jungkook. "Sembrano sempre uniti, indipendentemente da ciò che succede."

E poi regnó il silenzio. Nessuno dei due pensó che fosse imbarazzante. Ormai, dopo anni di amicizia, i loro silenzi erano complici e non se ne vergognavano mai. Era bello trovare una persona con cui parlare, ma trovarne una con cui stare pacificamente in silenzio... quella era una vera sfida. Jimin aveva sempre parlato di tutto con Jungkook ed era sicuro che anche l'amico l'avesse fatto con lui. Ma, in quel momento, il silenzio che si era infiltrato tra i due era colmo di segreti da entrambe le parti.

"Ci vado stasera." Esordì Jimin, ad un certo punto.

"Dove?" Gli chiese Jungkook, curioso.

"Da una ragazza che ho incontrato un po' di tempo fa in un ristorante." Disse Jimin, convinto.

"Assicurati prima che non sia sposata." Jungkook distolse gli occhi dal tramonto e diede una pacca sulla spalla all'amico. "Buona fortuna." E se ne andó tranquillamente verso le scale della metropolitana, salutando placidamente il biondo con la mano.

Jimin decise di restare lì ancora un po'. Erano già le sette meno dieci di sera e non aveva la minima voglia di prepararsi per andare da Jungsik a trovare quella bellissima cameriera. Scelse di andare vestito in quel modo, non era una catastrofe se non si fosse cambiato, in fondo. Si incamminò silenziosamente verso il giardino meticolosamente curato e raccolse uno di quei fiori che gli piacevano tanto. Rossi, piccoli e delicati. Pensó che il rosso era il colore della passione travolgente è forte, ma la fragilità di quel piccolo fiore era perennemente un periglio per quest'ultima. Da quel momento, quel fiore gli avrebbe sempre ricordato Yoongi. Ormai, anche quel tramonto che pian piano degradava verso il buio gli ricordava quel ragazzo. La luna risiedeva già in cielo, una visione più flebile di quell'arco biancastro che di notte diventava la vera protagonista. Lattea, pura e luminosa nel cielo. Jimin strappó un petalo del fiore, fatto che provocò un suono flebile e secco, il quale, data la fragilità estrema di quella creatura, sembrava essersi trattato un colpo di fucile. Ne strappó un altro, udendo lo stesso rumore, un altro e un altro ancora. Ne lasció solo uno. Un petalo mezzo malaticcio, di un rosso smorto e che sembrava in procinto di cadere da sé in balia del vento freddo che si stava alzando. Quella, si disse, era la sua ultima possibilità. Lo buttó a terra con noncuranza quando ebbe finito, ci pistó sopra sconsideratamente e si incamminò verso la sua auto. Accese il motore e la sua mente cominció ad essere bombardata da pensieri derivanti solo dal nervosismo causato da ciò che avrebbe dovuto fare quella sera. Imboccó la prima strada, giusto per uscire da quella zona e si rese conto che Yoongi era stato assente per l'intera sessione fotografica. Si disse che forse non era tenuto a venire o che semplicemente non ne avesse voglia. Ma, un angolino nascosto dentro la sua testa gli suggeriva altrettanti motivi. Il primo tra tutti era lui stesso. L'aveva piantato in asso in una camera d'hotel già pagata dopo aver fatto sesso nel letto frutto dei suoi soldi, sicuramente Yoongi non aveva la benché minima voglia di rivederlo. Da una parte, lo compativa, nemmeno lui aveva voglia di vederlo in quel momento. Eppure un'altra volizione riusciva ancora a farsi spazio tra le altre come se fosse diventata lo scopo della sua vita. Lo voleva ancora. Sotto tutte quelle macerie, sotto il fatto della sua volontà di costruire un futuro normale, sotto la sua voglia di trovare una ragazza per dimenticarlo; lui lo voleva ancora. Sapeva che non importava per quanto tempo ci avesse provato, non sarebbe mai riuscito a seppellire tutto completamente. Quello che aveva provato con Yoongi, non l'aveva mai provato in vita sua. Stava sviluppando qualcosa di troppo importante, di troppo travolgente per un ragazzo del genere. Non era irrispettoso nè violento, era solo inadatto a ciò che si era sempre prospettato per la sua vita. L'aveva incontrato, si era divertito e quello era il momento di smetterla. Ma si potevano dimenticare le sensazioni più belle di una vita intera? È come dimenticare il profumo di una madre, il ritmo di una canzone e il sapore del cibo quando si è affamati. Cose che facevano la differenza. Era impensabile dimenticarle.

