The Scream

By _S_O_S_E_

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«Signorina, non m'interessa! Domani avrai una lunga giornata di scuola, dunque vedi di filare a letto!» la bi... More

L'urlo

Prologo

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By _S_O_S_E_

Non era mai stato semplice per nessuno vivere senza un padre. 

Non lo è tutt'ora, in fondo.

Adesso è semplice dire "addio" ad una persona che si ha amato per giorni, mesi o persino anni. Tutto finisce come in una nuvola di fumo, sentimento disintegrato da un fulmine a ciel sereno. 

"Fulmine a ciel sereno"..si chiama così, adesso, l'amore che di punto in bianco svanisce? 

Se poi si può chiamare amore quel sentimento che ti porta a cambiare completamente te stesso, fino a distruggere la persona che ti è accanto e che ti reputa la cosa più bella che possa aver visto in anni di sofferenze o in un Mondo senza significato. Eppure niente accade per caso, in questa vita governata da una sola legge: tutto non dura per sempre. Che sia la gioia o la tristezza, niente persiste e tutto scorre, come un dolce e gentile ruscello che porta via con sé tutto ciò che incontra. La verità è che l'umanità non ha ancora compreso cosa realmente sono i sentimenti e li confonde, li mischia per creare solo una nuova forma di confusione che porta a illudersi ed a tuffarsi in una realtà di "rose e fiori" mascherando così i reali problemi di una coppia.

L'amore non è più amore, non lo è da chissà quanto tempo ormai. O, forse, questo sentimento non è mai esistito! 

Ed è ciò che mi sono chiesta sin da quando ne ho memoria. 

Ma da quell'amore, ne sono certa, nacque tanto tempo una Piccola Rosa.

Non una rosa qualunque, rossa e ricca di spine. Più che di spine era ricca di petali neri come la notte e dolcemente sfumati di un rosso che solo alla luce del Sole si poteva vedere. Era nata come poche della sua specie: con la Luna piena del primo giorno d'inverno, due mesi prima del previsto e con tanta, troppa fretta in una casa di una coppia rumena. Se così si poteva definire. Perchè era nelle terre della grande Transilvania che lei aveva iniziato a muovere i primi passi verso un'esistenza di cui lei sarà padrona o meno.

Il suo nome era Anne-Marie.

La madre Grațiela aveva partorito naturalmente, senza alcuno sforzo nella sua umile dimora con il marito di fianco, che da lì a poco sarebbe svenuto alla vista di quella scena e con il dottore venuto dal paesino più vicino, solo per assistere la donna durante il parto. Le urla della madre inondavano la piccola casa di mattoni, divorata a tratti dall'edera e muschio che qui e là decoravano quei pichi buchi che si erano creati tra un mattone e l'altro. La bimba, che dal colore della sua pelle pareva già cagionevole, fece sin da subito preoccupare sua madre e suo padre per la sua salute, nonostante il dottore si assicurò che fosse completamente sana seppur nata prematuramente. Già dallo sguardo che la mamma ebbe durante il periodo d'incubazione della piccola, si poteva intuire quanto fosse agitata per la salute della bimba e quanto pareva terrorizzata per il futuro. Aveva il brutto vizio di mangiarsi le unghie - in particolare del pollice destro, in continuazione, mentre guardava persa il corpicino della sua piccola che ancora non scalciava e non piangeva. Con il passare del tempo cresceva in perfetta salute, la sua rosa e si diceva che fosse la più bella ragazzina del paese, anche se  il padre non ne era pienamente d'accordo. In molte la invidiavano per la sua lunga e folta chioma scura come la pece, nonostante Anne-Marie non se ne prendeva chissà quanto cura. In fondo, non aveva mai modo di andare dai parrucchieri o spendere soldi su soldi per i prodotti per capelli. Eppure la sua chioma brillava come ricoperta di diamantini alla luce solare, per quanto fosse bella e sana. 

In fondo, per quanto non amasse uscire con gli anni a venire, la notizia della sua nascita aveva raggiunto il paesino più vicino. E dunque la conoscevano già tutti - o quasi.

Bran, paesino della Transilvania. Lontano abbastanza da dove abitava la nostra piccola rosa, ma riusciva comunque ad arrivarci a piedi passando per i boschetti che lei amava tanto. Sin da neonata Anne-Marie era stata spesso a stretto contatto con la natura, in particolare con animali e piante. Seppur ella non ne capiva molto per i suoi dodici anni, ma era fermamente convinta che i pini erano i suoi amici più cari e che i lucherini cantavano per lei dai grandi rami su cui erano appollaiati. Era un modo per evadere dalle disgrazie che avvenivano nella sua dimora. Spesse volte chiedeva aiuto ai pini, rivolgendosi a loro sussurrando parole in rumeno, che tuttavia non ricevevano risposta. 

