Got The Sunshine On My Should...

By LittleHarmony13

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Harry/Louis | Side Pairing: Harry/OMC | Ex!ToLovers!AU | SweetHomeAlabama!AU | Traduzione Words: 124K Capitol... More

Capitolo 2.
Capitolo 3
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.

Capitolo 1

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By LittleHarmony13

Note iniziali: Questa storia non è mia. Tutti i diritti vanno alla talentuosissima hattalove. Lascio qui il link alla storia ( https://archiveofourown.org/works/10785375/chapters/23922933). Voglio ringraziare l'autrice oltre misura per avermi dato il permesso di tradurre questa storia.
Come potrete notare la storia originale è divisa in due capitoli da 124K. Ho fatto la scelta di dividerla in cinque capitoli così da poter alleggerire la lettura.
Ripeto che ogni diritto va all'autrice della storia, io ho solo tradotto.
I crediti per il collage vanno a matchingbees su Tumblr.
L'ultimo ringraziamento doversosissimo va alla mia beta Giulia, la migliore che potessi avere, che con la sua simpatia e le sue competenze rimette tutto al proprio posto. Non so dove sarei senza di te.
Inoltre grazie a tutti voi che leggerete questo primo capitolo,
vi auguro buona lettura.






Got the Sunshine on my Shoulders



Capitolo 1

Sta piovendo.

Ovviamente sta piovendo, cazzo.

"Niall," si lamenta Harry contro il telefono, tenendolo con una mano mentre prova a capire come attivare i tergicristalli. "Quando ho detto 'qualcosa che non dia nell'occhio', non intendevo una Ford Fiesta."

"Qual è il problema?" chiede Niall dall'altro capo del telefono. Sembra che stia sorseggiando qualcosa, il bastardo, e il brusio debole in sottofondo può essere attribuito solo alle onde che si infrangono sulla spiaggia. "È una macchina di tutto rispetto. Pensavo che non volessi che nessuno ti riconoscesse — "

"È troppo bassa," lo interrompe Harry. Non è pronto per un'altra predica, non dopo il viaggio che ha appena fatto. "E l'acqua è – è ovunque. Ci scivolerò sopra e mi ribalterò dentro ad un fosso, e a quel punto tu rimarrai senza lavoro."

La sua voce è leggermente stridula nell'interno microscopico della macchina. Vorrebbe poterla controllare. Stai calmo, stai calmo, stai calmo, cazzo—

Niall fa un respiro profondo. "Ascoltami," dice. "Metti quei tuoi piedi inutili sui pedali e guida."

"Ma non voglio," piagnucola Harry. Un lato della sua bocca si alza; si sta comportando come un ragazzino viziato, davvero tanto.

"Sei un bambino," dice Niall, senza nessuna emozione. "Ti do dieci secondi per attaccare e cominciare a guidare, altrimenti chiamo Peter e gli dico di prendere il primo aereo fino a lì."

"Niente sicurezza," dice Harry bruscamente. Hanno già affrontato quell'argomento così tante volte che è diventato quasi un mantra, in realtà. "Niente sicurezza. Ora vado."

"Bene," replica Niall. Sta ridacchiando, a giudicare dal suo tono. Harry spera, solo per poco, che affoghi in qualsiasi mare che sta causando il rumore rilassante dall'altra parte della linea. "Non chiamarmi fino a che non hai fatto. Mi hai sentito?"

Harry sospira. "Ti ho sentito — "

"Non. Chiamarmi."

"Dovresti essere uno speaker motivazionale," dice Harry, girando finalmente la manopola giusta che fa oscillare i tergicristalli sul parabrezza. Una Ford. Dio Santo.

"Ciao, Harry," replica Niall, emette un suono che sembra vagamente un bacio volante, e poi cade la linea.

Harry sospira, di nuovo, e la macchina rimbomba sotto di lui come se si stesse innervosendo. O forse semplicemente potrebbe essere sul punto di abbandonarlo – ha i fanali accesi anche se sono le tre del pomeriggio, e le ventole stanno sparando aria calda. Il suo sedere è sempre davvero, davvero molto freddo; a quanto pare, i sedili riscaldati non sono lo standard per questo modello così alla moda.

Il telefono vibra nella sua mano. Comincia a guidare!!!!!!!!!!!!! dice il messaggio. Nel momento in cui Harry sblocca il telefono, ne arriva un altro – questa volta una foto di Niall che ridacchia su una sdraio, gli occhiali da sole scuri sul naso e le guance già rosa.

METTITI LA PROTEZIONE, gli risponde Harry. Lancia il telefono sul sedile posteriore, troppo preoccupato che, se lo tenesse vicino, potrebbe cedere e chiamare un taxi, quindi comincia ad armeggiare con la radio. È quell'ora del pomeriggio in cui tutti tornano dal lavoro – ogni stazione che riesce a prendere in quel posto sta passando la top 40. Più di una volta, la sua stessa voce scricchiola verso di lui dalle casse. In situazioni normali, gli farebbe piacere. Sente ancora quella piccola bolla di orgoglio nel petto quando si ricorda di tutte le cose che è riuscito a conquistare.

Oggi, però. Oggi persino l'accordo iniziale gli sembra come una morsa intorno alla gola.

Harry abbandona la radio e si appoggia sullo schienale, provando a respirare. La pioggia sta venendo giù più violenta adesso, sferza contro i finestrini, sfuma i contorni del mondo esterno – ad eccezione di quel segnale che Harry sa che si innalza con orgoglio in distanza, ogni ultima lettera impressa a fuoco nella sua memoria.

Holmes Chapel, Città gemellata con Bessancourt. Per favore guidate piano attraverso il Paese, ad eccezione del fatto che la r e la v sono sparite un sacco di tempo fa.

Per favore morite lentamente*, Louis era solito dire con un sorrisino ogni volta che loro —

"Cazzo," dice Harry, come dato di fatto, scuotendo la testa per far uscire quel ricordo. L'interno grigio della macchina gli ributta di nuovo quella parola dritta in volto.

Cazzo.

*

People Magazine

24 Aprile 2017

Esclusivo: Due Popstar quasi sull'altare

La coppia cantante/cantautore che tutti amano ha deciso recentemente di sposarsi, una fonte ha rivelato in esclusiva a People.

Harry Styles, 25, ed il suo bello, Marcus Ward, 25, stanno insieme già da un paio di anni, e mandano fuori di testa le fangirl di tutto il mondo con ogni loro foto su Instagram. Ora, sembra che abbiano deciso di portare la relazione al livello successivo.

"Sono estremamente felici," ha detto a People una fonte vicina a Marcus. "Marcus ha portato Harry a Bali per una romantica e breve fuga d'amore, e gli ha fatto la proposta mentre stavano cenando davanti al tramonto. Harry ha detto immediatamente di sì, ed entrambi sono fuori di loro dalla gioia!"

Sebbene non sappiamo ancora niente sui loro piani per il matrimonio, probabilmente non dovremo aspettare molto.

"Sono davvero molto, molto innamorati. Profondamente," ha detto la nostra fonte. "Vogliono un matrimonio in grande, e vogliono che tutti quelli che amano siano lì."

La coppia però non ha ancora condiviso ufficialmente la news. Harry si è preso una lunga pausa dai social media dopo la fine del suo tour completamente sold out, a seguito del secondo album, mentre Marcus è in studio a lavorare duramente sul suo album numero quattro.

In passato, molti hanno fatto notare che le carriere dei cantanti potessero essere un potenziale punto debole nella loro relazione. Sono spesso in tour in momenti diversi – ma, come i fans della coppia potranno confermare, sembra che stiano insieme più spesso di quanto stiano separati. Durante il tour di Harry, abbiamo visto che Marcus ha presenziato ad almeno metà dei concerti, seguendo il suo ragazzo – adesso fidanzato! – per tutto il globo.

E ai Grammy dello scorso anno, dove Marcus finalmente ha trasformato la sua quarta nomination in un premio, non si è dimenticato di ringraziare Harry, fra gli altri: "Per Harry, l'amore della mia vita, per avermi sopportato mentre suonavo la batteria alle quattro del mattino, e per il suo costante supporto."

Ricordatevelo, lo avete sentito da People in esclusiva! La coppia preferita dell'industria musicale indosserà presto degli smoking nuziali, e noi non vediamo l'ora.

I rappresentanti della coppia in questo momento si sono rifiutati di commentare.

*

Ad Harry serve quasi un'ora per cominciare a muoversi sul serio. I suoi piedi sembrano avere mente propria, scivolando sui pedali fino a che la macchina non si spegne, ancora e ancora. Riesce a malapena a mantenere le dita salde intorno al volante perché sta tremando in maniera davvero violenta.

"Datti un contegno," mormora, strizzando gli occhi per riuscire a vedere attraverso la pioggia. La strada davanti a lui è dritta e intimamente familiare, ma la Ford ci scivola sopra come se stesse strisciando.

La situazione in cui si trova Harry diventa sempre più patetica ogni secondo che passa.

Quando supera il cartello, ha tempo di notare che qualcuno ci ha attaccato delle lettere nuove. E anche quello deve essere stato fatto molto tempo fa – le r e le v risultano sbiadite ed esposte alle intemperie come tutto il resto.

Forse sono sempre state lì, suggerisce il cervello di Harry. Forse hai avuto delle allucinazioni i primi vent'anni della tua vita.

Harry vorrebbe, disperatamente, che quel pensiero fosse realtà. Prova persino a convincersene, giusto per trovare un'altra scusa per tornare indietro, ma poi – poi lo vede. Un intervallo fra due immacolate bifamiliari che si apre nell'oscurità, facendo sembrare che a quel perfetto paesaggio da cartolina del paese manchi un dente. Da lì comincia una strada che va all'interno, attraverso quello che era solito essere il giardino sul retro di qualcuno e al di là degli alberi che ne fanno da guardia.

Ad Harry sembra che il suo cuore stia franando quando mette la freccia, poi sterza per uscire dalla strada asfaltata e andare verso quella ricoperta di terra. Ogni buca ed ogni dosso sono familiari, in qualche modo, e portano con loro un costante disperdersi di ricordi che sperava di poter evitare.

Può farcela; può davvero. Louis sarà ragionevole questa volta. Deve esserlo.

Non appena le cime degli alberi si chiudono sopra di lui, Harry scorge un luccichio in distanza. Quello, finalmente, è qualcosa che non riesce a ricordare. Cerca di metterlo ancora più a fuoco, ma la forma è difficile da riconoscere in quel tempo così brutto, e fino all'ultimo minuto rimane sfuocata in tutto quel grigiume.

Harry deve pigiare il freno all'improvviso. Le ruote cigolano e scivolano in modo pericoloso.

"Ma che," dice senza capire, mentre alza lo sguardo, sempre più in alto, fino a che non incontra un'imponente recinzione di metallo. Questo è il punto in cui il bosco è particolarmente fitto, lo sa. Se lo ricorda.

"Ma che cosa," dice di nuovo, quasi aspettandosi che gli alberi gli rispondano.

Non si aspettava – questo. Non a casa loro, non quando era solita essere uno dei posti più affollati di tutta la città. La loro porta era raramente chiusa, ed adoravano vivere in quel modo.

Ovviamente questo era prima che tutto andasse a puttane. Prima che Louis si allontanasse da lui; prima che Harry se ne andasse e realizzasse che c'era un mondo intero al di là di quella cittadina, un mondo intero che stava aspettando solo lui.

Le cose sono cambiate, e ovviamente lo hanno fatto. Qualcosa era destinato a sconvolgerlo, più prima che poi.

È solo che non era – non aveva pensato.

Spegne il motore. Sente immediatamente la mancanza dell'aria calda, e infila le mani sotto al gilè, ma non aiuta. Il freddo riesce ad arrivare oltre la punta del suo naso e sui polpastrelli, aggrappandosi a lui dall'interno e tenendosi ostinatamente stretto a lui mentre si strofina le mani una contro l'altra. Si sente sbagliato, sbagliato, estremamente sbagliato.

Harry è un po' frastornato quando esce dalla macchina. Le sue gambe sono pesanti, e la sua lingua si è trasformata in sabbia ruvida all'interno della sua bocca.

Si è chiesto, sin da quando ha avuto un nuovo anello al dito e ha capito di dover tornare lì, come si sarebbe sentito. Il fatto che potesse sentirsi come se stesse per morire non era un'opzione che aveva considerato al tempo, il che chiaramente è stato un errore.

Se ne sta lì fermo per un minuto, le sue scarpe (scarpe molto, molto costose, e nemmeno un paio che ha avuto per promozione) affondano nel terreno che è reso più morbido dalla pioggia. Il terreno si inclina ripidamente da entrambi i lati, e gli alberi sono troppo alti per poterlo aiutare con i loro rami. Una volta sapeva arrampicarsi, ma congelato com'è, probabilmente scivolerebbe e si romperebbe tutto. Niall non la smetterebbe più di fargliela pesare.

Decide di scavalcare il cancello.

Naturalmente, è più facile a dirsi che a farsi. Niall ha chiamato alcuni paparazzi all'aeroporto quando Harry stava partendo, e gli ha ordinato di indossare i suoi jeans di Gucci nuovi di zecca – che ovviamente sono aderenti e comodi oltre misura.

E sono anche bianchi.

Si allunga per entrare di nuovo in macchina e prende il suo telefono e la cartellina che si è portato dietro. Questi jeans devo rimandarli indietro, scrive. Niall, per fortuna, deve star giocando a Candy Crush, perché gli risponde in meno di trenta secondi.

No, nn devi, dice il suo messaggio. Voglio saperlo? C'è una recinzione, manda Harry a sua volta. Poi nota quanto è alta, controlla le tasche per assicurarsi che nessuna abbia una cerniera, e posa di nuovo il telefono in macchina. Ignora la sensazione di irrequietezza che gli prende quando chiude la portiera e la blocca; Marcus, ad ogni modo, gli dice sempre di disconnettersi da tutto.

Fa un respiro profondo, e spinge la cartellina dall'altro lato attraverso le sbarre. Atterra nel fango con un notevole tonfo, ma rimane chiusa.

Ci sono delle sbarre orizzontali un po' più su di metà del cancello, rendendolo relativamente facile da scavalcare, o almeno così Harry pensa.
Ad eccezione che le sbarre stesse, per quanto possa essere scioccante, sono fatte di metallo – e sta piovendo come se venisse giù il mondo.

Riesce ad appoggiare un piede su un appoggio che è a pochi centimetri dal terreno, e si allunga per riuscire ad afferrare la sbarra più alta che riesce a raggiungere. Per un secondo, sta in equilibrio. Poi la suola della sua scarpa scivola e cede, le sue dita si inumidiscono, ed atterra di sedere con un tonfo.

Ci sono degli uccelli che volano fra gli alberi. Harry riesce a sentire la pioggia e il fango entrargli nelle scarpe, nei vestiti, ricoprirgli i capelli sul retro della sua testa.

Questo è, senza dubbio, il punto più basso della sua triste e breve vita.

Si rialza con le guance in fiamme, guardandosi intorno istintivamente per controllare che nessuno lo abbia visto. Il colletto della sua camicia è bagnato fradicio ed incredibilmente pesante, ma si sente meglio, più al sicuro con indosso il gilè. Come se avesse almeno una qualche sorta di armatura ad aiutarlo per quello che lo aspetta.

Harry si asciuga le mani su un angolo asciutto dei suoi jeans, ed afferra di nuovo le sbarre.

Gli servono altri tre tentativi, uno dei quali quasi lo uccide, fino a che non è abbastanza in alto per far ondeggiare le gambe oltre la cima del cancello. Uno, due, tre, pensa, e passa un momento ad apprezzare quanto si senta irrimediabilmente patetico. Poi si spinge giù con un piede, e oscilla.

Funziona – più o meno. Riesce a portare una gamba al di là del cancello, ma il metallo è troppo scivoloso per potercisi aggrappare, quindi il resto del suo corpo segue immediatamente. Finisce per ciondolare a tre metri da terra, tenendosi come se ne dipendesse della sua vita. I suoi jeans hanno dei tagli in almeno cinque punti diversi.

"Cazzo!" urla, provando a rilasciare tutta quell'ansia che si è accumulata dentro di lui. Fa abbastanza rumore da spaventare uno scoiattolo che scappa via da un cespuglio.

Sfortunatamente, anche se urlare oscenità in effetti lo aiuta a calmarsi, non lo aiuta a fare in modo che caschi sul terreno in tutta sicurezza. Non ci sono sbarre su cui alzarsi in piedi da questa parte della recinzione, solo del legno liscio. Forse ha visto qualche episodio di troppo di 24 Ore in Sala di Emergenza; sa esattamente cosa succederà se si lascia andare e si fa cadere di piedi.

Comunque. Non è che abbia poi chissà quale altra opzione.

Stacca per prima la mano sinistra, continuando a tenersi con la destra mentre prova a rilassare le ginocchia, per assicurarsi che le sue caviglie non subiscano tutto l'impatto.

E poi casca.

Per quanto riguarda le cadute, non è che sia proprio una delle più graziose della sua vita. Atterra sui piedi, traballa, scivola e cade nel fango di sedere. Di nuovo.

Ora che il peggio è passato, però, si sente un po' più sicuro di sé. Si rinvigorisce d'orgoglio al meglio che può, raccoglie la sua cartellina e, facendo sgocciolare fango e pezzi di terreno, si avvia verso quel sentiero intimamente familiare.

Mentre sente la sua determinazione rinascere, la pioggia si calma un pochino. Ha smesso quasi completamente quando riesce a scorgere i contorni di una casa in distanza.

Ci siamo, pensa, e inciampa disperatamente sui suoi piedi. Prima di averlo mandato lì, Niall gli ha detto di respirare lentamente e 'concentrarsi sull'obiettivo'; ma Niall è da qualche parte alle Bahamas, maledizione, e per di più non si è mai trovato faccia a faccia con un Louis Tomlinson arrabbiato.

Perché, ammettiamolo – Harry sicuramente non verrà invitato a prendere un tè.
Harry quasi si aspetta che una sensazione di déja-vu lo schiacci quando si ferma ai piedi degli scalini di ingresso, ma non accade.

Non accade perché la casa non è nemmeno minimamente come se la ricorda.

All'inizio non riesce a capire perché. Deve sbattere gli occhi diverse volte contro la luce del tramonto, e farli scorrere lentamente da lato a lato per notare quante cose siano sparite: la finestra sbarrata che avevano rotto due giorni dopo essersi trasferiti, la gamma incasinata di scarpe sul primo gradino, i giocattoli nel giardino di fronte; i tentativi quasi sempre falliti di Harry di provare a far crescere dei pomodori in un vaso per fiori.

Sembra che la porta sia stata riverniciata recentemente, e il tappetino davanti ad essa è cambiato. Harry si sente vuoto mentre lo guarda.

È casa di Louis, adesso. Può farne quello che vuole.

Ad ogni modo non riesce a resistere ed alza lo sguardo verso – verso quella che era la loro camera. Ha passato in quella stanza quelli che pensava fossero i suoi giorni più felici; ora, osservando la familiare tendina incresparsi dietro alla finestra, non riesce a fare a meno di sentirsi grato del fatto di essere scappato da lì.

Non era solo quella stanza; era questa casa, questa città, la sua relazione. Tutto questo gli dava la sensazione di avere delle mura che lo circondavano, e gli ci sono voluti due decenni per trovare una porta.

Un suono delicato lo distoglie dai suoi pensieri. Si stringe la cartellina ormai sporca al petto, pensando che potrebbe essere la porta che scricchiola, che Louis lo abbia sentito urlare giù sulla strada e —

"Miao," dice lei una volta che lui ha alzato la testa e i loro occhi si incontrano. La riconosce immediatamente, anche magra e vecchia come è adesso.

"Dusty", dice, ed è un suono a malapena udibile, e lei inclina la testa quando sente il suo nome. "Cosa ci fai qui?"

La punta della sua coda ondeggia leggermente mentre si siede, proprio sulla soglia. Inclina le spalle e lo fissa da capo a piedi. Harry non riesce a smettere di agitarsi.

"È così bello vederti," dice a bassa voce, allungando una mano prima di riuscire a fermarsi. È troppo lontana perché possa toccarla, ma era solita andare dritta da lui ogni volta che lui gli dava anche solo la minima impressione di volerla accarezzare.

Non questa volta. Dusty rimane ferma; i suoi baffi sono increspati per l'età, ma i suoi occhi sono sempre in allerta, proprio come si ricorda anche Harry. Lei deve riconoscerlo, deve.

"Vieni qui," sussurra, accucciandosi. "Vieni qui, adorabile ragazzina. Non ti vedo da così tanto."

Riesce a malapena ad evitare un'ondata di sensi di colpa quando si rende conto di quanto tempo sia effettivamente passato. Me ne sono andato per il mio bene, si ripete nella sua testa, un mantra che ormai è vecchio quasi mezzo decennio. È stata la cosa migliore.

Dusty miagola di nuovo, questa volta più forte. Harry si sporge in avanti, si allunga verso di lei, la vuole toccare solo una volta —

E poi la porta si apre con un cigolio. Harry non ha nemmeno il tempo per prepararsi.

"Ehi, piccola," dice una voce che viene da dentro. Harry all'istante si sente alto due centimetri. Dei brividi si propagano sulla sua schiena, trema, e poi si congela completamente. Non riesce a muovere neppure un muscolo, non riesce ad alzare il petto per poter respirare —

"Che succede, tesoro?" dice di nuovo Louis, dolce in una maniera che non si può nemmeno descrivere. Sta parlando al gatto, Harry, gli dice il suo cervello, evidentemente l'unica parte di lui che sta ancora funzionando. Al gatto. "Perché non vieni dentro e basta?"

Dio, la sua voce – la sua voce è sempre la stessa. Proprio la stessa.

Harry fissa Dusty mentre i suoi occhi si riempono di lacrime; la guarda mentre lei osserva quello stralcio di oscurità dietro la porta, alza il mento e miagola di nuovo.

"Che c'è?" dice Louis, e c'è un accenno di felicità, qualcosa che sembra una risata nella sua voce. Poi, deve allungare una mano; un paio di polpastrelli emergono dal buio, poi le nocche, poi delle dita magre, poi un polso. Harry le conosce bene quanto le sue, ma allo stesso tempo, non riesce assolutamente a conciliarle con il modo in cui ha pensato a Louis negli ultimi cinque anni.

Si aspettava che fosse più vecchio, più brutto, più stanco. Che fosse reale, non la fantasia che il se stesso di quattordici anni pensava di volere.

Dusty lo guarda fisso. Harry trattiene il respiro.

"Ma cosa –" sente Louis dire, a bassa voce, il suo tono completamente diverso, prima che la porta si chiuda sbattendo con uno schiocco assordante. Dusty salta via, si lecca le zampe, poi entra dalla porticina per gatti che Harry non aveva notato in precedenza.

Non appena Louis se ne è andato, il corpo di Harry si rilassa. Si alza, solo leggermente nel panico, e prova a tenere sotto controllo il tremore nei suoi arti.

Fai un respiro profondo. Fai un respiro profondo, deve farlo, è il motivo per cui ha fatto tanta strada.