Jimin guardó il sole venir soffocato dall'orizzonte e far spazio alla notte, ancor giovane. Le vie iniziavano a diventare sempre più familiari man mano che andava avanti. Le case che aveva visto con Yoongi quella lontana sera della cena, gli stessi cartelli e gli stessi marciapiedi. La gente, sempre di fretta, non lo degnava di sguardo e continuavano tutti per la loro strada. Accese la radio e impostó la stazione KFOX, giusto per sentire qualche canzone ed evitare di pensare ad altro. Passarono così minuti in macchina, per certi tratti imbottigliata nel traffico dell'ora di punta, e Jimin cominció già a sbadigliare. Era sfinito e la voglia di incontrare una ragazza si faceva sempre più lontana, sebbene fosse un obbiettivo che doveva completare per orgoglio personale e per dormire tranquillo la notte. I suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla vista di strade già percorse. Arrivò sulla strada di periferia dove si ricordava risiedesse il sontuoso ristorante e lo trovò, con molta fortuna, non particolarmente affollato. Si ritrovò a guidare lungo una strada di ghiaia, con accanto un grande parcheggio dal quale si poteva chiaramente distinguere il ristorante; un palazzotto squadrato, moderno e minimale, dai muri colorati un chiaro marroncino, alternati da lunghe vetrate che davano sulla strada e donavano una vista singolare della N Seoul Tower. Jimin parcheggiò la sua macchina in modo da intravedere, per mezzo delle porte interamente di vetro, all'interno del locale. L'ultima volta che c'era stato, Jungsik era stracolmo di gente vestita con le più grandi firme e uomini che ostentavano portamento ed eleganza solo per dare una buona impressione a livello professionale. Quella volta, altrettante persone tutte in tiro iniziavano a scendere dai loro macchinoni, attenti a non bagnarsi le eleganti braghe o gonne con la leggera pioggerella che incominciava a scendere proprio in quel momento. Jimin imprecò (senza parolacce, chiaramente) ma poi diede un'occhiata al piccolo ombrello che teneva sempre ai piedi dei sedili e benedì quella sua abitudine come non mai. Pensò che, se si fosse presentato il bisogno, avrebbe potuto condividere quel piccolo ombrello con qualunque fosse il nome della cameriera dai capelli scuri e occhi color pece. Qualche insicurezza cominciava già ad occupargli la mente, inutili, dal momento che Jimin era il tipo di ragazzo sempre sicuro di sé quando si trattava di donne. Era arrivato al punto di annoiarsi per quanto fosse facile, grazie alla sua celebrità e alla sua immagine, conquistarne una. Era forse uno dei fattori, questo, che gli aveva permesso di attaccarsi così tanto Yoongi. Perché lui non era facile. Perché in quei momenti era lui che si sentiva la ragazza facile da conquistare. Finalmente, dopo qualche altro istante passato ad almanaccare qua e là su Yoongi, scorse la figura esile e sensuale della ragazza che voleva vedere al di là delle porte di vetro. Indossava la stessa divisa bordeaux (lui, a differenza di Jungkook, sapeva che si trattava di un tailleur), ma non aveva alcun cartellino che indicasse il suo nome. Partendo da questa base, Jimin decise di iniziare a flirtare chiedendole proprio come si chiamasse. Semplice ed efficace, si disse. Sperò con tutto se stesso che non fosse sposata, fidanzata o, nel peggiore dei casi, incinta; augurò a se stesso buona fortuna e uscì dall' auto con decisione, per poi ripensarci e rientrare in fretta. Non aveva idea di come continuare la serata. Pensò e ripensò a varie suggestioni che la ragazza avrebbe accettato senza dubbio e decise che se si fosse presentata come una ragazza facile, allora l'avrebbe portata in una discoteca lì vicino. Non proprio romantico, ma non ho mai detto che Jimin cercasse qualcosa di romantico. Voleva solo una vita da ventitreènne normale. Voleva un mezzo per mettere in secondo piano ciò che aveva provato con Yoongi ed enfatizzare ciò che lui e solo lui voleva per la sua vita. Se questa distrazione fosse diventata qualcosa di più, non lo sapeva, ma, se proprio devo essere sincera, non gli importava. L'importante, quella sera, era dimenticare quel maledetto ragazzo, per quanto quel muro gli sembrasse insormontabile.

