Touch My Skin Just To Find A...

By meetmeintheblue

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Dover abbandonare la tua quotidianità da un giorno all'altro è qualcosa che fa paura. Ti ritrovi senza le sic... More

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By meetmeintheblue

A un amore che riesce a sbocciare sempre.

A Louis, che sa amarlo da vivere.

A Harry, che è la sua forza.

In questa vita e in tutte le altre.




Louis inspirò il fumo della sigaretta mentre, appoggiato al fianco del suo Range Rover nero, guardava verso la casa di sua madre. Non ricordava quante ne avesse fumate quel giorno, ma dovevano essere molte, dal momento che quello che stava stritolando nell'altra mano non era il primo pacchetto della giornata.

Jaxon sarebbe rimasto molto infastidito nel percepire il forte odore di fumo e tabacco che aveva sicuramente impregnato il suo completo grigio da lavoro, nonché il suo fiato. Lo sapeva bene. Per quello cercava sempre di controllarsi, non fumandone mai più di tre o quattro al giorno, cercando di placare la voglia con gli appositi chewin-gum. Ma in giornate come quella, fumare era una necessità alla quale gli era impossibile sottrarsi.

Gettò con stizza il mozzicone per terra, allungando le braccia fino a posare le mani sul tettuccio dell'auto.

Avrebbe dovuto capirlo già quella mattina, quando la sveglia non aveva suonato ed era dovuto uscire di casa in fretta e furia - senza la sua dose di caffeina mattutina o sarebbe sicuramente arrivato in ritardo in banca - che la giornata si sarebbe rivelata una di quelle da dimenticare. Doveva prevederlo, così da essere preparato a contrastare le cattive notizie.

O forse, non era così.

Forse non c'era un modo per essere sempre pronti a gestire gli imprevisti. Si doveva semplicemente accettarli e provare ad affrontarli.

Il punto era: ne sarebbe stato in grado anche quella volta?

Non ne era sicuro.

A dire il vero aveva smesso di avere certezze già da parecchio tempo; quando le aveva viste sgretolarsi una ad una di fronte ai suoi occhi, impotente, non potendo fare niente per salvarle.

Sospirò, infossando il capo nelle spalle e lasciandolo crollare in avanti. Sentiva un peso enorme gravare sulle sue spalle e sostenerlo incominciava ad essere veramente arduo.

Socchiuse gli occhi, riportando la sua mente a ciò che era successo solo poche ore prima.



Dopo il quarto giro dell'isolato, finalmente riuscì a trovare un parcheggio.

Diede una rapida occhiata al cruscotto dell'auto, imprecando a denti stretti quando si rese conto che erano già trascorsi più di venti minuti della sua ora e mezza di pausa pranzo, e scese poi velocemente dalla macchina, correndo letteralmente verso l'ingresso dello studio medico. Aveva i minuti contati, ma la serietà del tono di voce del dottor Pearson, durante la telefonata improvvisa della sera prima, l'aveva talmente turbato da accettare l'appuntamento per quell'ora.

«Buongiorno, Louis. Mi scuso ancora per aver dovuto disturbarla in questo orario non proprio comodo, ma non avevo altri orari liberi e mi premeva parlarle il prima possibile».

«Non si preoccupi. Piuttosto, mi dica: cos'è tutta questa urgenza di vedermi?»

L'uomo attese che Louis si fosse seduto, su una delle poltroncine color panna poste di fronte alla sua scrivania, prima di riprendere la parola.

«Non ho buone notizie da darle. Ho verificato l'esito degli ultimi esami di Jaxon e mi spiace dirlo, ma non ci sono miglioramenti. Anzi... la situazione sta peggiorando, Louis».

Deglutì a vuoto, sentendosi precipitare e mancare la terra sotto i piedi, nonostante fosse comodamente seduto.

Quelle parole non avrebbe mai voluto sentirle. Erano sempre state il suo terrore più grande in quegli ultimi anni, perché sapeva bene che un giorno o l'altro sarebbero potute diventare realtà.

«Ne è sicuro?» mormorò timoroso, consapevole che il medico non avrebbe mai scherzato sulla salute dei suoi pazienti. Solo non si aspettava una diagnosi del genere. Era abbastanza consapevole che non ci fossero stati miglioramenti in Jaxon, per quanto avesse pregato affinché invece accadesse. Ma non credeva che fosse addirittura peggiorato.

«Purtroppo sì. E questo vuol dire che le terapie fino ad ora adottate non sortiscono alcun effetto. Non ci resta altro da fare che sospenderle, Louis».

Strabuzzò gli occhi.

«S-sospenderle? Ma non può... Jaxon non riuscirà mai a migliorare senza cure. Non si può arrendere. Mi aveva promesso che avremmo tentato l'impossibile, se necessario!»

Batté un pugno sul bracciolo della poltroncina, cercando in quel modo di frenare l'impulso di prendere tra le mani uno dei soprammobili presenti su quella scrivania e scaraventarlo contro la parete.

«Si calmi, per favore. Non è mia intenzione farlo».

«Ma lei ha appena detto che - »

«Dire che dobbiamo sospendere le terapie che gli stavamo praticando, non significa che io abbia deciso di arrendermi. È però chiaramente inutile insistere per questa strada, quindi ho cercato una soluzione e credo di essere giunto a una nuova conclusione».

Restò fermo a fissare l'espressione del medico, finché non riuscì ad elaborare le sue parole e capire che c'erano ancora speranze.

Congiunse le mani portandosele davanti alla bocca.

«Bene. Ok, mi dica di cosa si tratta. Sono disposto a tutto, lo sa».

«Ha mai sentito parlare dell'ippoterapia?»

Scosse il capo. No, quel termine non gli ricordava nulla.

«Come suggerisce la parola stessa, si tratta di una terapia incentrata sull'uso dei cavalli».

Cavalli. Cosa diamine c'entravano, adesso, i cavalli con la sindrome di Jaxon?

«Mi perdoni, mi sta dicendo che lo devo iscrivere ad un corso di equitazione?»

Il dottor Pearson sorrise affettuoso, scuotendo il capo.

«Oh no, decisamente no. L'ippoterapia non ha nulla a che vedere con l'equitazione. Jaxon non deve diventare un cavallerizzo, ma semplicemente instaurare un legame con il cavallo» spiegò professionale «È studiato che questi animali possiedono delle specifiche peculiarità, molto utili ai pazienti affetti da autismo. La conoscenza del cavallo rinforza la fiducia reciproca, comporta un miglioramento nel controllo su paure e ansie e motiva la persona a comunicare anche con gli altri esseri umani».

Louis ascoltò attentamente il discorso, domandandosi come fosse possibile che, cavalcare un cavallo, potesse servire a combattere l'autismo.

«E lei ci crede? Si fida dell'efficacia di questa terapia?»

«Non la proporrei, se non ci credessi. Non crede?»

Annuì. In effetti la sua era stata una domanda alquanto stupida, ma la sindrome di Jaxon lo rendeva talmente insicuro da metterlo nella condizione di non fidarsi più di niente e nessuno.

«Ho già avuto dei pazienti ai quali ho suggerito l'ippoterapia e i risultati sono stati soddisfacenti».

«Va bene. Proviamo, allora. Conosce già dei posti, qui vicino, a cui possa rivolgermi?»

«Ovviamente conosco un posto, ma non si trova qui a Toronto».

Naturalmente. Immaginava ci fosse quantomeno bisogno di un maneggio per poter praticare quella terapia e, sicuramente, avrebbe dovuto andare fuori città per trovarlo.

«Questo è ciò a cui mi riferisco».

Prese tra le mani l'opuscolo che il dottor Pearson gli porse e quando lesse dove si trovasse quel posto, sbiancò.

Sweet Carolina.

Conosceva bene quel luogo, disperso tra le montagne e i laghi, a nord della città. Ci volevano almeno tre ore di viaggio per raggiungerlo, senza considerare la possibilità di trovarsi bloccati nel traffico.

