♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vk...

By bisdrucciola

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"Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le ste... More

✤ P R O L O G O ✤
family is where life begins and love never ends.
you'll regret someday if you don't do your best now.
kill 'em with success, bury 'em with a smile.
don't ever run backwards.
never work just for money or for power.
you can be the moon and still be jealous of the stars.
and then you came into my life.
i'm jealous. wanna know why? because we started as 'just friends' too.
love is both: how you become a person, and why.
can i be your lei-tsu?
i like people who shake other people up & make em feel uncomfortable.
heavy hearts don't have to drown.
kiss me until i forget the thought of somebody else near your lips.
you became one of my stories.
the tip of my finger is tracing your figure.
we're too young and immature to give up, you idiot.
i just want you to talk to me. tell me how you feel. about life. just talk.
i want you. all of you. on me. under me. tasting me. wanting me.
it hurts too good to say no.
the more i learn about you, the more i like you.
to die would be less painful.
do you think the universe fights for souls to be together?
there's nothing wrong with you.
i am desperately craving your lips.
a sea of whiskey couldn't intoxicate me as much as a drop of you.
i hope you can see me for what i am and continue to love me the same.
i've been holding back for the fear that you might change you mind.
i tried so hard to not fall for you, but then our eyes locked and it was over.
my heart's your home, no matter where you are, u'll always have a place to stay.
all my mistakes are drowning me, i'm trying to make it better piece by piece.
perhaps it's better this way.
he's stuck inside my brain so much that he can call my head "home".
i think i need you, and that's so hard to say.
tell me pretty lies, tell me that you love me, even if it's fake.
how can i look at you and feel so much happiness and sadness all at once?
i've hella feelings for you, but i'm so fucking scared.
you spread warmth and inspire my life, just like the sun does.
lips so good i forget my name.
one of the hardest battles we fight is between what we know and what we feel.
he dreams more often than he sleeps.
mommy, daddy, don't you know? You lost your daughter years ago.
ça ne casse pas trois pattes à un canard
i wanna feel you in my veins.
as humans we ruin everything we touch, including each other.
I just wish i could lose this feeling as fast as i lost you.
look at your cuts. each one is a battle with yourself that you lost.
in the end, we'll all become stories.
And he dreamed of paradise every time he closed his eyes.
un piccolo regalo...
you're burning inside of me and i'm still alive in you.

life is not about hiding, life is about living.

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By bisdrucciola


L'immagine chiara del passato si fece spazio nella testa di Taehyung mentre veniva cinto dalle braccia del moro e sentiva le sue dita calde e magre stringergli la felpa di Gucci.

La fredda e bianca sala d'attesa dell'ospedale, i camici candidi dei dottori e la voce piena d'angoscia di quel maledetto infermiere che gli aveva riportato la notizia del decesso di sua madre. Quel giorno, così lontano eppur così vivido, aveva avvertito ogni osso del suo corpo infrangersi, ogni goccia del suo sangue ritirarsi e il suono sordo e ripetitivo del suo respiro impedirgli di ascoltare altrettante vane e futili parole. Aveva solo diciotto anni e nessuno che gli stesse vicino in quella gelida sedia all'interno di quell'uniforme e monotono corridoio d'ospedale. Avrebbe a tutti i costi evitato che Jungkook provasse quella sensazione la quale lui stesso aveva testato sulla sua pelle. Non voleva che Jungkook piangesse da solo come lui aveva fatto, quindi lo strinse ancora più forte a sé, mentre i suoi singhiozzi gli facevano tremare il petto. Ma in quel momento gli venne un'idea che forse avrebbe reso Jungkook più felice di ogni altra persona al mondo. Si staccó da lui il più gentilmente possibile e si diresse velocemente verso il telefono cordless del suo ufficio, compose un numero e Jungkook rimase a guardarlo fisso con gli occhi gonfi e rossi dal pianto.

"Rose, chiama un taxi per l'aeroporto e fai preparare il mio jet, devo andare a Daegu per... una riunione." Disse con un sorriso, mentre guardava Jungkook. Quest'ultimo spalancó gli occhi e si alzó dalla sedia di scatto, alzando le mani.

"Non c'è bisogno, tranquillo, va tutto bene non ti devi sco-" Taehyung interruppe la voce tremolante del minore, mettendo giù impassibile il telefono sulla cornetta.

