Il Diavolo Sa Amare

Da polariss_star

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La storia di Samantha e Christopher non è come tutte le storie d'amore e di odio: si odiano senza apparente m... Altro

SPECIAL CAST
prologo...
copertinaaaaaa
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
Nuova copertina.
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
avvisoooo
Capitolo 7
Capitolo 8

CAPITOLO 3

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Da polariss_star

Esco dal cancello della Santa Monica High school e mi immetto sulla Pico Boulevard, al primo incrocio giro a sinistra e mi immetto sulla 4th street e la percorro facendo slalom tra le macchine per cinque minuti, rallento e all'incrocio giro a destra sulla Ocean Park Boulevard, poi svolto nuovamente a destra e percorro la Barnard Way, arrivo all'incrocio con la Hallister Avenue e mi fermo nel vialetto della piccola villetta a due piani.

Apro il cancello ed entro, la parcheggio nel garage e tolgo il casco ravvivando i capelli biondi. Guardo di nuovo l'ora e vedo che sono le quattro e mezza. Per fortuna con la moto ci impiego dieci minuti esatti dalla scuola a casa e viceversa, se dovessi andarci a piedi ci impiegherei il doppio del tempo.

Mi fiondo in casa, salgo le scale e apro la porta della mia camera. Butto la borsa sul letto e apro la cassettiera dalla quale estraggo un top, una felpa nera e un pantalone della tuta.

Mi cambio alla svelta e passando di fianco alla camera di mamma, ci guardo dento e vedo lei stesa nel letto con alcune bottiglie di birra, vino e vodka sparse per terra. Sospiro amareggiata per quel disastro e facendo la lista mentale di cose da fare, che si allunga sempre di più scendo le scale, uscendo per andare nella casa vicina. Busso e nel frattempo mi lego i capelli lunghi in una coda disordinata e come stamattina mi apre la Signora Lambert.

- Mi dispiace per il ritardo, ho perso la cognizione del tempon alla lezione di arte. – Affermo con un sorriso.

- Non ti preoccupare. Entra. Ti va un caffè? - Chiede spostandosi di lato e facendomi entrare.

- Grazie. Certo, accetto volentieri. – Giro l'angolo ed entro nell'ampia cucina moderna che si affaccia sul vialetto.

- Allora, come te la passi Sam? Non ci vediamo da un po'. Tra te e Christopher va tutto bene? – Mi prende alla sprovvista con tutte queste domande e non so nemmeno io cosa rispondere e quindi opto per una bugia innocente, non sapendo la versione che ha raccontato Christopher, quel bugiardo patentato.

- Si, tutto bene tra noi. Per il resto, la vita va bene, io sto bene. – Veniamo interrotte dal pianto del mio fratellino Samuel. La signora Lambert si allontana e lo va a prendere. Appena mi vede, alza le sue braccia paffute per essere messo tra le mie braccia e fa versetti e gorgogli di gioia.

- Gli sei mancata. Quando si è svegliato e non ti ha visto, si è lamentato molto, ha pianto ma grazie alla registrazione della tua canzone si è calmato subito. Come facevi a saperlo che mi sarebbe servita?

- Colpa mia. Quando non riesco a calmarlo, di solito gli canto qualche canzone dei Rolling Stone o dei Beatles o ancora Bon Jovi e si calma. - La signora Lambert mi sorride e dice: - Non sapevo che una ragazza della tua generazione conoscesse questi cantanti.

- Mio padre era un loro fan sfegatato. Ascolto questa musica da quando sono nata, forse anche quando ero solo un fagiolino. – Sorrido per i ricordi passati che affiorano nella mia mente. Io e papà, forse a due anni che ballavamo per casa sulla canzone dei Rolling Stone mentre mamma era intenta a cucinare qualcosa di commestibile in cucina. Non era una brava cuoca, anzi, una pessima cuoca e non è mai migliorata.

- Sam, è quello cos'è? – Chiede indicando il mio petto.

Mi guardo il petto e vedo che Samuel ha tirato il top facendo emergere il tatuaggio che mi sono fatta in mezzo al seno in Texas.