"Louis!" lo chiama, osando avvicinarsi un poco. La sua voce non esce nemmeno minimamente sicura, o distaccata, o addirittura calma.

C'è silenzio dall'altro lato della porta, poi un rumore di passi, poi un cigolio. Poi: "Vattene."

Questa volta, è decisamente diretto a Harry, e la quantità di veleno dietro quella semplice parola gli dà i brividi.

"Volevo soltanto — "

"Vattene," ripete Louis. Quella parola sembra un lampo indirizzato proprio al centro del petto di Harry, e non in modo positivo.

"Louis, per favore," dice Harry. Qualcosa in quelle parole lo fa sentire sporco. "Questa storia è andata avanti per troppo tempo. Mi serve solo che tu firmi i documenti, e poi sarò fuori dalla tua vita per sempre."

Lui emette una risata senza umorismo, ma sembra più un latrato. Harry è proprio contro la porta adesso, premendo un palmo della mano contro di essa, sperando di poter persuadere Louis col fantasma di un tocco.

"Louis," dice di nuovo, all'improvviso senza speranza. C'è un groppo nel retro della sua gola che gli sta facendo venire la nausea. Non dovrebbe essere così difficile – ha fatto le prove di quello che avrebbe detto, ancora e ancora davanti allo specchio, ma non riesce a ricordarsi una singola parola. "Apri la porta."

"Falla finita, Harry, cazzo."

Harry. Non è mai, mai suonato così freddo e distaccato.

"Dammi cinque minuti," dice, supplica, cominciando a capire che non sarà in grado di persuaderlo a farlo entrare.

"No," replica Louis, incredulo. Il pavimento dall'altro lato della porta scricchiola. Deve essere fermo proprio dall'altra parte; Harry lo starebbe toccando se non fosse per il solido muro di legno fra loro. "Cosa ti fa pensare che tu possa semplicemente presentarti qui dopo cinque anni – "

"Non sarei qui in primo luogo se tu non fossi così testardo!" - lo interrompe Harry, il suo brutto carattere normalmente assopito sta tornado di nuovo in vita con ardore. Non ha urlato contro nessuno per mesi. Anni. Ovviamente è Louis colui a farglielo fare. "Sono tre cazzo di firme, non riesco a credere che tu voglia ancora farmi questa ripicca –"

"Posso fare quello che voglio!" tuona Louis. "Non firmerò un cazzo se tu non ti disturbi nemmeno a chiedermelo di persona –"

"Sono qui!" urla Harry, picchiando sulla porta per rafforzare il concetto. "Te lo sto chiedendo di persona, smettila di essere un coglione testardo e dammi –"

"Ti ci sono voluti cinque anni!"

"Chi se ne importa?" chiede Harry. Dio non riesce – non riesce a credere a quanto si senta sopraffatto. È il solito vecchio Louis quello che sta camminando avanti e indietro dall'altro lato della porta – testardo allo stesso modo, infantile allo stesso modo. Allo stesso modo incapace di guardare al di là della punta del proprio naso.

"Chi se ne –" comincia Louis, ma la sua voce non regge. C'è un tremore in essa, e Harry riesce a sentirlo respirare adesso, sente ogni volta che inspira pesantemente ed espira tremando. Almeno non è così distaccato. Bene. "Importa, Harry, cazzo. Non firmerò fino a quando non capirai perché."

"E questo cosa dovrebbe significare?" chiede Harry, ma non ottiene risposta. Preme con più forza contro la porta, sentendo dei passi sparire in distanza, percependo Louis andarsene via. Un rifiuto non è un'opzione contemplata; non è per questo che è qui. "Apri la porta."

"Vattene via," Louis dice di nuovo. Sembra che ogni voglia di litigare sia sparita. "Vai via, Harry."

"Non vado da nessuna parte," replica. "Divorzia da me e basta, per l'amor di Dio –"

"Addio," replica Louis, e poi una porta si chiude sbattendo ed il suono riverbera da qualche parte nelle profondità del bosco.

Harry boccheggia per un attimo, poi urla, poi batte contro le porte e le finestre. Prova dalla porta sul retro, ma è chiusa a chiave, e tutte le chiavi di riserva sembra che abbiano cambiato postazione.

Alla fine, una volta che si è fatto così buio da riuscir a vedere a malapena le sue mani, si arrende.

Si siede sul primo gradino e si appoggia alla porta. La pietra sotto di lui è ghiacciata, così come il legno, e la leggera brezza nell'aria sembra una bufera di neve che soffia nei vestiti bagnati di Harry.

La luce sopra la porta è l'unica accesa, per fortuna ancora attivata con un sensore. Un ammasso di zanzare sta danzando intorno a lui. Harry sbatte le palpebre lentamente mentre le guarda, una dozzina di piccole ali che sbattono nel buio.

Deve andarsene, lo sa. Louis lo ha reso molto chiaro – non aprirà la porta.

Ma Harry è venuto qui con un solo obiettivo: ottenere un divorzio. Non può tornare a casa fino a che Louis non avrà firmato quei fogli zuppi.

Pensa di chiamare il suo avvocato, chiedendogli se c'è niente che possano fare se Louis non vuole collaborare. Ci deve essere, ma il pensiero di portare avanti un processo lo fa rabbrividire dalla paura. Se i media lo venissero a sapere – se scoprissero che è già sposato, oh Dio – lo farebbero a pezzi.

E Marcus – Marcus non può saperlo.

Sbattendo le palpebre nell'oscurità, Harry se ne esce con un piano. Un piano stupido, ma comunque un piano.

Si alza, e bussa un'ultima volta contro la porta in una futile speranza che Louis abbia cambiato idea. Non c'è nessuna risposta, ma una delle luci all'interno si spegne.

Harry sospira, e arrotola la cartellina per infilarsela in tasca. Poi si stringe ancora più stretto il giacchetto e, andando a memoria più che a vista, si avvia di nuovo verso la strada per rientrare in macchina.

Spera che scavalcare il cancello sia più facile da questo lato.

*

Si sveglia poco prima delle cinque del mattino a causa di una botta sul finestrino della sua macchina. Gli ci vuole un minuto per riprendersi e capire dove si trova.

Giusto. La Ford. Quel coglione testardo di suo marito. Con qualche speranza ex-marito, entro la fine della giornata.

Guarda verso il finestrino che al momento sta scricchiolando sotto la forza del vento. È annebbiato, visto che è stato dentro la macchina per tutta la notte, provando a combattere il jet lag e addormentarsi; Louis è poco più che una sagoma sbiadita.

"Che vuoi?" dice chiamandolo e asciugandosi la saliva che scivola da un angolo della sua bocca, cercando in qualche modo di avere un po' di dignità nonostante i suoi jeans rotti e coperti di fango.

"Togliti dalla strada!" urla Louis. La sua voce gli arriva smorzata, ma Harry può comunque dire che è più tagliente, più arrabbiata di quanto fosse il giorno prima.

Abbassa il finestrino di circa un centimetro, e da lì fa spuntare fuori la cartellina. "Firmalo."

"Ti ho già detto che — "

"Sì, sì, non firmerai. Ma io non mi sposterò fino a che non lo farai, quindi non hai davvero molta scelta."

Louis si lascia sfuggire un respiro furioso. Strappa la cartella dalle mani di Harry, e Harry per un intero e glorioso secondo pensa di aver vinto. Poi sente il suono rivelatore della plastica che viene buttata in terra.

"Ti spingerò io stesso via dalla strada, lo giuro su Dio. Sposta la tua cazzo di macchina."

Harry si pizzica il naso. Riesce a malapena a sentirsi le dita, e un mal di testa assurdo sta crescendo proprio al centro della sua fronte. E per di più è sporco, affamato e triste da morire.

"Puoi parlare con me e basta?" chiede, la sua voce più debole di come vorrebbe. "Fai un passo indietro così posso uscire dalla macchina — "

"Muoviti, allora," lo interrompe Louis. Le sue scarpe sguazzano nel fango mentre indietreggia.

In qualsiasi altra circostanza, Harry si arrenderebbe e basta. Negli anni ha già incontrato la sua dose di persone arrabbiate e sempre pronte a litigare, e la situazione è sempre finita a pugni.

Ma questo – questo è Louis. Louis non gli metterebbe mai le mani addosso, non importa quanto possa odiare Harry, o quanto Harry lo odi.

In più, c'è tutta la questione dei fogli da firmare.

Apre la portiera lentamente, con esitazione, non essendo sicuro di quello che lo aspetta dall'altro lato. Non ha visto veramente Louis, ieri, ad eccezione di qualche dito e un polso, e solo quelli sono stati abbastanza per mandare il suo corpo in corto circuito.

Harry sa che di essere cresciuto dall'ultima volta che si sono visti, sa che è più alto, più in forma, più bello. Non ha idea di come gli anni possano aver trattato Louis.

Per sua sorpresa, non sta piovendo. Quello, almeno, lo mette immediatamente in un umore migliore mentre si piega per uscire dalla macchina, sgranchendosi il collo e le gambe.

"Hai detto che volevi parlare," dice Louis da dietro di lui. La sua voce sembra calma, controllata. "Quindi parla."

"Ok," sospira Harry. "Ok, ascolta — "

Non riesce a finire. Le parole sembrano essere spazzate via dalla sua bocca, perché si gira, e – eccolo lì.

Louis.

Se ne sta in piedi a gambe divaricate, con le mani in tasca e un cappuccio in testa. Un atteggiamento di chiusura, se Harry riesce a riconoscerne uno quando lo vede, ma non è questo che lo colpisce.

Louis sembra più vecchio. Molto più vecchio. Ci sono delle piccole rughette intorno ai suoi occhi, e dei cerchi scuri proprio sotto di essi; la sua bocca è chiusa in una linea stretta e contratta, e sta guardando Harry come un toro furioso pronto ad attaccare.

Senza volerlo, Harry fa un passo indietro. Forse è lo shock di trovarsi faccia a faccia con quello che si è lasciato alle spalle, forse è quell'improvvisa paura che si posa sul suo petto, fredda come il ghiaccio. In ogni caso, Louis lo nota, e le sue spalle si irrigidiscono sotto la felpa.

Dio, è così piccolo. Più piccolo di quanto Harry si ricordi. I suoi zigomi sono più definiti, e la linea della sua mascella sembra esser fatta di pietra. Una volta era molto, molto più delicato di così.

Per suo eterno imbarazzo, Harry sente un bruciore agli occhi che lo avverte che le lacrime stanno arrivando. È certo che siano lacrime per lo shock, perché non sente più niente verso Louis. Niente che non sia rabbia o risentimento, certo.

"In giornata, per favore," dice Louis, alzando un sopracciglio in modo arrogante. Lo stomaco di Harry si ribalta.

"Giusto," dice, schiarendosi la gola. Non vomitare, si dice, aggrappandosi alla maniglia della portiera come se fosse un'ancora di salvezza. Non osare vomitare. "Io, ehm – Mi dispiace."

Suona terribilmente falso, in maniera imbarazzante. Louis lo capisce.

"Ti dispiace?" chiede, incredulo. Sembrerebbe perfettamente distaccato, se non fosse per l'innalzarsi e abbassarsi rapido del suo petto. Harry ha fatto un passo in avanti, ed è abbastanza vicino da notarlo; quello e un migliaio di altre piccole cose.

È bizzarro, come guardare la casa il giorno prima, ma non si deve concentrare poi così tanto per notare cose che ormai non sono più lì. C'era un calore – tutti quegli anni fa, gli occhi di Louis erano blu, il blu più caldo del mondo. Il piccolo e stupido cuore di Harry era solito fare un salto mortale ogni volta che Louis si girava solamente a guardarlo.

La sua pelle è leggermente più giallastra, e il suo viso nel complesso sembra molto più triste, increspandosi in tutti i punti sbagliati, come se non volesse nemmeno starsene lì. Una volta risplendeva da dentro, aveva questa luce che faceva innamorare chiunque stesse intorno a lui. Ora, è poco di più di una conchiglia curva che contiene l'uomo che era solito essere.

Ma di nuovo, forse è sempre stato così. Forse questo è lui, il lui vero, non come era solito vederlo Harry, accecato dall'amore.

"Mi dispiace," dice di nuovo, e riesce a farlo sembrare leggermente più sincero, "per averti preso così alla sprovvista ieri. Riesco a capire perché, ehm. Perché non sia stata la migliore delle idee."

"Dici?" sbuffa Louis. "Riesci anche solo a – hai la benché minima idea " Non finisce, si limita a mordersi un labbro e restarsene in silenzio. Le sue spalle si abbassano; il suo atteggiamento arrogante svanisce leggermente.

"Mi dispiace," ripete Harry. Si sente un po' più sicuro a stare in piedi, adesso, il mondo sta girando un po' più lentamente, e sembra addirittura un po' più a fuoco intorno a lui. È una mattina grigia e umida, ma gli alberi intorno a loro sono di un verde acceso e vivi, mentre frusciano nella brezza.

Riescono solo a mettere in contrasto il grigiore di quello che una volta, tanto tempo fa, era Louis. Forse tutto quel fumare alla fine ha avuto le sue conseguenze, pensa Harry.

Si rende conto, poi, che sono entrambi solo delle persone; l'illusione di Louis che si è portato nella mente per tutto quel tempo se ne è andata, e al suo posto c'è questo uomo piccolo e arrabbiato che gli sembra un completo sconosciuto. Harry si ricorda che lo odia, si ricorda tutto il dolore che ha dovuto sopportare per colpa sua; si ricorda che ha girato il mondo per ben tre volte, e Louis è sempre bloccato qui, sta ancora friggendo pesce per vivere.

È proprio la spinta che gli serviva. Si mette più dritto, e scuote le spalle, spazzando via ogni ultima traccia dei suoi sentimenti conflittuali nei confronti di Louis. Non c'è niente in questo posto, non c'è mai stato – è qui per rettificare che il loro matrimonio è stato un errore.

"Ascolta," comincia quando Louis non dice niente. "Sto solo cercando di rendere le nostre vite più semplici. Sono sicuro che non vuoi più essere sposato con me."

"Mmh," mugugna Louis, guardando in terra. All'improvviso, sembra un bambino.

"Allora firma, per l'amor di Dio. Non capisco perché siamo fermi in questa situazione da così tanto tempo quando avresti semplicemente potuto firmare la prima copia e avermela rimandata per mail "

"Quello è stato quattro anni fa," dice, e guarda Harry negli occhi questa volta. Harry non riesce a fare a meno di cercare nei suoi un segno della persona che un tempo conosceva. "Ti ci sono voluti quattro anni per venire qui e chiedermelo di persona. Non ho mai saputo che fossi un codardo, Harry."

Harry digrigna i denti. "Non lo sono."

"Come ti pare," Louis scuote la testa. "Non saresti neppure qui se non ti fossi fidanzato ufficialmente."

"Tu," dice Harry, poi le parole gli vengono meno. Deglutisce. "Tu lo sai?"

"Sei una popstar," dice. Harry non riesce a scorgere nessuna emozione dietro quell'affermazione. "Le notizie viaggiano in fretta."

"Lo amo."

"Davvero?"

"Sì," dice aggrottando la fronte.

Louis annuisce in silenzio. Alza gli occhi verso il cielo, poi fa un passo in avanti. Sono vicini adesso; Harry riesce quasi a vedere le leggere lentiggini che sa che spolverano il naso di Louis.

Tira una mano fuori dalla tasca. Harry non osa respirare mentre raccoglie la cartellina sporca e la estende nello spazio fra loro.

Louis tocca la plastica, ma non la prende. "Lui lo sa?" chiede all'improvviso.

Harry aggrotta la fronte. "Cosa?"

"Il tuo fidanzato. Sa che sei qui?"

Harry si morde un labbro.

"Sa che sei già sposato?" Le sue dita sono ferme proprio lì, solo pochi centimetri da dove deve firmare in modo da farla finita e liberarli entrambi, ma non sta guardando quel punto. Il suo sguardo pungente è all'altezza di Harry.

Sospira con tristezza. "No," dice. "Non sa che sono qui. E non sa che sono sposato, perché non lo sono."

Louis alza le sopracciglia. Lentamente e di proposito, sposta la mano.

"Il matrimonio è qualcosa di più che un semplice foglio di carta," prova Harry, disperato. "Non ti ho nemmeno visto per cinque anni. Non siamo sposati."

Louis fa un passo indietro, poi un altro, fino a che non gironzola intorno alla portiera della sua macchina. "Hai ragione," dice, con un movimento di labbra che sembra quasi un sorriso sincero. "Le tue argomentazioni hanno ancora bisogno di un po' di lavoro, però."

"Louis, per favore —"

"No," scuote la testa. "Non adesso. Sposta la macchina."

"Per favore," Harry dice di nuovo, ma Louis non lo sente. Si mette a sedere e sbatte la portiera dietro di lui. I suoi fanali si accendono un secondo più tardi, accecando Harry che se ne sta fermo in mezzo alla strada.

"Non mi muovo," urla, incrociando le braccia.

Louis rilascia il freno a mano e comincia a muoversi nella sua direzione.

"Smettila di comportarti come un ragazzino viziato!"

In tutta risposta manda su di giri il motore.

Harry quasi scivola mentre fa alcuni passi indietro, camminando fino a che non si ritrova quasi seduto sul cofano della sua Ford. Riesce quasi a vedere il viso di Louis attraverso i tergicristalli, la sua espressione tesa ed entrambe le mani sul volante.

Louis: uno. Harry: zero.

"E va bene," urla – grida, in realtà, perché tutta quella frustrazione repressa deve pur andare da qualche parte. "D'accordo! Vaffanculo, Louis!"

Entra in macchina e la accende con mani gelate, facendo retromarcia su quella stradina laterale fino a che la strada non è abbastanza libera, così che Louis possa passare. Il motore urla mentre si sposta, ed è solo allora che Harry si rende conto che la macchina di Louis è nuova – una scintillante Land Rover nera. È del tipo che è solito vedere ogni giorno a L.A, ma certamente non è così comune a Holmes Chapel.

Mentre si allaccia la cintura, pensa alla vecchia e bruttissima Clio che avevano una volta. Si chiede cosa le sia successo.

Quando Louis se ne sia liberato.

Perché.

*

Per pura coincidenza, lo scopre meno di quindici minuti più tardi mentre guida lungo la strada principale – l'unica strada, in realtà. Risalta come un pugno nell'occhio in mezzo ai pickup fangosi e le berline nere, tutti parcheggiati intorno a Barb's per l'ora della colazione.

Harry ha il finestrino al lato del guidatore completamente aperto, provando a liberarsi della condensa che ricopre l'interno della macchina. L'aria che entra porta con sé l'odore del bacon, e di pane fresco appena sfornato. Solo allora realizza che non ha mangiato niente dal volo.

Ha solo due opzioni in questo caso: guidare fino a uno dei paesi vicini, cosa che impiegherebbe almeno un'ora, o uscire e sperare di essere cresciuto abbastanza da non essere riconosciuto.

È una speranza futile, certo – tutti devono aver sentito che ha fatto le valigie e se n'è andato, e da allora non si è esattamente nascosto.

È la macchina che decide per lui. Non è Louis, è solo una cosa connessa a lui, quindi Harry riesce ad ammettere a se stesso che gli è mancata un po'. Vuole disperatamente sapere cosa le sia successo.

Prova a togliersi di dosso un po' di polvere mentre cammina verso la porta, imbarazzato. Le chiacchiere si propagano attraverso la porta fino alla strada; metà del paese sicuramente si trova lì a quell'ora del mattino.

Sta sudando, il retro del suo collo è appiccicoso sotto quello che una volta era il morbido colletto del suo giubbotto. Tutti in quell'edificio probabilmente lo conoscono. Dio, e se sua mamma

"Entri o stai qui fuori?" chiede qualcuno, e Harry istintivamente si toglie di mezzo. È un uomo che non riconosce, e non lancia nessun secondo sguardo verso Harry mentre spinge la porta e si incammina verso la sua macchina.

Bene. Questo è un bene.

Harry fa un altro respiro, e si pulisce i palmi sulla maglietta. È solo un pub, per l'amor di Dio. È stato su un palco di fronte ad arene sold-out.

Scivola attraverso la porta con un po' più di esitazione di quanto vorrebbe, provando a confondersi con la tappezzeria. È ancora di una sfumatura indefinita di marrone, così come le sedie e i tavoli. Qui, almeno, non è cambiato assolutamente niente.

Si domanda se sia il caso di mettersi a sedere e aspettare che qualcuno vada da lui, ma alla fine decide di no. Probabilmente potrebbe prendere del cibo da asporto e andarlo semplicemente a mangiare nella sua macchina, e poi osservare il locale fino a che qualcuno non esce ed entra nella Clio.

"Ciao, caro," lo saluta una donna non appena arriva al bancone. È piegata sopra una pila di scontrini, e non lo sta guardando. Ad Harry servono esattamente due secondi per riconoscere i boccoli grigi fermati dietro le orecchie, e il pacchiano braccialetto d'oro che indossa da quando Harry portava ancora il pannolone.

"Ciao, ehm, Helen.— "

Lei alza immediatamente lo sguardo, e i suoi occhi svegli si fissano nei suoi. Lui prova a mettere su l'accenno di un sorriso, ma è assolutamente impossibile col modo in cui lei lo sta guardando.

"Senti, lo – lo so, ok? Giuro che non starò molto in città, vorrei solo qualcosa per colazione — "

"Il negozio di fish and chips è aperto," lo interrompe lei. È un po' come se gli avesse tirato un secchio di acqua ghiacciata in testa. Non ha mai pensato che potesse essere niente se non infinitamente gentile.

"Helen, per favore," prova a dire.

Lei gli rivolge qualcosa che potrebbe passare come un sorriso, ma è molto, molto triste. "Mi dispiace, Signor Styles."

Poi si gira e si allontana, stringendo il grembiule fra le mani mentre cammina.

Harry sospira. Allunga le braccia, sentendo un migliaio di piccoli ossicini tornare al loro posto dopo una notte in macchina, e appoggia la fronte contro il bancone appiccicoso. Non è che poi abbia chissà quale dignità da perdere.

"Tutto bene, amico? Helen è solo un po' di cattivo umore, non preoccuparti," dice qualcuno, proprio mentre una mano pesante si appoggia sulla sua spalla.

Per quella che potrebbe essere la milionesima volta nelle ultime ventiquattro ore, Harry si congela.

Conosce anche quella voce.

"So bene," mormora contro il bancone. Se non alza la testa, potrebbe non essere riconosciuto. "Mi limiterò a guidare verso qualche altro posto, ma grazie."

"Non essere stupido," replica, e stringe la spalla di Harry. È così confortante – ed intimamente familiare – che ad Harry fa venire da piangere. Di nuovo.

In retrospettiva, è ovvio che sia venuto qui molto impreparato. Ogni singolo sassolino sotto i suoi piedi sembra una montagna di nostalgia, e incontrare le persone a cui vuole bene – a cui voleva bene – rende il tutto davvero peggiore.