"Troppo tardi, vieni con me." Gli sorrise dolcemente e gli poggió il braccio intorno alle spalle, dirigendosi verso l'ascensore. Jungkook non riusciva nemmeno a respirare e si limitava a seguire il più grande e far guizzare gli occhi neri da una parte all'altra della stanza.
Quando arrivarono al piano di sotto, il minore era riuscito a calmarsi almeno quel minimo necessario per ringraziarlo. Stettero ad aspettare il taxi nel parcheggio e Jungkook si chiuse nella sua giacca a causa del freddo vento. Una sensazione così non l'aveva provata mai. Era come avere un peso sul cuore, un meraviglioso peso sul cuore che lo portava giù e su come una montagna russa. Con una mano tiró gentilmente la manica di Taehyung per chiamarlo e trovó la forza di parlare. Si sentiva così enormemente sovraccaricato da tutte quelle cose che quasi faceva fatica ad aprire bocca.

"Io ti ringrazio davvero di cuore." Era un po' imbarazzante detto così, ma Taehyung ne fu straordinariamente contento comunque.

"Non preoccuparti." Inizió lo stilista, iniziando a scorgere il taxi in lontananza. "So quanto è importante per te." Poi il suo sorriso si spense. «E forse lo è anche per me.» Pensó, ma non disse niente.

Entrarono nel taxi e per cinque minuti buoni Jungkook osservó il panorama fuori dal finestrino, restando distante dal ragazzo seduto accanto a lui.

"Sai..." Comició quest'ultimo. "Avevo una limousine una volta, o meglio, fino al momento in cui Namjoon mi ha chiesto di usarla una sera. Quel ragazzo è senza speranza." Ridacchió.

"È una specie di macchinicida?" Chiese Jungkook, ridendo di rimando.

"No, non si limita a quello." Rispose Taehyung. "Riesce a spaccare ogni singola cosa gli capiti tra le mani, tranne la sua reflex, quella la tratta come una figlia." Poi si poggió una mano sulla bocca, ricordandosi di un evento che lo aveva fatto morire dal ridere. "Del tipo che una volta andai da Jin a chiedere delle cose per un lavoro e lo trovai piuttosto incavolato, dunque gli chiesi cosa fosse successo e a quel punto ciò che mi disse me lo ricorderò per tutta la mia vita." Concluse ridendo.

"Dimmi, dimmi." Gli disse Jungkook incuriosito.

"In pratica, Namjoon aveva bruciato una caffettiera." Disse. "Sì, una caffettiera."

"Ma non è fatta di ferro?" Chiese il ragazzo stranito.

"A Jin piacevano quelle con il manico di legno e boom... Namjoon rischió di bruciare casa visto che ebbe la fantastica idea di provare il caffè nero di Jin." Taehyung cercó di avvicinarsi di più al ragazzo di fianco a lui che stava ridendo sonoramente.

Arrivarono all'aeroporto e Jungkook fu impressionato dalla vista dell'Incheon di Seoul. Ci era passato qualche volta accanto, ma non si era mai reso conto di quanto fosse realmente maestoso. Una struttura quasi completamente composta di vetro e travi di ferro, luminosa ed eretta da mura e colonne bianche candide. Quando ci entrarono, fu Taehyung la sua guida, poiché se ci fosse andato da solo si sarebbe sicuramente perso in quel labirinto affollato, pieno di scale mobili, terminali, ascensori, cancelli, negozi, bar, box per le informazioni e per il noleggio di automobili. Arrivarono insieme al gate e scesero gli scalini fino a raggiungere a piedi la pista.

Appena arrivato direttamente coi piedi sulla pista per gli aerei, un'ansia pazzesca pervase Jungkook dalla testa ai piedi. Aveva volato solo una volta in vita sua per lavoro ed era stato nervoso per tutto il viaggio. Quello che lo aveva terrorizzato maggiormente era stato il decollo e la prima volta ricordó di essersi letteralmente attanagliato a Jimin con le unghie per l'ansia e l'adrenalina. E in quel momento che aveva sotto i piedi una vera e propria pista d'aerei, stava provando esattamente le stesse emozioni.