Quando era più piccolo i suoi genitori avevano deciso di trascorrere lì un breve weekend. Se lo ricordava bene perché era difficile dimenticarsi di un posto così tranquillo, isolato e abitato da poche persone.

Non gli era piaciuto, allora, e l'idea di doverci tornare non lo entusiasmava di certo. Louis era sempre stato un tipo a cui piaceva essere circondato dal caos e dalla frenesia della città. Era strano, forse, ma niente era capace di trasmettergli tranquillità come la città.

Probabilmente perché in una metropoli come Toronto ogni comfort era a portata di mano e lui sapeva bene che se Jaxon avesse avuto bisogno di qualsiasi aiuto, lì lo avrebbe trovato senza troppa difficoltà.




Scosse il capo. Forse parlarne con sua madre l'avrebbe aiutato.

Infilò il pacchetto di sigarette spiegazzato nella tasca della giacca e andò a suonare il campanello.

Non fece nemmeno in tempo a premere il pulsante che la porta di casa si aprì, rivelando la figura di Johannah, sempre avvolta in abiti che la rendevano ancora più bella di quanto già non fosse.

«Mi stavi tenendo d'occhio?»

Sorrise, allungandosi per stamparle un bacio sulla guancia, mentre lei si scostava per lasciargli lo spazio per entrare.

«Riconosco il rumore della tua macchina, ma vedendo che tardavi a suonare, mi sono affacciata alla finestra. Cosa è successo, tesoro?»

Louis aveva sempre apprezzato la capacità di sua madre di cogliere al volo ogni suo stato d'animo.

«Fammi salutare Jaxon, prima».

Si addentrò in casa, procedendo sicuro verso il soggiorno. Quella era l'ora del cartone animato sui dinosauri e se c'era una cosa che non era cambiata, da quando era sopraggiunta la sindrome, era proprio la passione del bambino per quel cartone. E proprio come si aspettava, Jaxon se ne stava seduto a gambe incrociate di fronte al grande schermo.

Non si voltò a guardarlo, ma Louis sapeva che si fosse accorto della sua presenza.

S'inginocchiò al suo fianco, stringendolo tra le braccia e baciandogli i fini capelli castani.

«Ciao cucciolo».

Nessun saluto da parte del piccolo. Non un abbraccio e nemmeno un bacio. Quasi faticava a ricordare l'ultima volta che gliene aveva dato uno.

Si lasciò abbracciare, però, posando il capo sulla sua spalla e Louis sorrise perché aveva ormai imparato che quello fosse il suo modo personale per fargli capire che fosse felice di vederlo.

«Tutto bene oggi con la nonna?»

Lo vide imbronciarsi e scostarsi appena dal suo corpo.

«Mi dispiace. Lo so che puzzo di fumo e che questo ti infastidisce, ti chiedo scusa. Per farmi perdonare, stasera hamburger e patatine, ok?».

Sospirò di sollievo quando lo vide tornare ad appoggiarsi contro il suo petto, limitandosi a voltare il capo dall'altra parte; l'idea di proporgli il suo cibo preferito, era sempre vincente. Non era sicuro sarebbe stato in grado di sopportare una delle sue crisi di urla, altrimenti.

«Vado a parlare un attimo con la nonna. Faccio veloce e poi andiamo a casa».

Lo baciò un'altra volta sul capo, prima di alzarsi e raggiungere Johannah in cucina. Si lasciò cadere sulla sedia a capo tavola e le raccontò tutto ciò che gli aveva riferito il medico.

Johannah era rimasta in silenzio per tutto il tempo, limitandosi ad ascoltare ogni parola, assimilandole e, al tempo stesso, pensando al discorso adatto da rivolgere a suo figlio per calmarlo e consigliarlo.

«Boo, non essere così catastrofico. Sono certa che la cosa non sia così impossibile come la definisci tu».

«Mamma stiamo parlando di Sweet Carolina, capisci? Non è esattamente dietro l'angolo e non si tratta di un semplice weekend. La terapia per Jaxon durerebbe qualche mese... come posso lasciare Toronto per così tanto tempo? E chi mi garantisce che, comunque, possa servire realmente a qualcosa?»

Si passò una mano fra i capelli, frustrato. Era stanco, davvero stanco. Era da troppo tempo che i suoi occhi non si liberavano più di quei cerchi scuri al di sotto della palpebra inferiore.

La donna gli prese le mani tra le sue.

«Nessuno può garantirtelo, tesoro. Ma cos'hai da perdere? Il dottor Pearson ti ha chiaramente detto che così non funziona. Devi provare, Louis. Devi farlo per tuo figlio».

«Ma come faccio con il lavoro? Ho una posizione di tutto rispetto alla Royal Bank of Canada, una della più grandi banche del Paese, come pensi che io abbia la possibilità di lasciare il mio posto per tanto tempo?»

«Non lo so, ma potresti provare a parlarne con i tuoi superiori. Dopotutto si tratta della salute di tuo figlio. Jaxon viene prima di tutto e sono certa capiranno».

Si sfregò il volto con le mani, spingendo poi indietro la sedia e sporgendosi per riuscire a vedere Jaxon ancora seduto sul tappeto, con il viso rivolto alla televisione.

Lo sapeva che lui veniva prima di tutto. Era così da quando quella piccola creaturina era venuta al mondo quattro anni prima, riempiendogli la vita di amore, e lo era diventato ancora di più da quando gli avevano diagnosticato l'autismo.

Agli occhi della gente, aveva dovuto rinunciare a tanto. A 24 anni non pensava di certo a un figlio, ma Jaxon era arrivato, inaspettato come un fulmine a ciel sereno, e lui si era innamorato non appena aveva visto i suoi occhi, così identici ai suoi, mentre lo proteggeva per la prima volta tra le sue braccia.

Non era mai stato un peso, per lui, rinunciare alle serate festaiole con il gruppo di amici per stare a casa con suo figlio. Anzi, Louis amava trascorrere il tempo insieme al suo bambino. Anche se Jaxon non lo abbracciava mai o non gli rivelava mai quanto bene gli volesse, lui sapeva di essere corrisposto. Era certo di essere l'amore più grande nella sua vita, proprio come Jaxon lo era per lui.

Semplicemente, più il tempo passava, più diventava difficile gestire la situazione. E Louis non voleva deludere suo figlio perché sapeva che il bambino si fidava ciecamente di lui.

«Vorrei tornasse a stare bene» soffiò con voce tremante, sprofondando poi nel caldo e amorevole abbraccio di sua madre.

Non gli sembrava di chiedere poi molto.





«Mi raccomando, solo sogni d'oro stanotte cucciolo» gli raccomandò, sistemandogli le coperte e chiudendogliele bene ai lati del suo corpicino. A Jaxon piaceva così, avvolto in esse come fosse costretto in un bozzolo.

Il bambino si sfregò l'occhio con un pugno chiuso, arricciando appena il nasino, mentre Louis gli accarezzava premurosamente il capo. Ogni volta che posava gli occhi su suo figlio, il proprio cuore accelerava irrimediabilmente il battito.

«Papà si fa una doccia e poi ti raggiunge» lo informò, posandogli un bacio sulla fronte.

Si sollevò, raggiungendo la porta e voltandosi un'ultima volta a guardarlo. Sorrise nel vederlo così piccolo in quel grande letto matrimoniale. Non era mai riuscito a far dormire Jaxon nel proprio letto, nella stanza di fronte. Condividevano quel letto ogni notte da quando era nato e Louis doveva ammettere che l'eventualità di tornare a dormire da solo, in futuro, non lo allettava affatto. Jaxon era l'unica persona in grado di scaldargli il cuore, ormai.

Abbassò il capo, sospirando pesantemente.

Non sarebbe stato facile lasciare casa.






****






Sua madre aveva avuto ragione. Come sempre, d'altra parte.

