Hybrid - Legami Spezzati

By AlessiaSanti94

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SEQUEL "Hybrid - L'Esperimento". Può un legame forte allentarsi e dissolversi come se non fosse mai esistito... More

BOOKTRAILER HYBRID - LEGAMI SPEZZATI
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Premessa.
1. Annichilimento.
2. Apri gli Occhi.
3. Cornelius Morton.
4. L'Agente Kane.
6. Spegnersi.
7. Devi Ricordare
8. Nuove Collaborazioni.
9. Chi Sei.
10. Una Nuova Alba
11. Problemi di Alcool
12. La Ronda e l'Indovina.
13. Passi Falsi e Promesse
14. De Rerum Vetitae
15. La Stanza Numero 4
16. Complicità e Tensioni.
17. Damnatio Memoriae.
18. La Stanza del Bisogno.
19. L'Agguato Inaspettato
[Info per i lettori]
20. Sospetti.
21. Kathleen Lorelaine
22. Dolor
23. Moniti e Responsabilità
24. Scintilla
*CAPITOLO EXTRA*
25. Una Luce nel Buio
26. La Verità Viene a Galla
27. Aaron
28. Sacrificio e Connessione

5. La Stanza Numero 2.

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By AlessiaSanti94


Abby.

Sei pronta a scoprire la tua vera natura, Abby?

Questa domanda mi riecheggia nella testa, come il rintocco di un orologio. Lenta e ben scandita.

A primo impatto, sono quasi tentata di rispondere: "Non c'è nient'altro da scoprire su di me", ma poi ci ripenso e scuoto la testa. In realtà non so nemmeno io chi sono veramente. In poco tempo sono stata catapultata in un mondo paranormale che mai avrei creduto di poter comprendere e sono entrata a farne parte come personaggio principale: un semi-Demone cresciuto sotto forma di umano, ma con dei poteri psichici strabilianti. David Clint e tutta la squadra di Alchimisti Celesti avevano deciso di sublimare la mia abilità di Persuasione, per farmi integrare maggiormente all'interno di un ambiente composto per lo più da Guerrieri, e mi avevano messo tra le mani dei pugnali con il solo scopo di farmi diventare come loro.

Ma adesso so che non lo facevano per aiutarmi. Loro non volevano difendermi dalla minaccia esterna alla Caserma... dai Sottomessi che mi bramavano per la città. No. Erano loro la vera minaccia. La trappola in cui non sarai dovuta cascare.

Durante i mesi in cui ho abitato nella Caserma, mi hanno insegnato a brandire un coltello e a difendermi da un corpo a corpo con un nemico, ma nessuno di loro mi ha mai spiegato come utilizzare al meglio i miei poteri, o come ampliarli, ammesso che sia possibile. Nessuno di loro lo ha mai fatto perché incrementare la mia Persuasione mi avrebbe resa soltanto un pericolo maggiore.

Mi hanno solo fatta sbiadire, obbligandomi a fingere di essere qualcosa che non ero.

«Che cosa mi farete?» domando in un sussurro, riemergendo dall'abisso dei miei pensieri. Fisso prima Cornelius, poi Russell. Adesso sono uno accanto all'altro e sorridono. Non so per quale motivo, ma stanno sorridendo.

«Ti aiuteremo a rinascere» risponde mio padre, con un tono di voce piatto e impostato. In questo momento mi sta guardando come se fossi la pietanza principale del pranzo.

«Ti aiuteremo a morire» gli fa eco Russell.

«Ma questo non ha senso.» Un brivido mi percorre la schiena. Ho persino paura di ascoltare il resto.

Cornelius ridacchia sottovoce. «Tra poco tutto ti sarà più chiaro.»

«Procediamo, signore?» Russell fa scrocchiare le nocche in modo minaccioso e si avvicina a me. Mi afferra il polso in modo brusco e mi scuote con una scrollata poco delicata. «Sto fremendo.»

«Credo che sia arrivato il momento» annuisce lui. Raggiunge l'appendiabiti in fondo alla stanza e prende una tonaca rosso scuro, che poi indossa. La stoffa aderisce perfettamente al suo corpo e gli scivola fino alle caviglie, senza però toccare il pavimento. Adesso sembra quasi un sacerdote in procinto di avviare un rito religioso.