Guardó davanti a sè e ammiró un bellissimo e luccicante velivolo, simile ad un aereo di linea ma abbondantemente più piccolo. Una scala era stata montata per raggiungere l'entrata e accanto al portello c'era stampata una grande V's nera. Il sole che rifletteva sul piccolo jet gli fece voltare la testa verso Taehyung, il quale stava fermo in piedi accanto a lui. Appena lo osservò meglio, notó che i vestiti larghi del ragazzo svolazzavano insieme al vento e che quest'ultimo gli faceva aderire i capelli alla fronte e gli impediva di vedergli gli occhi. Appena lo stilista si accorse che Jungkook lo stava fissando, si giró e si spostò i capelli dalla faccia, facendoli comunque rimanere disordinati nel vento, e poi gli sorrise dolcemente.
Jungkook sentì una strana sensazione al petto e alla pancia che gli fece abbassare il capo verso l'asfalto sotto i piedi. Era così bello da ferirlo in pieno stomaco, pensó, non aveva mai visto un ragazzo più bello di lui in tutta la sua vita e tutto ciò lo considerava un parere oggettivo.

Dopo poco, sentì la mano lunga del ragazzo scivolargli sulla schiena solo per scortarlo fin su all'entrata del jet e Jungkook avvertí vari brividi lungo tutto il corpo, che associó sopratutto al vento freddo.
Mentre saliva le scalette nere montate dagli operai osservó un aereo partire di fianco a loro e appena lo vide librarsi in aria gli venne un senso di nausea.
Finalmente arrivó a salutare la hostess dai capelli rossicci e i lineamenti asiatici, probabilmente cinesi, la quale condusse entrambi i ragazzi lungo un corridoio illuminato da degli oblò, completamente costruito in legno chiaro.
Jungkook si guardó intorno e appena vide la stanza principale del jet, trattenne il respiro. Era fatta dello stesso legno chiaro, forse finto legno, e alcune poltrone rivestite di pelle bianca risiedevano lungo i due lati del jet. Davanti ad entrambi c'era una televisione più o meno grande e sopra un piccolo tavolo era poggiata una slanciata bottiglia di spumante compresa di due calici.
Jungkook teneva gli occhi sbarrati come la maggior parte delle volte che si sentiva impressionato da qualcosa e si sedette su un sedile vicino al finestrino con Taehyung che gli si sedette accanto.
L'ansia cominció a farsi sentire, non faceva altro che strofinarsi le mani e lanciare perpetue occhiate fuori dal finestrino per assicurarsi che non si stessero muovendo.
La hostess prese il calice davanti a Jungkook, lo riempì fino circa a metà e fece lo stesso con quello dello stilista.
Il minore bevette il contenuto del suo bicchiere tutto in un sorso, sperando che facesse effetto nel suo sempre crescente nervosismo. Solo dopo aver notato che Taehyung lo stava guardando un po' sorpreso, ripose il bicchiere velocemente e si fece scappare una risatina ansiosa.

"Tutto bene, Jungkook?" Gli chiese lo stilista un po' preoccupato.

"Sì, sì." E l'aereo inizió a muoversi. «Voglio vomitare.» Urló dentro di sé con tutta la disperazione possibile, mentre il jet imboccava la pista di decollo e acquistava gradualmente velocità. Lungo tutto il tragitto veloce e liscio, Jungkook sentì una orribile sensazione lacerargli lo stomaco e non si trattenne ad ancorarsi sul braccio dello stilista che si spaventò appena sentì il minore appiccicarsi a lui.

"Hai per caso..." Inizió Taehyung preoccupato mentre il jet si staccava da terra con un sussulto e Jungkook si tratteneva dall'urlare.

"Ho paura di volare!" Esclamò l'altro, stringendo terrorizzato il braccio dello stilista mentre serrava gli occhi come un bambino spaventato.

Taehyung rimase un secondo interdetto a guardare il ragazzo abbracciato a lui con tanto nervosismo da fargli quasi male e pensó che avrebbe dovuto chiedergli se avesse paura di certe cose prima di far partire il jet. Eppure la percezione di Jungkook così vicino a lui e impaurito gli fece nascere una sorta di tenerezza che lo spinse ad avvolgere il braccio intorno alle spalle del ragazzo e avere la sua testa appoggiata sul petto. Fece sfiorare la mano lunga e scheletrica sulla manica della giacca e poi lo strinse a sé per fargli un po' di forza.

"Tranquillo, tra poco si stabilizza e sarà tutto finito." Gli sussurrò in modo molto calmo e sentì il volto del minore schiacciarsi sul tessuto della sua felpa.

Quando finalmente il jet prese a volare normalmente, Jungkook ritiró su la testa con un po' di imbarazzo e guardó fuori dal finestrino. Quasi si sentì male a guardare le nuvole sotto di loro e si rese conto che preferiva di gran lunga guardarle con i piedi puntati per terra. Distolse lo sguardo e lo rivolse disperato verso il più grande che lo guardó di rimando.