Quando Louis aveva chiesto una riunione privata con i propri superiori e aveva spiegato loro la situazione, Randy e Caleb non avevano tentennato un solo minuto, prima di concedergli i quattro mesi d'aspettativa da lui richiesti. Quello, infatti, era il lasso di tempo che il dottor Pearson aveva stipulato fosse necessario per ottenere buoni risultati da quella nuova terapia.

A Louis era preso un colpo al cuore: prendere un'aspettativa significava mantenere il posto di lavoro senza ricevere stipendio, ma fortunatamente in quegli anni aveva messo da parte soldi a sufficienza per potersi permettere una vita tranquilla.

Appena Jaxon era nato, aveva sentito sulle spalle un'enorme responsabilità nei confronti di quell'innocente creatura. Era bastato sorreggerlo tra le proprie braccia e vederlo stringere il pugnetto attorno al suo pollice per capire che per quel bambino avrebbe dato l'anima, se necessario.

E così era stato.

Non aveva perso tempo a terminare gli studi in Università con il massimo dei voti, riuscendo poi ad ottenere un piccolo impiego all'interno della Banca in cui oggi, a distanza di tre anni, godeva di un posto manageriale invidiato da molti. Aveva lavorato sodo, in quegli anni, per conquistare la fiducia di due uomini dediti al lavoro come Randy e Caleb, ma aveva cercato di essere sempre un genitore presente.

Tante volte si era ritrovato a piangere al telefono con sua madre, nel cuore della notte, lontano dalle orecchie innocenti di suo figlio; nel petto, sempre il timore di commettere qualche passo falso o di star trascurando troppo Jaxon. In quei momenti, Johannah lo obbligava sempre a prepararsi una tazza calda di the, mentre lei faceva lo stesso dall'altro capo del telefono, e poi lo rassicurava come solo una madre era sempre in grado di fare.

Quando lesse il cartello stradale che lo informava di essere entrato all'interno dei confini di Sweet Carolina, rabbrividì.

Non riusciva a sentirsi al sicuro, lì. Troppo silenzio, troppi spazi vuoti, troppe praterie.

Lanciò uno sguardo verso lo specchietto retrovisore, scorgendo Jaxon addormentato nel suo seggiolino. Fortunatamente non si era agitato in modo eccessivo durante il tragitto; Louis era riuscito a tenerlo calmo con un po' di karaoke improvvisato e una breve sosta per mangiare qualcosa.

Seguì in silenzio le direttive del proprio navigatore, giungendo quasi alla fine del paese, prima di scorgere il maneggio che il dott. Pearson gli aveva suggerito.

Sorrise nel vedere la scritta Styles' Farm incisa nella tavola di legno, contornata da girasoli, che dava il benvenuto all'inizio del viale sterrato.

Si passò una mano fra i capelli, sospirando esausto.

Sperava vivamente che i proprietari fossero persone gentili e comprensive. Naturalmente dovevano esserlo, se il dottore li aveva caldamente consigliati e se avevano scelto di occuparsi di questo particolare e delicato tipo di lavoro; ma aveva smesso di fidarsi ciecamente delle persone dopo che quasi tutti gli avevano voltato le spalle, quando aveva dovuto cambiare stile di vita, focalizzando le sue energie sulla salute di suo figlio.

Non era facile mantenere rapporti con le persone quando Jaxon non permetteva loro di entrare a far parte della loro piccola famigliola. Non appena qualcuno osava frequentare la loro casa per più di qualche giorno, le crisi di Jaxon aumentavano drasticamente e per Louis diventava quasi impossibile gestirlo. Non che desiderasse allargare la famiglia, assolutamente; ma a volte avrebbe desiderato anche lui avere qualcuno che gli dedicasse un po' di attenzioni. Ma questo era decisamente un altro discorso.

Parcheggiò l'auto accanto a un pick-up blu, spegnendo il motore e sganciando la cintura di sicurezza.

«Coraggio, ometto. Siamo arrivati» annunciò, scendendo dall'auto per aprire la portiera posteriore.

Sul volto di Jaxon un cipiglio scuro.

«Ci troveremo bene» mormorò, più a se stesso che al figlio, liberandolo dalle cinghie del seggiolino e posandolo a terra.

Recuperò dal baule le loro due valigie; Louis non era di certo famoso per la sua capacità di selezionare le cose da portare con sé, quando si trattava di dover lasciare casa, in più quattro mesi erano davvero tanti e lui, per sicurezza, aveva preferito eccedere piuttosto che rischiare di dover poi comprare qualcosa di nuovo.

La loro attenzione venne subito catturata da due figure femminili che, con ampi sorrisi, uscirono da quella che secondo lui aveva tutta l'aria di essere una stalla.

«Lei deve essere il Signor Tomlinson».

Una donna sulla quarantina, dai lunghi capelli neri, lo salutò cordialmente, porgendogli la mano destra dopo essersi fermata a pochi passi da lui.

Annuì, sforzando un sorriso per non far percepire loro il proprio disagio.

«Mi chiami pure Louis».

«Allora benvenuto, Louis. Vi stavamo aspettando. Come è andato il viaggio?»

«Solo un po' di traffico causato da un incidente sulla tangenziale, ma per il resto è filato tutto liscio» la informò, vedendola poi abbassare lo sguardo su Jaxon, il quale era rimasto fino a quel momento semi-nascosto dietro la sua gamba.

«Io sono Anne e lei è mia figlia Gemma, invece».

La ragazza dai capelli biondi, raccolti in un piccolo codino, gli sorrise smagliante.

«Benvenuti. Ci siamo premurate di farvi trovare in perfetto ordine la dependance che è proprio dietro casa nostra. Quello sarà il vostro alloggio per i mesi a seguire».

Lasciò vagare gli occhi in direzione del punto indicato dalla ragazza con la mano, scorgendo una piccola casetta, in legno e mattoncini rossi, dietro a quella decisamente più grande che doveva essere la loro dimora.

«Sarà perfetto».

«E questo bellissimo bambino, invece, come si chiama?»

Anne si inginocchiò di fronte al piccolo che, se possibile, indietreggiò maggiormente, nascondendosi totalmente dietro la figura del padre. Le sue manine strette saldamente attorno alle cosce tornite del maggiore.

«Non me lo vuoi dire?»

Anne finse un broncio, mentre Louis si piegava sui talloni, scostando dalla fronte i capelli dorati del figlio, che manteneva gli occhi azzurri sulla figura della donna. Attenti e preoccupati allo stesso tempo.

«Va tutto bene, amore» lo tranquillizzò, rischiando di perdere l'equilibrio a causa della veemenza con la quale il bambino gli getto le braccia al collo, nascondendo il viso contro il suo collo.

«Jaxon» mormorò poi, in un suono appena udibile che però riuscì a scaldare immediatamente il cuore di Louis.

Succedeva sempre così quando sentiva suo figlio parlare. Non era facile ricevere risposte da parte sua; era ancora uno dei tanti aspetti sul quale lui e il dottor Pearson stavano ancora lavorando.

La donna sorrise dolcemente, posandogli una mano sulla schiena per lasciargli una delicata carezza, ma scostandola immediatamente nel percepire i suoi muscoli irrigidirsi.

Un piccolo lamento uscì dalla sua bocca, mentre si premeva maggiormente contro il petto di Louis.

«Scusate. Ha sempre bisogno di un po' di tempo per ambientarsi quando ha attorno persone nuove che ancora non conosce» spiegò loro il maggiore, alzandosi in piedi e reggendolo fra le braccia.

Gli posò una mano sulla spalla, stringendola con fare materno.

«Non preoccuparti, Louis. É normale che reagisca così, ma avrà tutto il tempo necessario per imparare a conoscerci» lo rassicurò premurosa «Perché non andate a sistemarvi adesso? Sarete sicuramente stanchi. Posso prepararvi qualcosa per cena».