«In quale stanza andiamo? La 2 o la 4? Le ho preparate entrambe» continua il suo tirapiedi, su di giri.

«La 2 andrà più che bene. Muoviamoci, forza.» Cornelius soffia sulle candele incastrate nel candelabro e lascia cadere la sua stanza in una penombra inquietante.

Io provo a scrollarmi di dosso le mani di Russell. La sua presa, al buio, mi rende ancora più allarmata. Ma lui non accenna a mollarmi, anzi, a ogni mio tentativo di ribellione, l'aumenta sempre di più.

«È inutile che opponi resistenza, ragazzina» mi sibila all'orecchio, spingendomi di nuovo fuori dall'ufficio di Cornelius. «Ormai il tuo destino è scritto.»

«Smettila di distrarla, Russell» lo rimprovera però mio padre, superandoci lungo il corridoio deserto. Non lo guarda nemmeno, preso com'è a cercare una specifica chiave dal mazzo che tiene in mano. Quando la trova, fa un sorriso compiaciuto e la sfila dal cerchio metallico che le raccoglie tutte insieme «Non voglio che si spaventi più del dovuto.»

Mentre Cornelius armeggia con la serratura della porta, un senso di allarme sempre più urgente inizia ad arrampicarmisi lungo le vertebre, arrivando fin sotto alla nuca con un brivido gelido di accompagnamento.

Che cosa vogliono farmi? Che cosa diavolo hanno intenzione di farmi?

«Lasciatemi andare» riprovo ancora, puntando i piedi per terra. La mia voce traspare rotta e piena d'ansia. È come se il mio inconscio fosse consapevole che al di là di quella porta ci sia la mia antitesi in persona. La mia fine personale. «Vi prego, lasciatemi andare. Farò qualsiasi altra cosa, ma non fatemi entrare dentro quella stanza!»

Mio padre si volta lentamente, ancora con la mano poggiata sulla maniglia e uno sguardo autoritario. «Mi dispiace, Abby, ma hai già avuto diverse opportunità per dimostrarci la tua fiducia» dichiara, fissandomi con la coda dell'occhio, «e le hai sprecate tutte

Russell ghigna tra i denti e torna a spingermi dietro alla schiena, per indirizzarmi verso l'ingresso della stanza numero 2. Cornelius mi sorride pacatamente e ci precede, facendo di nuovo frusciare la tonaca tra le gambe.

«No! Non voglio!» grido a squarciagola, convinta che tanto nessuno mi sentirà. «Non voglio, maledetti! Toccatemi e ve la farò pagare!»

Ma nessuno bada alle mie minacce. Una volta entrati nel grande stanzone, Russell si richiude la porta alle spalle e pigia un pulsante che fa accendere una dopo l'altra tutte le luci, che piovono dal soffitto tramite fili scarni e impolverati. Improvvisamente sembra di essere entrati in un bunker antiatomico del periodo post bellico: dei lunghi tavoli di acciaio, pieni di cianfrusaglie e attrezzi, costeggiano due delle pareti disponibili, mentre al centro è posta un'inquietante sedia in legno, rigida e con degli strani manicotti in ferro ai lati. In fondo alla stanza, invece, sono abbandonate due brandine in acciaio, che sembrano non essere state utilizzate da parecchi anni.

Mi guardo intorno con aria spaesata, cercando di carpire ogni singola informazione che questo posto possa darmi: ho subito l'impressione di essere stata già qui dentro, prima d'ora. Non ricordo bene quando, o il modo in cui sia avvenuto, ma sono sicura che la terribile sensazione di pericolo che mi ha fatto accapponare la pelle quando Russell ha nominato la stanza numero 2, sia in parte giustificata.

Forse mi ci hanno già portata più volte, qui dentro.

Forse sono io a non ricordarlo.

«Io sono già stata qui» balbetto, scuotendo la testa in modo confuso.