Come poteva far sì che i suoi amati genitori non litigassero così spesso? Perchè da quando ne aveva memoria, la mora non faceva altro che sentirli discutere quando per un motivo o per un altro. Motivi sciocchi, che riguardavano la pulizia dei piatti o dei calzini lasciati un po' ovunque in camera da letto. Spesse volte se lo chiedeva, Anne-Marie, come i grandi potessero passare ad uno stato di grande pace ad uno di completo odio - insensato, a dirla tutta. La mamma le raccontava che qualcosa non andava più tra loro, ma che fosse solo uno sciocco periodo. Il papà invece non si faceva vedere per ore, per giorni alcune volte e la figlia chiedeva spesso alla sua mamă dove fosse effettivamente andato il padre. 

Non riceveva mai risposta. Un flebile sorriso appariva su quel volto stanco, di una donna che non sapeva più cosa fare con ciò che era rimasto del suo cuore. E questo la piccola lo percepiva. Con la madre era sempre rimasta in buoni rapporti e con lei si confidava, si sostenevano a vicenda il più possibile. Eppure sapeva che cosa mancava alla mamma: l'amore. Lo sapeva perché gliel'aveva detto sussurrando tante volte parole malinconiche, tra quelle carezze notturne e quei pianti nascosti agli occhi della figlia, con quei suoi lunghissimi capelli neri. Come i suoi. Non a caso venivano scambiate per sorelle, ogni volta che uscivano a comprare verdure al mercato, che si teneva ogni martedì e sabato nella piazza principale di Bran. Ma Anne-Marie lo sentiva, lo percepiva quel vuoto che si nascondeva nelle pentole pulite nelle credenze della cucina, in quel letto sempre ordinato e mai colmo. In quella poltrona abbandonata a sé stessa all'angolo di un soggiorno mai letteralmente illuminato. 

  «Mamă, sai quando tornerà tata..?» 

 «Figliola mia, non dovresti chiedermi queste cose: sai bene che è fuori per lavoro!» Grațiela continuava a lavare quel piccolo piatto che aveva in mano già da qualche minuto e che continuava a strofinare con tanta prepotenza e delicatezza allo stesso tempo. C'era sempre qualcosa d'elegante in quella donna, anche mentre puliva le stoviglie. «Vedrai, tornerà presto! Non dovresti essere a letto piuttosto, signorina? Sono le ventitré passate!» 

 «Non ho sonno..»  sussurrò la figlia appoggiandosi con entrambe le mani unite all'angolo del muro che dava sul soggiorno, con la guancia che spingeva su di esse. I due smeraldini che aveva come occhi saettavano flebilmente da una parte all'altra della poltrona giallognola ferma davanti al caminetto spento e pieno di cenere. La madre di tutta risposta spense subito l'acqua con un colpo di polso, facendo schioccare la lingua sul palato. Non era effettivamente un buon segno, in particolare perchè quegli occhi osservavano la natura fuori dalla finestra con un certo nervosismo.

    «Signorina, non m'interessa! Domani avrai una lunga giornata di scuola, dunque vedi di filare a letto!» la bimba non sopportava quel tono di voce così autoritario, non quando incominciava a pescare tra i ricordi  il volto di suo padre che con il sigaro tra l'indice ed il medio continuava a leggere il quotidiano del paese. Anne-Marie ricordava bene il nome: Azi. "Oggi" nella loro lingua, scritto a grandi caratteri sulla prima pagina. Spesse volte la mamma si lamentava di come il salotto puzzasse in effetti di sigaro, ma alla bambina non importava. Amava stare sulle ginocchia di quel padre dagli occhi che parevano pezzi di ghiaccio incastonati in un cranio, che quando parlava la sua voce graffiava l'aria ed era così terribilmente dolce quando rideva con lei. La piccola fece un breve sospiro tornando con lo sguardo verso la mamma che, a quanto pareva, l'aveva osservata con occhi indignati per tutto il tempo. Forse aveva ragione: doveva solo attendere il ritorno del suo papà, la piccola bambina. «Avanti, fila in camera tua!»

Anne-Marie puntò lo sguardo su, verso l'ultimo gradino di quella piccola scalinata di legno che ad ogni suo piccolo passo scricchiolava in maniera a dir poco snervante. La piccola fece una smorfia, mentre appoggiava la sua manina sinistra sulla scala. Nonostante avesse dodici anni e avesse almeno il diritto di scegliere quando andare a dormire, la madre pareva preoccuparsi tanto del suo sonno. In particolare quando la figlia chiedeva del padre.  