Scese di nuovo dalla sua auto alle venti e tre quarti e le suole delle sue scarpe toccarono il terreno ghiaioso che avevano sentito molte, molte sere prima. Quel posto era tanto alieno che Jimin riuscì a percepirlo dentro e fuori il suo corpo. Inalò un lungo respiro e si riempì i polmoni di aria fredda. Il vento. Cristo, il vento. Quella sera, Jimin non aveva bisogno di nessuna sciarpa, nessun aiuto, non tremava e aveva la propria giacca a scaldarlo. Mandò a quel paese tutte le vivide immagini che gli si ripresentarono davanti ad ogni passo compiuto e si tolse dalla testa la sensazione di calore che, notti prima, gli aveva donato la lana che profumava di Yoongi.
Quella via buia, illuminata solo da alti lampioni a led, regalava un'atmosfera intima ed alienante. Camminare lungo quella strada era come stare sott'acqua, estraniarsi dai propri sensi e concentrarsi solo sul fruscio della corrente, che nel caso di Jimin era il crocchiare della ghiaia sotto i suoi piedi. Le luci color miele che filtravano dal vetro di porte e finestre formavano linee sul sentiero davanti al locale e il biondo decise di ricalcarle con fare infantile. Finamente, la porta scorrevole si aprì davanti a lui e l'ondata di calore e l'odore di cibo lo colpirono come un camion in corsa. Si ricordò che, cavolo, tra tutto quel trambusto si era completamente dimenticato di mettere qualcosa sotto i denti prima di entrare in uno dei ristoranti più raffinati e costosi di Seoul. "Col cavolo che prendo qualcosa qui dentro, mi ci gioco lo stipendio." Si disse, cercando di ignorare gli odori derivanti dalla cucina di prima classe. E poi? C'era lei. Bellissima, come l'ultima volta che l'aveva vista. Il rossetto rosso scuro sulle labbra carnose risaltava come una macchia di sangue su un tessuto bianco, i capelli sembravano fatti di velluto, ricadevano precisi a coprire le orecchie; la camicetta sotto il tailleur succinto lasciava libera immaginazione riguardo al suo corpo esile.

"Buonasera, ha prenotato un tavolo?" Gli chiese con la voce vellutata e gentile che Jimin ricordava. Le guardò per un attimo gli occhi scuri come il petrolio, contornati da una riga di trucco nero che li spegneva ulteriormente. Erano privi di espressione e non presentavano nessuna luce particolare. Non erano un granchè, ma nel complesso quella ragazza era una dea greca. Il tipo di donna alla quale tutti i collegiali andrebbero dietro, intendiamoci.

"Non proprio, ma sono curioso di sapere il suo nome." Replicò pacatamente il biondo, senza tanti giri di parole. Non voleva fare introduzioni inutili, andare al sodo gli sembrava la scelta migliore, cosicché anche la ragazza capisse le sue intenzioni.

"Lei ha una minima idea..." Iniziò lei con lo sguardo più divertito e canzonatorio che Jimin avesse mai visto in un volto. Persino i sorrisi freddi e falsi di Yoongi non potevano competere con quello che ora si apriva nel volto di quella ragazza. "... di quanti ragazzi mi abbiano fatto la stessa domanda, in questa stessa modalità, questa settimana?" Chiese lei, appoggiando il gomito al bancone delle prenotazioni e il mento al palmo.

"No, ma può sempre informarmi su questo dettaglio." Jimin tentò di usare la sua voce più suadente e sensuale, riuscendoci in pieno. Quando si trattava di flirtare, non era affatto male e lo sapeva.

"Beh, fin troppi." Fece guizzare lo sguardo verso un punto indistinto del locale e alzò le sopracciglia, per poi puntare nuovamente gli occhi inespressivi e spenti su quelli brillanti di Jimin. "E sai cosa ho detto a quelli che non mi piacevano?" Domandò di nuovo, facendo scorrere la pupilla nera lungo tutto il viso del ragazzo.

Al biondo stava piacendo quel botta e risposta, ma era certo di non avercela fatta finché, "Illuminami."

"Di certo quello che non direi a te." Vittoria! Facile come bere un bicchiere d'acqua, si disse il biondo. La ragazza ci stava, ora mancava solo di sapere il suo nome e proporle qualcosa.

"E a me cosa direbbe?" Le chiese, poggiando entrambi i gomiti sul bancone e approcciandosi un po' al viso della ragazza.

"Non saprei, glielo dico dopo insieme al mio nome." Suggerì lei. "Ora si tolga da qui che sta bloccando tutta la fila, per favore."

Jimin si voltò di scatto e incontrò i volti infastiditi di una dozzina di persone, tra donne eleganti e uomini distinti, quasi tutti sulla cinquantina. Un brivido lo colse di sorpresa e rivolse nuovamente lo sguardo alla ragazza, sorridendo. "Oops." E le fece un occhiolino. "Sono qui fuori appena stacchi." E le voltò le spalle, camminando fieramente fuori dal ristorante. Appena il vento freddo gli invase gli indumenti, fu solo che felice di sentirlo. Aveva quasi completato la sua missione e gli sembrava una ragazza a posto, bella ed abbordabile. Non c'era voluto molto per conoscerla, dunque potè facilmente pretendere che fosse una di quelle abbastanza aperte e amichevoli. Perfetto, era il genere di ragazza che gli piaceva. O almeno, così pensava. Stette lì un paio d'ore, accendendo la radio, girandosi i pollici e canticchiare qualche canzone del momento. Decise di inviare un messaggio a Jungkook, in modo da fargli sapere com'era andata.