- Un tatuaggio. – Ribatto semplicemente togliendo la manina di Samuel dal top, rimettendolo a posto.

- I tuoi lo sanno che te lo sei fatta?

- Si. Scusi, ma è ora che io vada. Le ho rubato fin troppo tempo. – Rispondo alzandomi e sistemando il piccolo nel passeggino. – Grazie ancora per avermi aiutata ed essersi occupata di Sam. – Dico uscendo dalla casa.

- Figurati. – Entra nuovamente in casa e si chiude la porta alle spalle.

In quel preciso momento Christopher parcheggia il suo pick-up nel viale.

Lo ignoro, gli passo vicino e mi avvio verso la porta di casa.

- Sam? - Chiede Chris.

Un brivido percorre il corpo facendomi stringere il manico del passeggino talmente forte da far diventare bianche le nocche. Respira ed espira. Calma. Mi ripeto, girando solo il viso verso la sua direzione.

- Cosa vuoi? – Dico spostando il peso da un piede all'altro, pronta a darmela alla fuga, per quanto sia possibile con un passeggino e la borsa dei pannolini.

- Possiamo parlare? - La sua voce mi giunge strana alle orecchie. Ha qualcosa che non va. Non sento la sua solita arroganza e prepotenza. Quel tono di superiorità che ha iniziato a usare dall'anno scorso dopo il giorno del Ringraziamento.

- Scusa... Anzi, niente scusa. No, non possiamo parlare. – Questa volta la mia voce è dura, inespressiva, piatta.

- Fiorellino, per favore. – Mi raggiunge con le sue ampie falcate e appoggia una mano sulla mia spalla.

- Tu che dici per favore? Questo sì che mi sorprende. Non pensavo che conoscessi queste parole. – Ribatto sarcastica. Ok, sono una vera e propria stronza. Penso tra me e me.

La sua vicinanza mi turba parecchio. Non capisco perché però e la cosa è molto sfiancante. Ogni volta che lui mi sta vicino e come se sapesse quali tasti toccare, come se fossi un pianoforte che solo lui sa suonare. Ogni volta che mi accarezza il braccio o mi stringe la mano o semplicemente si trova accanto a me il mio corpo gli risponde, si infiamma e il mio stupido cuore batte sempre più velocemente.

- Fiorellino.... – Non gli lascio finire la frase.

- Non chiamarmi così. Non ne hai nessun diritto. - Alzo la voce e inghiotto a vuoto, cercando di placare l'ira che si impossessa di me e lo fulmino con lo guardo.

- Okay. Calmati. Voglio solo parlarti. – Ribatte con un sorrisetto furbo, alzando le mani.

- Allora parla. Ti ascolto. – Ribatto, scrollandomi di dosso la sua mano.

- Perché stai con Luke? Cosa ci trovi in lui? – La sua domanda mi sorprende. Pensavo che volesse parlare di noi, anche se un "NOI" in effetti, non è mai esistito.

- Non credo che siano affari tuoi io con chi sto. – Mi sto inalberando. Non mi piace giustificare le mie scelte, le mie decisioni e le ragioni delle stesse.

- Fiorellino, sono affari miei. Ti voglio. – Si avvicina a me, le punte delle sue scarpe tocca le mie. Mi sposta una ciocca finita sul viso.

- Fottiti. – Ribatto mettendo un po' di distanza tra di noi.

- Te l'ho detto stamattina. Voglio fottere te.

- Balle. – Ribatto riacquistando quel poco di coraggio e lucidità.

- Nessuna balla. È la verità. – Mi guarda dritto negli occhi e io non so come interpretare le sue emozioni, le sue parole non dette. Imbarazzata, distolgo lo sguardo per prima e guardo il mare che si trova dietro di lui in lontananza.

- È di questo che volevi parlare? – Chiedo girando il passeggino per vedere Samuel guardarci con occhietti curiosi.

- Si. Pensavi a qualcos'altro? – Alza un sopracciglio.

Mi abbasso e prendo Samuel in braccio come se fosse il mio scudo personale.

- In realtà si, pensavo che finalmente ti saresti deciso a dirmi perché del tuo astio nei miei confronti in quest'ultimo anno. – Lo guardo con sfida.