"Eddai, vieni qui." Allargó di nuovo il braccio e fece appoggiare il capo di Jungkook sulla sua spalla, stringendolo ancora a sé con il braccio. "Avresti dovuto dirmelo che odi volare." Sentenziò Taehyung, non riuscendo a contenere il sorriso.

Jungkook a quel punto si vergognó a livelli cosmici. Aveva fallito miseramente a rispondere alla domanda di Taehyung nel suo ufficio, gli era scoppiato a piangere sulla felpa firmata e aveva rischiato di strapparla quando gli si era buttato addosso a causa della sua paura del decollo. Insomma, un disastro. A quel punto si disse che sicuramente lo stilista, da quel frangente in poi, avrebbe pensato che fosse una specie di checca piagnucolosa, anche se non voleva farlo vedere. Eppure stare così vicino a lui, tra le sue braccia e sentire il suo calore lo calmava e gli alleggeriva quella situazione non proprio a suo favore.

"Come hai fatto..." Esordì ad un certo punto il moro. "Come hai fatto a capire tutte quelle cose che si provano quando si ha bisogno di un'anima gemella?" Era la stessa domanda che aveva cercato di fargli appena gliene aveva parlato, ma semplicemente ne fu così impressionato che dalla sua bocca non era uscito alcun suono.

"Perché le provo." Rispose semplicemente Taehyung. "Ma come Wei, non sono ancora riuscito a trovare cosa sto cercando." Era un po' di malinconia quella che Jungkook sentì nella sua voce e lo capì all'istante. Riusciva a intendere meglio quel triste sospiro che tutte le vicende concrete nella sua vita. L'aveva provata anche lui quella velata tristezza che lo aveva indotto a desiderare ciò che tutti, alla sua età, consideravano la normalità. A ventunanni era normale aver avuto almeno una volta qualcuno da amare, ma non lo era per Jungkook e questo lo faceva sentire in qualche modo diverso.

"Raccontami una delle tue storie." Gli sussurró poi, non volendo approfondire quell'argomento così intimo. Fu sorpreso quando sentì le dita di Taehyung scivolare tra i suoi capelli e cominciare ad accarezzarli amorevolmente.

"Ma certo." Approvó l'altro con la sua voce profonda. "Fammi solo pensare un attimo." Aveva un repertorio di storie pari ad una biblioteca, dunque non fu difficile trovarne una che gli sembrava carina. "Sai, questa storia è importante per me per un motivo che purtroppo non posso rivelarti, ma credo sia molto bella sebbene parli di un amore osteggiato."

"Raccontamela, per favore." Gli chiese Jungkook che era completamente ipnotizzato dalla voce e dalle dita di Taehyung tra i suoi capelli.

"La leggenda narra di una fanciulla cinese che viveva nel lontano 1600, il suo nome era Zhu Yingtai." Inizió allora Taehyung. "Viveva in una famiglia molto nobile e di casata aristocratica, ma la ragazza aveva solo un sogno: frequentare l'università, la quale era però interdetta alle donne. Fu così che Zhu si vestì da uomo e si diresse ad Hangzhou, la città dove risiedeva l'università.
Liang Shanbo invece era un bel giovane letterato dalle umili origini che stava inconsapevolmente andando in contro allo stesso destino di Zhu. I due si incontrarono e con la fanciulla nei panni maschili i due strinsero comunque un legame di romantica complicità seppur limitata al platonico. Solo dopo che Liang ebbe scoperto la verità, i due furono colpiti da un amore travolgente di cui il padre di Zhu non voleva nemmeno lontanamente sapere. L'uomo costrinse così la ragazza ad abbandonare Liang e andare in promessa sposa con un fanciullo del suo stesso rango sociale. Liang, sofferente per la mancanza di Zhu e distrutto dalla notizia che ella fosse già stata promessa ad un altro, cedette e si suicidó. Zhu, il giorno del suo matrimonio, pregó il padre di farle vedere per un'ultima volta la tomba dell'amato Liang e l'uomo accettó, impaziente di vederla sposata. La fanciulla si chinó sul sepolcro e pianse tutte le sue lacrime, fino a quando qualcosa di inaspettato successe. La tomba si aprì e Zhu non esitó a gettarsi all'interno di essa sotto lo sguardo terrorizzato e attonito del padre. Quando il sepolcro si stava per richiudere, da esso uscirono due farfalle che insieme si librarono nel cielo azzurro. Ed è così che si spiega la connotazione che aveva il simbolo della farfalla in qualsiasi tela, ovunque essa sia rappresentata, dal tessuto all'arte. Un simbolo che indicava la trasformazione spirituale, la liberazione divina e l'avanzare del processo della vita, quindi la morte."