"No, davvero," dice, e compie l'errore di alzare la testa solo un poco, giusto per assicurarsi che la sua voce regga. "Sono –"

"Harry," dice. Non sembra – sorpreso, o scioccato, o disgustato, o niente, in realtà.

Harry espira. "Liam," replica, ed un piccolo sorriso si fa strada sulla sua faccia senza il suo permesso. Si sporge verso il tocco di Liam, perché sa che si sposterà al primo momento buono.

"Pensavo che Louis stesse avendo le allucinazioni," dice Liam. La sua mano è sempre lì. Sempre calda. "Io davvero – mi ha detto di guidare fino a qui e farti andare via, ed io gli ho detto che lo avrei fatto la mattina seguente, io – wow."

"Mi dispiace," si scusa Harry, anche se non è sicuro per cosa. "Come ho detto, posso guidare e andare a prendere la colazione da qualche altra parte."

Finalmente osa guardare Liam in faccia. Nell'oscurità del pub, trova un altro volto inspiegabilmente familiare, ancora rotondo e sincero, che lo guarda a sua volta.

Però ha la barba adesso, sebbene corta. Per un pazzo secondo, Harry pensa di avvicinarsi e toccarla.

Liam si morde un labbro, e aggrotta le sopracciglia. Harry non riesce a smettere di guardare fisso la sua mano che sta ancora stringendo la spalletta sporca del suo gilè.

"Ho qualche toast in più, se lo vuoi," dice lentamente, aggrottando ancora le sopracciglia come se non riuscisse a credere a quello che sta dicendo. "Posso ordinarti qualcos'altro quando torna Helen."

Non piangere, Harry. Non piangere, cazzo. "Sei sicuro?" - chiede, scosso in volto per tutta quella gentilezza e l'offerta di un pezzo di toast. - "Voglio dire, non dovresti – sei l'ultima persona che dovrebbe essere carina con me."

Finalmente, la sua mano scivola via. Liam se la mette in tasca.

"Penso che quella persona sia Louis, in realtà," dice, e indica da un'altra parte con il mento. "Andiamo."

Harry lo segue, le braccia strette intorno a sé, attraverso le oscure profondità del pub. È – ovviamente è al tavolo nell'angolo, proprio in fondo al pub. Quello è il loro posto.

"Siediti, Harry," dice Liam, interrompendo educatamente lo sguardo fisso di Harry. Dovrebbe aspettarselo adesso, ma si sente comunque un po' traballante sui suoi stessi piedi mentre si siede su quella familiare pelle consumata. "Mangia."

Liam spinge tutto il suo piatto verso di lui. Il toast impilato sul bordo è della perfetta sfumatura di marrone, e scintilla di burro; anche se Harry si sente indescrivibilmente in colpa, non riesce a trattenersi dall'agguantarlo.

Liam lo guarda per un minuto, a braccia incrociate e appoggiato alla sua sedia. Poi, circa a metà della seconda fetta di Harry, apre la bocca.

"Quindi. Vuoi davvero un divorzio," chiede. Anzi, afferma. Harry quasi soffoca per colpa del cibo, ma solo quasi.

"Sì," riesce a dire, in modo risoluto ma non risoluto abbastanza da sembrare un coglione. "Louis non vuole concedermelo però."

"E ne sei sorpreso?"

"Io – " Harry piega la testa. "Sì."

È questo il fatto, in realtà – si era aspettato di guidare fino alla sua vecchia casa, incontrare Louis solo per quel poco che bastava per vedere il sollievo sul suo volto mentre firmava i fogli, e tornare a Londra per le otto di sera.

In qualche modo, ha capito tutto male, in modo colossale. Ha proprio sbagliato le basi. E non riesce a capire perché.

"Oh," Liam alza le sopracciglia. "Questo – non mi aspettavo che tu dicessi questo."

Harry ingoia un boccone particolarmente secco. "Non capisco cosa ci sia di male," dice. "Sono venuto qui per disfarlo del suo passato, così che finalmente potessimo liberarci l'uno dell'altro per sempre – "

"Pensi che questo sia quello che vuole?" chiede Liam. Sta sottintendendo qualcosa, ma Harry è terribilmente fuori pratica. Non riesce a coglierlo. "Pensi che voglia liberarsi di te?"

"Certo che sì," dice Harry aggrottando la fronte. "Mi odia, e lo capisco, lo odio anche io, quindi non – solo che non capisco perché non voglia firmare. Siamo rimasti bloccati in questo matrimonio per colpa sua, ma immaginavo che fosse solo testardo senza nessuna ragione, come è sempre – "

"Ok," lo interrompe Liam. "D'accordo, è abbastanza. Non voglio sentire cosa hai da dire."

Giusto, Harry se ne ricorda. Liam era l'amico in comune di lui e Louis. Che Harry ha abbandonato quando ha lasciato Holmes Chapel.

"Scusami," mormora. Il cibo nella sua bocca comincia a sapere in modo sospetto di cenere. "Non avrei dovuto – non avresti dovuto invitarmi, me ne andrò via e basta."

"Siediti," replica Liam. Ogni traccia di cordialità è sparita dalla sua voce. "E ascoltami. Mi stai ascoltando?"

Harry deglutisce. Annuisce.

"Non te lo sto dicendo perché siamo amici," comincia Liam. Il suo atteggiamento da duro sta già cominciando a scalfirsi, e la benevolenza che lo contraddistingue traspare con riluttanza. "Non saremo mai più amici, ma questo non importa. Voglio solo che Louis sia libero, e voglio che vada avanti con la sua vita, quindi voglio che tu mi ascolti."

Harry annuisce in silenzio. Pensa che il rumoroso chiacchiericcio nel pub si sia leggermente acquietato, ma spera di sbagliarsi.

"Non andartene fino a che non riesci a farlo firmare. Non mi importa cosa tu debba fare, mi hai capito?"

"Ha detto," dice Harry a bassa voce, non essendo sicuro se può interrompere. "Ha detto che stava aspettando che glielo andassi a chiedere di persona."

"Allora è una buona cosa che tu sia qui," replica Liam, aggrottando selvaggiamente le sopracciglia sopra il tavolo. "Sono serio, Harry. Dovrai tampinarlo, e lui probabilmente ti urlerà contro, ma voglio che ogni singola traccia di te sparisca dalla sua vita, e tu puoi farlo accadere proprio adesso."

All'istante sembra sentirsi in colpa, ma sembra anche che si morda un labbro per prevenire che possa dire qualsiasi cosa che possa causare quell'effetto.

"Vuoi altro cibo?" chiede allora, senza davvero un filo logico.

Harry si porta una mano sullo stomaco, che sta facendo dei salti mortali da urlo senza nessun motivo apparente. "No," dice. "Sto bene."

Liam annuisce. "Non è in città oggi," dice. Harry immediatamente muore dalla voglia di chiedere dove è andato, cosa potrà aver mai bisogno di fare che è più importante del lavoro.

Però non ha il diritto di saperlo. Questo almeno lo capisce.

"Ma tornerà domani. Non trascinarla per le lunghe, faglielo fare e basta e lascialo stare."

"Capito," dice Harry, annuendo. Evita gli occhi di Liam, e guarda invece le briciole che ha lasciato sul tavolo. "Non voglio stare qui più tempo di quanto sia necessario, questo te lo giuro."

"Bene," replica Liam, scuotendo le spalle sotto la sua felpa. "Non credo che sia rimasto niente qui per te."

Detto questo, si alza. "Addio, Harry," dice, guardando Harry negli occhi per una frazione di secondo. Poi tira fuori il telefono dalla tasca e si allontana.

Non invita Harry a seguirlo. Harry non lo segue.

Si sente però, come se quell'angolo di pub si stesse chiudendo intorno a lui, ricordandogli troppe cose che devono rimanere seppellite, quindi aspetta il tempo necessario per lasciar uscire Liam e poi si avvia verso la porta.

Passa davanti ad una faccia familiare dopo l'altra, ma tiene la testa bassa, e tutti sembrano comunque evitare i suoi occhi.

Harry si ferma proprio accanto alla porta, guardando fuori attraverso il vetro sporco. La Clio è sempre lì – e il bagagliaio è aperto. Liam è in piedi dietro di esso, aggiustando qualcosa prima di tirare fuori uno zaino e lasciarlo chiudere con un tonfo.

Questo – ha senso, pensa Harry. Ha molto senso. Ovviamente Louis avrebbe dato a Liam la sua macchina.

Parlando del diavolo, proprio mentre Harry decide di uscire e entrare nella sua macchina, scorge la Land Rover accostare sulla strada. Si ferma sul marciapiede, dove Louis mette le quattro frecce e salta fuori.

Liam sorride quando lo vede, e Louis – cazzo. Louis sorride a sua volta.

Colpisce Harry da qualche parte molto, molto in profondità, fin dentro le viscere, vedere quella dolce espressione sul volto di Louis, guardare i suoi occhi mentre diventano leggermente più brillanti nel tempo che occorre a Liam per andare verso di lui.

Si abbracciano proprio lì sul marciapiede, con le braccia di Liam che circondano strette le spalle di Louis, facendolo ondeggiare solo un poco da una parte all'altra. I piccoli palmi di Louis si allargano sulla schiena di Liam, tenendolo stretto, e la sua faccia è sepolta nella spalla dell'amico. Harry immagina che debba aver aver detto qualcosa, e Liam deve aver risposto, perché le guance di Louis si sollevano a formare un altro sorriso.

Harry non è preparato all'opprimente sensazione di desiderio che si risveglia in lui. Scuote la testa, e preme un paio di dita contro il vetro.

Va tutto bene. Va tutto bene. Liam essenzialmente gli ha appena dato la sua benedizione.

Rientra in macchina, e trema di freddo per un po' perché, pericolosamente, ha poca benzina. Si sente un po' più – libero, all'improvviso. Sembra che siano passati anni da quando è arrivato, anche se non è passato neppure un giorno, e si sente come se avesse passato tutto quel tempo a guardarsi alle spalle, in maniera molto nervosa. Ora che sa che Louis se ne è andato, finalmente sente un po' di tensione cadere dalle sue spalle.

Dovrà rimettersi in contatto col mondo domani – nessuno sa dove sia, e può evitare il suo telefono solo per un certo periodo di tempo.

Ma per ora, guida. Lascia che le varie strade lo portino dove vogliono, ed è solo vagamente sorpreso quando si ritrova all'argine del fiume. La terra in quel punto è sempre morbida per colpa della pioggia del giorno prima, ma esce lo stesso, e cammina verso l'albero.

Riesci quasi a vedere i contorni di loro due di dodici anni fa nelle ombre in movimento degli alberi; lui appoggiato al tronco, e Louis che ride contro il suo collo.

Aveva tredici anni. È così surreale a pensarci.

Harry sa cosa vedrà una volta che si sarà avvicinato abbastanza. Erano tornati lì la sera del loro matrimonio, ebbri di felicità e ubriachi solo a guardarsi in viso, per intagliare i loro nomi nell'albero che aveva dato il via a tutto.

Sono sempre lì, un po' più in alto di dove si ricordava. Deve alzare il mento per vedere l'Harry, il segno di un più, e le linee sbiadite di Louis sotto di esso.

Appoggia la testa contro un albero vicino, e chiude gli occhi. È silenzioso lì fuori, come da ogni parte in quel paese. È come una bolla in confronto al basso ma sempre presente rumore che circonda L.A., anche intorno alla sua casa su sulle colline. Il silenzio lo innervosisce, e lo fa sentire a disagio – è solo con tutti i suoi pensieri, senza assolutamente nessuna distrazione nonostante ne abbia un disperato bisogno.

È per questo, si dice più tardi, che si arrabbia sempre di più ad ogni respiro.

Prima pensa a Liam; pensa ai suoi occhi gentili e alle sue parole crudeli e alla sua devozione straziante verso Louis.

Una volta era il loro migliore amico. Non c'è più nessun loro, ma lui sa – Harry ha parlato con lui, più che con chiunque altro, di tutto quello che è andato storto.

Se ne è andato per le giuste ragioni. Se ne è andato per rendere la sua vita migliore, e non è quello che tutti volevano che facesse? Sua mamma non la smetteva mai di parlare di quanto fosse talentuoso, Louis lo riempiva di complimenti in ogni frase che diceva; lui e Liam erano soliti sognare ad occhi aperti insieme, condividendo una sigaretta seppur sentendosi in colpa, mentre aspettavano che Louis uscisse da lavoro, sognavano il giorno in cui Liam avrebbe prodotto un album per LouiseHarry, il nuovo dinamico duo del Regno Unito.

Liam sapeva quanto Harry avesse paura, in passato, quando pensava di amare Louis, che quell'amore fosse più importante che andarsene di lì per fare quello per cui era destinato. Poteva avere un pochino più di compassione, poteva essersi sforzato un po' di più per capire —

Fa un respiro profondo, fermando i suoi pensieri prima che possano perdere il controllo. Le sue guance sono calde per colpa del sangue che sta pompando senza scopo nel suo corpo, pieno di rabbia senza senso.

Quel che è fatto è fatto, pensa, ma non può fare a meno di chiudere le mani a pugni, stringendo le chiavi della macchina che sta tenendo fino a che non tagliano il suo palmo.

La sua carriera è cominciata il giorno in cui è partito per Londra. Non ha mai avuto tempo per guardarsi indietro, anche se voleva farlo, e dev'essere per questo che – che tutto questo si sta rivelando troppo da gestire.

"Harry," mormora dolcemente, in modo contemplativo, tracciando il suo nome sulla corteccia dell'albero. Pensa a se stesso quando aveva tredici anni, a se stesso a sedici, a se stesso a diciotto, sempre così infinitamente concentrato su Louis da non aver mai capito di avere una vita propria. Si sente, in un certo senso, come se avesse vendicato il ragazzino ingenuo che era una volta.

E, allo stesso tempo, si sente come se lo avesse deluso. C'è qualcosa dentro di lui che non ha mai davvero lasciato andare questo posto – almeno quello adesso è chiaro. È così arrabbiato, arrabbiato che si lasci condizionare, che Louis non ceda, che niente di tutto questo sia stato così facile come voleva che fosse – arrabbiato di essere stato forzato ad andare lì, per pizzicare una ferita che pensava guarita già da tempo, seccata e cicatrizzata. Sparita per sempre.

Contempla il peso delle chiavi della macchina nella sua mano, poi le solleva verso le pallide linee che compongono il suo nome sulla corteccia. Pigia forte, e non si ferma fino a che ogni ultima traccia di sé se ne è andata.

Il nome di Louis è ancora lì. Harry lo guarda con freddezza, ne traccia i contorni con le dita, ma lo lascia stare. Se Louis non vuole cancellarlo, è un suo problema.

Inspira l'odore di legno fresco, dell'erba bagnata sotto i suoi piedi. Chiude di nuovo gli occhi, e li sente bruciare.

Poi, si siede per terra e piange.

*

Come Harry scopre presto, l'unico B&B del paese ha chiuso anni fa. Cammina avanti e indietro per la strada principale, il volto ancora rigato dalle lacrime, cercando un posto in cui stare, ma ha troppa paura di chiederlo ad un passante.

Potrebbe andare a Northwich, a Stoke on Trent, ad uno qualsiasi delle dozzine di paesi che sono talmente vicini che se tirasse un sasso oltre il confine probabilmente ci arriverebbe – ci deve pur essere un letto da qualche parte.

E prima o poi sua mamma sentirà la notizia che lui è in città.

Non è così sicuro di essere pronto per un altro ricongiungimento, specialmente con una mamma che sarà più arrabbiata di Louis.

È l'unico rimpianto di Harry nell'aver lasciato questo posto – il fatto di non essere stato abbastanza coraggioso da dirlo alla sua famiglia. Di non essere stato abbastanza coraggioso per alzare il telefono. È un figlio terribile, terribile, al di là del fatto che decanti le lodi di sua madre in ogni intervista. Non lo vede da cinque anni.

E a lui manca; gli manca come potrebbe mancargli un arto, gli manca Gemma, Robin, la casa che ha visto per tutti i migliori anni della sua infanzia.

E adesso è qui. Forse può davvero riparare l'unica cosa che ha veramente rotto, tutti quegli anni prima.

Dopo tutte le ore passate in macchina, l'interno odora di sporcizia umida e sudore. Decide di lasciarla indietro, parcheggiata di fortuna in una stradina laterale, e si fa tutta la camminata fino alla cima della collina a piedi. Fa del suo meglio per non pensare, durante il tragitto, si limita a godersi il vento sempre presente che gli sferza le orecchie. Finalmente sembra Maggio lì fuori, e sente abbastanza caldo da togliersi il gilè.

Sembra ancora che si sia fatto il bagno in una pozza di fango, ma così va un po' meglio.

La strada finisce molto prima di quanto vorrebbe. Si ferma prima di una siepe stranamente familiare, ancora tagliata meticolosamente, e esita con la mano sulla maniglia del cancello. Per quanto odi ammetterlo, questa casa ha smesso di essere tale per lui nel momento stesso in cui è andato a vivere con Louis, e gli anni che sono passati da quel momento lo devono rendere più un ospite che qualsiasi altra cosa.

Sbircia attraverso le finestre, di nuovo, e si chiede se il suo vecchio letto sia sempre là sopra, da qualche parte.

Se ne sta lì fermo, e lascia che il vento soffi via l'esitazione dalla sua testa; almeno questa cosa deve farla. Preme sulla maniglia.

"Harry?" chiede qualcuno – sua mamma, decisamente sua mamma – da dietro di lui.

Si sente soffocare prima ancora di provare a parlare. Non sente la sua voce da – Dio, mezzo decennio.

"Ciao," riesce a dire, e anche questo con un bel po' di problemi, e curva le spalle. Il respiro di lei, leggero dietro di lui, sembra un treno merci carico di rimpianti fino alla cima, e sta sbattendo contro il suo petto in piena velocità. "Mamma. Ciao."

"Oh mio Dio," dice lei. Non sembra arrabbiata, e solo per questo si sente abbastanza coraggioso da girarsi.

Ci sono un paio di sacchetti della spesa per terra, una borsetta, un paio di chiavi – tutte cose che devono esserle cadute di mano. Nel momento in cui osa guardarla in faccia, non riesce a scorgere nessun dettaglio, perché la sua vista è offuscata.

"Che è successo?" sussurra lei, ed Harry – Harry semplicemente non ha idea da che parte cominciare.

Scuote la testa, mordendosi disperatamente le labbra per trattenere le lacrime. È passata solo un'ora da quando ha smesso di piangere, i suoi dotti lacrimali dovrebbero essersi completamente prosciugati –

In mezzo alle forme sfocate che adesso compongono il suo mondo, riesce a scorgere, in una qualità stranamente molto chiara, sua mamma che apre le braccia. C'è un po' di esitazione in quel gesto, ma Harry non metterà in dubbio il conforto che gli sta offrendo. Non può. Lo farà, più tardi. Al momento ha solo bisogno di un abbraccio.

"Mi dispiace," dice appena le sue braccia si trovano a circondare le sue spalle. È più bassa di come si ricorda. "Mi dispiace così tanto."

"Shh," gli dice lei, accarezzandogli la schiena. Il gesto è un po' esitante, ma c'è. "Ti urlerò contro, mi hai sentito? Griderò a squarciagola, ma prima ho bisogno che tu ci dorma sopra. Sembri esausto, tesoro."

"Lo sono," replica Harry, e si sente così fin dentro le ossa. "Mi dispiace, Mamma. Io –"

"Andiamo, allora," lo interrompe sua mamma, stringendogli le spalle e facendolo voltare, spingendolo fino a che non comincia a camminare. "È aperto, entra e basta. Sai dov'è la tua stanza."

"È ancora lì?" chiede, già nell'ingresso, provando a togliersi le scarpe senza fare casino. La casa è piacevolmente fresca, e odora di fiori. Il profumo lo circonda all'istante, facendolo sentire assonnato, appagato. Al sicuro, anche se per poco.

Sua mamma sospira mentre si chiude dietro la porta. "Ovvio che è ancora lì. Vai, non ti sveglierò. Dormi quanto vuoi."

"Io – grazie," dice, e si gira per guardarla. Anche lei sembra stanca, la sua pelle è un po' pallida, ma riesce a sorridere come fa sempre.

"Vai," dice, anzi chiede in realtà.

Harry non se lo fa ripetere due volte. Si sporge per un secondo, la circonda con le braccia, poi si allontana e sale le scale.

Tutto quello che tocca è familiare – è sgattaiolato via nel buio così tante volte che sa esattamente dove si trova la sua stanza solo dalle pieghe nella carta da parati, ed accende tutti gli interruttori mentre cammina, così per abitudine.

La porta si apre facilmente sotto il suo tocco. Sembra un po' come entrare nella tomba di un Harry che non esiste più.

Non guarda le pareti, le mensole, nient'altro ad eccezione del letto. Non ci sono lenzuola sopra, perché sua mamma preferisce fare scelte pratiche piuttosto che preservare un altarino in suo onore ogni giorno, ma quando si sporge per cercare le scatole con i ricambi sotto il letto, trova un paio di cuscini e un lenzuolo piegato con cura e pronto per essere usato.

Harry si toglie i jeans, e li arrotola in una palla per evitare che lo sporco possa diffondersi. Alcuni dei suoi vecchi vestiti devono essere sempre lì. Li troverà quando si sveglierà.

Alla fine si sdraia, ed ogni fibra del suo essere si rilassa all'istante. Sa che deve solo sbattere le palpebre un paio di volte per addormentarsi, può sentirlo, ma non può fare a meno di far vagare i suoi occhi verso gli angoli polverosi della stanza.

La stanza. Non riesce nemmeno a pensare a quella come alla sua stanza, non veramente – è sempre stata loro. È il posto dove andavano per nascondersi dal resto del mondo, dove scappavano quando l'allegro caos di casa di Louis diventava troppo.

Riesce a vedere loro due lì persino adesso, in quel posto fra la veglia e i sogni; sono seduti nell'angolo più lontano della stanza, proprio accanto all'armadio, e stanno guardando il cielo notturno fuori dalla finestra, nominando le costellazioni. Stanno premendo le classiche risatine da ubriachi uno nel collo dell'altro mentre fanno fatica ad entrare nei loro smoking che si sono fatti prestare per il matrimonio. Sono stretti l'uno all'altro proprio ai piedi di questo letto, e la pelle di Louis è morbida al tatto, Harry sta tracciando delle lettere invisibili sulla sua spalla.

Forse – forse è quello il modo per arrivare a Louis. Forse Harry deve ricordargli ciò che avevano, deve renderlo un po' meno testardo.

Si gira per guardare la finestra, e si addormenta con un cipiglio in volto.

*

Il giorno dopo riesce ad evitare la conversazione che lui e sua madre hanno un disperato bisogno di avere. Si fa una doccia, ingoia alcuni pezzi della sua colazione, bacia sua madre sulla guancia per ringraziarla, e le promette che tornerà in serata per prendersi tutte le urla a cui sa di essere destinato.

La prima cosa che fa, avviandosi giù per il paese in cerca della sua macchina, è chiamare Niall.