«Se non ne avete a male, per questa sera passeremmo. Ci siamo fermati prima di entrare in paese per mettere qualcosa sotto ai denti» voltò appena il capo, lasciando un bacio sulla testolina bionda appoggiata sulla sua spalla «Una bella doccia e poi lo metterei a letto. É abbastanza stanco».

La donna si affrettò a scuotere subito il capo.

«Nessun problema, davvero. Vi lascio tranquilli e permetto a Gemma di accompagnarvi alla dependance» guardò l'orologio che aveva al polso, sorridendo flebilmente «Mio figlio sta tornando a casa e devo preparare la cena. Chi lo sente , altrimenti».

Louis scoppiò a ridere, affrettandosi poi a ringraziarla, prima di vederla correre verso la porta di casa.

Recuperò da terra il proprio trolley, mentre Gemma lo scortava verso la piccola casetta in legno, occupandosi della valigia di Jaxon.

«Questa è la chiave della dependance» lo informò, mostrandogli la chiave rossa «Mentre questa gialla è quella del cancello all'inizio del viale. A volte mio fratello preferisce chiuderlo. Non si sa mai».

Lasciò che Gemma accendesse le luci della casa, prima di avanzare all'interno e guardarsi attorno: alla sua sinistra c'era il salotto composto da due divani a due posti, in color crema, disposti uno frontale e l'altro laterale; un grande tappeto morbido tra loro e un mobile di legno chiaro con credenza, libreria e lo spazio per la televisione. Proseguì di alcuni passi fino a sporgersi oltre la porta scorrevole a destra che divideva il soggiorno dalla cucina, i cui pensili erano di una tenue tonalità verde pastello, che si sposava perfettamente con il tavolo in legno di noce, e che si abbinava ai cuscini posti sulle sedie e sulla cassapanca ad angolo.

«Oltre quella porta, c'è ovviamente la zona notte e il bagno».

Diede un rapido sguardo in direzione del breve corridoio delimitato appunto dalla porta che le aveva appena indicato la ragazza.

Era piccola.

Niente a che vedere con l'attico in cui vivevano a Toronto, ma in fondo era meglio così. Quell'appartamento, che all'epoca gli era parso perfetto per ospitare la famiglia che si sarebbe col tempo costruito, era diventato invece troppo grande, da quando la vita aveva drasticamente cambiato i suoi piani.

«Ci sono delle coperte in più nell'armadio della stanza padronale, nel caso dovesse averne bisogno. E se ci fosse la necessità di accendere la stufa in salotto, non devi che chiedere».

«È tutto perfetto, ti ringrazio» le sorrise debolmente, lanciando poi un'occhiata a Jaxon che si era seduto sul tappetto, sfregando le mani sulla pelliccia.

«Spero sia finta».

Gemma ruotò il busto all'indietro alcuni istanti, tornando a guardarlo una volta capito a cosa si riferisse.

«Assolutamente. Amiamo gli animali, mio fratello in particolar modo. Non ci permetterebbe mai di comprare un tappetto di vera pelliccia di orso. Puoi stare tranquillo».

Sospirò di sollievo. L'idea di averne una vera per casa, non lo entusiasmava affatto. Tanto più pensare che Jaxon la accarezzasse senza sapere esattamente cosa fosse.

Anche lui era sempre stato un animalista convinto, nonostante il suo massimo contatto con gli animali si riducesse ad un semplice pesciolino rosso. L'aveva comprato per Jaxon, con la speranza che potesse servire per risvegliare in lui un qualche interesse.

Ovviamente non fu così.

Evidentemente un pesce non era esattamente un animale che potesse attirare chissà quale curiosità, ma gli era sembrata la scelta più adatta, in quanto non richiedeva particolare impegno. Era durato poco più di un mese. Troppo preoccupato per la salute di suo figlio e per alcuni impegni di lavoro, e alla fine si era dimenticato di sfamarlo per una settimana intera.

Inutile dire che, dopo di lui, non si era più azzardato a comprarne un altro.

«Vi lascio soli ora. Domani mattina però vi aspettiamo per fare colazione. Harry era così dispiaciuto di non aver potuto essere qui ad accogliervi, stasera. Non vede l'ora di conoscervi. Per le 8 va bene?»

«Certo. Ci saremo».

Anche lui era piuttosto ansioso di conoscere colui che si sarebbe occupato di suo figlio in quei mesi e, in ogni caso, era piuttosto certo che non avrebbe potuto rispondere altrimenti all'invito di Gemma.

«Ottimo. A domani, allora. Buonanotte».

Lasciò una carezza sul capo del piccolo, prima di uscire dalla dependance.

Non fu affatto facile riuscire a far addormentare Jaxon, quella sera.

Anche senza esprimersi a parole, il bambino fu comunque in grado di dimostrare il suo disagio nel trovarsi in un ambiente totalmente nuovo e sconosciuto. Era riuscito a cedere alla stanchezza solo intorno a mezzanotte, dopo intere ore di pianti e urla incessanti.

Louis, invece, non era riuscito a imitarlo perché, quando l'agitazione lo investiva, non c'era verso di riuscire a chiudere occhio la notte. Per quello, attese che Jaxon fu finalmente tranquillo e profondamente addormentato, prima di dedicarsi alla sistemazione dei bagagli. Svuotò accuratamente le valigie, riponendole poi nell'armadio della stanza singola, che tanto non avrebbe utilizzato, e diede poi un'occhiata in cucina. Sia la dispensa che il frigorifero erano già stati riempiti con i generi di prima necessità e altri alimenti, garantendogli di non dover correre subito al supermercato.

La sua priorità era confrontarsi prima di tutto con Harry, per capire quando e in che modo si sarebbe svolta la terapia prevista; poi, avrebbe di conseguenza organizzato la sua giornata.

Il resto della notte, la trascorse sdraiato a letto ad osservare il suo bambino dormire, augurandosi che quella scelta, si rivelasse per loro un nuovo inizio.






****






Chi conosceva almeno un po' Louis sapeva benissimo quanto fosse allergico ai ritardi. Non sopportava le persone che non si presentavano con puntualità agli appuntamenti. Lo considerava una mancanza di rispetto e una dimostrazione di scarso interesse nei confronti di ciò che si doveva fare. Non importava di che genere fosse l'impegno in programma; poteva trattarsi di lavoro o semplicemente di un incontro tra amici, entrambi dovevano avere lo stesso tipo di considerazione e importanza.

Per quel motivo, la mattina successiva, stava per scoppiare.

Mancavano solo dieci minuti alle 8 e Jaxon non voleva saperne di vestirsi. Questo significava che avrebbero ritardato per la colazione e lui ne era enormemente infastidito.

«Jaxon, avanti tesoro, ci stanno aspettando per la colazione. Vieni a vestirti».

La voce gli uscì più esasperata del solito.

All'ennesimo richiamo, il bambino, che stava correndo incessantemente da diversi minuti avanti e indietro tra il salotto e la camera, si fermò per un attimo a guardarlo. Come al solito il suo viso era senza espressione, ma Louis gli rivolse comunque un sorriso incoraggiante, sollevando tra le mani la felpa leggera che aveva preparato per lui.

Jaxon fece per avvicinarsi, ma proprio quando stava per esultare internamente, lo sorpassò velocemente, riprendendo la sua corsa.

Sospirò, posando l'indumento sul letto e appoggiando sconfitto le mani sui fianchi.

Quei momenti erano veramente snervanti. Odiava non riuscire a farsi obbedire da suo figlio; lo faceva sentire un padre incapace. Tuttavia, non poteva fare a meno di provare anche un piccolo senso di gioia: quello era un capriccio e fare i capricci era una cosa tipica dei bambini, agli occhi di tutti non avrebbe avuto particolarmente importanza, ma per lui quello era un atteggiamento che non aveva nulla a che fare specificamente con la sua sindrome.

In quei momenti suo figlio era esattamente uguale a tutti gli altri e questo lo faceva inevitabilmente sentire un po' meglio. Riusciva a percepire ancora in sé la speranza che qualcosa migliorasse.