A: Kookie

OH, PERDINDIRINDINA, CE L'HO FATTA!

Da: Kookie

No, dai, non puoi essere serio.

A: Kookie

E invece sì, te lo giuro.
Cosa fai? Dubiti delle mie straordinarie
abilità nel rimorchio? Dovrei darti qualche lezione, adesso che ci penso.

Da: Kookie

Mi scusi, Don Giovanni, la ringrazio ma devo declinare la gentilissima offerta.
E comunque, chi è la folle che sta al tuo gioco?

A: Kookie

Un gran pezzo di figa, fidati.

Da: Kookie

E quanto vuole all'ora?

A: Kookie

Ah ah ah
...
divertentissimo.

Da: Kookie

Modestamente ;)

Jimin ripose il cellulare in tasca, scuotendo la testa e non riuscendo a contenere un sorrisetto. Jungkook sapeva essere davvero inadeguato delle volte, ma almeno lo faceva ridere quando ne aveva più bisogno. Non avrebbe saputo come vivere senza di lui e già nascondergli delle cose lo feriva, ma non poteva fare altrimenti. Quella sera era il punto che metteva fine al periodo dedicato a Yoongi, la parentesi finale che chiudeva quell'escursione fuori dalle righe. Insomma, mica poteva far preoccupare l'amico per un fatto che anche lui cercava in tutti i modi di rinnegare e sopprimere. Quello che aveva fatto era sbagliato, dalla prima all'ultima azione compiuta e non vedeva l'ora di alleviare le sensazioni che ne conseguivano. Ripensò al volto di quel ragazzo, sperando di non sentire nulla una volta che questo gli si fosse materializzato in testa, ma un brivido dirompente si fece strada lungo il suo ventre, il suo petto e gli cinse la gola, fino quasi a strangolarlo. Col cavolo, ne provava di cose, ne provava più di quanto avesse mai immaginato. Fece finta di mettere l'immagine onirica di quel ragazzo dentro un cassetto della sua memoria, blandamente e senza volontà. Era contradditorio, pensó, visto che le persone nei cassetti ci mettono i loro sogni più intimi.

Jimin fu distolto dai pensieri su Yoongi appena lanciò una svogliata occhiata alla porta del ristorante, davanti la quale lo aspettava la bellissima ragazza dai capelli corvini che si stava guardando intorno un po' stizzita. Il biondo sospirò profondamente e afferrò in fretta l'ombrello, giacchè stava cominciando a piovere con più violenza. Appena chiuse lo sportello, lo fece scattare affinché si riparasse dalle numerose gocce di pioggia. La ragazza lo notò e gli sorrise dolcemente. Era la prima volta che Jimin la vedeva sorridere in quel modo e non riuscì a non pensare che fosse davvero stupenda. I denti erano perfettamente bianchi e ordinati, le labbra carnose si riducevano in due adorabili linee rosse e sotto gli occhi si formarono due borsette lievemente accennate. Le andó in contro con l'ombrello e ce la coprì immediatamente, ricambiando il sorriso. Jimin realizzó che la cameriera aveva cambiato abiti, ora non indossava più il tailleur rosso bordeaux, ma un paio di jeans stretti neri, una camicetta elegante bianca molto semplice e un paio di tacchi neri lucidi vertiginosi. Con quei trampoli, constató Jimin, era alta solo un paio di centimetri meno di lui, fatto che da una parte lo confortava un po'.

"Allora? Devi dirmi qualcosa?" Chiese Jimin, sorridendole.

"Piacere, Lee Sunmi." Lei le porse la mano e Jimin la strinse con decisione. "Park Jimin."

"Lo so." Si limitò a dire lei, alzando le spalle. "Ti ho visto in una rivista." Confessó, senza traccia di imbarazzo. "Così, fai il modello?"

"Giá, sono stato assunto da V's da qualche mese." Il ragazzo cercó di non far sembrare vanesio solo perché il suo mestiere gli donava una visibilità non indifferente. "Tu da quando fai la cameriera qui?" Le chiese.

"Quattro anni, ma lo odio." Disse lei, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Lo sto facendo solo per fare esperienza lavorativa." E rivolse gli occhi a Jimin.

"Capisco, che vorresti fare dopo?" Domandó il biondo, iniziando a camminare.

"Qualcosa di appassionante, tipo la ballerina o la cantante." Esordì lei fieramente, convinta che il legame tra la cameriera e la cantante fosse sensato.

"Ma come? E a che ti serve lavorare in un ristorante?" Le chiese Jimin, incuriosito.

"Sai, quando fai la cameriera devi assecondare le scelte del cliente, devi avere una buona immagine, devi imparare ad essere servizievole e rispettare le scelte di tutti." Iniziò lei, tutta infervorata. "E quando vuoi fare musica più o meno é lo stesso, con la sola differenza che fai musica per te. Insomma, devi sempre possedere una buona immagine, rispettare critiche e consigli dei fans e purtroppo anche sottometterti ad un sistema di showbiz non indifferente che pretende molto."