«Così come Ada e Delia possono scegliere quando andare a dormire, anche io voglio essere libera di rimanere sveglia quando voglio!» le sue colleghe di classe, in effetti, potevano permettersi di avere tutta la libertà che potevano desiderare. Persino uscire tardi la sera non era un problema per i loro genitori, ammesso che sapessero delle loro scampagnate notturne con ragazzi del tutto privi di eleganza, bellezza ed intelligenza. La piccola rosa continuava a guardare sua madre, lasciandosi inondare da quelle idee del tutto lecite. Non aveva mai disobbedito alla mamma. Mai. Per tutta la sua esistenza la bambina aveva sempre cercato di seguire tutto ciò che la mamma le aveva consigliato - od obbligato - di fare, compresa la scelta  del liceo futuro. Liceo che Anne-Marie non riusciva ad apprezzare, ma che se lo doveva far piacere per forza. Era cosciente che lo studio e l'impegno l'avrebbe portata lontana...ma sarebbe mai stata davvero felice da grande? Qualche volta  la piccola se lo chiedeva, quando passava il tempo ad osservare dal marmo scuro e rozzo della finestra della sua camera i pini così alti e freschi del bosco. Pensava essenzialmente a cosa avrebbe dovuto fare dopo il diploma e se magari sarebbe mai riusciva solo ad entrare nell'università e pagarsi gli studi, in caso i genitori non l'avessero sostenuta economicamente. La piccola sapeva bene che i suoi genitori non potevano permettersi spese eccessive ed era anche per questo motivo che evitava di uscire con i suoi compagni di classe. E non era, purtroppo, l'unico motivo per cui s'intanava in camera sua, tra i suoi fogli spesse volte completamente scribacchiati e pieni di disegni di ogni genere: sentirsi isolata da quasi tutti i discorsi che gli altri facevano in sua presenza non era divertente. Nemmeno un po'.

Pareva come se le ragazze della sua classe la isolassero poiché fosse troppo "matura" per la sua età. Ed erano arrivati ad isolarla nel momento stesso in cui, l'anno prima, era riuscita a tener testa a Ioan: uno dei più grandi e grossi bulli della scuola, che nessuno mai amava sfidare..a parte la preside. Per quanto quel grasso e presuntuoso ragazzo del terzo anno cercasse d'intimorire un collega di un anno più piccolo per accaparrarsi la sua stupida ciambella, Anne-Marie era riuscita a mettersi in mezzo alla discussione senza recarsi danno e lasciando che il più grosso iniziasse a piangere a dirotto. Non che la piccola rosa avesse alzato un dito contro di lui, ma gli aveva semplicemente parlato con calma e con dolcezza. Non una dolcezza subdola, con cui le donne si divertivano a sedurre gli uomini sposati o pieni di soldi nel loro portafogli, ma una dolcezza pura. Una gentilezza che quel bambino aveva saputo percepire forse più di quanto si aspettasse. Davanti agli occhi increduli dei professori, il ragazzo cadde in ginocchio davanti a Anne-Marie con i suoi occhioni color melma, che in quel momento erano rossi e pieni di lacrime.

Ecco, questa era Anne-Marie: una bimba non molto in gamba a scuola, ma che sapeva parlare ai cuori feriti..tranne al suo. Vi era qualcosa che non lasciava penetrare quel guscio vuoto che percepiva all'altezza del cuore. Un qualcosa che non gli permetteva di comunicare con sé stessa e che sicuramente non l'avrebbe mai permesso di scoprire il suo Io interiore. E per quanto ella cercasse in qualsiasi modo di comunicare con il suo Io interiore, non ci riusciva. Anzi, i dubbi che aveva e l'insicurezza in lei scaturivano altre insicurezze che la portavano a chiudersi sempre di più nel suo Mondo ed a mentire davanti alla mamma, davanti ai suoi compagni di scuola, davanti a tutti gli occhi che la scrutavano con meraviglia, per quelle sue piccole qualità fisiche, che purtroppo sua madre non sapeva apprezzare abbastanza. E la piccola lo sapeva che non parlava con cattiveria, quando diceva che doveva curarsi di più, quando diceva che doveva stare più all'aperto, più al Sole così da prendere colorito, ma la piccola non ascoltava.

La mancanza d'amore genera questo.

Insicurezza, timore, scompenso. L'amore dei genitori è un diritto di ogni bambino. Un diritto che  la piccola rosa non era riuscita ad avere. E per quale motivo?

Perché lei era nata per puro caso, da un amore che nemmeno esisteva veramente. Suo padre e sua madre non erano mai riusciti a essere felici insieme. Proprio quando avevano deciso di lasciarsi e di preparare le valigie, le acque si erano rotte e la donna non era riuscita nemmeno ad andarsene da quella casa mantenendo nascosta la gravidanza. La bambina non sapeva più chi era, non sapeva più a chi appoggiarsi per avere un attimo di sollievo dagli incubi che inondavano i suoi occhi, dai mostri e dai cadaveri che continuamente sognava ogni notte. Alla madre non voleva chiedere aiuto, poiché sapeva quanto lei avesse ben altro a cui pensare.

Ma Anne-Marie continuava a dare la forma di quelle mancanze, un volto non sempre visibile. 

Un corpo enorme e quasi bestiale, di cui lei stessa non sapeva riconoscere effettivamente le reali sembianze, se fossero umane o animali. Sapeva solo che questa creatura le dava la caccia.

E, nonostante continuasse a ripetersi che fosse solo un sogno, la piccola rosa era terrorizzata all'idea di vederlo veramente davanti alla sua porta, dopo aver sentito un urlo straziante provenire da chissà dove.

Con occhi bianchi come il latte e la sua voce rauca e bestiale.


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