"Harry Styles!" urla Niall nel telefono, ed è troppo per quell'ora del mattino. "Il mio cliente preferito, stai tornando finalmente?"

"Sono il tuo unico cliente," gli fa notare Harry. "E no, questo è proprio il motivo per cui sto chiamando."

"Ti avevo detto di non farlo fino a che non fossi riuscito a far firmare quei fogli."

"C'è stata una – complicazione."

"Lasciami indovinare," sospira Niall. "Non vuole farlo."

Messa in modo così semplice, Harry si sente un idiota. Sembrerebbe che sia l'unico a non esserselo aspettato.

"Beh... no," replica, solo un po' impacciato. "Ma è più complicato di così."

"Più complicato di un ex vendicativo che si rifiuta di darti il divorzio perché è amareggiato dal fatto che sei andato avanti senza di lui?"

Harry sbatte le palpebre. Chi avrebbe mai detto che Niall riuscisse a capire gli intrichi delle relazioni umane, visto che non ne ha mai avuta una.

"Quindi lo hai già incontrato prima," prova a scherzare, e da quella battuta ottiene una risata riluttante. È meglio di niente, e in realtà lo riscalda fino alle dita dei piedi; è bello sapere che ha qualcuno che sa tutto, e che rimane risolutamente dalla sua parte nonostante tutto.

"Ascoltami, amico, non penso che ci sia nessun consiglio che possa darti," dice Niall. "Per quanto mi ricordi, non sono mai stato sposato."

"E grazie a Dio, direi," mormora Harry, a voce così bassa da essere a malapena udibile, e questa volta, la risata di Niall è forte e intensa.

"Quello che sto provando a dirti è rimboccati le maniche e lavoraci su. Non devi tornare in studio fino a settembre, quindi temo che tu abbia davvero molto tempo a disposizione."

Harry sospira. Giusto. È ancora una popstar, nel mondo fuori da questo minuscolo paesino.

Si è preso una pausa perché ne aveva bisogno, completamente esausto dopo due album e due tour, e voleva – sperava –, nel frattempo, di organizzare il matrimonio. Forse persino sposarsi, in quei pochi giorni alla fine di agosto che sono sempre molto caldi.

Il suo ultimo matrimonio è stato celebrato in primavera, e non è che sia andato poi così bene. Non vuole ripetere i suoi errori.

"Posso chiamarti per lamentarmi quando mi lascerà di nuovo sui gradini d'ingresso?"

"Lo ha fatto?" chiede Niall. La sua voce all'improvviso è più ferma – Harry può immaginarselo raddrizzare la schiena e alzare il mento, pronto a combattere contro Louis per conto di Harry persino da un migliaio di chilometri di distanza.

"Non preoccuparti," prova a placarlo. "Sono sopravvissuto. I miei vestiti no, ma sto appunto andando a procurarmene di nuovi."

"Vuoi che faccia delle chiamate?" chiede Niall, entrando immediatamente in modalità business.

"No tranquillo. Ne comprerò qualcuno. Mi piacerebbe molto se tu potessi estendere la durata del noleggio della mia macchina, però."

"Ah, ho capito ora. All'improvviso non sei poi così figo per avere una Fiesta."

"Vai a cagare," dice Harry con un sorrisino. Continua a sorridere, non smette nemmeno per un secondo, mentre cammina per la strada principale di Holmes Chapel, dove ci sono fantasmi appostati dietro ogni angolo. È una bella sensazione. "Abbiamo affrontato cose molto dure insieme, Niall. Avventure."

"D'accordo," dice Niall, ed è implicito che stia alzando gli occhi al cielo, "consideralo fatto."

Poi c'è silenzio, ma del tipo che parla anche senza proferire parola. Harry si acciglia – si sarebbe aspettato che Niall volesse tornare in spiaggia il prima possibile.

"Che c'è?" chiede, un po' spaventato di conoscere già la risposta.

"C'è stata ehm. C'è stata un'altra chiamata."

Harry smette di camminare. "Quando?"

"Ieri sera," dice Niall con riluttanza. Odia sempre dirlo a Harry, perché Harry si spaventa; ed adesso sembra anche peggio, solo perché sono così lontani l'uno dall'altro.

"Hanno," comincia, ma si deve schiarire la gola. "Hanno detto niente?"

"No," replica Niall. "C'è stato solo un respiro pesante, risate in sottofondo, il solito."

"La polizia?"

"Sì, l'ho chiamata subito. Mi hanno detto che avrebbero provato a rintracciare il numero, ma non penso che si siano scomodati tanto."

Harry si appoggia al muro più vicino – capita che sia quello del Costa. Per fortuna è chiuso, e c'è solo la sua faccia che lo fissa a sua volta dal vetro appiccicoso della vetrina.

"Io non ho ricevuto niente questa volta," dice, anche se in realtà non è che stia proprio controllando il suo telefono così spesso.

"Questo è un bene," Niall sembra sollevato. Harry può sentirlo camminare avanti e indietro dall'altra parte del telefono. "Non volevo – non ti avrei chiamato, hai già molte cose di cui occuparti, ma già che ci sei. Vuoi che ti mandi Peter?"

"Qualcuno sa dove sono?" Solo dire quelle parole lo fa guardare oltre la sua spalla, su e giù per la strada, perfino nel viottolo sulla destra che ospita a malapena qualche bidone della spazzatura e un gatto randagio.

"Nessuno per quanto ne sappiamo," replica Niall. "Nessuno sa di Louis, e tu non torni mai a casa, quindi sono sicuro che questo aiuti — " Harry fa una smorfia così improvvisa che i suoi muscoli hanno uno spasmo, "ma no. Twitter è stato abbastanza silenzioso, i tuoi soliti dati di prenotazione dell'aereo sono ancora sicuri, e anche il noleggiatore della macchina se tutto va bene terrà la bocca chiusa."

"Allora no," dice Harry. "Digli che potrei avere bisogno di lui in un certo momento, ma io – voglio farlo da solo."

"Va bene," dice Niall, con grande, grande riluttanza. "Solo – fai attenzione, ok? Se qualunque cosa può sembrarti sospetta, fammelo sapere."

"È Holmes Chapel, Ni. La cosa più drammatica che sia mai accaduta qui è stato probabilmente un gatto che non riusciva a scendere da un albero."

"Bene. Spero che rimanga così."

"Anche io," replica Harry, e ricomincia a camminare con molto meno vigore nei suoi passi. "Anche io. Ti chiamo più tardi, ok?"

"Fallo," dice Niall. "Buona fortuna Harry-o"

"Grazie, Ni. Ti voglio bene."

"Ti voglio bene anche io, coglione. Ora attacco, credo che il mio servizio in camera senza reggiseno sia qui."

Harry si ritrova a sorridere quando stacca la chiamata, ma nel profondo si sente sempre inquieto. Cammina a passo svelto per il resto della strada verso la macchina, e la chiude dall'interno appena si siede.

Va tutto bene, si dice. Va tutto bene. Per nessuna ragione al mondo qualcuno si prenderebbe la fatica di seguirlo fino al Cheshire.

Ad ogni modo, una volta che arriva a Stoke si assicura di nascondersi al meglio che può. Indossa i vecchi pantaloni della tuta che indossava alla fine delle superiori, e una delle t-shirt di Robin; si mette anche un capello, e si tira su i capelli in un ciuffo, il che potrebbe essere una scelta opinabile, ma funziona perfettamente con il look che sta cercando.

Sembra funzionare, infatti – quasi nessuno lo degna di una seconda occhiata quando entra nel centro commerciale, in cui si limita a guardarsi in giro per individuare un negozio che venda qualcosa sulla linea di ciò che indossa solitamente. A quanto pare dovrà affrontare Louis molte volte nei prossimi giorni a venire – forse persino settimane, Dio – e ha bisogno di essere il più composto possibile.

Afferra di tutto senza nemmeno provarselo: qualche paio di jeans, pantaloni della tuta, qualche t-shirt, qualche camicia, un giacchetto, due paia di scarpe, calzini, biancheria intima. E un cappello, perché ha sopra una linea rossa accesa che gli piace davvero molto.

Per fare tutto questo probabilmente impiega meno di mezz'ora, e poi, di nuovo, si sta già affrettando per uscire, carico di sacchetti e guardando risolutamente a terra.

E questo è il motivo per cui, ovviamente, va a scontrarsi contro qualcuno.

"Mi dispiace," si scusa immediatamente, rallentando ma comunque sempre muovendosi. È profondamente paranoico dopo quello che gli ha detto Niall. "Mi dispiace davvero molto."

"Va tutto bene," replica quella persona – sembra una ragazza, una giovane ragazza, il che rende Harry ancora più terrorizzato. Se c'è qualcuno che può riconoscerlo –

"Aspetta, tu non sei –"

"Devo andare, mi dispiace davvero," dice, e lo è sinceramente. Si vanta sempre di essere cortese con i fan in ogni circostanza, ma visto come stanno le cose adesso, piegato su se stesso e correndo come un criminale – nessun fan si merita questo.

Non può fare a meno di guardarla, però, solo una volta. Lo sguardo di riconoscimento che si stabilizza sul suo volto è uno che ha visto un centinaio di volte.

"Mi dispiace davvero," dice di nuovo, o più che altro lo sussurra, saltellando sul posto.

"Non preoccuparti," sussurra lei a sua volta, con un piccolo sorriso nascosto all'angolo della bocca. Harry sbatte le palpebre, espira un enorme sospiro di sollievo, e sorride a sua volta prima di tornare a correre.

Appena è al sicuro nella sua macchina, il suo cuore sembra essere partito per una gara di velocità. Prova a rallentare il respiro mentre manda un messaggio a Niall – Sono stato avvistato a Spoke ma penso che sia tutto a posto, non ho fatto nessuna foto – ma non ci riesce facilmente.

Non fa – questo, di solito. Andare da solo nei posti. Specialmente non dopo una di quelle telefonate.

Sembra tutto più facile una volta che si immette in strada, visto che va troppo veloce affinché chiunque possa provare a fare irruzione nella sua macchina e rapirlo. Alza la radio, stringe gli occhi contro il sole, e prova a rilassarsi su quel sedile rigido.

Va tutto bene.

*

Una volta tornato (e dopo essersi cambiato in un vicoletto laterale – non ne và fiero), decide di provare di nuovo ad avere una conversazione con Louis. Sono solo le tre del pomeriggio, però.

Si ferma al fish and chips, sentendosi leggermente più sicuro di sé nei suoi vestiti nuovi di zecca.

"Ehilà," dice qualcuno – che non è decisamente Louis – da dietro il bancone. In realtà, è qualcuno di cui Harry non ha ricordo e che è sicuro di non aver mai visto prima: è ancora un adolescente, ci scommette, con qualche aggressiva macchia rossa sul naso. "Cosa posso portarti?"

"Ehm, ciao," dice Harry, senza proiettare nemmeno un po' della sicurezza che sente dentro di sé . "Sto cercando Louis."

Il ragazzino aggrotta la fronte, poi piega la testa. "Chi?"
"Louis Tomlinson? Lavora qui."

"Oh," alza le sopracciglia. "Conosco Louis, credo, ma – amico, sicuramente non lavora qui."

Harry sente le sue labbra contrarsi. "Ne sei sicuro?"

"Al cento per cento. Sono qui ogni giorno, penso che lo saprei."

"Però lavorava qui, vero? Qualche tempo fa," prova Harry. I suoi pensieri stanno correndo in una dozzina di direzioni diverse. È solo che aveva pensato – lo aveva dato per scontato.

"Non da quando sono qui," dice il ragazzino scuotendo le spalle. "E sono passati già un paio di anni, adesso."

Louis non lavora più al fish and chips. L'informazione è scioccante per Harry, anche se forse poteva presupporlo – aveva un'immagine di Louis stabile nella sua mente, non cambiava mai, non andava mai avanti, proprio come Louis stesso: vive nella stessa casa, si veste al solito modo, lavora al fish and chips.

Solo che non ci lavora più. È – è disoccupato?

"Sai dove lavora, allora? Devo parlargli."

Il ragazzo scuote le spalle, fa un sorrisetto. Rimescola un vaso di salsa. "Non ne ho idea. Prova semplicemente a casa sua o qualcosa del genere."

"Giusto," annuisce Harry. "Già. Grazie per il tuo aiuto."

"Nessun problema, amico," dice il ragazzino, già girato di schiena. "Spero che tu riesca a trovarlo."

Harry ride, poi si avvia di nuovo fuori e verso la strada soleggiata. E va proprio verso la casa, proprio come gli è stato detto – e anche perché non riesce a pensare a nessun altro posto in cui poterlo cercare.

È una passeggiata adorabile a quell'ora del giorno, c'è caldo e tutto è silenzioso, e il cancello è aperto, ma Harry non si ferma a apprezzare niente di tutto ciò. Sta pensando, ci pensa sempre, al fatto che Louis sia cambiato.

È stato un po' ingenuo ad aspettarsi che tutto fosse rimasto il solito. Nonostante questo, però, proprio perché Louis è stato una costante per la maggior parte della vita di Harry, Harry si era aspettato che rimanesse bloccato in quel posto e che non andasse mai avanti.

Che lo aspettasse.

È una cosa orribile da realizzare, davvero orribile, ma in qualche modo non riesce a sentirsi in colpa mentre cammina con fatica su per quella strada e si ricorda del modo in cui Louis lo ha trattato. È andato avanti, chiaramente – è diventato un uomo stanco, minuscolo e arrabbiato.

Raddrizza le spalle quando bussa, aspettandosi senza dubbi di essere mandato via di nuovo. Questa volta, però, non se ne andrà.

"Non dirmi che sei tornato," la voce di Louis arriva da dietro la porta. Non sembra così arrabbiato oggi.

Harry è sul punto di fare una battuta, ma si ferma in tempo. Sta camminando su del ghiaccio davvero, davvero sottile in questa situazione.

"Non avrei dovuto farlo se tu avessi firmato i documenti."

"Non ti stanchi mai di dirlo?" - chiede. C'è un tonfo, come se si fosse seduto per sostenere quella conversazione.

Harry sente una scintilla di eccitazione scorrergli giù per la spina dorsale.

Non se n'è andato.

"Non proprio," dice, appoggiando una spalla alla porta. Non cambia niente, ma lo fa sentire un po' più potente. "È la sola ragione per cui sono qui, quindi se tu potessi — "

"Se non hai intenzione di andartene," lo interrompe Louis, "parliamo di qualcos'altro."

Harry trattiene il respiro. "Tipo di cosa?" - dice – anzi sussurra, ma Louis lo sente lo stesso.

"Non lo so. Sei tu quello con una carriera eccitante, ricordi?"

"Sono andato al fish and chips a cercarti," comincia Harry, e pensa che forse, forse potrebbe riuscire a far sfuggire qualcosa a Louis e soddisfare la sua curiosità. "Ma mi hanno detto che non lavori più lì."

Silenzio. Si allunga per dei secondi davvero, davvero lunghi. Harry prova disperatamente a cercare di sentire dei segni di movimento, segni che Louis sia già fuggito in ritirata.

"No, infatti," replica, alla fine. "Perché ti importa?"

"Non mi importa," dice Harry, automaticamente. "Ero solo curioso — "

Naturalmente, quello è il momento in cui il rombo di un tuono risuona in distanza. Poi, come se Madre Natura stesse mettendo in scena una scena di un film sdolcinato, il cielo si apre più o meno letteralmente. La pioggia comincia subito a cadere, e delle raffiche fredde da morire frustano le braccia nude di Harry come se fossero proiettili.

Geme, e si appiattisce contro la porta, provando a nascondersi sotto quella miserabile specie di veranda sopra di lui.

Non può accadere di nuovo. Quali sono le possibilità?

"Sta piovendo?" - chiede Louis, come se non riuscisse a sentire la pioggia battere contro le finestre.

"Sì," Harry alza gli occhi al cielo. La temperatura è scesa rapidamente, e le gocce di pioggia sembrano interi iceberg che gli colano sulle braccia. "Solo un pochino."

Cazzo, dovrà – dovrà tornare a casa a corsa. Il cielo, prevedibilmente, è grigio, all'improvviso completamente coperto nel punto dove solo pochi minuti prima c'era il sole. Probabilmente non smetterà per ore.

"Oh, cazzo," mormora, sfregandosi le mani congelate l'una contro l'altra per far scorrere il sangue. Harry per un momento si dimentica perfino che Louis sia lì. Non dovrebbe nemmeno essere lì, se non fosse per lui, quel testardo, avido —

"Vuoi venire dentro?"

Aspetta, pausa. Rewind.

Che cosa?

"Che cosa?"

"Non farmelo ripetere, cazzo," dice Louis. Sembra che stia leggermente ringhiando. "Entra dentro."

"Io – okay. Grazie," dice Harry, ma si sente preso in contropiede quando si sposta di lato per lasciare che Louis apra la porta. Non aveva – questo non se lo era aspettato. Non è pronto a vedere l'interno della sua casa. Non vuole.

D'altra parte, l'unica altra sua opzione è un temporale imminente. Dovrà farsi coraggio e affrontarlo.

Louis apre la porta di un millimetro. Harry ci scivola dentro e la chiude dietro di sé prima che possa cambiare idea.

È solo nel calore asciutto della casa che Harry realizza quanto sia bagnato. Le punte dei suoi capelli stanno gocciolando sul pavimento, facendo un casino sulle familiari piastrelle.

Alza lo sguardo. Il volto di Louis è esposto nella semi-oscurità, pallido come la luna, e sta stringendo gli occhi verso Harry come se stesse provando a capire qualcosa. Harry aveva sperato in un qualche tipo di gentilezza, o almeno di educazione, ma potrebbe guardare una lastra di marmo e il risultato sarebbe lo stesso.

Louis una volta era bravo a trattenere le sue emozioni, quando voleva; non ha mai escluso Harry, però.

"Vuoi del tè?" chiede tra i denti, come forzato a dire quelle parole.

Riesce a far sentire Harry – timido. Piccolo. Timoroso di oltrepassare il confine.

Si acciglia leggermente per l'ingiustizia di tutto ciò – è stato Louis ad avergli urlato contro, Louis ad essere maleducato, Louis che lo ha fatto sentire a disagio in luoghi che una volta erano la sua casa.

Forse questo è un bene, però. Forse riuscirà a ottenere prima quello di cui ha bisogno se lascia credere a Louis di avere la meglio. Segue il suo ex-marito in cucina, e si fissa determinatamente i piedi mentre cammina. Ci sono troppi fantasmi ad infestare quella casa.

Nonostante questo, però, ci sono alcune cose che non può fare a meno di notare: le sedie sono le stesse, e così anche il tavolo, ma le orribili tovagliette che una volta aveva preso al negozio di articoli usati se ne sono andate. Al loro posto ci sono dei cerchi sbiaditi premuti contro il legno, ricordi di piatti caldi e bicchieri bagnati. Harry prova a mandarli via sfregandoci sopra dopo essersi seduto, ma questi non si cancellano.

"Dusty continua a incastrarci dentro gli artigli," dice Louis per spiegare, facendo un cenno verso il piano del tavolo. Harry non sapeva nemmeno che lo stava guardando.

Toglie la mano e l'appoggia sulla sua pancia, imbarazzato.

C'è silenzio, ovviamente, e non riesce a trattenersi quando comincia a osservare Louis di soppiatto. È una scena che ha visto un milione di volte, perché Louis è sempre stata la persona designata a fare il tè in quella casa, ma allo stesso tempo c'è qualcosa di estraneo in quei gesti. Forse è la sua silhouette troppo magra, o il fatto che le tazze siano state spostate di due credenze a sinistra.

Forse è l'espressione sul suo volto, e il modo in cui si muove come se preferirebbe essere in qualsiasi altro posto.

Bene, pensa Harry. Lascia che si senta a disagio.

"Che cosa ci fa lei qui, ad ogni modo?" chiede. Le mani di Louis sobbalzano leggermente mentre rovista nella scatola del tè. "Dusty, intendo."

"Viene qui a gironzolare," dice Louis scrollando le spalle. Continua a stare in piedi davanti al bollitore anche se ha già sistemato le tazze, dando la schiena a Harry mentre gli parla. "Non ho intenzione di lasciarla fuori."

"Giusto," replica Harry. Alcune delle gocce di pioggia sono state sostituite da un sudore nervoso che si incurva intorno all'attaccatura dei suoi capelli. Questa situazione sembra una brutta intervista – del tipo dove l'intervistatrice prova a ricavare qualche informazione esclusiva mentre gli chiede di Marcus. "È - È carino da parte tua."

Louis si gira, finalmente, e fa un sorrisino. "Mi piace pensare di essere una brava persona."

Le sopracciglia di Harry si inarcano prima che riesca a fermarle. Si fissano per un minuto, non battendo ciglio mentre il bollitore fischia in sottofondo. Poi Louis scuote la testa e si gira per preparare il loro tè.

Non chiede niente riguardo al latte e allo zucchero. Harry capisce, con qualcosa che sembra essere terrore, che non ha bisogno di farlo.

I suoi sospetti si mostrano giusti quando Louis gli porge la sua tazza – molto attento a evitare ogni parte dei loro corpi che potrebbe toccarsi – e il liquido dentro quest'ultima è di una perfetta sfumatura di marrone chiaro. Harry è grato per il suo calore quando la prende nelle sue mani, perché tutto il resto dentro di lui si è ghiacciato per l'ansia.

Quindi Louis se ne ricorda. Non è niente di che. Ha passato quasi un decennio a preparare il tè a Harry; a questo punto deve essere una questione di memoria muscolare.

"Mi dispiace," dice, mentre si siede al lato opposto del tavolo. Non sembra dispiaciuto. "Non sapevo se lo prendessi ancora al solito modo."

Harry si morde il labbro per contrastare la malizia che sta giocando con le linee del volto di Louis. "Io non – non lo bevo più molto."

"Giusto, ovvio," Louis annuisce. "Non puoi far pensare ai tuoi adorati sudditi che sei un plebeo."

A Harry piaceva molto di più quando urlava.

"Non è quello," mormora inutilmente.

"Come no," dice Louis. "Immagino di essermi immaginato il fatto che sei venuto qui con i jeans bianchi ed un gilè di pelliccia."

"È pelliccia finta, idiota," replica Harry, persino a voce più bassa di prima. Sta cominciando ad avere problemi nel tenere a freno la sua rabbia.

Louis inarca un sopracciglio – solo uno. La sua voce è così appuntita che probabilmente potrebbe tagliare, se Harry non fosse abituato a modi del genere.

"Era anche finto Gucci?"

"Versace," lo corregge Harry, poi chiude gli occhi con amarezza. Stai zitto, Harry.

Louis ride davvero, genuinamente. "Giusto, popstar. Porgi le mie scuse a Donatella la prossima volta che la vedi."

"Sai," dice Harry, disperato, provando a controllarsi e fallendo. "Non riesco nemmeno a sentirmi insultato. Mi sento solo male per te, voglio dire – dev'essere dura vedermi realizzare quello che hai sempre desiderato." Louis butta giù rumorosamente un po' di tè. I suoi occhi si restringono. "Specialmente visto che l'unica cosa che mi separava da tutto questo eri tu."