Jimin fu altamente interessato da quell'osservazione e si ritrovava d'accordo. Quella ragazza gli stava piacendo sempre più. "Sei interessante, Lee Sunmi." Le confessó. "Io ho sempre sognato di fare il modello, invece. E ora sono qui, diciamo che ho avuto fortuna, ho realizzato ciò che mi piaceva fare e non potrei essere più soddisfatto." Le disse.

"La tua voce e la tua faccia non mi sono nuovi, comunque, te lo volevo dire da prima. Sei... l'amico di Min Yoongi, vero?" Chiese poi lei, cambiando completamente argomento.

Jimin si sentì improvvisamente morire. Possibile che ovunque andasse doveva ritrovare sempre quel ragazzo? Ogni cosa facesse o sentisse glielo ricordava e ora anche questo. Non era possibile. Stette in silenzio per innumerevoli secondi e poi rispose alla domanda della ragazza. "Sí, sono io, diciamo che io e Min Yoongi non siamo proprio amici."

"Immagino, è uno stronzo." Commentó lei, sputando quasi quelle parole e facendo rimanere di stucco Jimin. "L'ho conosciuto qualche anno fa, abbiamo avuto una storiella. Divertente, sì, ma poi ha mandato tutto a rotoli." Cazzo, Jimin diventava sempre più curioso e inorridito ad ogni parola pronunciata dalla ragazza. Aveva le sopracciglia inarcate come due accenti circonflessi e si mordeva nervosamente l'interno della guancia. Per un minuto buono si fermò ad ascoltare il suono della pioggia che tamburellava sulla plastica trasparente dell'ombrello e ad annusare l'odore dell'aria durante la perturbazione. Adorava l'odore della pioggia e la pioggia stessa, ma odiava camminarci in mezzo senza ombrello.

"Cos'é? Per caso ho detto qualcosa di sbagliato?" Domandó lei, un po' preoccupata.

"No, no, è che stavo pensando che con un ragazzo come lui è altamente probabile rimanere fottuti." Constató in modo anonimo e distante, guadagnandosi uno sguardo interrogativo da parte di Sunmi.

"Hai ragione, ma Dio se ci sapeva fare." Commentó lei, ridendo. Jimin si sentì pistare il cuore da quelle parole. Era così, quindi, che era andata. Lui per Yoongi non era stato nulla come non era stata nulla quella ragazza. Non sapeva i dettagli, ma l'aveva vissuto in prima persona, aveva sperimentato sulla sua pelle come agiva quel ragazzo con ogni persona lo attirasse. Qualcosa dentro di lui sembró rompersi. In una situazione meno coinvolgente si sarebbe detto di cambiare argomento e smettere di pensare a Yoongi, ma quella volta era diverso. Di Sunmi gli stava importando poco nulla in confronto ai fatti che gli stava raccontando. Fatti che riguardavano l'unico ragazzo che non voleva più sentir nominare. «Lo so che ci sa fare, Dio, lo so.» Avrebbe voluto rispondere, sebbene fosse una completa pazzia. "Bah, su questo non posso commentare." E rise. «Invece potrei farti un itinerario più che preciso, ma non posso.»

"Immagino, dove stiamo andando?" Domandó lei, stringendosi al braccio di Jimin a causa del freddo. Il ragazzo capí l'antifona e fece un gesto che aveva visto in troppi film per ricordarne il numero. Si tolse la giacca e gliela offrí gentilmente prima di rispondere alla sua domanda. Lei ne fu felice e la indossó subito.

"Ti va di ballare?" Jimin era sicuro di sì, sulla base del fatto che lei stessa gli aveva detto di voler diventare una ballerina.

"Sempre." Replicò infatti Sunmi, con un ghigno sul volto. "Mi porti al Nyam Nyam? Selvaggio." Commentó.

Appena svoltarono l'angolo, Jimin rimase quasi accecato dalle luci che provenivano da una struttura non troppo alta, ma modernissima. Era simile ad un grande magazzino, ma con un ampio portico che accompagnava l'entrata. Non avevano ancora raggiunto quel locale che Jimin iniziò già a vedere giovani ragazze e ragazze ubriachi che avevano difficoltà a camminare dritti. Altri cantavano cori sconci in Satoori* in mezzo alla strada e il biondo aveva addirittura visto un gruppo di adolescenti scavalcare una rete con degli astucci neri serrati tra le mani o sotto il braccio. Eroina, era piuttosto palese, pensò Jimin, alzando le sopracciglia. Rivolse uno sguardo fuggevole a Sunmi che camminava decisa accanto a lui e fu per un attimo catturato dalla chioma lucente e corvina che svolazzava a causa del vento. Il suo profilo era davvero delicato ed elegante. Non arrivava ai livelli del profilo mozzafiato di Yoongi, con la sua durezza e il suo pallore, ma Jimin dovette ammettere che era davvero un piacere rimanere a guardarlo. Lo zigomo prominente velato di leggero rosa donava decisione ai suoi tratti soavi, il naso all'insù regalava una punta di dolcezza e la linea affilata degli occhi dalle ciglia nere e lunghe denotavano un tocco di sensualità. Lei, ad un tratto, si voltò verso di lui e lo guardò con quegli occhi tanto scuri quanto intimidatori.