Qualcosa nel suo sguardo cambia e fa un passo indietro come se l'avessi schiaffeggiato. – No? Non hai niente da dire? – Aggiungo, aspettando che parli.

Rimane in silenzio, mi osserva come se mi vedesse per la prima volta per poi girarsi e andarsene.

- Codardo. – Dico sottovoce ma in realtà glielo vorrei urlare.

Dalla tasca della tuta estraggo le chiavi ed entro. Abito in una bella casa, a due piani, appena entro al lato destro del muro vi è una scarpiera con sopra una ciotola per le chiavi. Andando dritto, ci sono le scale che portano al piano superiore. A sinistra si trova la cucina e a destra il salone. Superando le scale si trova la porta finestra che dà sul giardino.

Salgo le scale, supero la camera di mamma e vado nella mia. Appoggio Samuel sul letto e inizio a svestirlo e prepararlo al bagnetto. Mezz'ora dopo lo sistemo e dopo avergli dato da mangiare, lo faccio addormentare nuovamente. Appena cade nel sonno profondo, apro la finestra per far entrare il leggero venticello, mi siedo sul davanzale e appoggiata allo stipite, guardo l'immensità del mare in lontananza.

Lo sguardo si poggia involontariamente sulla casa vicina. Capita sempre più spesso. I ricordi, le risate, i complotti di tempo addietro mi investono come un forte ciclone in primavera, inaspettato e veloce. Ho cercato di capire cosa lo abbia fatto diventare così stronzo nei miei confronti ma niente da fare. Si è trincerato dietro un muro di cemento armato e non ne vuole parlare. Noi, noi che eravamo buoni vicini e soprattutto buoni amici. Il ricordo di lui che mi consola quando mio padre mi annuncia che stavano divorziando. Lui cera quando papà mi disse che si trasferiva in Arizona e che io sarei dovuta rimanere con la mamma. Lui cera nei miei momenti più bui, solitari e dolorosi. Cera quando venne a mancare mia nonna. Cera anche quando mia madre per la prima volta è tornata a casa ubriaca fradice. Cera nonostante tutto, nonostante tutti. Ma poi è successo qualcosa ed è stato come svegliarsi da un bellissimo sogno ed essersi ritrovati in un incubo di realtà. Una realtà in cui, l'unica persona con cui vorresti parlare, confidare e raccontarle tutto se ne è andata lasciandoti indietro senza mai voltarsi. Come se non valessi la pena.

Il sole sta iniziando a tramontare, mi alzo e vado in cucina a bere. Sento dei rumori, qualcuno che armeggia negli stipetti. Sospiro preparandomi mentalmente ad un'altra conversazione che non ho voglia di fare.

- Mamma, cosa stai cercando? Smettila o sveglierai Sam. – Dico varcando la soglia della cucina.

- Dov'è? – La sua voce non mi piace, biascica e barcolla ubriaca.

- Dov'è cosa? – Chiedo, sapendo benissimo cosa sta cercando.

- Dov'è l'alcol, piccola sgualdrina. – Mi urla in faccia a pochi centimetri.

- Dove deve stare, nel cesso. – Rispondo. Alza la mano e mi colpisce con il dorso dove porta un enorme anello. Mi porto la mano sulla guancia destra che brucia per il dolore.

Come nulla fosse successo, mi supera ed esce di casa, lasciandomi lì senza scuse e senza spiegazioni.

Emetto un verso che, non so nemmeno come definire, una lacrima solitaria sgorga dai miei occhi e senza accorgermi mi ritrovo accovacciata, stringendomi le mani intorno alle ginocchia, a piangere. Piangere per la bambina che non sono mai stata, per la ragazzina mai amata e per essere stata costretta a crescere troppo velocemente.

In quel preciso momento anche Samuel inizia a piangere.

Cerco di ricompormi, con frustrazione mi asciugo le guance e prendo un respiro profondo. Preparo il biberon dal frigo, appena pronto, salgo da Sam che mi aspetta nella sua culla. La guancia mi brucia, ma la ignoro avendo qualcosa di più importante da fare, ossia occuparmi del mio fratellino che non ha colpe e che non merita di essere abbandonato a sé stesso.