Scosse il capo e si arrese all'evidenza: Jaxon non si sarebbe mai vestito. Non in quel momento, almeno. E sapeva benissimo come, obbligarlo con la forza, avrebbe potuto far scatenare una crisi di pianto che non aveva nessuna intenzione di affrontare.

Lo raggiunse in salotto, catturandolo tra le braccia e sollevandolo in aria e sorridendo nel vederlo agitare veementemente le gambine.

«Va bene mostriciattolo, hai vinto tu stavolta. Ti lascio in pigiama, ma adesso andiamo a fare colazione. Non possiamo essere scortesi subito il primo giorno».

Prese la sua giacca che aveva appeso all'attaccapanni all'ingresso, posandola sulle spalle di Jaxon per coprirlo velocemente, e uscì dalla dependance.

Percorse i pochi metri che li separavano dall'abitazione principale e bussò energicamente alla porta. Ci vollero solo pochi secondi prima che venisse aperta, rivelando la figura di Anne ad accoglierli. I suoi occhi azzurri erano brillanti e il suo sorriso, così materno, gli ricordava tanto quello di Johannah.

«Buongiorno ragazzi. Vi stavamo aspettando».

Louis abbozzò un piccolo sorriso, oltrepassando la soglia e seguendola poi fino alla cucina. Restò decisamente sorpreso nel vedere la tavola imbandita con ogni prelibatezza.

«Non sapevo quali fossero i vostri gusti, perciò ho preparato un po' di tutto» si affrettò a spiegargli.

«Grazie, è stata molto gentile. Ma non doveva disturbarsi tanto, davvero. Forse avrei dovuto dirle ieri sera cosa mangiamo di solito. In questo modo, le avrei evitato troppo disturbo».

«Non ti preoccupare. A me piace molto cucinare, e ai miei figli mangiare, quindi è un piacere farlo» lo rassicurò, indicandogli poi il tavolo «Dai, accomodatevi senza troppi complimenti».

Louis le sorrise di rimando, facendo scorrere ancora una volta gli occhi sulle varie leccornie e percependo il suo stomaco brontolare dalla fame, prima di far sedere Jaxon su una delle sedie attorno al tavolo, prendendo poi posto al suo fianco.

«Latte, the, caffè? Cosa preferite?»

«Per Jaxon il latte, mentre io sono decisamente un tipo da the. Grazie».

Anne gli porse il bollitore con l'acqua calda, mostrandogli il recipiente con una vasta quantità di bustine per il the, premurandosi poi di versare del latte caldo nella tazza del bambino e abbassandosi alla sua altezza.

«Allora tesoro, ti va di assaggiare i miei pancakes?»

Jaxon la guardò per alcuni istanti, spostando poi lo sguardo su Louis, senza darle una risposta.

«Ehm... in realtà lui è abituato a mangiare i cereali al cioccolato. Io non sono un granché come cuoco e non ho mai tempo per dedicarmici troppo. Ci arrangiamo con cose più sbrigative».

Arrossì a quell'ammissione, mentre gli ritornavano alla mente le parole di sua madre. Johannah lo aveva sempre ripreso riguardo questo suo aspetto, certa che Louis dovesse trovare più tempo anche per quello e non solo per il suo lavoro. A parer suo, non era accettabile che un uomo della sua età non sapesse preparare nemmeno una omelette, senza bruciarla rovinosamente.

Anne, però, sembrò non giudicarlo particolarmente.

«Ho capito. Una bella porzione di pancakes per entrambi» sentenziò entusiasta, battendo le mani e voltandosi verso i fornelli.

Non fece in tempo a dirle che avrebbe assaggiato volentieri la torta al cioccolato e pere che aveva adocchiato fin da subito, che la voce squillante di Gemma lo anticipò.

«I pancakes di mia madre sono la fine del mondo, Louis. Non potete proprio rifiutarli» esordì raggiante, schioccando un rumoroso bacio sulla guancia della donna. «Sono la sua arma vincente, nessuno è mai riuscito a resistergli» rincarò la dose, prima di lasciare una tenera carezza sul capo di Jaxon e accomodarsi a tavola.

«Non statela a sentire. Gemma tende sempre a elogiare un po' troppo la mia cucina».

Anne posò due piatti ricolmi di pancakes ricoperti di sciroppo d'acero, davanti a lui e a Jaxon, porgendone poi un altro alla figlia. Louis doveva ammettere che fossero piuttosto invitanti e anche Jaxon doveva esserne rimasto colpito, dati i suoi occhi fissi su di essi a scrutarli luminosi.

Scrollò le spalle. «Dico semplicemente la verità. Buon appetito» augurò a tutti, addentando poi le sue frittelle.

«Avevo capito che ci sarebbe stato anche suo figlio, stamattina. Non lo aspettiamo?»

Onestamente, Louis era un po' sulle spine all'idea di incontrare Harry. Ne era in parte spaventato, come sempre accadeva quando doveva avere a che fare con nuove persone per la salute di suo figlio, ma era anche curioso di capire finalmente che persona fosse.

Anne e Gemma, per il momento, gli avevano fatto una bella impressione e sperava vivamente che la cosa si ripetesse anche con lui.

«Oh, non ti devi preoccupare. A Harry piace andare a correre la mattina. Sai è piuttosto fissato con lo sport e lo svolgere una vita sana, perciò, non appena è rientrato, è andato a farsi una doccia. Sono sicura che sarà qui tra pochi minuti».

Annuì a quella risposta, iniziando allora a tagliuzzare in piccole parti le frittelle del bambino. Notò con piacere che né Anne, né Gemma guardassero troppo Jaxon. Lui era ben consapevole che a suo figlio non piacesse sentirsi osservato durante i pasti: aveva bisogno del suo tempo per mangiare e quando le persone lo fissavano, lo portavano a reagire nella maniera opposta, rifiutandosi a volte perfino di mangiare. Perciò, fu felice di vedere che le due donne non lo mettessero in soggezione e lo trattassero normalmente. Evidentemente, era una cosa che avevano imparato con il tempo.

Trascorsero una decina di minuti, durante i quali terminò i pancakes di Anne che erano veramente squisiti come Gemma aveva rivelato. E stava giusto per complimentarsi con la donna, quando venne distratto da un rumore, proveniente dal salotto, e da una voce maschile.

«Fermati Diuk. Non puoi fare così tutte le volte che abbiamo ospiti per casa».

Non fece in tempo a voltare lo sguardo verso l'ingresso della cucina per capire cosa stesse succedendo, quando venne investito da un grosso cane bianco.

«Diuk!» urlò Anne, balzando dalla sedia, mentre il cane troneggiava sul corpo di Louis: le zampe anteriori appoggiate sul suo petto e il naso umido che lo odorava ovunque.

Sgranò inizialmente gli occhi, leggermente spaventato da quel cane di taglia fin troppo grande a suo giudizio, prima di rendersi conto come fosse del tutto innocuo. Tentò quindi un approccio, mostrandogli il palmo della mano e sorridendo nel vedere il cane annusargliela piano, prima di leccargliela.

«Maledizione. Vieni qui, Diuk».

Fu un breve contatto, però, perché udendo il tono severo del suo padrone, il cane si staccò velocemente da Louis, posando tutte e quattro le zampe a terra e raggiungendo scodinzolando il ragazzo in piedi sull'uscio.

«Sei un cane cattivo. Quante volte te lo devo dire che non è questo il modo di accogliere le persone?»

Louis si sistemò la maglia che il labrador aveva sgualcito, prima di sollevare il capo e vedere finalmente Harry.

Era un ragazzo giovane, più o meno della sua età - ne era certo - anche se decisamente più alto di lui. Rimase piuttosto incuriosito dai capelli ricci che portava lunghi fino a sfiorare le spalle, e semi raccolti da un mezzo bun. Non aveva mai apprezzato molto i capelli lunghi sui ragazzi. Era decisamente più una cosa da donne quella, ma doveva ammettere che su Harry non stessero poi così male.