"Qualcosa non va?" Gli chiese, in tono esageratamente preoccupato.

"No, è che sei davvero bellissima." Le confessò il ragazzo, immaginando in realtà come sarebbe stato dire quelle parole a Yoongi. Sicuramente, non ne sarebbe uscito nulla di buono, giacchè solo al pensiero gli veniva da balbettare, anche se si trattava della pura verità. Tutto ciò che Yoongi era, non poteva essere paragonato a qualsiasi altra cosa poiché il solo confronto era disonorevole. Era troppo per chiunque. Incapibile, oserei dire.

"Grazie." Si  limitò a rispondere lei, facendo spuntare sul suo volto un sorriso un po' forzato. "Tu sei sexy" Aggiunse poco dopo, appena furono giunti all'entrata. Jimin non fu affatto sorpreso dal commento della ragazza, ne aveva ricevuti fin troppi molto simili, se non uguali. Quello che invece non ebbe il coraggio di ammettere, era che Yoongi non gli aveva mai detto una cosa del genere.

Davanti a lui era posizionato un piccolo chiosco che vendeva i biglietti d'entrata e una moderata fila di persone era per tutti coloro che già possedevano una prevendita. Ebbe il coraggio di guardarsi intorno e, appena si voltò alle sue spalle, vide un ragazzo chinato a terra, intento a rigurgitare l'alcool che aveva ingerito. «Dio, che schifo.» Esclamò dentro di sé, inorridito. Sapeva come funzionasse la vita notturna a Seoul, ma in quel locale tutto era amplificato. Di giovani nelle stesse condizioni di quel ragazzo ce n'erano altri venti, almeno, tutt'intorno. Alcuni erano circondati da gruppi di altri giovani, altri erano con delle ragazze che facevano fatica a reggersi in piedi e altrettanti non erano nemmeno consapevoli di dove si trovassero. Non era il migliore dei posti, ma era il più vicino e a Sunmi non sembrò dispiacere. Jimin le comprò il biglietto e pagò anche il suo, per poi entrare finalmente in quel grande stanzone. Appena le imponenti porte si aprirono davanti a loro, un'afa soffocante tolse il respiro a Jimin. La musica veniva sparata a volume altissimo dal DJ, il quale risiedeva su una postazione rialzata, in una specie di grande palco sopra tutto il resto. Sotto di esso, la discoteca presentava un'ampia pista da ballo immersa nel buio, illuminata solamente da luci colorate viola, rosa e azzurre. I corpi si scatenavano in ogni dove, facendo diffondere un'odore acre di sudore, il quale veniva alleviato solo dal lieve passaggio d'aria tra i vari condotti interni. Era come un mare smosso da onde continue, solo fatto di pelle brillante, capelli sfarfallanti e vestiti di paillettes. Jimin evitò di immischiarsi tra quella massa di corpi agitati e chiese a Sunmi di bere qualcosa insieme prima di ballare. Non perché si vergognasse del modo in cui ballava, bensì per il timore di fomentarsi troppo sulla pista e saltare la parte del "conoscersi meglio". L'unica pecca di cui si preoccupava era il bisogno di gridare in modo da sovrastare la musica tamburellante solo per comunicare in modo normale e civile. Il ritmo rimbombava dentro la sua cassa toracica andando a ritmo coi battiti del suo cuore e sentiva sotto i piedi uno strano tremolio. Fortunatamente, la ragazza aveva compreso alla perfezione la sua proposta e l'aveva concessa senza opporsi in nessun modo. I due si sedettero insieme su delle alte sedie, sembravano di plastica grigia, ma Jimin avrebbe saputo distinguere bene il colore dato che il buio e le luci variopinte lo confondevano. Il lungo bancone era, tuttavia, completamente nero e illuminato solo sull'estremità alta da una luce a led turchese. Un barista accorse veloce come un fulmine a prendere le ordinazioni e Jimin prese un Sex On The Beach, mentre Sunmi uno shot di rum.

"Ti piace iniziare col botto, eh?" Chiese Jimin, guardando la ragazza scolarsi tutto il suo drink in un solo sorso. Non che fosse scandalizzato, ma era insolito per una donna fare ciò al primo appuntamento, o qualunque quella serata fosse.

