„ After the deal "

By tsubakicos

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Due fratelli dai caratteri opposti, in conflitto da anni senza un apparente motivo. Diana, ventunenne, matric... More

Introduzione.
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Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 9.
Capitolo 10 - Aaron.
Capitolo 11 - Aaron.
Capitolo 12 - Aaron.

Capitolo 8.

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By tsubakicos

"Che cosa state facendo?!"

La voce di mia madre irrompe nella stanza come un tuono prima della tempesta. Spalanco gli occhi e subito il mio cuore accelera. A giudicare dalla luce pallida che filtra nella camera stimo siano le sette o le otto del mattino. Aaron si scosta immediatamente, corrugando la fronte e strofinandosi il viso più volte.

"Che succede? Perché stai urlando?" Farfuglia con la voce impastata dal sonno.

"Ti sembra il caso di dormire abbracciato a tua sorella? Non siete più bambini!" Il tono accusatore che gli sta rivolgendo è totalmente senza senso. Siamo fratelli, non amanti clandestini. Qual è il problema?

"Aaron è venuto a scusarsi dopo la brutta discussione di ieri e ci siamo addormentati. Non vedo perché alterarsi tanto."

Ci mettiamo entrambi a sedere, guardandoci come se l'altro avesse capito il pretesto per cui essere ripresi.

Mamma scuote la testa nervosamente, poi esce dalla stanza e scende di sotto poggiando pesantemente i piedi sugli scalini di legno.

Io e Aaron rimaniamo attoniti. Ci alziamo dal letto e ci affacciamo sul pianerottolo. Sento la voce di mio padre arrivare flebile all'orecchio.

"Pensavo fosse acqua passata... Dovremo comportarci come abbiamo già fatto in passato."

Guardo mio fratello con aria interrogativa, mimando con le labbra un "A cosa si riferisce?". Lui scuote la testa, i suoi occhi rimangono sui miei, senza saper rispondermi. Restiamo immobili, cercando di intercettare altre parti del discorso.

"Hanno vent'anni, come facciamo?" Questa volta è nostra madre a parlare.

"Non lo so, Becca. Forse non è più necessario intervenire..."

"Pensi sia stata la cosa giusta? I dubbi mi stanno tormentando, Gabriel."

Non resisto un minuto di più: i miei piedi sono già posizionati verso le scale e vorrei correre giù per capirci qualcosa, ma Aaron cambia i piani e mi blocca. Si interpone tra me e il primo scalino, poi mi sussurra: "Non credo sia una buona idea."

"Non ti puzza questa situazione?"

"Sì, ma non credere che presentandoti con le braccia incrociate avrai le risposte che tanto desideri."

Aaron ha ragione, mamma e papà non parlerebbero. O almeno non ora. Questa discussione ha le vaghe sembianze di un grosso vaso di Pandora e il mio temperamento potrebbe causarmi problemi.

"Aaron."

"Mh?"

"Ci stanno nascondendo qualcosa."

"Geniale Diana, davvero." Mi prende in giro facendo roteare gli occhi al cielo.

Gli rifilo un debole pugno all'altezza del gomito e la sua reazione mi spiazza: increspa le labbra in un sorriso divertito, ricambiando scherzosamente il colpo. Tutto ciò è contagioso e mi ritrovo a sorridergli, distraendomi per un millesimo di secondo dalla situazione. È incredibile, ieri sera ci saremmo messi le mani addosso tanto eravamo arrabbiati, mentre adesso ci prendiamo a pugni per gioco. Il tutto accompagnato dal sorriso di Aaron che vedo a settimane alterne.

"Che facciamo?" Domanda lui.

"Se scendessimo senza dire nulla? Come se non fosse successo niente..."

Annuisce, privo di idee migliori da proporre.

Quando entrambi mettiamo piede in cucina mamma e papà smettono di borbottare immediatamente. Nessuno di noi due aveva dubbi circa il loro comportamento. Ci sediamo a tavola dopo aver prelevato dalla dispensa cereali e biscotti per fare colazione.

Papà prende la parola, senza guardarci: "Caffè? C'è anche del latte fresco in frigo."

Annuiamo, un po' imbarazzati, un po' infastiditi. Mangiamo in totale silenzio e diventa quasi snervante sentire il suono croccante che emettono i cereali nella bocca di Aaron. Riesco a mangiare solo un paio di biscotti e sorseggiare un caffè ristretto, poi il mio stomaco si stringe in una morsa che non mi permette di continuare.

"Pa', ho finito la benzina. Ne abbiamo ancora?"

"Sì Aaron, è nel sottoscala."

Mi alzo velocemente dalla sedia e altrettanto rapidamente mi allontano con un "vado io". Apro la porta del ripostiglio e vengo accolta dall'aria gelida dovuta alla quasi totale oscurità della stanza. Con la mano cerco l'interruttore tastando sul muro alla mia destra.

Davanti a me una trentina di scatoloni occupano gran parte della stanza, insieme agli scaffali dove mamma posiziona le varie scorte alimentari. Mi guardo attorno per adocchiare le taniche di benzina. Nel frattempo mi raggiunge Aaron e subito si dirige verso il lato opposto dello stanzino.