Cornelius, che adesso sta accendendo dei macchinari, poggiati su uno scaffale in metallo, si volta di scatto verso si me e mi fissa di sbieco, come se fosse sorpreso. «Che cosa ricordi?»

Russell per un attimo sussulta, forse colpito indirettamente da un'accusa silenziosa.

Faccio vagare di nuovo gli occhi sulla stanza, stavolta più lentamente e con più concentrazione: mi soffermo sulla grande sedia in legno massiccio, più scura sui manici e sulla seduta. È usurata, ma in qualche modo sembra stonare rispetto al resto dei mobili presenti. Sembra quasi...

50, Russell.

Strizzo le palpebre e faccio un passo indietro, travolta da una voce soffocata nella testa. Per nascondere lo sguardo sorpreso, mi sbrigo a cambiare traiettoria, puntando gli occhi sui carrellini pieni di oggetti alla rinfusa posti uno accanto all'altro in fondo alla stanza, a pochi metri dalle due brandine ospedaliere.

«Niente» rispondo, cercando di mascherare il più possibile il tono di voce scosso. «Io non ricordo... niente

Russell tira un sospiro di sollievo sottovoce e mi traina come un fantoccio verso uno dei due lettini. Con una piccola spinta sulle clavicole mi indirizza verso quello sulla sinistra e mi ordina con il mento di salirci su.

Cornelius si avvicina a lui scuotendo lievemente la testa e gli poggia una mano sulla spalla. «Questo non dovrebbe succedere, lo sai?»

«Mio signore, ma...»

«Aumenta la dose ancora un po'. Non possiamo rischiare.»

«Non potete rischiare cosa? Che realizzi che mi state drogando con quelle pillole? O che capisca che cosa diavolo mi state facendo?» sbotto, stringendo con le dita il materasso sottile e sformato del lettino. Li fisso entrambi con uno sguardo urgente, a tratti pietoso.

Che cosa mi state rubando?

Cornelius sposta gli occhi su di me e digrigna i denti in silenzio. «Adesso basta» sibila, e con un dito mi indica «Sdraiati e porgi a Russell il braccio.» Mentre m'impartisce ordini, raggiunge uno degli armadi infissi nel muro e fa scorrere l'anta per prendere una valigetta nera in pelle. Torna da noi sorridendo e l'appoggia su un carrellino libero; le chiusure metalliche scattano all'unisono e lui le apre, sfiorando con gioia il contenuto della borsa rigida.

Russell nel frattempo sfrutta il mio breve momento di sorpresa per spingermi giù sulla brandina e mi blocca il petto con una cinghia.

Nel giro di pochi secondi realizzo quello che sta succedendo e inizio a scalciare con le gambe, gli unici due arti a essere rimasti liberi di muoversi. «Lasciatemi! Lasciatemi andare, ho detto!» grido, provando in tutti i modi a fare forza sulle spalle per tirarmi su e fuggire da questa insania collettiva.

«Le gambe, Russell» ordina mio padre, senza però guardarci. È totalmente preso a tirar fuori dalla valigetta diverse siringhe, una più grande dell'altra, ma tutte decisamente spaventose. Le accarezza con le dita e alla fine ne sceglie una dalle dimensioni modeste, con inserito un ago lungo e non troppo sottile.

«Voi siete folli! Tutto questo è una follia!» urlo ancora, le palpebre strizzate e il cuore che galoppa nel petto. Delle lacrime di rabbia mi scivolano sulla pelle e scompaiono dalla mia visuale. Ma ogni mio tentativo di ribellione fallisce nel momento in cui anche le gambe mi vengono bloccate dalla cinghia, che viene poi stretta e legata a dei ganci ai lati della brandina.

Adesso sono inerme. Adesso possono farmi quello che vogliono.

Quando realizzo questa realtà abbattente, smetto improvvisamente di lottare e di muovermi. Mi fermo e basta, con il respiro spezzato, gli occhi umidi e spaventati, e la sconfitta segnata sul volto. La porzione di pelle vicina alle cinghie inizia a bruciarmi per via dello sfregamento, ma la parte di me ancora cosciente non sembra farci nemmeno caso, presa com'è a constatare che la mia fine è arrivata.