Osservò come l'espressione scura in volto, che stava rivolgendo al cane per rimproverarlo, formasse una linea dura tra le sue sopracciglia. Ma non durò a lungo, perché bastò che Diuk gli leccasse la mano, per far distendere i muscoli del suo volto in un dolce sorriso, impreziosito da due piccole fossette sulle guance.

I suoi occhi erano verdi, ma i suoi lineamenti erano così simili a quelli della madre.

«Sei un ruffiano, Diuk. Mi rendi davvero impossibile arrabbiarmi con te» sentenziò, accarezzandogli energicamente il collo.

«Sei tu che non sai farti rispettare, Haz e lui ha capito che ci vuol davvero poco ad abbindolarti» scherzò Gemma, strizzando l'occhio a Louis, che si era voltato verso di lei, divertito dalla sua battuta.

«Ebbene, lo ammetto. Mi si compra davvero con poco, lo so» ridacchiò, sollevando le mani in segno di resa e avvicinandosi al tavolo.

«Piacere, io sono Harry. Voi siete Louis e Jaxon, dico bene?»

«Siamo proprio noi».

La sua stretta era forte e a Louis piaceva quella caratteristica: l'aveva sempre ritenuto un segno di sicurezza.

Poi, Harry si accovacciò accanto alla sedia del bambino, guardandolo sorridente.

«Pancakes. Sei un buongustaio, campione».

Rubò un pezzo delle frittelle del bambino e si andò a sedere sull'unica sedia rimasta vuota a capo tavola. Jaxon lo seguì con lo sguardo incuriosito.

«Poi ti chiedi da chi abbia preso Diuk. Ti sembra educato rubare il cibo a un bambino, tesoro?» lo rimproverò scherzosamente Anne, porgendogli il suo piatto con il dolce e la sua tazza di caffè nero.

Harry accennò un piccolo broncio.

«Ma me l'ha offerto lui, non è vero Jaxon?»

Louis osservò con apprensione suo figlio, non del tutto convinto che quello fosse un approccio vincente, dal momento che Jaxon difficilmente interagiva con qualcuno. Ancor meno con chi non conosceva.

Lo accarezzò sulla schiena in segno d'incoraggiamento, rimanendo stupito quando il bambino si sporse verso Harry, allungando la forchetta verso il suo piatto e infilzando un pezzo dei pancakes del ragazzo, mangiandoselo poi con gusto.

Ci fu un momento di silenzio generale. Evidentemente, Jaxon aveva sorpreso anche gli altri e non solamente lui con quell'azione. Poi scoppiarono tutti a ridere di gusto, rendendogli impossibile non unirsi a loro.

«Ben ti sta, fratellino».

«È proprio vero che: chi la fa, l'aspetti» fu pronta a ribattere Anne.

Louis, invece, si avvicinò a lasciare un bacio sul capo del suo bambino, orgoglioso di quella sua piccola iniziativa. In quei momenti, il suo cuore scartava sempre un battito.

Incrociò per un attimo gli occhi di Harry. Erano davvero verdi e grandi, ma soprattutto erano dolci. Sembravano essere proprio gli occhi di una persona buona. e quel simpatico inizio riuscì a tranquillizzarlo un po' di più.

Forse quell'esperienza sarebbe davvero servita a qualcosa.



Al termine della colazione, Gemma salutò tutti per andare al lavoro. In quel poco tempo, aveva scoperto che lavorasse presso lo studio dentistico del paese e che il suo turno iniziava, ogni mattina, alle 9.

E mentre Anne incominciò a sistemare la cucina, Harry decise di raccontargli un po' di sé. Gli spiegò quanto amasse gli animali, in particolar modo i cavalli, fin da quando era piccolo. Aiutato anche dal fatto di aver sempre vissuto in mezzo a loro, visto che la scuderia era un tempo di proprietà dei suoi nonni materni. Lo informò riguardo i suoi studi di psicologia e della specializzazione nel ramo riguardante proprio i disturbi comportamentali dei bambini. Alla fine, la scelta di accomunare le sue due più grandi passioni era sembrata la cosa più giusta da fare. E così era diventato uno psicoterapeuta infantile che applicava l'ippoterapia come terapia di cura all'autismo.

Non gli passarono inosservati gli occhi pieni di orgoglio di Anne, mentre ascoltava suo figlio parlare.

Harry aveva solamente 25 anni, ma sembrava davvero essere ben consapevole di tutto ciò che diceva e di ciò che il suo lavoro comportasse. Tuttavia, era molto giovane e Louis non poteva non ammettere a se stesso che la cosa lo spaventasse un po'. Avrebbe preferito avere a che fare con qualcuno di più grande ed esperto, ma sapeva anche che il dottor Pearson non l'avrebbe mai mandato allo sbaraglio, senza avere la certezza che queste persone sapessero fare il proprio dovere.

«Di quanti casi vi occupate, durante l'anno?»

Harry fece cadere un pezzetto di torta alle mele nella bocca di Diuk, prima di tornare a rivolgergli la sua completa attenzione.

«La terapia prevede una durata di quattro mesi a bambino, quindi solitamente riesco a seguirne almeno tre all'anno. Ma ovviamente ogni caso è diverso dall'altro, a volte un bambino ha necessità di più tempo per raggiungere gli obiettivi prestabiliti».

«Inoltre Harry non si dedica mai a più casi contemporaneamente» intervenne Anne «Non sarebbe efficace al fine della terapia».

«No, infatti. Il bambino che decido di seguire ha bisogno di tutta la mia dedizione».

Louis annuì pensieroso, abbassando lo sguardo. Chissà se Jaxon avrebbe avuto bisogno di più tempo di quei quattro mesi. Chissà se avrebbe dovuto restare lontano dalla sua Toronto per molto più tempo di quanto pensasse.

Si passò una mano fra i capelli, sospirando. Era già abbastanza agitato di suo, il non essere riuscito a toccare una sigaretta dal mattino precedente, quando si erano messi in viaggio, non lo aiutava di certo.

«Tesoro, perché non li porti già nella stella e mostri loro i nostri cavalli?»

Anne posò una mano sulla spalla di Harry, esortandolo gentilmente. Louis le sorrise grato per aver percepito il suo momento di difficoltà. Non sapeva bene come spiegarlo, ma aveva la netta sensazione che Anne gli sarebbe stata davvero di supporto in quell'arco di tempo.

Imitò Harry, alzandosi anche lui dalla sedia e allungando una mano a Jaxon, intimandolo di seguirlo.

Si irrigidì, quando il bambino colpì con uno schiaffò la sua mano, voltando poi lo sguardo dall'altra parte e picchiandosi le mani sulle ginocchia. Quelli erano, senza ombra di dubbio, gli atteggiamenti che più lo ferivano. Davvero, Louis aveva ormai imparato a convivere con la continua apatia di suo figlio e l'assenza di troppe manifestazioni di affetto nei suoi confronti; ma quei comportamenti, quelle azioni di rifiuto e lontananza, a lui che lo amava più della sua stessa vita, gli procuravano sempre una ferita al cuore. Perché nonostante fosse consapevole che non erano fatti volontariamente per fargli del male, era pur sempre suo figlio ad agire in quel modo.

Inoltre, essere in pubblico rendeva il tutto ancora più doloroso. Louis l'aveva vista per troppo tempo la pena negli occhi delle altre persone.

Cercò di non badare al nodo che gli stava chiudendo la gola, abbassandosi alla sua altezza. «Coraggio amore, andiamo a vedere i cavalli» tentò nuovamente, con voce dolce, accarezzandogli un braccio.

Fu un istante, prima che la manina di Jaxon collidesse malamente con la sua guancia. E Louis lo sapeva che doveva esserne ormai abituato, ma non riusciva. Era più forte di lui. Non avrebbe mai accettato che suo figlio alzasse le mani con lui. Nemmeno se non si rendeva effettivamente conto di che tipo di gesto aveva compiuto verso di lui.