Per l'amor di Dio. Non riesce davvero a tenere la sua dannata boccaccia chiusa, vero?

Louis sobbalza, ma riesce a nasconderlo così bene da fare impressione. Si stava tenendo in equilibrio sulle gambe posteriori della sua sedia, ma ritorna a terra con fragore, adesso, e si sporge in avanti.

"Almeno io non ho abbandonato tutti quelli che amavo per ottenere quello che volevo," gli rinfaccia. Non sembra particolarmente astioso. Solo stanco.

"Non ti ho mai amato, Louis. Mai. È solo che non conoscevo niente di meglio."

"Mi hai sposato," gli sbraita contro Louis. Le sue dita cominciano a tremare intorno alla tazza.

"Certo che l'ho fatto!" replica Harry. Ha alzato la voce adesso; non aveva molte speranze di rimanere calmo, ad ogni modo. "Nessuno mi aveva detto che non fossi tenuto a sposare il primo idiota che mi ha convinto a strisciare nel suo letto con lui. Tu – tu mi hai legato a te. Mi hai fatto sentire come se la tua vita fosse la mia vita, perché sapevi che ti avrei lasciato se avessi scoperto cosa c'era lì fuori."

Louis apre la bocca, poi la chiude. Sembra – scioccato. Ha gli occhi spalancati, e all'improvviso è così giovane.

"Ci credi davvero," dice. Non c'è una domanda nel suo tono.

Harry si acciglia. "È la verità."

Louis si allontana di nuovo, fino a che soltanto la punta delle sue dita sta toccando il tavolo. Annuisce, e alza lo sguardo verso il soffitto.

"Sai," dice, e quella parola risuona nella stanza. "Ti avrei supportato in ogni cosa. Ogni cosa al mondo. Se mi avessi detto che volevi andartene per cominciare una carriera, avrei detto 'Okay, vuoi che venga con te?' E se tu avessi detto di no, ti avrei lasciato andare, cazzo, ti avrei concesso il divorzio allora, non mi sarei mai frapposto tra – è solo che. Sei veramente un coglione, lo sai?"

Harry fa un respiro, dentro e fuori, intorno al groppo che si è formato nella sua gola. Louis si sta inventando cose mentre parla, e Harry lo sa, ma questo non le rende più facili da sentire.

"Concedimi il divorzio adesso, allora," dice, a bassa voce e lentamente, per assicurarsi che la sua voce non tremi. "Se sei così altruista, cazzo, firma quei fogli e basta."

"Ora non è allora," Louis scuote le spalle. "Non ti sei nemmeno preoccupato di dirmi che te ne stavi andando."

Harry scuote la testa. "Devi esserti sentito — "

"Non mi sono sentito di merda, Harry," lo interrompe. I suoi occhi sono di nuovo di un blu sfolgorante. "Mi sentivo solo stupidamente innamorato di te come il giorno prima, ad eccezione che mi sono svegliato ed era tutto sparito. Ogni ultima traccia di te, il tuo cazzo di spazzolino da denti — "

"Dovevo andarmene," dice Harry. "Era il momento."

"Giusto," annuisce Louis. "Allora io dico che è tempo che impari la lezione. Non otterrai un divorzio."

"Non riesco a credere a quanto tu sia egoista," dice Harry. Lo urla. "Non riesco a credere che qualcuno possa essere così pieno di cattiveria da fare questi dispetti."

"È questo che pensi che sia?" Louis alza un sopracciglio con calma.

"Ovvio che è questo."

Scuote la testa. Se la prende fra le mani, solo per un secondo, ma è comunque un segno di debolezza, una crepa in quella maschera di cattiveria che ha messo su.

"Hai una vaga idea dell'inferno che mi hai fatto passare?" chiede.

Harry è così sorpreso da restare in silenzio. Questa è proprio l'ultima cosa che si aspettava che Louis dicesse.

"Ovviamente," continua, non essendo disposto a aspettare che Harry parli. "Perché dovrebbe importarti, giusto?"

Non è questo, vorrebbe dire Harry, anche se ha detto l'esatto opposto nemmeno cinque minuti prima. C'è qualcosa nel modo in cui Louis sembra all'improvviso così piccolo, nella curva stanca delle sue spalle, che fa capire a Harry di non voler essere più crudele.

Louis si alza. Gli occhi di Harry lo seguono di loro spontanea volontà, tracciano la figura inaspettatamente stretta del suo corpo, e le linee stanche intorno ai suoi occhi. È piccolo, così piccolo.

"Sai cosa," dice, a bassa voce, privo di ogni voglia di litigare. "Esci quando smette di piovere e basta. E non tornare a farmi visita."

Abbandona il suo tè mezzo bevuto sul tavolo, si gira, e esce dalla porta più lontana. Qualche secondo dopo, si sente una porta sbattere da qualche parte nella casa.

Harry sta seduto per un po', da solo, in silenzio. Gli gira la testa. Spera, contro ogni possibilità, che Louis sbuchi da qualsiasi posto in cui si è nascosto e annunci che sai cosa, in realtà ne ho avuto abbastanza, e ecco la tua firma.

Non succede. Quell'orologio terribilmente rumoroso che Jay gli aveva comprato è ancora là sulla parete della cucina, e ogni rintocco che riecheggia nella stanza sembra un pugno nello stomaco di Harry.

È – non è sicuro di cosa sia successo, proprio in quel momento.

Quando diventa chiaro che Louis non tornerà, Harry tira giù le ultime gocce del suo tè e si alza. La pioggia sta ancora cadendo in gocce molto fitte fuori dalla finestra della cucina.

Tecnicamente, Louis gli ha detto che può restare. In pratica, si sente sporco, come se si stesse prendendo troppe libertà, in quella casa che una volta apparteneva anche a lui.

Ma comunque, non può farne a meno. Questa potrebbe essere l'unica occasione di vedere che tipo di vita Louis ha condotto senza di lui.

Sono la curiosità, e anche un pizzico di senso di ripicca persistente, che lo fanno muovere, camminare fino all'ingresso. Si aspetta – non è sicuro di cosa si aspetti, in realtà. Forse dei buchi nelle pareti, dove delle fotografie incorniciate erano attaccate, e angoli vuoti senza quelle piantine che Louis non è mai stato in grado di tenere in vita da solo.

La realtà non combacia con niente di tutto ciò. Le cornici sono tutte lì, nell'esatto solito posto in cui erano la notte in cui Harry se n'è andato, a costellare la lunghezza delle pareti, e fanno una curva tutto intorno alle scale. Ce ne sono persino di più di quante ce n'erano una volta.

Harry è davvero, davvero spaventato di vedere cosa c'è al loro interno.

Lancia solo un'occhiata alle poche che sono più vicine a lui, e vede esattamente quello che non voleva vedere – lui e Louis. Nel giardino sul retro di Jay quando erano bambini, a Leeds quando erano adolescenti, davanti alla casa il giorno che si sono trasferiti. Inoltre, sono uno appiccicato all'altro in ogni singolo scatto, le loro braccia intorno alle rispettive spalle, fianchi, collo, e ci sono dei sorrisi accecanti sui loro volti. Harry riconosce a malapena quella versione di se stesso, senza neppure una preoccupazione, in un modo ingenuo e bellissimo.

Si muove attraverso l'ingresso, verso il salotto, riluttante a rivivere il suo passato attraverso felici frammenti di ricordi.

Là, trova solo nuovi mobili; una nuova TV; una sfumatura più scura di vernice sulle pareti. Il caminetto è sempre là, però, e lo fa sorridere. Una volta era il suo orgoglio e la sua gioia, il suo posto preferito per avvolgersi in una coperta e mettere giù le melodie disordinate che si aggrovigliavano sempre nella sua testa. Sembra ancora pulito, e ben curato, anche se non c'è legna in vista.

Si sente quasi al caldo, a guardarlo. Felice di aver trovato un ricordo che non gli rende difficile respirare.

Ma poi – poi commette l'errore di alzare lo sguardo.

Non si sarebbe mai aspettato, nemmeno nei suoi sogni più sfrenati, che Louis avesse tenuto quello. Era così irremovibile nel dire quanto fosse pacchiano, troppo appariscente, troppo grande – Harry se lo era lavorato per persuaderlo per settimane. Sarebbe dovuta essere la prima cosa a sparire, invece eccola lì, dopo tutti quegli anni.

Una copia alta un metro della miglior foto del loro matrimonio, ancora nella cornice riccamente ornata che Harry aveva scelto. Sembrano fuori di loro dalla gioia in quella fotografia: Louis sta sorridendo verso la macchina fotografica, e il suo sorriso è così ampio che i suoi occhi sono quasi interamente chiusi. Harry sta tenendo il suo viso con entrambe le mani, provando a schioccargli un bacio sulla guancia, ma sta sorridendo troppo per riuscire a muovere le labbra.

Guardandola, Harry si ricorda leggermente di alcuni particolari, come un flash: l'odore intenso dell'erba, e il calore della pelle di Louis, le preghiere disperate della fotografa che li chiedeva di rimanere fermi mentre lei provava a scattare una fotografia che non fosse mossa. Si sentiva come se le sue vene fossero piene di champagne, come se potesse esplodere per quanto era felice proprio in quel momento. Lo sente perfino proprio al centro del suo petto, come una scarica di elettricità.

Scompare velocemente come è arrivato, ma gli occhi di Harry finiscono per bruciare.

Perché Louis dovrebbe – se odia Harry così tanto, se è così testardo contro ogni tentativo di Harry di comunicare, perché dovrebbe continuare a tenerla appesa?

Vorrebbe togliere quella foto dal muro, metterla a faccia in giù sul pavimento, solo per far passare un qualche tipo di dichiarazione. Fortunatamente, ha ancora abbastanza cervello da fermarsi. Si gira, invece, intenzionato ad uscire da lì nonostante il tempo.

Inciampa sul tavolino da caffè nella furia, spinto un po' più vicino al centro della stanza rispetto a come era una volta. L'impatto fa cadere una pila di riviste e giornali che stavano in equilibrio precario sull'angolo.

Harry si piega per rimetterli al loro posto il più velocemente possibile. Preferirebbe non lasciare nessuna traccia del fatto che ha girovagato in qua e là, perché adesso è chiaro che non avrebbe dovuto farlo in primo luogo.

Raccoglie la copia del giorno prima del Telegraph, e uno di quei cataloghi che arrivano con la posta, ancora impacchettato nella plastica.

All'improvviso, da sotto di essi, il suo stesso nome lo fissa. Sbatte le palpebre, e si strofina un occhio, ma è ancora là, scritto con furia sul retro di una busta: Harry Tomlinson, e proprio sotto, Londra.

La prende con cura, sollevandola dal tappeto con entrambe le mani. Riconosce decisamente la calligrafia.

Quando la gira, capisce che è già stata aperta. Un foglio di carta ripiegato sporge proprio dal bordo.

Lo tira fuori.

È scritto da entrambi i lati, coperto con altri degli scarabocchi traballanti di Louis, le lettere più piccole del solito e che si allungano fino ai bordi per riuscire a far entrare tutto. Gli occhi di Harry, a quanto pare, non riescono a mettere a fuoco —

Da qualche parte nella casa, si apre una porta. Harry sente immediatamente il sudore freddo riempire la sua fronte. Deve essere Louis, e non può trovarlo lì.

Senza pensare, rimette la busta dov'era, e infila la lettera nella tasca del suo giacchetto.

Poi si tira su il cappuccio, corre attraverso la stanza, e se la dà a gambe dalla porta principale prima di poter cambiare idea.

La pioggia lo inzuppa immediatamente. In qualche modo, anche se sembra impossibile, è comunque meglio dello sguardo che Louis gli avrebbe riservato se lo avesse trovato a ficcanasare in posti dove non ha più il diritto di andare.

*

*

"Harry," la voce di sua madre lo ferma quando sgattaiola dentro, e lui spera di evitare questo confronto solo un'altra volta.

"Mamma," dice, rassegnato.

È di nuovo bagnato fradicio; è una corsa di almeno dieci minuti dalla casa a lì, e la pioggia all'esterno si è trasformata in quello che la maggior parte delle persone potrebbero classificare come un uragano. Ma le sopracciglia di sua madre sono aggrottate, la bocca è chiusa in una linea severa, e sa che non se lo lascerà scappare questa volta.

Si toglie il giacchetto, ora pesante in un modo insopportabile sulle sue spalle, e di nascosto controlla che l'interno delle sue tasche sia ancora asciutto; che il pezzetto di carta che ha rubato sia sopravvissuto al viaggio fino a lì.

Sua madre gli porge un asciugamano – che lui avvolge immediatamente intorno ai capelli – e poi si allontana dall'ingresso per condurlo attraverso la cucina.

Ci sono due tazze di tè ad aspettarli sul tavolo. Riderebbe per il ridicolo senso di dejà vu che lo colpisce, ma pensa che sua madre potrebbe prenderla nel modo sbagliato.

Si siede, e beve un sorso di tè. Odia il fatto che non sia buono com'era quello di Louis.

"Quindi," dice sua madre, a braccia incrociate. Harry non riesce a dire quanto di tutto questo sia una facciata e quanta sia autentica rabbia. Non riesce più a leggerla dentro. "Sei tornato."

"Sì," annuisce. La guarda attentamente proprio come lei sta guardando lui.

"Resterai?"

"No," dice immediatamente, poi si dà un pizzicotto sulla coscia, sotto il tavolo. Idiota. "Voglio dire – sì, sì, per un po'. Solo non per sempre."

"Non è quello che intendevo," replica lei. Si sta trattenendo dal chiedergli quello che vorrebbe davvero sapere, almeno questo riesce a capirlo. "Ma sono sicura che capirai la mia sorpresa quando ti ho trovato sulla soglia di casa mia, dopo che non hai fatto altro che mandare un biglietto per – quanti anni?"

"Cinque," sussurra Harry, vergognandosi veramente. Le sue guance stanno bruciando. "Mi dispiace, mamma. Sono davvero, davvero dispiaciuto."

Lei sospira, e guarda in alto invece che verso di lui. "È solo che non capisco, Harry. Non capisco cosa ho fatto, cosa chiunque di noi abbia fatto, per meritarci di essere trattati così."

"Non avete fatto niente," dice a bassa voce, con urgenza. "Né te, o Robin, o Gems, è solo che – ero solo spaventato, mamma. Ero preoccupato perché pensavo che non mi avreste trattato allo stesso modo."

Lei sbatte le palpebre. "E per quale ragione al mondo avremmo dovuto farlo?"

La bile si sta facendo strada dal retro della gola di Harry. Deglutisce valorosamente per tirarla giù, si prepara a tirare fuori l'unico argomento di cui non vuole mai, mai, parlare.

"Per Louis," dice alla fine, soffocando solo leggermente a dire il suo nome. "Lui – lui era la vostra famiglia, proprio come lo ero io, ed ero sicuro che non l'avreste vista come la vedevo io — "

"Fa ancora parte della famiglia," lo interrompe sua mamma, con convinzione. "Lui è mio figlio, ma lo sei anche tu. Potevo essere arrabbiata, ma mi sarebbe passata, perché non avrei mai voluto perderti," lo guarda, il suo sguardo è pesante. "Ma immagino che tu abbia ritenuto giusto prendere quella decisione al posto mio."

"Mamma," sussurra, sentendosi miseramente piccolo. Deve veramente smetterla di piangere, uno di questi giorni, ma ora come ora, pensa che le lacrime che si stanno accumulando nei suoi occhi siano giustificate. "Mi dispiace. Io – pensi che tu non mi sia mancata? Certo che sì, ogni singolo giorno. Ero solo spaventato, lo sono ancora."

Lei si addolcisce un poco. Le braccia le cadono lungo i fianchi, poi si posano sul tavolo.

"Sei ancora il mio bambino," dice a bassa voce, e un lato della sua bocca si alza in un sorriso. "Lo sarai sempre, mi hai sentito? Non c'è niente che potresti fare che potrebbe farmi smettere di amarti," e allunga una mano, a palmo in su, al centro del tavolo. Harry la prende. "Ma non ti mentirò, quello che hai fatto ci è andato vicino."

Lui chiude gli occhi, e annuisce. "Immaginavo che fosse così."

"Perché lo hai fatto?" chiede lei allora, non volendosi limitare a girare intorno alla faccenda. "Perché in quel modo? Perché sei semplicemente – sparito dalle nostre vite nell'arco di una notte?"

"Vedi, è questo che intendevo," dice, e tira su col naso. "Sapevo che non avresti — "

"Non è quello che volevo dire," ripete. Non lascia andare la sua mano, però, quindi lui ci si aggrappa mentre prova a mettere insieme una risposta nella sua testa.

"Non l'ho mai amato, mamma," ripete quello che ha già detto prima, quel giorno. Lo fa sentire ancora più certo della verità che c'è in quelle parole. "Semplicemente non ero fatto per una città come questa, dovevo andarmene e trovare me stesso, e lui – la nostra relazione era d'intralcio. Mi ero legato completamente a lui prima di avere un qualche tipo di idea sulla vita e da cosa dovrebbe essere composta."

Lei dà uno strattone alla sua mano. Lui la lascia andare, e la guarda chiudersi di nuovo in se stessa.

"Questo non sembra l'Harry che conoscevo una volta," dice pensierosa, guardando nei suoi occhi come se stesse davvero cercando l'Harry dei giorni andati. "E l'Harry che conoscevo non avrebbe abbandonato il suo migliore amico di tutta una vita senza una parola, specialmente in un periodo del genere."

"Io – lui ha detto la stessa cosa," ammette Harry, e sente le guance bruciare per la vergogna, sempre più vergogna. "Avrei potuto dirgli detto che me ne stavo andando, ma non pensavo che mi avrebbe lasciato andare. La sua vita non stava andando da nessuna parte, e lui lo sapeva. Ero la sua via di uscita, tutto qui. Non riesco a capire come potesse amarmi visto che eravamo così giovani."

Sua mamma si sposta fisicamente da lui. Lo fa sentire come se fosse spazzatura.

"Non è quello che pensi davvero di lui," dice.

Harry scuote le spalle. "È la verità."

"Dimmi." - Scuote la testa - "Chi te lo ha messo in testa? Questa idea che – che tu sia troppo, una star troppo famosa, per trattare le persone che ti amano come esseri umani?"

"Sai che non è così che mi sento," dice, la prega.

"Non sono sicura di saperlo, Harry. L'ultima volta che ti ho visto, prima di ieri, ti eri presentato qui all'improvviso parlando di un portaombrelli vintage che avresti comprato e messo nell'ingresso di casa tua, e lascia che te lo dica, non penso che quell'Harry direbbe mai quello che stai dicendo tu adesso."

"Sono cambiato, mamma," dice. Quella punta di rabbia sempre presente è ancora lì, ferma, e sta ballando gioiosamente nelle sue vene come se sapesse che non se ne andrà mai, non finché sta accanto alle persone che lo conoscevano prima. "Le persone cambiano."

"Hai ragione," annuisce. "Forse mi sbaglio. È solo – è un gran cambiamento, lo sai. Ti vedevo ancora come un bambino quando te ne sei andato, e ora sei – lo sai."

"Cresciuto?" - chiede. Un angolo della sua bocca si allarga in un sorriso esitante.

"Già," replica lei. Sembra stanca, e la lampada sopra di loro dipinge delle lunghe ombre sulla sua faccia. "Già, credo che sia quella la parola."

Non riesce a sopportare di guardarla e vederla così – triste, così mortificata. È sempre stata una fonte di positività infinita nella sua vita, lo tirava su ogni volta che aveva anche solo il pensiero di sentirsi giù di morale. È stata la persona che gli ha insegnato a seguire i suoi sogni, e quella che lo ha lasciato andare quando era così ostinato a sposare Louis nel momento esatto in cui avesse compiuto diciotto anni. Durante tutto quello che è successo ha sempre avuto un sorriso sulla faccia, come se fosse fiera di lui.

Adesso se n'è andato, e non avrebbe mai pensato di poterne sentire così tanto la mancanza.

"Mamma, mi dispiace," dice di nuovo. Probabilmente non potrà mai dirlo abbastanza. "Sono – va bene se resto? Voglio dire, per un po'. Ti prometto che sono sempre lo stesso."

"Certo che puoi rimanere, tesoro," dice, e sorride, ma è un sorriso ancora triste, ancora piccolo. Non si sporge di nuovo per prendergli la mano. "Tutto il tempo che vuoi."

"Grazie."

Lei scuote la testa, solo un poco. "Avrai sempre una casa qui, lo sai."

Lui annuisce, e sorride.

Lo sa, ma non riesce a fermarsi prima di rendersi conto che, da qualche parte sulla strada che ha intrapreso per inseguire i suoi sogni, se ne fosse scordato.

*

Quella sera stessa, alla fine si trova faccia a faccia con Robin – che è un po' teso, e gira intorno a sua madre per tutta la sera, ma Harry non può biasimarlo – e con Gemma, che gli tira un pugno che evita solo per un pelo e poi lo abbraccia per più di dieci minuti.

Non lo lascia in pace un secondo dopo tutto ciò. Lo trascina a Manchester, lo porta a fare shopping, insiste che vada con lei al lavoro e incontri chiunque sia lì, e lo forza a fare lunghe e silenziose passeggiate per i campi. Lui fa finta di evitarla il più che può, ma segretamente ama ogni minuto che passano insieme.

E cosa più importante, riesce a scordarsi completamente di Louis, anche se solo per pochi minuti per volta. Tecnicamente, dovrebbe stargli alle calcagna per ottenere la firma, ma in qualche modo, preferisce come vanno le cose in quel modo.

Dopo quattro giorni, proprio mentre sta entrando nel letto per leggere, Gemma si infiltra nella sua stanza e gli annuncia che andranno al pub.

"Ma perché?" - chiede Harry, prendendo con riluttanza i vestiti che lei gli sta lanciando. Vorrebbe approfittare della tranquillità che c'è in quel momento finché può, grazie tante. Il pub non è proprio il suo ambiente ideale – non quel pub, ad ogni modo.

Potrebbe o non potrebbe avere qualcosa a che fare col fatto che sua suocera sia la proprietaria.

Lo ha evitato con successo, fino a quel momento. Guarda caso è proprio Gemma a mettergli i bastoni fra le ruote.

"Perché," dice, "finalmente ho un compagno di bevute che non vive a un'ora da qui. Ne approfitto finché posso."

"Possiamo almeno andare in un paese diverso?" chiede Harry, anche se sa che è inutile, e si infila lentamente una t-shirt dalla testa. "Guido io, tu puoi bere."

"No," dice con un sorrisino. "Scommetto che è passato troppo tempo da quando ti sei fatto una pinta."

Ha decisamente ragione riguardo a quello. Harry non riesce a ricordare l'ultima volta che ha bevuto qualcosa, al di là di vino di lusso. Ne ha un frigo pieno a casa – sembra arrivare insieme al fatto di avere amici moderatamente famosi a cui piacciono le feste in casa.

"Che ne dici di Barb's, allora?"

Lei lo guarda come se gli fosse spuntata un'altra testa. "Barb non serve alcol da – wow, probabilmente tre o quattro anni."