Lo stilista raccontó la storia con un tono di voce litanico e sommesso. Si ricordó della cadenza della voce di sua madre e cercó di imitarla il meglio possibile. Quando rivolse uno sguardo a Jungkook, notó che stava dormendo profondamente sulla sua spalla. «Almeno non ha più paura.» Pensó, continuando ad accarezzare i morbidi e lisci capelli neri pece del ragazzo. Taehyung bevette un goccio di spumante e chinò la testa di lato in modo da appoggiarla su quella di Jungkook, cercando di non applicare troppa pressione e di non svegliarlo.

Restarono in quella stessa posizione fino a che l'aereo atterrò nell'aeroporto di Daegu. Il suono dei carrelli che si appoggiavano per terra non svegliò Jungkook e lo stilista poté continuare a star appoggiato a lui. Quando si furono finalmente fermati, Taehyung si affrettò ad alzarsi da quella posizione e tentò di picchiettare sulla spalla del moro per svegliarlo.

"Kooki-" Avrebbe voluto chiamarlo in quel modo da sempre, ma qualcosa lo bloccava. "Jungkook." Lo chiamó, ottenendo solo un mugugno come risposta. "Jungkook!" Esclamó poi, con più decisione.

"Mh?" L'altro aprì gli occhi, realizzando che stavano ancora nel Jet e che erano stranamente fermi. "Cazzo." Sussurró, tirandosi su di scatto e scuotendo la testa.

"Cosa?" Domandó lo stilista, che ora aveva un sorriso stampato in faccia.

"Oh, no niente." Il moro speró che Taehyung non avesse sentito quella parolaccia. "Più che altro, scusa se mi sono addormentato lì." Indicó la spalla del ragazzo. «Dimmi che non ho sbavato, ti prego.» Si disse, un po' preoccupato.

"Ah, tranquillo." Ridacchió Taehyung, il quale aveva evidentemente sentito quella piccola volgarità.

I due si alzarono dai loro posti e furono di nuovo scortati fuori dalla hostess cinese, che gli auguró buon viaggio appena iniziarono a scendere le scale.
Jungkook era un po' frastornato, ma sapeva bene che si era riuscito ad addormentarsi solo grazie a Taehyung. Infondo, era consapevole che era stato solo per la sua mano e per la sua voce che si era dimenticato completamente di una delle sue paure più grandi e perciò avrebbe voluto ringraziarlo talmente tanto da dargli fastidio. "Ehy, Taehyung."

"Sì?" Il ragazzo lo aspettava alla fine degli scalini del Jet.

"Grazie per..." Jungkook guardó fisso il ragazzo, scordandosi addirittura ciò che doveva dire. "...per avermi fatto passare la paura, lí dentro."

"Dovrò farlo un'altra volta al ritorno, aspetta a ringraziarmi." Gli sorrise allora lo stilista. "Comunque, il taxi è già qui che ci aspetta fuori dall'aeroporto." Comunicó poi, più seriosamente.

"Va bene." Si limitò a rispondere il minore, mentre entrambi si dirigevano all'interno dell'enorme struttura.

L'international Daegu Airport era comunque più ridotto e molto più squadrato dell'Incheon di Seoul, ma Jungkook riuscì a riconoscere la stessa quantità di culture diverse. Vide diverse coppie di americani cercare un terminale preciso che probabilmente non riuscivano a trovare, un gruppo di filippini entrare in un negozio e una ragazza dai capelli biondi, quasi bianchi, la pelle lattea e gli occhi azzurri videochiamare con coloro che sembravano i suoi genitori. Jungkook sorrise a quella scena, ma poi si giró per seguire Taehyung verso un'enorme vetrata sotto la quale era posizionata un'uscita. I due camminarono fino al marciapiede esterno fianco a fianco e videro un uomo con accanto un taxi reggere un cartello con su scritto "Kim Taehyung".
Entrarono senza esitazione all'interno del veicolo che partì subito, allontanandosi definitivamente dall'aeroporto. Jungkook non riusciva a smettere di sorridere all'idea di andare a trovare i suoi e restò a guardare quella città dal finestrino. Il tempo era grigio, il cielo nuvoloso e l'asfalto, le case e i lampioni sembravano tutti tinti di diverse sfumature dello stesso identico colore. Era quasi ora di pranzo, eppure il sole non voleva proprio uscire dalle nuvole che promettevano pioggia. Per quanto fosse felice, Jungkook non riusciva a guardare quella città con occhi più ottimisti, sembrava tutto fin troppo triste. Sicuramente non gli dava la stessa familiarità che gli avrebbe dato Seoul, ma era pur sempre una bella città. Si voltò verso lo stilista che sembrava evitare in tutti i modi di guardare dal finestrino. "Ci sei mai stato qui a Daegu?" Gli chiese, giusto per iniziare la conversazione.