Indurì la mascella, rialzandosi e afferrando con forza Jaxon da sotto le ascelle, non badando alle sue urla e resistendo ad ogni suo tentativo di colpirlo. Non fece una piega nemmeno quando sentì le unghie corte premergli alle base del collo, provocandogli dei piccoli graffi superficiali.

In quei momenti non vi era mai alcun verso di farsi ascoltare.

Non notò lo sguardo preoccupato che Anne lanciò ad Harry, il quale non perse tempo a lasciarle un bacio sulla guancia e seguire i due fuori di casa.

Nonostante Harry facesse quel lavoro da circa tre anni, e avesse assistito a più svariati atteggiamenti da parte di quei bambini, non riusciva a non rimanerne sempre un po' dispiaciuta. Lei era stata fortunata, aveva due figli che fin da piccoli non avevano mai mancato di farla sentire la persona più importante della loro vita. Di questo ne sarebbe sempre stata grata.

Quando raggiunsero la stalla, Jaxon sembrava finalmente essersi calmato. Certo, non prestava assolutamente ascolto a ciò che Harry stava spiegando loro, mentre passava in rassegna tutti i cavalli che possedevano, ma almeno non lo stava più facendo disperare.

«Non sono troppo grandi, questi cavalli, per un bambino di quattro anni?» domandò, genuinamente preoccupato.

Harry non riuscì a trattenere una debole risata, mentre accarezzava il muso di un cavallo dal manto nero. «Louis, non metterò tuo figlio su un cavallo come Phoenix. Se è questo che ti preoccupa».

Louis lo guardò accigliato. «Phoenix?»

Scrollò le spalle, sporgendosi poi a schioccare un bacio sul muso del cavallo. «Lui è Phoenix. Ero un grande fan de ''I Cavalieri dello Zodiaco''» spiegò semplicemente.

Louis si coprì la mano con una bocca, soffocando a stento una risata.

«Non è divertente» lo guardò storto il più giovane, cominciando ad avanzare verso la grande porta verde che li avrebbe condotti all'interno del maneggio.

«Perdonami. Comunque, lo guardavo anche io quel telefilm».

«Aveva il suo perché» rispose Harry, schiarendosi poi la voce «Per i bambini come Jaxon, comunque, usiamo i pony».

Louis annuì. Ok, i pony sembravano già una scelta più ragionevole.

Lo seguì all'interno del maneggio, vedendo Jaxon guardarsi attorno attentamente. Era snervante non riuscire mai a decifrare le espressioni.

«Quello laggiù è Niall. É l'amico di una vita e lavora con noi da quando abbiamo deciso di aprire questa attività. Tiene corsi di equitazione».

Guardò un'ultima volta Harry, al suo fianco, prima di seguire il suo sguardo e incontrare un piccolo gruppo di ragazzi in sella ai propri cavalli, intenti ad ascoltare le direttive di quello che doveva, di conseguenza, essere Niall.

Riportò gli occhi su Harry, quando quest'ultimo riprese a parlare.

«Con Jaxon inizieremo poco alla volta. Non possiamo di certo metterlo subito su un pony» gli spiegò, con aria professionale «Inizierò con il mostrargli come avere cura dell'animale: come spazzolarlo e dargli da mangiare, in modo tale che incominci ad instaurare con lui un rapporto di fiducia».

«Se Jaxon avrà qualche specie di crisi nervosa, il pony potrebbe reagire» si agitò, abbassando lo sguardo sul figlio, poco distante da loro, ancora intento a guardare il soffitto della scuderia.

«Non si farà del male, Louis».

«Non puoi esserne certo».

«Jaxon non è il primo bambino che ho in cura. So come devo comportarmi e quanto posso azzardare. Non lo metterò a rischio».

Non osò ribattere, limitandosi solamente a guardarlo negli occhi. Harry aveva indurito la mascella, probabilmente un po' risentito da quella mancanza di fiducia.

«Non era mia intenzione insinuare che tu non sappia svolgere il tuo lavoro» si scusò, ammorbidendo il tono «Sono solo preoccupato».

«Lo so. Ma devi darmi una possibilità, altrimenti non andremo da nessuna parte».

Annuì, prima di sobbalzare e voltarsi nell'udire dei colpi alle proprie spalle.

Quel giorno sarebbe stato uno di quelli che rientravano nella categoria dei giorni no; uno di quelli dove lui pensava di star sbagliando tutto, sia con se stesso che con suo figlio; uno di quelli dove sentiva che non sarebbe venuto a capo di niente, che non ci sarebbe mai stata una soluzione.

Osservò suo figlio sbattere con forza i palmi delle mani contro la porta in ferro della scuderia dietro di loro, provocando un frastuono che riecheggiava all'interno dell'intero stabile, agitando tutti i cavalli.

«Jax, smettila subito» lo richiamò, non ricevendo in risposta nemmeno uno sguardo. «Ho detto basta!» urlò spazientito, perdendo completamente il controllo e irrigidendosi subito dopo nel percepire il silenzio calato su di loro. Respirò a pieni polmoni, il petto ad alzarsi e abbassarsi rapidamente, mentre Jaxon lo fissava impassibile, prima di voltarsi e riprendere a colpire la porta.

Sibilò a denti stretti, non pensandoci due volte a scappare da lì e lasciarsi tutto alle spalle.

Corse lungo il corridoio della stalla che avevano precedentemente percorso, uscendo all'aria aperta e premendosi contro il muro bianco, ripescando dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette e facendo scattare l'accendino con mani tremanti. Ne prese immediatamente un lungo tiro, appoggiando il capo contro il muro alle sue spalle, e abbassando le palpebre, cercando di tranquillizzarsi mentre il fumo raggiungeva i polmoni, riempiendoli, prima di risalire e trovare via d'uscita da un sottile spiraglio tra le sue labbra.

Si asciugò con il dorso della mano una lacrima sfuggita al suo controllo a causa del nervoso, provando a regolarizzare il respiro tremolante. Avrebbe dovuto restare all'interno, provando ad essere ragionevole e trovare una soluzione per calmare suo figlio. Invece l'aveva lasciato là, da solo, mentre lui scappava dai suoi problemi. Non era fiero del padre che era, in momenti come quello.

«Tutto bene?»

Tirò su con il naso, ricomponendosi, quando percepì la voce roca di Harry vicino a lui.

Annuì, inspirando nuovamente dal filtro. «Tutto a posto».

«Certo» Harry sorrise flebilmente, abbassando il capo, consapevole che Louis avrebbe cercato di mostrarsi non intaccato dalla situazione, con il pieno controllo nelle proprie mani. «Credo che voglia vederti, adesso. Non l'ha detto, ma ti cercava con lo sguardo. Gli ho detto di aspettarmi lì, mentre venivo a chiamarti».

Gettò a terra il mozzicone della sigaretta, calpestandolo con la punta del piede. Ma abbassandosi subito dopo a recuperarlo, a causa dello sguardo severo del più giovane che, schiarendosi la voce, gli indicò con un cenno del capo il cestino poco distante da loro.

«Odia l'odore del fumo. Se ritorno da lui adesso, la situazione non farà altro che peggiorare. Devo cambiarmi e mettere del profumo» scalciò un sassolino, superandolo afflitto. Le spalle incurvante e la testa infossata.

Si fermò quando sentì Harry richiamarlo.

«Sai, forse la prossima volta che ha reazioni del genere, dovresti provare un approccio diverso. Sembra che non capiscano ciò che tu stai provando a dirgli, ma invece se ne rendono conto» gli disse, sorridendogli incoraggiante «Come prima in casa... se invece di prenderlo con la forza, lo avessi lasciato lì, invitandolo a raggiungerti appena ne avesse avuto voglia, forse ti saresti risparmiato quei gesti e - »

«Non devi insegnarmi come comportarmi, okay?» lo interruppe bruscamente il maggiore, risentito «È mio figlio. Convivo con questo problema da anni, so come comportarmi».