"Oh," dice sbattendo le palpebre. "Che è successo?"

"Ha perso la licenza," dice lei scrollando le spalle. "Hanno avuto una specie di, ehm. Una cosa. Quando Liam lavorava lì, non so se ti ricordi."

"Me lo ricordo."

"Già. Io – in realtà non voglio dirtelo, anche se lo sa tutto il paese. Non stava molto bene, a quel tempo."

Dei campanelli d'allarme cominciano a suonare nella testa di Harry. Liam stava bene quando lo aveva visto qualche giorno prima, quella settimana, e sebbene fosse un po' imbronciato, cosa potrebbe possibilmente —

"Se vuoi saperlo, dovrai chiederglielo tu stesso," dice Gemma, increspando le labbra contro il suo riflesso nello specchio e aggiustandosi i contorni del rossetto. "Non voglio essere la prossima pettegola del paese."

"Penso che Barbara ti batta ancora, su quel fronte," la rassicura lui, sorridendo nonostante la confusione. Si abbottona i jeans, fa scorrere una mano fra i capelli, e si spruzza un po' di profumo anche se Gemma fa una faccia strana. "Andiamo, allora."

Sta appena facendo buio, fuori, ma la temperatura ha finalmente deciso di essere alta, e Harry si sente sorprendentemente a proprio agio a camminare a pantaloncini corti. È un po' in imbarazzo per i tatuaggi, dopo aver visto Gemma guardarli e si rende conto che non ne aveva nessuno quando se ne è andato.

Lui e Louis ne parlavano tutto il tempo, ma – be'. Non ne è venuto fuori nulla.

Sfortunatamente la passeggiata è molto breve. Tiene la porta aperta per Gemma, provando a ritardare il fatto di dover veramente entrare per più tempo che può. Una volta che è diventato inevitabile, si piega su se stesso, e tiene la testa bassa mentre Gemma trova un tavolo libero e gli fa cenno di seguirla. Nessuno lo ha ancora veramente fermato per strada, o ha fatto qualsiasi altra cosa che non sia ignorarlo, ma la paranoia sta ancora formicolando sulla sua nuca.

Fortunatamente, sua sorella sembra percepire un po' della sua esitazione, perché sceglie un tavolo che è nascosto in un angolino buio, vicino al bar ma lontano da tutti gli altri clienti abituali.

"Vado io a prendere da bere," dice lei, mettendogli le mani sulle spalle e spingendolo fisicamente sulla sedia. "Prendo delle pinte?"

"Per favore," replica, abbastanza attirato dal pensiero di ubriacarsi, ora che è lì. Tutto il carico emotivo di essere tornato a Holmes Chapel sta diventando lentamente sempre meno eccessivo, ma potrebbe decisamente fargli bene un po' di alcol per ammortizzare il tutto.

La guarda avviarsi verso il bar, e cerca i familiari capelli lisci di Jay dietro di esso. Non si vede da nessuna parte, ma la fortuna vuole che sia Louis quello che vede. Vederlo,ormai, è a malapena uno shock per Harry.

Sorride a Gemma quando ottiene la sua attenzione, ed è un sorriso bellissimo e luminoso, e abbandona i clienti con cui stava chiacchierando per farsi strada verso di lei.

Harry non riesce a sentirli, e pensa che quella forse potrebbe essere una buona cosa.

"Harry Styles," una voce lo strappa da quella scena affascinante. "Proprio qui in carne ed ossa, mentre vivo e respiro."

Non riconosce la voce, il che significa che è già nervoso quando alza lo sguardo.

"Ciao," dice, proprio sulla faccia rude di un uomo. Non ha delle caratteristiche familiari, niente che potrebbe dare un aiuto alla memoria di Harry: mascella quadrata, barba irregolare, tuta blu. "Ci, ehm. Scusami. Ci conosciamo?"

Sa che chiederlo è un rischio, ma far finta di conoscere la persona con cui sta parlando probabilmente sarebbe peggio a lungo andare.

"Non proprio," dice l'uomo scrollando le spalle. La sua postura è rilassata, non minacciosa, ma c'è qualcosa in lui che non fa sentire Harry a proprio agio. "Siamo andati alle elementari insieme. Johnny?"

"Oh," Harry aggrotta la fronte mentre prova a pescare qualcosa da qualche parte negli angoli remoti della sua memoria. "Oh, mi ricordo!"

E la cosa più fantastica è che si ricorda davvero – Johnny MacLeod, che era il più basso della loro classe, e si rifiutava costantemente di indossare la cravatta con la sua uniforme. Il posto che era assegnato a Harry era proprio dietro di lui. "Temo di ricordarmi principalmente il retro della tua testa, ma mi ricordo davvero."

Lui ride. È – amichevole, pensa Harry, ma non ne è sicuro. Non può esserne sicuro.

"Non preoccuparti, amico, nemmeno io mi ricordavo molto di te. Ho realizzato che eravamo nella stessa classe solo dopo averti visto su Metro."

Le guance di Harry bruciano un poco. Si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio, non troppo sicuro su cosa dire, ma fortunatamente, viene salvato.

"Johnny," dice la voce di Gemma, piena di finto entusiasmo, "che bello vederti qui. Volevi qualcosa, o sei qui solo per mettere in imbarazzo mio fratello?"

Johnny fa immediatamente un passo indietro, nascondendo ancora di più le mani nelle tasche.

"Stavo solo salutando. Ad ogni modo, Harry, ci vediamo in giro," dice, e non aspetta una risposta prima di girare sui tacchi e scappare nelle profondità affollate del pub.

Gemma appoggia le loro pinte, si siede, e passa le mani sull'orlo della sua gonna. "Non fa altro che causare guai," informa Harry, e prende un elegante sorso della sua birra.

"Oh," dice lui, sbattendo le palpebre. "Perché?"

Lei si guarda alle spalle. La tuta blu di Johnny risalta nella stanza, all'altro lato del bar.

"Per un po' di tempo sei stato un argomento interessante di cui parlare," dice velocemente. La schiuma le ha formato dei baffi, ma Harry ha un po' paura a farglielo notare. "Tutti parlavano di te, e intendo tutto il tempo. Da tutte le parti. Era ridicolo."

"Oh," dice di nuovo Harry. Decide di guardare le profondità dorate che vorticano nel suo drink invece di guardare chiunque altro, o qualsiasi altra cosa, nella stanza.

"E Johnny là, lui è stato il primo in linea quando sono arrivati i giornalisti."

"Sono venuti qui?" Harry aggrotta la fronte.

"Ovviamente sono venuti. Barbara ha dovuto chiudere il panificio per un paio di settimane, perché non la smettevano di infastidirla e spaventare i clienti fino a mandarli via."

"Oh mio D— "

"Non è questo il punto, Harry," Gemma si sporge in avanti. "Giuro che il panificio se l'è cavata. Ti stavo per dire del fatto che tu e Johnny, apparentemente, avevate una relazione segreta alle medie."

Harry sceglie quell'esatto momento inopportuno per prendere un sorso di birra. Gli va di traverso, e riesce solo a malapena a evitare di sputarsi addosso.

"Noi cosa," ansima, provando a asciugarsi la schiuma dal mento.

"Mi hai sentito," lei alza un sopracciglio, e si guarda di nuovo alle spalle. C'è Johnny, ancora al solito posto dall'altra parte della stanza, ma la luce è cambiata, e Harry riesce a vedere che sta guardando proprio verso di loro. "Gli si è ritorto contro, ovviamente, ma l'ho comunque quasi ucciso dopo averlo sentito."

"Questa è – proprio una cosa bizzarra su cui mentire," dice Harry, divertito sebbene con riluttanza. Ha letto la sua buona parte di storie false, e questa cade decisamente nella gamma di quelle innocue. "Specialmente quando tutti qui sapevano che," si ferma allora, deglutisce, sposta il suo corpo in modo che non sia di fronte al bar.

"Che tu e Louis eravate già praticamente sposati alle medie?"

"Già," mormora. "Quello."

La musica in sottofondo si affievolisce un poco. Harry alza istintivamente lo sguardo, proprio mentre Louis comincia a girare per la stanza, mettendo una sopra l'altra piccole montagne di bicchieri vuoti.

Questo deve essere il suo lavoro ora, realizza Harry – Jay deve aver voluto avere più tempo con gli altri suoi figli, o qualcosa del genere, e deve essere toccato a Louis finire il suo lavoro. Ed ecco perché non deve essere a lavoro durante il giorno.

"Terra chiama Harry," dice Gemma, in tono terribilmente monotono, e schiocca le dita davanti al suo viso. "Stavamo avendo una conversazione?"

"Sì!" Harry quasi urla, e si gira per trovarsi di nuovo proprio di fronte a lei. "Sì, è vero. Scusami, per favore continua."

"Voglio dire, non è che ci sia poi molto altro da dire," increspa le labbra in contemplazione. "È solo che in realtà preferirei solo vedere Johnny a almeno un metro da te tutto il tempo, se non ti dispiace."

Harry ride. "Certamente, Gems. Puoi stare tranquilla."

Lei fa un sorrisino e gli batte sul naso con un sottobicchiere. Lui fa una smorfia, ma la lascia fare.

Ci vogliono meno di dieci secondi prima che scali in una battaglia intensa a colpi di sottobicchieri; stanno volando da un lato all'altro del tavolo mentre loro due provano a segnare un punto – dieci punti per il naso, cinque per la guancia, due per il mento, proprio come ai vecchi tempi. Harry quasi rischia di tagliarsi un orecchio per colpa di uno che ha la forma della Gran Bretagna.

Comincia a ridere, anche se si sente a malapena, e non si ferma fino a che non gli manca il respiro, ridacchiando con stanchezza mentre si prepara al colpo vincente contro la fronte di Gemma.

Lei si abbassa, e il sottobicchiere cade con un tonfo sul pavimento. Li fa di nuovo cominciare a ridere entrambi.

"Guardatelo," dice qualcuno dall'altra parte della stanza, deliberatamente a alta voce. "Scrive una canzone, e pensa di poter lasciare un casino dovunque vada."

Si girano entrambi da quella parte, con i sorrisi ancora congelati sui loro volti. È il tavolo in cui è seduto Johnny – ovviamente lo è – e un gruppo di ragazzi più o meno dell'età di Harry, che lo guardano tutti con una scintilla in qualche modo crudele nei loro occhi.

"Ovviamente puliremo prima di andare," dice Gemma. Loro ridono.

"Ma per piacere," dice un altro. "Mr.Popstar probabilmente ingaggia delle persone per pulirgli il culo — "

"Voglio dire, paga qualcuno per vestirlo e per truccarlo — "

"È questo che fanno in America? Ti insegnano a essere una fighetta?"

Quell'appagante bolla di felicità nel petto di Harry scoppia e scompare. Gemma fissa l'oscurità a bocca aperta, senza parole. Gli altri clienti stanno a loro volta in silenzio mentre guardano quella scena andare avanti.

Harry, per qualche ragione, guarda intorno alla stanza per cercare Louis. Se ne sta fermo dietro al bar, un panno da cucina spiegazzato in una mano, e guarda a terra con la mascella contratta. Deve sentire lo sguardo di Harry su di lui – alza lo sguardo, e i loro occhi si incontrano solo per un secondo.

"Scommetto che è stato una fighetta per tutto questo tempo, perché ovviamente è un frocio — "

C'è il suono di qualcosa che si frantuma. Poi Louis sta sfrecciando per la sala, e sta strappando i bicchieri di quelli uomini dalle loro mani.

"Penso che sia abbastanza, ragazzi," dice, la voce fredda come il ghiaccio. Quel tono fa venire voglia a Harry di raggomitolarsi su se stesso. "Andatevene."

"Ho pagato per quello!" urla Johnny, e uno dei suoi amici si unisce immediatamente.

Altri due si alzano in piedi, ma uno di loro si gira ed entra proprio nello spazio vitale di Louis, incombendo su di lui, provando a farlo indietreggiare. Louis rimane fermo al suo posto.

"È illegale," dice.

Davanti a Harry, Gemma sbuffa.

"Questo è il mio pub, Gary," Louis sorride. "Posso sbattere fuori chi voglio."

"Non sapevo che fosse un pub gay," gli sputa contro Gary. Gemma sbuffa di nuovo, tirando giù ciò che è rimasto della sua pinta. "Altrimenti non sarei venuto qui tanto per cominciare."

"Be'," dice Louis, e appoggia di nuovo i bicchieri sul tavolo per arrotolarsi le maniche. "A meno che tu non voglia il mio pugno gay sulla tua faccia, esci dal mio pub gay."

Gary prova a prenderlo, ma chiaramente ha bevuto troppi drink: Louis lo prende per il polso, e lo gira nella sua presa.

"Tu, grandissimo coglione," sibila. "Vattene via."

"Andiamo, G," dice Johnny, tirandolo dal cappuccio. Il resto dei loro amici sono già usciti dalla porta. "Ti stai mettendo in imbarazzo, amico."

Gary mette su quella che dovrebbe essere una faccia costipata, poi sputa sul pavimento. Manca di poco il piede di Louis.

"Affascinante," Louis solleva un sopracciglio. "Vattene. E non tornare più."

Quello mormora qualche altra imprecazione, ma Johnny rinnova i suoi sforzi per spingerlo via e finalmente riesce a farlo uscire.

È solo mentre li guarda andarsene che Harry realizza di essere per metà fuori dalla sua sedia, le sue mani sono strette intorno al bordo del tavolino, pronto a correre in soccorso di Louis.

Stupido.

"Qualcun altro vuole farsi sotto?" chiede Louis, alzando le braccia con due bicchieri di birra in ogni mano, facendola cadere sul pavimento.

C'è silenzio.

"Bene," dice, e fa un piccolo inchino di scherno. "Non siate coglioni, tutti voi. Lasciate che le persone bevano in pace."

Poi gira sui tacchi. Harry si rilassa di nuovo contro la sedia, ma è ancora teso, e non riesce, non riesce a togliere gli occhi da Louis.

"H, sta bene," dice Gemma, stringendogli il gomito. Il suo tocco dolce è stupefacente sulla sua pelle. "Sa il fatto suo, lo sai."

Quando si gira verso di lei, lei gli lancia uno sguardo che gli fa intendere che sa più di quanto gli piacerebbe.

Louis non sapeva il fatto suo. Stava difendendo Harry – lo stava proteggendo.

"Già," dice, e si schiarisce la gola. "Già, lo so."

Louis sceglie quel momento per andare verso di loro e prendere i loro bicchieri. Molto abilmente evita gli occhi di Harry, sebbene sia in piedi proprio sopra di lui.

"Lou, possiamo averne altre due?" - chiede Gemma.

"Certo, tesoro," sorride. Il cuore di Harry sta sbandando. "Dammi un minuto però, ho qualche bicchiere da pulire, laggiù," piega il mento verso il bar.

"Va bene," sorride lei a sua volta, e Louis si gira per andarsene.

Harry – Harry non può lasciarglielo fare.

"Ehi, Louis," dice – a voce troppo bassa, pensa, non c'è modo che Louis possa sentirlo visto che è già a metà strada verso il bar. Per la sorpresa di Harry, si congela sul posto e si gira.

I suoi occhi cadono con cautela sul volto di Harry. Sembra – preoccupato.

"Grazie."

Louis sbatte le palpebre. Poi, lentamente e meticolosamente, annuisce. Harry gli sorride, perfino mentre lo guarda girarsi e allontanarsi.

Le sue guance bruciano leggermente quando si gira per guardare in faccia Gemma. Lei lo sta guardando con entrambe le sopracciglia sollevate.

"Pensavo che tu lo odiassi," dice.

"È così," dice Harry, infilando un'unghia in un sottobicchiere. "Credo."

E non è questa la causa di tutti i suoi problemi? Si è addolcito troppo, sotto la carica dei ricordi che quel posto porta con sé.

"Non devi farlo, lo sai," dice, e anche lei prende un sottobicchiere dal tavolo per rigirarselo fra le dita. "Puoi comunque divorziare da lui. Un sacco di coppie separate vanno d'accordo."

Harry alza un poco gli occhi al cielo. Come se non fosse cresciuto come il figlio di genitori divorziati.

"Non voglio, però," replica. "Non voglio – non odiarlo. Mi fa soffrire. Ha rubato anni della mia vita, e non sono pronto a perdonargli questo."

"Questo non è il modo in cui tutti noi ce lo ricordiamo," dice. "Senza offesa, Harry, sei mio fratello e ti voglio bene, ma penso che tu ti sia convinto di qualcosa che non esiste."

Harry comincia a scuotere la testa prima che lei abbia finito di parlare. "Perché dovrei farlo?"

"Voglio dire – non ti ricordi quanto eri devastato allora? Eri inconsolabile, hai persino allontanato Louis per un po', non riesco a fare a meno di pensare — "

"Non so di cosa tu stia parlando," la interrompe. Lo sa, però. Lo sa.

Lo ha solo spinto via a ogni opportunità disponibile. È scappato da tutto ciò, fino a Londra, appena ha ricevuto la chiamata, si è buttato nel lavoro così non avrebbe dovuto pensarci, ha evitato di parlare con tutti quelli che conosceva per – be', cinque anni.

Non può parlarne, non può. Lei non capirebbe. Nessuno potrebbe, eccetto. Eccetto forse Louis.

"Harry, per favore. Ci hai mai fatto i conti? Ti sei mai preso il tempo per vivere il lutto?"

"Non è morto nessuno," replica, troppo duro. Lei indietreggia leggermente.

"Questo non significa che non possa far male," dice lei. "Anche dopo tutti questi anni."

Si alza per prendere le loro pinte, lo lascia a pensarci. Non vuole farlo. Non vuole farlo.

Appena lei gli porge la birra, tira indietro la testa e ne trangugia più di metà. Non è la cosa più forte del mondo, ma non è un grande bevitore, e spera che sia abbastanza per far sì che la sua mente diventi un po' più annebbiata, che gli porti un po' di sollievo.

"Sei diventato anche un alcolista?" - chiede lei, solo un po' per scherzo.

"Non voglio parlarne," replica lui.

"Devi farlo."

"Non devo. Sono stato cinque anni senza nemmeno pensarci, e mi piacerebbe che le cose rimanessero in questo modo."

"Harry," dice lei, e gli toglie le mani dal bicchiere per prenderle tra le sue. "Non è così che si guarisce, okay? Non puoi reprimere le cose e sperare che se ne vadano. Non lo fanno mai."

"Mi ero scordato che hai una laurea in psicologia," mormora con tristezza. "Non posso farlo, Gems. Non stasera, non – non qui."

Nemmeno a farlo apposta, Louis cammina verso di loro con una cassa di bottiglie vuote. Crea una brezza che gioca con le punte dei capelli di Harry.

"Forse non hai bisogno di parlare, allora," dice Gemma. "Solo – pensaci. Concediti almeno questo."

Gli sta tenendo la mano, lo sta tenendo ancorato al presente; è l'unico motivo per cui lascia che la sua mente vaghi, con attenzione e cautela, verso le porte che di solito tiene chiuse.

"C'eravamo così vicini," dice, con una voce che non può possibilmente appartenergli. "Eravamo – avevamo la camera pronta e tutto il resto. Ce lo avevano promesso, Gems, ci avevano detto che eravamo i vincitori certi."

"Lo so," sussurra lei.

"È solo che io – eravamo pronti, Gems. Saremmo stati — "

Non riesce a finire a causa del groppo che ha in gola. Le parole vengono bloccate da qualche parte in profondità dentro di lui, formate a metà perché non sa cosa vuole dire.

"Lo so," ripete lei. Lui piega le dita contro il suo palmo, grato, anche se odia che lo abbia fatto pensare a quello. "Non – non devi parlarne adesso, non con me, solo. Prenditi il tuo tempo."

"Non voglio," dice, con onestà. "Non voglio parlarne."

"Va bene," sospira lei. "Solo non provare a dimenticare. Non lo farai, sarà sempre lì."

Harry si sorregge la fronte con una mano, e chiude gli occhi. Ha aperto una camera blindata piena di ricordi, tutti devastanti, tristi.

"Io – già. Lo farò."

"Bene," dice lei facendo un sorrisetto. "Ora, che ne dici se ci prendiamo una sbronza?"

*

E ubriacarsi è quello che fanno. Louis li lascia rimanere ben oltre l'orario di chiusura, fino a che non sta letteralmente per chiudere, guardando le loro pagliacciate con un sorriso riluttante in volto.

Harry beve molto, molto di più di quanto farebbe di solito. Si sente un po' instabile nel momento in cui inciampano fuori dalla porta principale, con le braccia dell'uno intorno all'altra e ridacchiando per qualcosa che Gemma ha appena detto – stranamente, non riesce a ricordarsi cosa sia.

"Buonanotte, Gems," sussurra quando arrivano ai piedi delle scale; la sua camera è al piano terra adesso.

"Notte," ride lei, e continua per la sua strada, il vestito nero che scompare nell'oscurità.

Harry risolve il problema delle scale come ogni venticinquenne ubriaco: a quattro zampe. Riesce ad arrivare nella sua stanza in modo sorprendentemente veloce, e prova a gattonare fino al letto, ma rimane incastrato nel suo giacchetto, ancora per terra dall'ultima volta che se lo è tolto.

Risolve anche quel problema: ci si circonda le spalle e si stende, coprendosi con quello invece che con una coperta.

Dopo la quantità di alcol che ha ingerito, non ha per niente sonno, ma è troppo stordito per fare qualsiasi cosa che non sia stare a letto. Ruota su se stesso, sperando che il suo corpo capisca presto che sono le tre del mattino, quando sente l'inconfondibile scricchiolio della carta.

Si spaventa, dando un colpetto alle lenzuola sotto di lui per provare a trovare qualunque abbozzo di una canzone sul quale probabilmente si è rotolato sopra, ma non trova niente.

A quel punto, si ricorda che c'è ancora qualcosa che non gli appartiene in quella tasca.

O forse sì, tecnicamente, perché il suo nome era sulla busta, ma – non importa.

In ogni caso, il suo cervello ubriaco pensa che sia una buona idea leggerla proprio in quel momento. Harry per una volta non resiste; forse è per il fatto che Louis lo ha difeso prima, o per quel paio di sguardi che si sono scambiati quando non sembrava che volesse strangolare Harry sul posto.

La tira fuori dalla tasca del giacchetto. Ci sono venute alcune pieghe, ma è ancora perfettamente leggibile. Purtroppo.

Deve sbattere le palpebre un po' di volte per fare in modo che i suoi occhi si aggiustino alla semi-oscurità. A quel punto, comincia a leggere.

Amore, c'è scritto in cima, invece di qualcosa di formale e stupido come "caro Harry".

Dove sei? So che il tuo telefono probabilmente è spento di proposito, e stai ignorando di proposito anche le email, ma sono molto preoccupato. Anne mi ha detto che non hai detto niente nemmeno a lei del fatto di andartene via.

Torna a casa, per favore. So che stai soffrendo, anche io, ma deve essere per forza più facile se proviamo a superarla insieme, giusto? È stato sempre tutto facile, quando si parla di te e di me.