Lo sento fin dentro le ossa che sta per succedermi qualcosa che mi cambierà la vita. Qualcosa di terribile. Qualcosa che mi mangerà viva.

Russell sbuffa divertito di fronte alla mia palese sconfitta e nemmeno mi forza per costringermi ad allungare il braccio: afferra il polso e lo tira a sé con facilità, come se stesse spostando un oggetto senza vita.

Il braccio.

Io rimango a fissarli in silenzio, spostando gli occhi sui due uomini ritti di fronte a me. «In qualche modo ve la farò pagare» sussurro, quasi in modo impercettibile. «È una promessa... Ve la farò pagare.»

Cornelius ride a bassa voce e passa la siringa vuota al suo tirapiedi, che l'afferra con sicurezza e osserva con fare critico l'ago acuminato. Poi, dopo aver preso un breve respiro d'incoraggiamento, si china su di me e mi lega un laccio emostatico sul braccio, per mettere in evidenza le vene pulsanti; ne tasta una con l'indice ed emette un mugolio di assenso, seguito da un sorriso entusiasta. Il secondo dopo m'infila l'ago sotto la pelle, bucando la parete della vena prescelta.

È l'ora del test, Abby.

Io stringo di nuovo le palpebre e provo a non lamentarmi per il pizzicore provocato dalla siringa. Mio padre mi appoggia una mano sulla gamba, come se volesse dimostrarmi la sua compassione nei miei confronti.

Russell preleva rapidamente mezza siringa di sangue, poi estrae di nuovo l'ago dalla pelle, sostituendolo al suo posto con una piccola garza biancastra, che in pochi secondi assume una colorazione cremisi. «Sei stata brava, lo vedi?» si congratula, facendo un po' di pressione sul punto del prelievo. «Se fossi sempre così mansueta, adesso non ti troveresti qui.»

«Dammi la siringa, forza» taglia corto Cornelius, sottraendogli dalle mani l'oggetto del desiderio. Il sangue rosso scuro si agita all'interno della parete cilindrica pigramente.

«Che cosa volete farci?» domando. La mia voce traspare priva di inflessione, così come il volto. D'un tratto sono diventata una pagina bianca, pronta a essere bruciata e riscritta di nuovo.

«Adesso lo vedrai» risponde mio padre. Con le dita si arrotola sul braccio la manica della tonaca e a colpo sicuro infila l'ago nella pelle, come se conoscesse a memoria ogni punto focale del suo sistema circolatorio. Per un momento trattiene il respiro e guarda in alto, verso il soffitto in pietra, poi trattiene un gemito roco e spinge sul pistone della siringa, iniettando il mio sangue all'interno del suo. Goccia dopo goccia, fino alla fine.

Io e Russell rimaniamo in silenzio a osservare la scena con occhi stupiti e quasi spaventati. La freddezza con cui Cornelius si è infilzato quell'ago nella sua stessa pelle è agghiacciante. Nel suo sguardo non c'era paura o preoccupazione, ma solo uno strano senso di... speranza.

Sì, ma per cosa?

Dopo aver iniettato tutto il sangue, mio padre sfila la siringa dalla pelle e la getta per terra. Adesso prende dei brevi respiri, come se si sentisse affaticato o stanco. Flette leggermente le gambe e ci poggia sopra le mani, con la testa china a fissare il pavimento. Resta in questa posizione per diversi secondi, fino a che non torna a erigersi sulla propria schiena, rigido e austero come sempre.

«Russell» lo chiama, lentamente e in modo ben scandito.

Lui fa due passi avanti e deglutisce, in evidente affanno. «Sì, signore?»

«Ucciditi.»

Io rimango senza fiato e realizzo quello che sta succedendo a scoppio ritardato: mio padre sta cercando di usare la Persuasione sul suo scagnozzo tramite il mio sangue. Lui sta provando a... riattivare i poteri che gli sono stati sottratti dal Consiglio.