"Proprio così, mi piace bere in compagnia di gente che mi piace." Disse lei, alzando il tono e permettendo a Jimin di udire ogni singola parola pronunciata. "Raccontami un po' di te."

Era diretta, gli piaceva. "Sono un ragazzo normale di ventitré anni, non ho un granchè da dire." Poi decise di continuare. "Sono nato a Busan, i miei genitori lavorano lontano, mio fratello studia ad Harvard e vivo a pochi distretti da qui." Disse a mo di discorso da alcolisti anonimi.

"Semplice." Replicò lei, sorridendo. "Anche mia sorella studia in America, che strana coincidenza, ma lei studia nell'Ohio University." Fece una lunga pausa, ordinò un altro shot e proseguì la sua storia senza troppi fronzoli. "Mia madre vive qui a Seoul, mentre mio padre purtroppo è morto molti anni fa." Rivelò, lasciando Jimin con l'amaro in bocca.

"Mi dispiace molto." Si limitò a rispondere, non sapendo precisamente cosa dire.

"Non preoccuparti, era per droga, se l'era cercata." Disse lei, scolandosi un secondo e poi un terzo shot. Jimin notò che nel momento in cui lui aveva terminato il suo cocktail, lei era già al quarto shot, ma l'ultimo si trattava di tequila. Cominciò a preoccuparsi un po', ma la vedeva restare comunque stupefacentemente lucida. "Come conosci Yoongi?" Chiese lei. Domanda crudele, mannaggia al destino.

"Siamo colleghi di lavoro, o meglio, lui è il mio supervisore. Penso che tu già sappia che lavora come vestiarista da V's." Per quanto Jimin tentasse di scappare da quel maledettissimo ragazzo, lui ritornava. Se fosse per mezzo di parole, forme, colori, immagini, paesaggi o ricordi non era importante, lui ritornava, sempre. Jimin maledì il suo passato, maledì la sua mancanza di volontà quando ne aveva avuto più bisogno e maledì Yoongi per la milionesima volta.

"Sì, me ne aveva parlato." Disse lei, per niente turbata. "Sai, vorrei che non gli dicessi che mi hai incontrato, per favore." Lo pregò poi.

"Se non ti sembra troppo avventato, potrei sapere cosa è successo tra voi?" Il biondo straripava di curiosità dopo tutte quelle insinuazioni su Yoongi. Si disse che non avrebbe dovuto chiederlo, che sarebbe stato meglio senza sapere determinati dettagli e che quella sera avrebbe dovuto essere dedicata solo a dimenticarlo, ma a quel punto non gli era più possibile.

"Certo, mi sembra lecito che tu lo sappia, visto che io ho tirato fuori l'argomento." Concesse lei, con tono un po' più malinconico. "Era un cliente abituale al ristorante già da prima che fossi assunta ed è bastato vederlo una volta per capire che me lo volevo portare a letto." Confessò lei, ridendo e facendo contorcere le interiora a Jimin. "Accadde ciò che speravo e, dopo altre tre o quattro notti, mi accorsi di provare qualcosa per lui." Jimin cominciava ad avere la nausea, i coniati presenziavano nella sua gola ma cercò disperatamente di reprimerli. "E una volta rivelati i miei sentimenti faccia a faccia, lui mi baciò per la prima volta." Il suo discorso terminò a quel punto. Jimin non si sentì più le gambe né le braccia né qualsiasi altra parte del corpo che possedesse mobilità. L'aveva baciata, Yoongi l'aveva baciata. Lei e poi basta. Si sentì lo stomaco bruciare, il cuore balzare in gola e soffocarlo, il respiro farsi affannosamente pesante. Intorno a sé non udiva più nulla, non avvertiva il calore strozzante, non percepiva più il ritmo di nessuna musica. Era come se fosse morto all'improvviso, ma con la piena coscienza di esserlo. "E vuoi sapere cosa successe dopo?" Chiese lei retoricamente.

No, non voleva più sapere niente. Non voleva più ascoltare le sue parole che potevano sembrare innocenti ad occhi altrui, ma che erano affilate come mannaie per Jimin. "S-sì"

"Niente, non successe assolutamente niente." Rispose lei. "Non si fece più sentire, niente più chiamate, niente più messaggi, niente più parole, solo rifiuti per le varie proposte che suggerivo per riavvicinarlo." Fece una breve pausa e buttò giù un altro shot. "E quando gli chiesi spiegazioni sai come mi aveva risposto?" Dal suono del tono della sua voce sembrava altamente ferita, delusa e arrabbiata. "Stando in silenzio per tutto il tempo." E concluse lì la tormentosa narrazione. Jimin non sapeva come rispondere, non sapeva cosa dire e non aveva la minima idea di come sentirsi dopo quel racconto. Forse quello era l'unico momento nella sua vita in cui la sua mente riusciva a visualizzare solo nero. "Andiamo a ballare?" Chiese la ragazza, come se dei cinque shot che si era bevuta non ci fosse stata traccia.