Per favore, Harry. È passata solo una settimana, e non so se questa lettera ti arriverà mai, ma – non riesco a dormire senza di te. Non riesco a fare niente, in realtà, sono distrutto. Non sono abituato a vivere senza di te, non so cosa fare di me stesso. Ho quasi bruciato la cucina oggi perché è passato così tanto tempo dall'ultima volta che ho cucinato qualcosa, il che è davvero imbarazzante e non dovrei dirtelo, ma sto segretamente sperando che avrai pietà di me.

Ti ricordi che l'agenzia ci aveva detto che ci avrebbero mandato una lettera per spiegarci perché siamo stati rifiutati? È arrivata ieri, ma non voglio aprirla senza di te. Scommetto che è per qualcosa di stupido. Immagino che possiamo provarci di nuovo fra non molto tempo, giusto? Sarà dura per un po', ma io sarò sempre, sempre qui per te – lo sai.

So che questa è la cosa più difficile che abbiamo mai dovuto affrontare, ma ci siamo fatti una promessa, ricordi? Io, Louis Tomlinson, ti scelgo fra tutti per condividere la mia vita con te. Questo è quello che ho detto, e tu mi hai detto la stessa cosa. Dobbiamo onorare quelle parole ora più che mai. Ho bisogno di averti qui per aiutarmi a superare il dolore, e credo – spero – che anche tu abbia bisogno di me.

Non puoi farcela da solo, amore, nessuno può. Per favore, torna a casa da me.

Tuo,

Louis.

Harry sbatte le palpebre mentre guarda le linee traballanti che compongono il nome di Louis sfocarsi proprio davanti ai suoi occhi. Nota a malapena le lacrime, quando escono, troppo impegnato ad aggrapparsi a quelle parole, rileggendole fino a che non pensa di averle memorizzate tutte.

Fa scorrere un dito sopra la prima parola, scritta un po' a scossoni, come se Louis avesse esitato.

Amore, dice. Amore.

Per tutto questo tempo, Harry è stato certo che Louis non lo abbia mai amato, non veramente. È ancora così – deve esserlo ma questa sua sicurezza è stata scossa fin nelle profondità del suo essere.

Ma – questo è quello che gli ha detto il suo agente, solo pochi giorni prima che lui e Louis venissero rifiutati, pochi giorni prima che Harry facesse finalmente i bagagli e se ne andasse, dopo circa metà anno in cui era stato riluttante. Non ti meriti di marcire in questa città. Non ti meriti di essere legato a qualcuno che ti ha sposato solo perché eri la scelta più conveniente. Vieni a Londra. Facciamo un disco. Facciamo in modo che tu diventi una star.

Io, Louis Tomlinson, ti scelgo fra tutti gli altri per condividere la mia vita con te.

Questo – questo non è il Louis che si è sforzato di ricordare, quello che voleva sempre che le cose andassero a suo modo.

È testardo, certo. Non si arrende mai se sa di avere ragione.

Ma ha sempre, sempre messo Harry al primo posto.

Potrebbe essere colpa dell'alcol se i suoi ricordi tornano a galla in modo così vivido. Sono praticamente vivi di fronte a lui, e chiude gli occhi per lasciare che scorrano all'interno delle sue palpebre.

Ecco Louis, probabilmente quando aveva circa sei anni, che rinuncia al suo posto sull'altalena così che Harry potesse farci un giro.

Ecco Louis, appoggiato a un albero, ed ecco Harry proprio accanto a lui, che sporge con incertezza una mano per far scorrere il pollice sul labbro inferiore di Louis.

Ecco Louis, steso sul retro della Clio, che sbatte le palpebre e guarda Harry con occhi spaventati dopo essersi accidentalmente lasciato scappare un Ti amo nella sua bocca.

Ecco Louis, in piedi accanto a lui di fronte all'officiante, che piange a dirotto perché è troppo felice, poi ride mentre armeggia con l'anello che si rifiuta di entrare al dito di Harry.

Ecco Louis, piegato contro l'angolo del divano, e sembra che il peso del mondo si appoggi sulle sue spalle, mentre tuttavia continua a tenere aperte le braccia così che Harry possa rannicchiarsi nel suo abbraccio.

Sono loro, che cuciono un filo ininterrotto di ogni singolo momento della vita di Harry.

Erano innamorati.

Oh Dio, erano innamorati.

E questo – questo è come Harry ha ridotto ciò che avevano.

Vorrebbe non essersene reso conto in quel momento, fra tutti, mentre è nella sua casa d'infanzia nel mezzo della notte, e tutti gli altri stanno dormendo. Deve girare la faccia sul cuscino così che nessuno possa sentirlo piangere, mentre affonda nella sua disperazione indotta dall'alcol.

È molto da digerire, dopo cinque anni di complimenti senza fine da parte dei suoi amici e anche di sconosciuti, dopo cinque anni in cui si è sentito come se fosse in cima al mondo. È molto dura capire quanto si sia sbagliato.

E – e le cose che ha detto a Louis, cazzo. Non c'è da meravigliarsi se Louis lo odia.

Harry sente l'improvviso bisogno di cercare a tentoni il suo telefono, di chiamare Louis proprio in quel momento e fargli sapere che ha capito, che gli dispiace, che sa quanto gli sta chiedendo, adesso.

Non riesce a trovarlo da nessuna parte, però – ed è sicuro che ne sarà grato quando si sveglierà la mattina seguente, ma ora, lo rende ancora più triste.

Sta torturando l'angolo del cuscino con una mano, ed è diventato gelido sotto la sua guancia, dove si sono raccolte tutte le lacrime. Sta tremando, ma non è sicuro di saperne il motivo.

Stringe ancora più forte il giacchetto attorno alle sue spalle, la lettera ancora spiegazzata fra le sue dita, e rovista un po' sul letto fino a che non trova anche il vero lenzuolo. Non lo aiuta per i brividi, ma lo fa sentire leggermente meno solo, un po' meno come se stesse infliggendo questo crollo nervoso a tutti gli altri in quella casa.

Il sonno lo trova, alla fine, lo coglie di sorpresa. Ammorbidisce quei bordi taglienti che sono i suoi ricordi, li fa confondere l'uno con l'altro e li dissolve nell'oscurità fino a che la sua mente, in qualche modo, non è vuota.

Ma, anche se si addormenta con delle lacrime appiccicose che si attaccano alla sua guancia, quelle parole lo tormentano nel grigiore di quella stanza.

Tuo,

Louis.

*

Si sveglia alle – Gesù santo, alle otto del mattino – per colpa del telefono che sta squillando. Aggrotta leggermente la fronte mentre cerca a tentoni sul suo letto per provare a farlo smettere, e gli ci vogliono solo pochi secondi per registrare che ore siano.

È tardi, a casa; probabilmente sono brutte notizie.

A quel punto quasi si strozza col lenzuolo per riuscire a prenderlo, e alla fine lo scorge sul pavimento, cacciato per metà sotto il letto.

Non fa quasi nemmeno in tempo ad accorgersi del mal di testa lancinante quando guarda lo schermo.

Marcus, c'è scritto, seguito da non meno di otto emoji a forma di cuore.

"Pronto?" risponde Harry, ansimando.

"Amore," arriva la voce di Marcus dall'altro lato della linea. Non sembra ferito o preoccupato o – niente, in realtà, se non allegro. "Stavi facendo una corsetta?"

Una corsetta. Giusto. Perché a Harry piace farle, al mattino, almeno quando la sua vita non sta venendo capovolta.

Prova a rallentare i battiti del cuore, e anche il respiro.

"No," replica. "Mi sono solo un po' spaventato, non è mezzanotte laggiù?"

"Oh," Marcus ride. Harry riesce a sentire i suoi amici che fanno casino in sottofondo. "Penso di sì. Ci stiamo muovendo, e abbiamo avuto campo per un po', ed è solo che mi mancavi così tanto, quindi ho convinto Johnny a prestarmi il suo telefono."

Giusto. Giusto. È a un altro ritiro. Sperso in mezzo al nulla, con i suoi amici, un paio di chitarre, a scrivere. Questo è quello che fa, ed è per questo che non ha chiamato.

Harry non ha davvero ancora avuto il tempo per sentire la sua mancanza, ma non vuole pensarci.

"È bello sentire la tua voce," dice, invece, ed è la verità. Si sente immediatamente rilassato, e ricade di nuovo fra le lenzuola, con gli arti stesi. "Quando torni a casa?"

Lui lo chiede a qualcuno in sottofondo, o almeno è così che sembra. "Oggi è sabato?" chiede.

"Ehm," Harry sbatte le palpebre. Non ha assolutamente nessuna concezione del tempo. "Penso di sì?"

"Giusto," Marcus ride. È – molto felice. "Se è così, allora mercoledì pomeriggio. Pensi che sarai tornato, per quel giorno?"

Harry si morde un labbro. "Probabilmente no, mi dispiace."

Di nuovo, dice qualcosa a qualcun altro. "Va bene, non preoccuparti. Te lo avevo detto che non saresti voluto venire via dopo aver rivisto la tua famiglia dopo così tanto tempo."

La sua famiglia. Giusto, Harry, ricordi la bugia che hai detto al tuo fidanzato sul motivo per cui saresti volato fino a lì?

"Già, è solo che – già. È davvero bello essere tornato."

"Come stanno?" chiede Marcus. Sembra molto interessato, e Harry non ha il coraggio di dirgli di no. "Gli sei mancato molto?"

"Certo che sì," Harry sorride, disegnando delle figure senza senso sul lenzuolo spiegazzato. Il suo dito trova un foglio di carta, e i suoi pensieri sbandano. "Sono passati alcuni anni. Temo che non mi lasceranno tornare."

"Chiamami e basta se hai bisogno di essere salvato," Marcus ride. "Non voglio che la prima volta che li incontro sia quando dovrò dire loro due paroline per averti tenuto tutto per loro per così tanto tempo, ma se devo farlo, lo farò."

"Il mio eroe," dice Harry, ignorando come la voce di Marcus si acuisca a malapena. Stanno insieme da due anni, e Marcus lo ha portato a conoscere i suoi genitori dopo solo due mesi.

A loro Harry non piace, ma non è questo il punto. Marcus vuole chiaramente che lui restituisca il favore, ed è giusto visto che dovrebbe farlo. Si sposeranno fra poco, per l'amor del cielo.

"Qualsiasi cosa per te, tesoro," dice. Harry arrossisce un poco, a disagio. "Senti, devo andare — "

"Di già?" Harry mette il broncio. È la prima volta che parlano da quasi una settimana. Ora che era stato in grado di fermarsi a pensare al suo fidanzato, è avido di avere la sua attenzione.

"Mi dispiace. Stiamo provando ad arrivare a questo campeggio prima che chiudano, quindi dobbiamo muoverci."

"D'accordo," dice Harry. Una delle sue mani è ancora appoggiata sulla lettera accanto a lui sul letto; in qualche modo, si sente come se non fosse fedele. "Sbrigati, allora. Non voglio che tu dorma in un bosco."

"Non ho paura di un bosco," ride l'altro. "Posso uccidere un orso a mani nude, lo sai."

"Certo che sì," Harry sorride e guarda il soffitto.

"Ciao, amore. Ti amo."

"Ti amo anche io. Ci sentiamo mercoledì?"

"Spero di sì," ride Marcus. "Ciao."

"Ciao," dice Harry nel silenzio.

Tira giù la chiamata dalla sua parte, e chiude gli occhi. Sorridendo, si butta di nuovo fra i cuscini con la speranza di riaddormentarsi. Si immagina di rivedere Marcus, di tornare nella loro casa sulle colline, di essere circondato dalle cose che gli sono meravigliosamente familiari.

Sa già che non succederà, però. Non quando la lettera sta quasi per bruciargli un buco nel palmo; non quando il ricordo di quello che è successo la sera precedente è così incombente, sta proprio gironzolando intorno ai confini della sua coscienza, sta mettendo il naso dentro e fuori da quella stanza, aspettando di colpirlo.

Apre gli occhi, e si siede. Fa freddo nella stanza, e l'aria corre su per la sua schiena così veloce che sembra che dei polpastrelli risalgano su di lui, lasciandosi dietro dei brividi. Fuori, sembra una bellissima giornata.

Ed è per questo, ovviamente, che Harry ha il peggior post sbronza che si ricordi di aver mai avuto. Sente la testa girargli anche quando non si muove, e il suo stomaco è pericolosamente instabile. Il sole fuori è splendente, in modo quasi doloroso.

"Grandioso," mormora, e – sorpresa – gli sembra che la sua bocca sia piena di batuffoli di cotone.

E puzza, Gesù santo.

Deve farsi una doccia. In modo razionale, questo lo sa, ma è decisamente troppo presto per fare cose reali. Semplicemente si – stenderà. Lascerà che la sua mente navighi.

Pensa a Louis, inevitabilmente.

Alza di nuovo la lettera all'altezza degli occhi, e sentendosi in colpa appiattisce un lato che deve aver piegato nel sonno.

Si fissa sui cerchi e sulle linee, traccia ogni singola l, le guarda piegarsi da un lato e poi dall'altro. Scorge ogni nomignolo, tutte le parole che ha già sentito uscire dalla bocca di Louis, e lotta per non farsi tornare alla mente il modo in cui suonano, come le sentiva contro la pelle. Si aggrovigliano fra le sue lenzuola e lo circondano come fantasmi, frammenti di sussurri, lo trattengono dall'addormentarsi e dallo svegliarsi completamente.

Sa esattamente cosa deve fare se vuole liberarsene, se vuole districare i suoi pensieri. Proprio ora, gli sembra di star afferrando pezzi di se stesso che non combaciano e di provare a volerli far stare insieme a forza. Ha bisogno di aiuto.

Rotola giù dal letto avvolto nel suo lenzuolo, troppo pigro per mettersi una t-shirt, e si incammina per la casa. È silenziosa, tranquilla; è illuminata da quel tipo etereo di luce che esiste soltanto di mattina.

"Ehi?" chiama. Non c'è risposta – ma quando arriva in cucina, vede Dusty seduta proprio al centro del tavolo, che si fa bella come se non avesse nessuna preoccupazione al mondo.

"Ehi, tu," sorride, e si allunga per grattarla dietro un orecchio. Lei si irrigidisce nel secondo stesso in cui la tocca, prendendo una decisione su di lui, ma alla fine lo lascia fare.

Harry si gode la morbidezza del suo pelo. Ha sempre avuto degli animali, crescendo, ma non ha tempo per averne uno adesso. La loro casa per questo motivo sembra vuota, qualche volta, ma Harry immagina sia solo il primo passo verso una vera casa.

"Pensavo che non vivessi più qui," dice al gatto, perché non può stare dieci secondi senza tirare fuori Louis, apparentemente. "Dove lo hai lasciato?"

Non è serio, salvo che.

Salvo che.

Un mazzo di chiavi tintinna nella serratura, un po' goffamente. In un primo momento, Harry non ha nessuna ragione di essere sospettoso: altre persone vivono in quella casa, ed è una mattinata bellissima per una passeggiata.

Poi, Louis fa il suo ingresso.

E non solo questo: Louis entra indossando i pantaloni della tuta e un maglione, ed è così morbido e arruffato per colpa del sonno, e sta tenendo in braccio una bambina. Si blocca nell'ingresso nel secondo esatto in cui vede Harry; Harry, da parte sua, si imbarazza immediatamente per essere quasi nudo.

"Ehm," dice Louis. "Ciao."

"Ciao," sussurra Harry, attraverso i batuffoli di cotone nella sua bocca. All'improvviso fa molto freddo in cucina; comincia a tremare, solo un poco. "Cosa, ehm. Cosa ci fai qui?"

"Lascio qui questi due," dice, e scherzosamente fa saltellare la bambina tra le sue braccia. Poi si gira verso l'ingresso – il suo collo è sempre stato così lungo? – e urla: "Ernie, vieni qui. Zia Anne può mostrarti tutti i fiori più tardi, ma prima dobbiamo chiederglielo."

Zia Anne. Cosa?

Louis non sembra notare la confusione crescente di Harry – non sembra prestare molta attenzione a Harry, in realtà, e si limita a girare per la cucina come se fosse sua. Apre le credenze con una mano sola, frugando fino a che non trova tutto quello che gli serve per preparare il tè.

Harry lo guarda finché qualcosa – qualcuno – di molto piccolo non entra correndo nella stanza e va sbattere contro le sue gambe. Dusty salta per la sorpresa.

D'istinto, Harry si sporge per tenere in equilibrio quel piccolo essere umano. È un bambino, con i riccioli biondi e gli occhi che sono di una sfumatura di blu molto familiare. Sorride non appena guarda Harry in faccia.

"'Tao," dice con sicurezza, i suoi denti che sbucano fuori.

"Ciao," replica Harry, completamente incantato. "Tutto bene?"

Prima che il bambino abbia la possibilità di rispondere, Louis senza troppi complimenti scivola fra loro due, e mette una mano fra le sue scapole.

"Siediti, andiamo," dice, e tiene ferma una delle sedie della cucina fino a che il bimbo non ci è salito sopra. "Bravo, Ernie. Stai fermo lì."

"Tè?" chiede, guardando Louis con occhi grandi come due dischi.

"Tè," replica Louis, in quello che è sicuramente il tono più dolce e pieno di affetto che una voce umana abbia mai prodotto. "Te ne faccio un po', ma devi aspettare un minuto, okay?"

"Aspetto," ripete Ernie con sicurezza. "Okay."

"Okay," replica Louis. Harry gli lancia uno sguardo con la coda dell'occhio, e vorrebbe davvero non averlo fatto.

Ma dato che lo sta già guardando, tanto vale che continui. Con un occhio su Ernie, proprio in caso sembrasse che stesse per cascare, guarda Louis trattare la cucina di sua madre come se fosse sua, aprire un pacchetto di tè decaffeinato e versarlo in una delle orrende tazze verde oliva che Harry ha regalato a Gemma per Natale quando aveva dodici anni.

I suoi movimenti sono sicuri, pratici, anche se sta usando una mano sola. Quando arriva il momento di mettere su il bollitore, però, si morde un labbro e guarda con preoccupazione la bambina fra le sue braccia.

"Posso farlo io," si offre Harry senza pensarci. Gli occhi di Louis scattano su di lui, sorpreso. "L'acqua," dice, indicandola. "La metto su io, tu siediti."

Si rende conto, allora, che c'era stato silenzio fra loro per alcuni minuti, forse causato da qualche accordo comune non detto, e lo ha appena spezzato.

"Se non ti dispiace," dice alla fine Louis, ma sembra riluttante a interrompere la sua routine.

Harry in tutta risposta si alza, tenendo la coperta intorno a sé come un mantello. Ringrazia silenziosamente il se stesso della notte precedente per aver avuto la capacità mentale di mettersi i pantaloni del pigiama.

Fa scorrere l'acqua un po' troppo velocemente, sperando che sovrasti la dolce, e principalmente unilaterale conversazione di Louis con i bambini. Ha bisogno di tempo per lasciare che la sua mente corra, per pensare – riconoscerebbe quegli occhi ovunque, ma non può essere. Sicuramente non può.

Una volta che ha messo su il bollitore, armeggia con le tazze, le mette in fila con il manico in avanti poi col manico all'indietro, aggiungendo i piattini e i cucchiai prima di rendersi conto che i bambini probabilmente non dovrebbero stare intorno a più oggetti col rischio di rompersi dello stretto necessario. Gli concede abbastanza tempo prima che l'acqua bolla, dopodiché la versa, e solo allora deve sedersi.

Si siede di nuovo sulla sua sedia, guardando Louis con uno sguardo che viene subito ricambiato. Non sono – ostili l'uno con l'altro, non necessariamente. Harry pensa che abbiano superato la parte delle urla per il momento.

In ogni caso non si sente ancora particolarmente il benvenuto, anche se è casa sua.

"Quindi, ehm," comincia, senza avere nessuna idea di dove portare quella frase in un secondo momento. "Come hai passato la mattinata?"

Resiste a malapena all'impulso di sbattere la testa contro il tavolo. Come hai passato la mattinata, davvero?

"Mah-inata!" urla Ernest, facendo sbattere il suo piccolo pugno sul tavolo.

Harry lo trova – semplicemente adorabile, se deve essere onesto. Louis ridacchia.

È solo a quel punto che Harry si rende conto che l'altra bambina si fosse addormentata, ma che ora è particolarmente sveglia. Si stacca lentamente dal petto di Louis, sbattendo le palpebre e guardandolo con occhi blu proprio come quelli di Ernest.

"Ciao, bellissima," Louis fa un sorrisino, alzando una mano per toglierle una ciocca di capelli dal centro della fronte.

Gli occhi di Harry, inspiegabilmente, si riempiono di lacrime.

Ritorna al tè invece di indulgere in emozioni causate dal post-sbronza.

Non aiuta il fatto che sappia dire quale tazza appartiene a Louis, perché ha sempre usato la stessa in quella casa da oltre un decennio. Ci mette il latte, frenando l'impulso automatico di aggiungere lo zucchero, e con esitazione lascia gli altri due neri.

Potrebbe – chiedere. Chiederlo a Louis. Se la sua bocca si muovesse, potrebbe farlo proprio adesso.

"Solo neri?" riesce finalmente a farsi uscire dalla bocca. A quanto pare ci sono sempre nuovi modi per mettersi in imbarazzo.

Louis sta in silenzio troppo a lungo. Harry guarda al di là della sua spalla, e lo trova a fissarlo con le sopracciglia aggrottate.

"Con il latte, grazie."

"Intendevo per loro," dice Harry.

Le sopracciglia di Louis si alzano, mostrando di aver capito solo in quel momento. "Giusto," dice. "Sì. Normale va bene."

Harry annuisce, e riesce a portare tutte e tre le tazze al tavolo in una volta sola. Louis non gli ha chiesto se lui ne volesse una, il che fa un po' male, ma comunque – è stato Harry a bollire quell'acqua del cazzo. Avrebbe potuto semplicemente aggiungere un'altra tazza.

"Ecco qua," dice mentre posa una delle tazze verde oliva davanti a Ernest.

Lui alza lo sguardo su Harry con il sorriso più felice e sincero del mondo, e dice: "Grazie."

Harry gli fa un sorrisetto. "Prego."

Allo stesso tempo, però, il cuore vorrebbe uscirgli dal petto per quanto batte forte. È sicuro che ci sia una logica spiegazione sul perché Louis sia lì alle nove del mattino con due bambini, ma per quanto ci provi, non riesce a trovarla.

Le altre due tazze hanno un'accoglienza considerevolmente più fredda quando le fa scivolare sul tavolo. Sembra che Louis lo stia studiando.

"Grazie, Harry," dice, ma non c'è molta emozione dietro quelle parole.

È un progresso, però. Harry lo accetterà con piacere.

Si siede di nuovo, e si stringe nel suo lenzuolo mentre prova a pensare a cosa voglia per colazione piuttosto che a – beh, qualsiasi altra cosa. Ci sono costantemente degli occhi su di lui, però, e quando alza lo sguardo, trova la piccoletta, ora sul grembo di Louis, che lo guarda in malo modo, come se non si fidasse.