Anche Russell appare stupito, nonostante il suo volto celi delle chiare note di paura mista a tradimento. Nonostante ciò, la reazione non è quella attesa: l'uomo indietreggia, come se fosse stato colpito da quelle parole, e scuote la testa, nello stesso modo in cui si scaccia un cattivo pensiero. Si tocca il petto con una mano, profondamente oltraggiato, e addita Cornelius. «Ma è impazzito?»

Lui però non sembra curarsi della reazione – in fondo – giustificata del suo tirapiedi e inizia a muoversi su e giù per la stanza, con le mani incastrate tra i capelli e uno sguardo furente. Quando raggiunge il lettino libero accanto al mio, gli tira un calcio che lo fa tremare. Io m'irrigidisco e rimango in un silenzio tramortito dalla tensione.

«Non ha funzionato, Russell. Avevo ragione!»

«Avrebbe potuto uccidermi!» ribatte a tono l'altro, virando di molto il timbro della voce.

«Lo sapevo che non avrebbe funzionato. Non stavi correndo alcun rischio di morte» si discolpa però lui, con un rapido cenno della mano. Con una falcata raggiunge la mia brandina e sgancia le cinghie che ancora mi tengono bloccata. La sua mano gelida mi afferra il braccio e mi obbliga a tirarmi su, le gambe a penzoloni e il volto all'altezza delle spalle. Le sue dita si abbassano su di me e mi stringono il mento, costringendolo ad alzarsi verso di lui. «Sei così schifosamente debole» mi accusa, con un tono di voce denigratorio. Il suo volto è cinereo, come una nube temporalesca.

Io sposto di scatto la testa, sottraendomi dalla stretta minacciosa, e lo fisso con occhi iniettati di rabbia. «A me sembra che sia tu quello schifosamente debole, tra i due.»

Lo sguardo di mio padre adesso rasenta il nero più assoluto. Una vena gli si gonfia sul lato destro del collo e in questo momento sento che potrebbe esplodere, vinto dalla collera nei miei confronti. Ma alla fine non fa niente. Prende un respiro carico di pazienza e torna a fissarmi. «Eppure eri riuscita a ucciderli, quei Sottomessi. Li avevi uccisi con la Persuasione e avevi salvato la vita del tuo stupido amichetto Guerriero...» riflette, riportandomi alla mente l'episodio dell'attacco a Ground Square, quello in cui Nolan aveva rischiato di perderci la vita, tramortito da un colpo di pistola al costato.

«Mi avevano fatta arrabbiare» rispondo freddamente, con un piccolo sorriso dipinto sulle labbra. «Io non sono un'assassina, ma posso diventarci se fai del male a chi mi sta a cuore.»

Lo schiaffo di mio padre s'impatta sulla mia pelle in modo del tutto inaspettato. Ed è un gesto così violento e forte che mi mozza il respiro e tutte le parole che ci erano appese dentro. «Sei così umana!» mi grida contro, con una forza spaventosa e raccapricciante. Con un braccio mi trascina giù dalla brandina e mi conduce personalmente di fronte alla grande sedia in legno posta al centro della stanza. Nel farlo, richiama anche Russell, finora rimasto in silenzio a riflettere su quanto si fosse avvicinato alla morte negli ultimi dieci minuti. «Dobbiamo risolvere al più presto questa situazione. Porta qui il carrello dell'elettroshock. Stavolta faremo le cose a modo mio.»


Angolo dell'autrice.

Sono scomparsa da un bel po', ne sono consapevole e mi sento in colpissima. Chi scrive sa cosa vuol dire "blocco dell'autore", e credo proprio che questo termine faccia al caso mio. Sono diversi mesi che non trovo il tempo per farlo, nonostante sia piena di idee e buoni propositi. Sto attraversando un periodo della vita piuttosto frenetico, e il poco tempo libero che ho lo uso per rilassarmi completamente. Mi manca tantissimo scrivere, per questo sto cercando di sforzarmi e ritagliare lo stesso dei momenti liberi di tempo per aggiornare. Spero che possiate sempre pazientare, perché Hybrid continuerà!

Per il momento godetevi questo capitolo, che avrà un continuo sempre dal punto di vista di Abby. Alla prossima, che spero davvero davvero tanto che sarà prima di quanto speriate ❤ 

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