Taehyung sembrò un attimo perso nei suoi pensieri e appena alzò gli occhi sul minore subito si poté notare che la loro solita luce era scomparsa. Molte volte Jungkook aveva realizzato che questo fatto succedeva maggiormente quando parlava della madre e della sua infanzia in generale. "Io..." iniziò infatti il maggiore. "...ci sono nato qui." Ed ecco svelato l'arcano. Era ovvio, si disse Jungkook, che il suo sguardo fosse spento, ma tutto quello che fu capace di fare fu guardarlo fisso negli occhi. Capí subito. Si sentiva tremendamente in colpa, era stato solo a causa sua che Taehyung si era deciso a ritornare nella sua città natale, la quale sicuramente gli ricordava tutto ciò che non voleva ricordare. Insomma, gli si era messo a piangere sulla felpa ed era ovvio che lo stilista, possedendo i mezzi per farlo, fosse stato quasi costretto a fare ciò che aveva fatto.

"Mi...mi dispiace, io non lo sapevo... scusami." Jungkook abbassò gli occhi, sentendo il senso di colpa cominciare a divorargli orribilmente lo stomaco. "Io non lo sapevo, scusami Taehyung."

"Quella laggiù..." Iniziò, ignorando completamente Jungkook e addirittura avvicinandosi di molto a lui. "Era la strada che facevo per tornare a casa da scuola." Girò Jungkook con la forza verso il finestrino e si mise con il petto attaccato al suo dorso, la testa appoggiata sulla spalla e con la mano afferrò la sua per fargli indicare la strada che intendeva.
Jungkook sentiva ogni singolo respiro dello stilista vicino all'orecchio e ogni singolo battito del suo cuore sulla schiena. Avvertì che stava battendo più velocemente del normale, probabilmente perché stava rivivendo tutte le immagini della sua infanzia. La mano indirizzò la sua verso un edificio che sembrava un'enorme scuola. "Quella..." Disse il maggiore. "Era la mia scuola." Fece una pausa. "Sai, frequentavo il corso d'arte e grazie a quello riuscii ad appassionarmi alla moda. La nostra maestra era solita a darci delle foto di modelli o modelle che sfilavano per farci capire l'anatomia." Jungkook cominciò a sudare e a sentirsi leggermente a disagio, ma si trattava più di una sensazione strana, la quale per un certo senso lo faceva stare bene. "Quello era il parco vicino alla scuola dove andavamo in gruppi a fare tornei di calcio." E la sua mano gli fece puntare un parchetto che in quel momento era rimasto fatiscente, melmoso e triste. "Era messo un po' meglio all'epoca." Ridacchiò poi il ragazzo. Il moro fu felice di sentirlo ridere e di percepire le scosse del suo petto dirette sulla schiena. Il cuore, il quale aveva cominciato ad accelerare inspiegabilmente, si calmò un po'. "E quello lì è..." Taehyung indugiò per molto tempo dopo avergli fatto indicare un muretto che si intravedeva da dietro le case, scrostato e distrutto da un lato. "...lì ci venivo col mio..." Indugiò di nuovo, con la voce sempre più insicura. «Il tuo... cane? Elicottero telecomandato?» Si chiese Jungkook in ansia. "...il mio ragazzo."

Jungkook si irrigidì e si staccò immediatamente da Taehyung con uno scatto. Rimase pietrificato davanti al ragazzo, con il cuore che aveva ripreso a battere tanto velocemente e forte che gli stava sfondando il petto, nei suoi c'era una patina di fredda incredulità, la quale ferì nell'anima lo stilista che lo stava guardando inespressivo. "Tu sei..." Sussurrò il minore con una voce interrotta e spaventosamente lacrimevole.

"Ti prego, ora dimmi che tra noi non cambierà niente, perché ne ho davvero bisogno." Lo implorò con voce fin troppo ferma Taehyung.

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