Prova a sorriderle, ma non aiuta. Lei si limita a prendere fra le mani un pezzo del maglione di Louis e tirarlo verso di sé per coprirsi la faccia.

"Che c'è, Doris?" Louis abbassa lo sguardo. Ecco di nuovo quel tono, Dio. "Che succede? Hai paura di Harry?"

Lei si sposta la stoffa dagli occhi, guarda Harry, poi guarda di nuovo Louis, e ripete quei movimenti per diverse volte.

"Sì, quello è Harry," le dice Louis. Harry vorrebbe che il suo nome suonasse sempre così dolce sulla lingua di Louis. "Lo so che sembra pauroso, ma non è così, te lo prometto."

Harry – non si sente nemmeno ferito. Riesce a dire, in qualche modo, che Louis non lo ha detto con l'intenzione di ferirlo.

"Aui?" chiede lei. Harry sbatte le palpebre, perché quello è —

"Harry," Louis annuisce. Ha detto il nome di Harry molte volte ormai, senza lanciargli mai nemmeno un singolo sguardo freddo.

"'kay," Doris annuisce, come se il problema si fosse risolto proprio così, e lascia andare il maglione di Louis. Louis sorride – in modo dolce, dolcissimo — e fa scorrere una mano fra i suoi capelli rossicci.

Nel frattempo, Ernie si è avvicinato ancora di più a Harry, barcollando sul bordo della sedia. Sta tenendo una mano sul lato della sua tazza, presumibilmente per assorbire un po' del calore, ma i suoi occhi sono puntati con attenzione sul volto di Harry.

Harry non è sicuro se vada bene dirgli qualcosa a meno che non sia Ernie a parlare per primo, o che cada su di lui, visto come stanno le cose. Questi bambini sono di Louis, in qualche modo, e il suo linguaggio corporeo suggerisce che sia fortemente protettivo nei loro confronti. Deve camminare molto molto cautamente in questo caso – sono dei piccoli esseri umani, non una casa piena di cose rimpiazzabili.

Per fortuna, sua madre arriva in suo aiuto per salvarlo. Entra dalla porta sul retro, che sbatte rumorosamente dietro di lei prima che possa fermarla.

Louis si raddrizza immediatamente.

"Sono i miei bambini quelli che sento?" li chiama sua madre, avvicinandosi.

"Zia!" urlano entrambi i bambini quasi perfettamente all'unisono, provando ad andarle incontro prima che lei sia perfino all'ingresso. Louis lascia scendere Doris dopo che si è dimenata tanto, e Harry, senza farsi troppo vedere, aiuta Ernie a scendere dalla sedia.

"Tesori," dice lei, la voce non diversa da quella che ha usato Louis per parlare con loro. Colpisce Harry in un punto diverso del suo petto, ma fa comunque male. "Oh, mi siete mancati così tanto! Guarda quanto siete diventati grandi."

"Erano qui la scorsa settimana," le urla dietro Louis. Sta sorridendo.

"Il mio bambino più grande!" urla a sua volta sua madre e, dai suoni che sente, comincia a muoversi verso la cucina.

Harry vorrebbe che la terra si aprisse e lo inghiottisse. Sa esattamente quale sarà la faccia di sua madre quando entrerà e li vedrà.

Per fortuna, Ernie e Doris attutiscono l'impatto, tirandola entrambi avanti per le mani. Lei non ha molto tempo per fermarsi ad assimilare la scena prima di essere praticamente gettata su Louis, che si è alzato e la sta aspettando a braccia aperte.

"Eccoti qui," dice sua madre, staccando così da Harry lo sguardo con cui lo stava soppesando.

"Ciao, meraviglia," dice Louis, e la circonda in un abbraccio fra i più stretti che Harry si ricordi di aver mai visto. "Mamma mi ha detto di dirti che è veramente dispiaciuta, c'è stata una cosa all'ultimo minuto e — "

"Sai che non mi pesa," dice sua madre dopo essersi scostata. Mette le mani sulle spalle di Louis e lo tocca lì, gli liscia il colletto del maglione e gli fa una carezza su una guancia. "Sono le mie persone preferite al mondo."

Harry rifiuta di ammettere di provare qualsiasi cosa simile alla gelosia.

"Anne. Mi ferisci," dice Louis, premendosi una mano sul petto. Sua madre alza gli occhi al cielo.

"Ti perdonerò il fatto che mi hai chiamata Anne," dice, armeggiando ancora con i suoi vestiti.

"Scusa, mamma," sospira lui. È molto più dolce, molto più esitante questa volta. È molto consapevole della presenza di Harry che se ne sta seduto lì senza una scopo, che li guarda.

"Così va meglio," sorride lei, e gli lascia un bacio sulla tempia. Harry pensa che con quel gesto potrebbe volergli far notare qualcosa. "Ora, non dovresti andare?"

"Non ancora," dice lui. "Ho tutto il tempo di finire il mio tè."

A quel punto lei si allontana, e annuisce. Sembra che ci sia un qualche tipo di conversazione silenziosa che va avanti fra loro.

Harry si sente come se fosse stato messo da parte, ma presuppone che il punto sia quello.

"Te li tolgo dalle mani, allora," sua madre sorride. Toglie le tazze più piccole dal tavolo, e cammina fino al lato più lontano, da Harry.

"Buongiorno, caro," dice, e gli dà un bacio sulla guancia.

Harry all'improvviso sente formarsi un groppo in gola, ma lo ignora con fermezza. "Buongiorno, mamma," dice, e riesce a farle un sorriso prima che lei se ne vada.

Louis si siede silenziosamente. Circonda la tazza con le mani, e fissa lo sguardo proprio sul vapore che sale.

"Volevi," dice Harry, perché non ha mai imparato quando stare zitto, "volevi parlarmi di qualcosa?"

Louis alza bruscamente lo guardo. E ancora, non c'è malizia nei suoi occhi, e Harry lo prende come un segno positivo. "Perché lo pensi?"

"È solo – tu – mamma praticamente ti ha dato una via di fuga, e tu non hai colto l'occasione."

"Non scapperò via da un tè preparato perfettamente," replica, prendendone un sorso come se dovesse dimostrare di avere ragione.

Almeno lo ha definito preparato perfettamente.

"Posso chiederti una cosa?" dice Harry, più che altro al soffitto. Non vuole vedere il tipo di sguardo che al momento probabilmente è sul volto di Louis.

"Importerebbe se dicessi di no?"

Harry non risponde.

"D'accordo," sospira Louis. "Chiedimela."

"Di chi sono quei bambini?" Immagina che sia educato guardare Louis adesso, visto che gli sta chiedendo di rivelargli un'informazione molto personale, del tipo di cui Harry davvero non è a conoscenza.

Sembra che quella non fosse la domanda che Louis si stesse aspettando. Apre leggermente la bocca, confuso, e poi alza le sopracciglia quando finalmente capisce.

"Doris e Ernest?" chiede, e Harry annuisce. "Di mia mamma, ovviamente."

Ovviamente. Ma certo. Il mondo di Harry sembra girare leggermente.

"Ha avuto altri bambini?" chiede, pieno di stupore. "Ma è fantastico."

Una volta – Dio, lui e Louis la tormentavano ogni momento libero da quando aveva accennato alla possibilità di volerne ancora uno. Si sedevano a casa di Louis per l'arrosto della Domenica e cominciavano immediatamente a dirle di quanta pratica avessero bisogno di fare, per quando avrebbero avuto dei bambini tutti loro, e di come la vita fosse stata in qualche modo noiosa da quando Daisy e Phoebe avevano smesso di fare le bizze.

Lei scuoteva sempre la testa e sorrideva. Harry non pensava che lo avrebbe fatto davvero, e invece sì.

Pensava – pensava.

"Pensavi che fossero miei," dice Louis.

"Non è vero," borbotta in risposta Harry, ma il rossore sulle sue guance deve averlo smascherato. Louis lo guarda con le sopracciglia sollevate, la sorpresa scritta ovunque sul suo viso.

"Pensavi – oh mio Dio, Harry. È esilarante."

Harry incrocia stizzosamente le braccia. Solo in parte è per stare sulla difensiva, e in parte è per proteggere la piccola fiamma che ha preso vita nel suo petto dopo che Louis lo ha preso in giro.

Il suo lenzuolo scivola leggermente, cadendogli dalle spalle.

"Non è così ridicolo," prova a difendersi. "Hanno i tuoi occhi."

"Milioni di persone hanno gli occhi blu," replica Louis, e con i suoi trafigge Harry da sopra il bordo della sua tazza.

"Ovviamente non tutti sono simili ai tuoi," dice Harry. "Smettila di fare lo stupido di proposito."

Lo sta solo prendendo in giro, ma si morde un labbro quando quelle parole escono fuori da sole. È ancora troppo familiare con questo tipo di battibecchi e su come vanno a finire, e ogni cellula nel suo corpo è programmata per rispondere in modo scherzoso a Louis ogni volta che lui prova a morderlo, ma...

Non sono più a quel punto, non ci sono ancora. Probabilmente non sarebbero nemmeno dovuti tornare a quel punto.

Con il fiato sospeso, aspetta la reazione di Louis. Non accade niente di eclatante, però. Lui si limita a sorridere. Sorseggia il suo tè. Guarda una delle spalle nude di Harry e a quel punto sembra che non riesca a distogliere lo sguardo.

Harry strattona la coperta per tirarla di nuovo su, nascondendosi dentro di essa. Louis evita i suoi occhi come se si fosse bruciato.

"E di grazia, Harry," dice. "Come e perché dovrei avere dei figli miei?"

Ecco quel veleno. Harry stava cominciando a sentirne la mancanza.

"Li hai sempre voluti," dice, provando a ridimensionare e togliersi dalla conversazione, anche se non è mai stato solo Louis a volere dei bambini – erano loro due insieme, sempre insieme. "Pensavo che alla fine lo avessi fatto."

Louis appoggia il mento su una mano. "Pensavo lo avessi fatto tu," dice, non guardando Harry, non guardando da nessuna parte, in realtà. "Non credo di volerli più. Non adesso, in ogni caso."

Sembra immediatamente dispiaciuto di aver condiviso qualcosa di così personale, ma Harry riesce comunque a percepire quelle parole prima che svaniscano nell'aria, le tiene dentro di sé.

Lascia che gli facciano male.

Mi sento allo stesso modo, vorrebbe dire Harry, e è per colpa di quello che ci è capitato?
Sarebbe comunque andato da Louis. Avrebbe bussato, e avrebbe fatto in modo che Louis stesse sulla porta mentre ascoltava le sue scuse, e gli avrebbe chiesto, solo chiesto, anzi detto – è stato così che è successo? Mi ricordo bene? Non posso onorarne la memoria se non la ricordo.

Però sarebbe stato da egoisti. La lettera che è ancora nel suo letto è piena di dolore, anche se Louis non lo ha espresso con chissà quante parole. Harry è un fantasma di un tempo andato da tanto, e non serve che costringa Louis ad affrontarne un altro.

"Mi dispiace sentirlo," decide di dire, alla fine. Sono parole un po' vuote; non è sicuro di dirle sul serio.

"Grazie," dice Louis con sarcasmo. "È solo che – Non so se scegliere di essere un genitore single sarebbe giusto."

"Seriamente, non penso che siamo le uniche due persone gay in questo paese, sai."

Per la sorpresa di Harry, Louis ride.

"No," dice. "Decisamente no."

Harry pensa a cosa dire. Rimugina su alcune frasi, pensa a dove potrebbero portarlo.

Louis deve vederlo, deve rendersi conto che sta trattando questa conversazione come se fosse una battaglia tattica. Tira giù in un sorso ciò che è rimasto del suo tè come se fosse whiskey, e si alza.

"Devo andare," dice voltandosi – e poi sparisce.

Harry sbatte le palpebre e guarda il posto vuoto dove era prima. Poi si alza e lo segue fuori, con la coperta e tutto.

Trova Louis appoggiato davanti alla casa, e non sembra che abbia molta fretta. È un po' piegato in avanti, le mani sulle ginocchia, e fissa il terreno. Non dice una parola quando Harry sbuca fuori e poggia i piedi nudi sul tappetino, ma si sposta di lato così che abbia spazio per appoggiarsi accanto a lui.

La stradina tortuosa si stende davanti a loro, prima dritta, poi che curva nella distanza, affiancata da alberi e case e non molto altro.

C'è silenzio.

Harry strizza gli occhi verso il sole sopra di loro. Il suo mal di testa torna quando la luce gli colpisce gli occhi, ma tutte le sue altre opzioni includono Louis nel suo campo visivo.

"Non riesci proprio a lasciarmi in pace, vero?" Louis alla fine rompe il silenzio. Sembra che lo dica... quasi con affetto, anche se in modo riluttante.

"Non proprio," replica Harry. "È solo che – Gemma mi ha ricordato — Ho capito una cosa ieri."

Con molta cautela, Louis lo guarda. Harry ricambia lo sguardo.

Non è sicuro di volerlo fare, non quando Louis lo sta guardando in quel modo – ma che altre opzioni ha? Gemma gli ha detto che deve affrontare la questione, e potrebbe avere ragione. Forse se – forse se riuscisse a capire, se riuscisse a spiegarsi, Louis sarebbe più incline a concedergli finalmente il divorzio. Forse potrebbero finalmente, finalmente prendere strade diverse per sempre.

"L'hai mai superata?" chiede.

Louis sbatte le palpebre.

"L'adozione," dice.

Louis si allontana fisicamente.

"Dopo – dopo che siamo stati rifiutati. Sei mai andato avanti?"

Lui fa un passo indietro, poi un altro ancora, continua ad andare fino a che Harry riesce a malapena a leggere la sua espressione, considerata la lontananza.

"Vorrei davvero tanto che a volte te ne stessi zitto, sai?" dice. Sembra che qualcuno lo stia strozzando. "Non è che puoi semplicemente – non puoi chiedermi questo. Non ne hai il diritto. Mi hai lasciato ad affrontarne da solo le conseguenze."

"Te lo sto chiedendo comunque," dice Harry. La sua voce suona – e si sente, ed è – crudele, ma deve farlo. Per entrambi.

Louis lo guarda, si limita a fissarlo per secondi che si allungano in minuti. Il suo volto non lascia trapelare niente, ma i suoi occhi sono una tempesta.

"Non hai comunque il diritto di saperlo. Abbiamo chiuso, ricordi? Mi hai dato la caccia per ottenere il divorzio per anni, ormai."

Harry vuole litigare. Vuole farlo, ma non è il modo per andare avanti in questo caso.

Invece, raccoglie la sua coperta, e si siede sul primo gradino. Fa già abbastanza caldo grazie al sole mattutino, che sta alleviando alcuni fra le migliaia di piccoli dolori nel suo corpo.

"Non morderò questa volta," dice, facendo girare un sassolino solitario fra le sue dita. "Non litigherò con te. Voglio solo parlare."

"Capirai perché ho dei problemi a crederci," replica Louis, ma si rilassa un po', e si avvicina di un passo. "E apprezzo che tu voglia parlare, ma io non voglio. Ti ho detto di lasciarmi in pace."

"Mi avevi detto di non tornare a trovarti, e non l'ho fatto. Sei tu quello che è venuto in casa mia."

"È a malapena casa tua," replica Louis, mettendo le mani nelle tasche, e camminando verso di lui. Harry si scorda quasi come si fa a respirare quando Louis si siede proprio accanto a lui sugli scalini dell'ingresso. Le loro ginocchia battono una contro l'altra una, due volte, finché Louis non si sistema e mette tutto lo spazio che può fra di loro. La pelle di Harry brucia nel punto dove si sono toccati, solo e soltanto lì.

"Sono stanco," dice Louis. "Sono così stanco di tutto questo."

"Non voglio sottolineare l'ovvio, ma non sarei qui in primo luogo se tu —"

"Sì, grazie, ho capito. Sono perfido e testardo e sto ostacolando la preparazione del tuo grandissimo matrimonio, perché ogni singola cosa sul pianeta Terra deve riguardare te."

"Mi dirai almeno il perché, allora? Perché non vuoi farlo, se non per ripicca?" chiede Harry. La sua voce suona più dolce di quanto vorrebbe.

Louis sospira. Ha sospirato molto, in questi ultimi giorni. "Non importa più. Volevi sapere dell'adozione."

Harry si morde un labbro, esitante. "Sì."

Louis si tira le maniche del maglione sopra le mani, lasciando sbucare solo le punte delle sue dita. Le usa per tirare alcuni filetti, e è agitato.

"Vedi, il fatto è questo," comincia. "Il gruppo specializzato nelle adozioni – ci avevano detto che ci avrebbero mandato delle ragioni scritte, te lo ricordi?"

"Certo che sì." Se lo ricorda ora, ad ogni modo. Tre uomini, tre donne, tutti un po' troppo austeri, che esaminavano e discutevano la loro domanda di applicazione fino alla nausea, leggevano attentamente gli innumerevoli moduli che avevano riempito. Era stata una procedura terrorizzante, ma una che avrebbe promesso loro una felicità indescrivibile, alla fine. In più, Louis gli aveva tenuto la mano per tutto il tempo, sotto il tavolo, calmandolo anche se lui stesso stava tremando.

"Giusto, quindi. Lo hanno fatto," la sua voce trema. "E hanno detto —"

Harry vede il momento preciso, sebbene con terribile orrore, in cui gli occhi di Louis si riempiono di lacrime. Quella scena lo colpisce da qualche parte in un punto molto, molto in profondità nel suo petto, stringendogli il cuore come in una morsa. Louis sembra così piccolo, così – distrutto, e Harry sente il bisogno di piangere con lui.

Louis si carica sempre di troppo peso sulle spalle, perché prendersi cura degli altri lo fa sentire bene con se stesso. Harry lo ha visto per tutti quegli anni, ed è sempre stato lì quando accadeva il peggio, era lì per calmarlo, per stringerlo, per ricordargli che, per Harry, lui era tutto quello che importava al mondo, non importa quanto fosse forte.

Harry se n'è andato, però. Se n'è andato, e adesso si chiede, per la prima volta, chi era lì a raccogliere i pezzi di Louis, dopo.

"Non piangere," dice, perché non riesce a stare in silenzio. "Non farlo, per favore. Per favore."

Le sue mani stanno smaniando dalla voglia di sporgersi verso di lui, proprio adesso che stanno condividendo questo momento, per offrirgli conforto in ogni modo che può. Non lo aiuterebbe, però, lo sa.

"È solo che," dice Louis, respirando attraverso le lacrime, sbattendo le palpebre per mandarle via. "Era colpa mia. Era colpa mia, Harry."

"No, non è vero," dice Harry. Non ha idea di cosa ci fosse scritto nella lettera, ma questo lo sa.

"Era per colpa del fumo," dice Louis, la voce roca. "Hanno detto – hanno detto che non erano certi che fossi al punto giusto con la volontà di smettere, anche dopo aver detto loro che non avrei mai fumato nelle vicinanze di un bambino, li ho chiamati e li ho implorati come un idiota, solo – è stata colpa mia. Sono io il motivo per cui non siamo riusciti ad avere un bambino."

Harry nota solo in quel momento che gli stanno tremando le mani. Sta soffrendo, ma non riesce a identificarne la fonte; potrebbe essere solo per la tristezza, e per il dolore che non ha mai affrontato o analizzato tutti quegli anni prima, tutte queste cose stanno scorrendo con rabbia sotto la sua pelle. Si immagina come deve essersi sentito Louis, come si deve sentire anche adesso, come deve essere molto peggio per lui.

"Non hanno detto nemmeno che era un no definitivo, si sono tenuti la nostra domanda di applicazione e hanno detto che avremmo dovuto ricontattarli dopo sei mesi, ma. Be'. Te ne eri già andato da tanto, a quel punto."

"Loro – cosa?" Harry esala un respiro. Gli è tornato alla mente a sprazzi, il modo in cui si è sentito quel giorno. Come tutto gli fosse sembrato senza senso, perché se avessero voluto provarci di nuovo avrebbero dovuto rifare da capo tutto quel processo estenuante.

"Avremmo potuto cambiare la situazione," dice Louis, ma ha perso un po' di quella dolce vulnerabilità. Adesso c'è dell'asprezza nella sua voce, probabilmente perché vuole che Harry sappia quanto ha compromesso il tutto. "Altri sei mesi, e ci avrebbero potuto approvare."

"Mi dispiace," sussurra Harry, sconvolto. Non ci aveva mai, mai pensato. Non aveva mai capito.

"Quel che è fatto è fatto," Louis scuote la testa. "Volevi sapere se fossi mai andato avanti, e probabilmente puoi trarre le tue conclusione da tutto quello che ti ho detto, quindi," dice esalando un respiro, e si pulisce i palmi delle mani sui jeans. "A meno che tu non voglia continuare con l'interrogatorio, io me ne vado."

"Non è quello che avevo intenzione di fare," dice Harry. In qualche modo, è riuscito a rompere delle cose quando avrebbe solo voluto ripararle. "Non volevo renderti triste."

"È un po' tardi per questo, no?" chiede Louis, ma è più magnanimo questa volta. Sta anche sorridendo un poco, anche se il suo sorriso è completamente privo di gioia. "Lascia stare e basta, Harry. Mi fa piacere che non dobbiamo più urlarci l'uno contro l'altro, ma la mia vita è mia, e la tua vita è tua. Non c'è ragione per cui debbano continuare ad avere a che fare, come hai detto tu."

Poi se ne va senza aspettare una risposta. Harry lo guarda andare via, il blu del suo maglione che diventa lentamente un piccolo puntino nella distanza.

E per quanto riguarda il divorzio? vorrebbe urlare, vorrebbe che lo sentisse l'intera strada. Sarebbe così, così facile per Louis liberarsi di lui, eppure non – non lo fa.

È così frustrante, e non ce n'è nemmeno motivo.

Torna dentro, e rimugina su tutto quello che Louis ha detto, mentre mangia una banana per colazione. Ha avuto le sue risposte, o almeno alcune di esse, ma non è più vicino a sentirsi come se quel capitolo della sua vita si stesse finalmente chiudendo.

Uno di loro non vuole lasciar andare. A questo punto, Harry non è molto sicuro su chi sia tra i due.






Note della traduttrice: Allora, come state? Tutto ok? Siete riusciti ad arrivare fino a qui?
Vi ringrazio immensamente se avete letto tutto questo primo capitolo, spero davvero che vi sia piaciuto perché per me è stato un onore poterlo tradurre!
Per quanto riguarda la modalità di aggiornamento, diciamo che pensavo di aggiornare una volta a settimana/una settimana e mezzo. Potrebbe andare bene per voi?
E soprattutto, aggiornerò se la storia è piaciuta, ovviamente, e se qualcuno è interessato. Ci terrei davvero molto ad avere un vostro parere, anche con una recensione, perché ho veramente investito tanto in questa traduzione, e ci tengo più che mai a sapere cosa ne pensate. Vorrei davvero davvero sentirvi.
Grazie dell'attenzione, un bacione, al prossimo capitolo,
S.

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