"Certo." Rispose Jimin, che si era visibilmente sbiancato. Per sua fortuna, nel buio del locale non si notava per nulla. Dove l'avrebbe trovata la voglia di ballare dopo ciò che aveva sentito non lo sapeva, ma Sunmi gli piaceva e non poteva certo andarsene a quel punto.

Si immersero tra la valanga di corpi semoventi all'interno della pista e Jimin ricominció gradualmente a sentire il ritmo sbattere all'interno del suo petto. Guardó il bel viso della ragazza che gli stava davanti e cercó di dimenticare Yoongi, cercó di concentrarsi solo su quelle rosse labbra carnose. Cominció a muoversi a ritmo di musica, prima lontano da lei una ventina di centimetri, poi solo dieci, poi cinque e poi attaccó il bacino ai suoi fianchi, approcciando tutto il corpo al suo. Jimin sapeva ballare distintamente, era molto bravo a tenere il ritmo ed era sciolto come pochi ragazzi riuscivano ad essere. Passarono la notte a strusciare l'uno sull'altro tra i movimenti dei fianchi di entrambi e tutti e due si guadagnarono dei complimenti l'uno dell'altro. Ora dopo ora, ciò che lei gli aveva rivelato, si faceva meno importante e l'unica cosa che Jimin fu in grado di fare era concentrarsi sulla meravigliosa ragazza con cui avrebbe potuto divertirsi tutta la notte. Lei gli mise le braccia sulle spalle e lui tenne le mani sulle sue anche, tentando anche di scendere verso il fondoschiena. Lei glielo permise, ma a quel punto Jimin si rese conto che l'indomani avrebbe dovuto arrivare puntuale a lavoro. Non poteva sgarrare di nuovo o Taehyung si sarebbe arrabbiato sul serio. Guardó l'orologio che segnava le tre e un quarto e si allarmó. Ci voleva una mezz'ora buona per tornare a casa ed era fin troppo tardi. Comunicó il suo problema a Sunmi e lei annuì, capendo la situazione. Lo accompagnó davanti all'uscita e si salutarono in quel punto.

"Sono stato bene stasera." Esordì Jimin. "Molto bene." Aggiunse poi, accaparrandosi un sorriso compiaciuto dalla ragazza.

"Anche io." Disse lei. "Avevo ragione, mi piaci Park Jimin." Riveló poi, prendendogli una mano, avvicinando le labbra alla sua guancia e stampargli un asciutto bacio su di essa. "E se vieni qui anche domani alla stessa ora, ti darò anche di più." Aggiunse, con un sorriso perverso in volto.

"Allettante." Disse Jimin con tono suadente. "Ci sarò." E le prese la mano, per scortarla fuori con lui.

"Che fai? Io resto!" Protestó lei, mantenendo però le dita strette alle sue. "Ho molti amici qui, non preoccuparti, domani mattina non lavoro!" Gli sorrise allegramente, agitando la mano per salutarlo.

Tutti coloro che frequentavano la vita notturna a Seoul sapevano che avere amici in quel locale non era una buona cosa. Per quanto fosse frequentato e brulicante di gente ogni notte, quella discoteca era uno dei centri principali e loschi di tutta la città. Affari di droga, affermavano quelli meno informati; malavita, dicevano altri; Jimin, invece, era una di quelle persone che non volevano ficcare il naso in dicerie del genere. C'era stata solo una notizia che lo aveva turbato, una grande prima pagina sulla quale era riportato un articolo che riguardava una piccola cellula di mafia cinese infiltrata a Seoul. Due nomi gli balzarono in testa, nomi estranei e senza relazioni con volti precisi, erano Jackson Wang e Mark Tuan. Alcune persone erano convinte che questi due c'entrassero con recenti eventi capitati nel mondo dello spaccio illegale su larga scala e moltissimi credevano fermamente che fossero i famosi e sconosciuti proprietari del Nyam Nyam e altre discoteche ove il consumo di sostanze stupefacenti era più diffuso. Jimin rabbrividì al solo pensiero che Sunmi potesse conoscere e addirittura fare parte di affari del genere, ma si convinse che non era così di sicuro. Sembrava una ragazza sognatrice, espansiva, ma non una criminale. Ci fece su un sorriso e tirò la mano di Sunmi, facendola avvicinare di più a lui per poi porgergli il suo cellulare.

"Scrivimi il tuo numero, almeno ti messaggio stasera o domani." Disse, mentre la ragazza scriveva il suo numero sul tastierino con una certa soddisfazione sul volto.

*Satoori: parola con cui si indica un particolare dialetto o un difetto di pronuncia della lingua coreana.

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