Finita la sua pappa, lo metto nel seggiolone e inizio a giocarci distrattamente dandogli i giocattoli adatti alla sua età. Samuel afferra il mio dito indice della mano e lo stringe, per poi lasciarlo e riprenderlo ogni volta che lo allontano.

Prendo il ciuccio e glielo porgo. Immediatamente se lo mette in bocca e alza le manine. – Cosa. – Gli chiedo come se potesse parlare.

Inizia a lamentarsi, allora inizio a cantare la canzone di Kelly Clarkson- Catch My Breath, muovendo le sue manine a ritmo di musica.

- Bella voce. – Dice una voce dietro di me facendomi spaventare.

Urlo per lo spavento. – Cazzo, mi hai spaventato. – Mi poggio la mano sul petto cercando di far rallentare il cuore.

- Scusa, non volevo. – Lo dice sorridendo, entra nella stanza con un balzo. Accarezza la testa di Samuel e poi si avvicina a me.

- Cosa vuoi adesso? – Chiedo con finta esasperazione nascondendo coi capelli il rossore sulla guancia.

- Finire il discorso che non abbiamo finito? – Mi osserva meglio e dice: - Cosa hai fatto alla guancia? – Avvicina la mano al mio viso per spostare i capelli ma faccio qualche passo indietro non volendo essere sfiorata. Per un momento mi ero dimenticato del dolore e bruciore.

- Niente. - Mi giro ed entro nel bagno per specchiarmi. Cerco di chiudere la porta ma la blocca prontamente con una mano.

- Fammi vedere. – Sento la preoccupazione nella voce. – Chi te l'ha fatto? Fiorellino parlami. – Rimango zitta, senza più forze, lo lascio entrare. Mi poggia le sue mani sulle spalle e mi fa girare. La sua altezza mi sovrasta, in confronto a lui sembro minuscola, alzo la testa e i nostri occhi si intrecciano, non riesco a distogliere lo sguardo e sento che sto per crollare. Inghiotto a vuoto, sperando che non veda la mia imminente crisi di pianto. I suoi occhi verde tempesta mi esaminano il viso.

- Chi te l'ha fatto? – Chiede con una voce dolce che non gli appartiene o meglio che con me non ha mai usato.

- Nessuno. Sono inciampata. – Ribatto sospirando e tentando di avere sotto controllo le mie emozioni.

- Inciampata su un gancio destro? – Chiede sarcastico e per niente divertito esaminando con cautela il mio viso. Prende la mia mano e mi conduce verso il letto dove mi spinge delicatamente, mi siedo senza protestare.

- Aspettami qui, vado a prendere del ghiaccio. – Non gli rispondo. Rimango seduta mente lo sento correre giù per le scale e frugare nel congelatore. Entra di nuovo nella mia stanza e si accovaccia in mezzo alle mie gambe, avvicinando prudentemente il ghiaccio sul viso. Sussulto non tanto per il dolore ma per il freddo a contatto con la pelle.

- Scusa. – Mormora. Con una mano mantiene il ghiaccio e l'altro è posizionato vicino alla mia gamba destra.

- È tutto ok. Lascia, faccio da me. – Cerco di allontanarlo con queste parole perché la sua vicinanza mi fa contrarre lo stomaco e mi sento in soggezione. Sono sempre stata io quella che si prende cura degli altri. Quella che dà le attenzioni invece di riceverle. Quella che cade e senza aiuto di altri si rialza, più forte che mai. Quella che non è mai stata abituata a chiedere aiuto per paura di disturbare. Quella che si salva da sola nonostante tutto e tutti. Non credo nelle favole, nel principe azzurro, che azzurro non è, nel lieto fine troppo schiacciata dalla realtà vera e cruda.

Il suono del campanello mi fa sussultare, troppo persa nei miei pensieri. Christofer, al suono si allontana lasciandomi una sensazione di freddo improvviso.

- Vado io. – Dico appena Chris si allontana consentendomi di alzare.

- Meglio che vada. – Ribatte seguendomi fuori dalla stanza e giù per le scale fino all'ingresso.  

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