"Sono da questa parte." Pronuncia.

Vengo catturata da un paio di scatoloni sulle cui facciate appare una scritta in nero a caratteri cubitali: "Elementari – Medie. Diana e Aaron".

"Guarda qua cos'ho trovato." Invito mio fratello a raggiungermi.

Quando entrambi rivolgiamo lo sguardo verso lo stesso punto le nostre labbra si distendono in un sorriso nostalgico.

"Perché non li prendiamo e li portiamo in campagna, domani?" Propone lui.

Annuisco subito, felice che l'abbia suggerito. Si offre di prelevarli lui, dato il notevole peso, e di portarli fuori dal sottoscala.

Quando torniamo in cucina scopriamo d'esser da soli. Mamma si è spostata al piano di sopra per sistemare, mentre papà non so dove si trovi. Forse è uscito. Rimango in stanza per mettere a posto le tazze e riordinare la cucina, mentre Aaron esce in giardino per riempire il serbatoio e riporre gli scatoloni nel bagagliaio. La controversia di questa mattina è rimandata, ma sono sicura che ce ne occuperemo molto presto.

-

"Buon mesiversario, amore." Yago e la sua adorabile abilità di ricordare ogni data.

"Auguri a noi, tesoro."

"Che fai oggi?"

"Io e Aaron andiamo dai nonni, a Veria. Siamo partiti dieci minuti fa."

"Tu ed Aaron? Insieme? Non fate grandinare, per l'amor di Dio."

Mi faccio scappare una risata, portando la testa all'indietro ad appoggiarsi sul poggia capo del sedile. "Tu invece che fai oggi?"

"Lavoro dalle due alle otto."

"Allora ci sentiamo stasera con più calma, un bacio."

Oltre i finestrini dell'Alfa Romeo di mio fratello, il paesaggio muta chilometro dopo chilometro. Ci stiamo lasciando alle spalle la tipica ambientazione cittadina e ci stiamo addentrando in quella campagnola e rustica dove per anni abbiamo passato le nostre estati in compagnia dei nonni paterni. Le colline dolci, dai colori spenti di cui si vestono nel periodo invernale, spuntano sempre più numerose da ogni lato.

Meno di un'ora di strada ci divide dal luogo che portiamo nel cuore anche a distanza di anni.

Aaron imbocca il sentiero sterrato che costeggia la cascina dei nonni e parcheggia l'auto. Lasciamo momentaneamente gli scatoloni all'interno della vettura e ci dirigiamo in casa per rivedere nonno Alfred e nonna Fedra.

Appena superato l'uscio, nonna ci comunica che ha preparato la torta al limone. Il profumo di benvenuto arriva dritto al cuore, trasportandoci fino alla cucina, dove il nonno è seduto a tavola impaziente di mangiarla. Chiacchieriamo a lungo, con le guance piene e l'allegria stampata in volto. Aggiorniamo i nonni sull'università, il lavoro di mio fratello, il rapporto con Yago. Sono entusiasti di rivederci. Oltre alle fette di torta, sul tavolo appare un vecchio mazzo di carte. Nonno Alfred adora giocare con sua moglie, ma oggi vuole coinvolgere anche noi. Non ricordo molto bene le regole, ma dopo un paio di sessioni scopro che me la cavo ancora egregiamente.

Mi sento così spensierata da perdere completamente la cognizione del tempo.

Terminata la colazione e la sessione di gioco, io e Aaron ci alziamo e ci assentiamo qualche minuto per entrare nella nostra vecchia stanzetta. In fondo al lungo corridoio le cui pareti sono adornate da moltissime foto, c'è una stanza più o meno piccola: all'interno vi sono due letti singoli divisi da un comodino, una scrivania e un armadio capiente. I copriletto sono ancora gli stessi di un tempo, a fantasie gialle e verde lime. Io e mio fratello sorridiamo teneramente all'unisono, mentre scrutiamo ogni angolo della camera per riportare alla mente quanti più ricordi possibili. Il tempo è rimasto immutato qui. Ci avviciniamo alla finestrella che dà sui campi e sull'orto di cui si occupa meticolosamente il nonno. Da qui, in lontananza, si può percorrere con lo sguardo la stradina non lastricata che porta alla nostra capanna di legno. Eravamo soliti andarci a piedi o, nei giorni più pigri, con le biciclette sgangherate che trovavamo nel porticato degli attrezzi.

Aaron fa un lungo sospiro e questo mi porta a voltarmi verso di lui. I suoi occhi rimangono fissi verso l'orizzonte, ma la sua voce raggiunge me: "Diana... vorrei parlarti".


▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Ciao miei bellissimi lettori!

Non si può dire che questo capitolo non sia cominciato con un po' di pepe. 

E della gita in campagna con Aaron e Diana, che mi dite? Avete preparato lo zainetto?

Finalmente il nostro omone avrà il coraggio di sputare il rospo? 

Vi aspetto nei commenti.

Baci, appuntamento al prossimo capitolo!


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