«Non ti stavo insegnando a - »

«È quello che stavi facendo, invece» scosse il capo, sorridendo nervosamente «Sei pagato per pensare a Jaxon, non per studiare me. Limitati a quello che è il tuo compito».

Non gli lasciò alcun tempo per ribattere, voltando immediatamente le spalle e dirigendosi a grandi falcate in direzione della dependance.







*****







Erano trascorsi circa quattro giorni dal loro arrivo a Sweet Carolina.

Le lezioni di Jaxon procedevano a rilento, poco alla volta. Il bambino non interagiva ancora con nessuno della famiglia Styles. Harry era riuscito a convincerlo ad aiutarlo nella cura quotidiana di qualche pony, ma Jaxon continuava a rimanere parecchio sulle sue, senza dare confidenza né a lui né al giovane equino. Si limitava a copiare le azioni di Harry come fosse un robot, consapevole che quello era ciò che doveva fare. Ma non accennava mai a un gesto d'affetto verso l'animale o a un sorriso in più nei confronti di Harry.

Tuttavia, a differenza sua, suo figlio sembrava essersi ambientato già velocemente alla nuova routine, mentre lui non riusciva a trovare pace.

Sentiva la mancanza costante del supporto di sua madre, nonostante lo chiamasse almeno una volta al giorno per sapere dell'andamento della terapia. Gli sembrava di essere un pesce fuor d'acqua in quel posto lontano da tutto e tutti, in una routine che prevedeva solamente di trascorrere le giornate intere in quella tenuta.

Non che a Toronto fosse abituato a fare chissà cosa, ma era un tipo abbastanza abitudinario e ora la sua quotidianità era stata stravolta: non c'erano più i ritardi al lavoro perché Jaxon non voleva rimanere con la nonna; o la pausa pranzo passata su una panchina, a mangiare in silenzio e pensare a cosa poter fare per aiutare di più suo figlio e permettergli una vita normale, senza la costante preoccupazione che i suoi coetanei, crescendo, lo isolassero; le serate sul divano, a guardare un film alla televisione, con un bicchiere di whisky, dopo essere riuscito a far addormentare Jaxon, nonostante il più delle volte fosse talmente esausto da addormentarsi dopo poco il suo inizio.

Le cose a Toronto non erano certamente più facili, ma almeno era casa.

Aprì piano la porta della dependance, lanciando un ultimo sguardo verso il corridoio che portava alla camera di Jaxon.

Dopo la cena insieme agli Styles, aveva preparato un bagno caldo al figlio che alla fine si era concesso lui, dato che Jaxon era talmente sfinito che era crollato sul divano mentre Louis riempiva la vasca con acqua calda. Aveva sorriso quando lo aveva ritrovato raggomitolato su se stesso, con la mano incastrata tra i capelli biondi e un pollice in bocca. Vizio che ancora non era riuscito a fargli disimparare.

Lo aveva preso in braccio, cercando di fare il meno rumore possibile, e poi l'aveva messo a letto.

Sembrava tutto tranquillo, perciò richiuse la porta alle proprie spalle, prendendo posto su una delle due sedie presenti sulla veranda in legno della dependance.

Gli si mozzò il fiato quando, dopo aver inclinato il capo all'indietro, puntò gli occhi al cielo, trovandolo tempestato da una miriade di stelle.

Si era dimenticato quanto fosse bello il cielo di notte.

Probabilmente l'ultima volta che aveva ammirato una distesa di stelle era stato ancora lì, a Sweet Carolina, durante una delle gite di famiglia quando anche lui era un bambino.

A Toronto, le stelle non si vedevano nemmeno. Completamente risucchiate dalle luci artificiali della grande città.

Abbassò lo sguardo, riportandolo sul vasto terreno di fronte a lui quando sentì una risata, scorgendo Harry e Diuk giocare nel prato verde.

Si mosse a disagio.

Dalla loro piccola discussione, avvenuta due giorni prima, lui e Harry non avevano più avuto modo di chiarirsi. O meglio, era sicuro che il più giovane avesse tentato più volte di approcciarlo, ma lui non gliene aveva mai dato modo, evitandolo il più possibile.

Non era uno dei comportamenti più maturi che qualcuno potesse avere, ma era conscio di aver mancato di rispetto ad Harry e non era così semplice per lui mettere da parte l'orgoglio e scusarsi.

Posò il gomito sul bracciolo della sedia, portandosi due dita a coprirsi la bocca mentre un sorriso nasceva sulle sue labbra nel vedere il Labrador acciuffare con un balzo un pezzo di corda e poi sdraiarsi a terra, scodinzolando, in una sfida silenziosa al suo padrone, che si avvicinò a lui, cercando di strapparglielo di bocca. Ma Diuk fu un osso duro da sconfiggere e proprio quando Harry sembrò cantar vittoria, attirando a sé la corda, il cane scattò in avanti, atterrandolo rovinosamente.

La sua risata rumorosa riecheggiò per l'intera tenuta, mentre si riportava a sedere, accarezzando il cane che gli gironzolava attorno, assicurandosi che il suo padrone stesse bene.

Non riuscì a trattenere a sua volta una risata quando il Labrador atterrò nuovamente Harry, posandogli le zampe anteriori sulle spalle.

Attirò così la loro attenzione e trattenne il fiato nel vedere Diuk prendere la carica e correre senza freno nella sua direzione, nonostante i richiami di Harry. Fortunatamente, questa volta il cane decise di non assalirlo, limitandosi a spingere la sua gamba con il muso, alla ricerca di una carezza che Louis non gli fece mancare.

Sollevò il capo solo quando i passi di Harry furono ormai troppo vicini per scappare di nuovo.

«È così con tutti?»

«No, di solito quando lo richiamo si ferma sempre» rispose subito il ragazzo, salendo con un piede il primo gradino della veranda e appoggiandosi alla ringhiera in legno «Credo tu gli piaccia particolarmente, altrimenti non me lo spiego».

Louis sorrise, abbassando nuovamente lo sguardo su Diuk, il quale, dopo l'ennesima carezza, si lasciò cadere ai suoi piedi, tranquillo.

«Non ho mai avuto un cane» si ritrovò a mormorare «Ricordo che quando ero piccolo ne volevo tanto uno, ma mio padre era allergico al pelo quindi... » scrollò semplicemente le spalle, scuotendo il capo e riportando gli occhi sul ragazzo in piedi di fronte a lui.

Harry rimase qualche istante a guardarlo, in silenzio, e i suoi occhi parevano scottare sulla sua pelle.

«Posso sedermi?»

Accennò con il capo alle sedia libera accanto alla sua, permettendosi di salire solo quando il maggiore annuì.

«Sono io l'ospite qui».

«Potrei star invadendo prepotentemente la tua privacy».

Louis scosse il capo «Ne ho incontrata parecchia di gente prepotente a Toronto, credimi. Tu non lo sei di certo».

Corrucciò la fronte, arricciando le labbra, prima di schiarirsi nuovamente la voce e passarsi una mano fra i ricci morbidi.

«Jaxon dorme?»

«Sì, era davvero stanchissimo. È crollato subito dopo cena».

«Te la cavi davvero bene con lui, sai?»

Voltò il capo nel sentire il maggiore ridere piano.

«Lo stai dicendo perché ti ho intimato di non giudicarmi come padre?»

«Sono sincero. Lo penso veramente» si affrettò a chiarire, drizzando la schiena e ruotando il busto verso destra, in modo da poterlo guardare «Ho lavorato con diverse famiglie e, solitamente, sono sempre le madri quelle che si occupano maggiormente di loro».

Louis non accennò a fare una piega, limitandosi a coprirsi le mani con le maniche lunghe della maglietta nera che indossava e sospirando piano. Jaxon richiedeva impegno costante e lui cercava semplicemente di fare del suo meglio.

«Louis?»

«Dimmi».

Harry deglutì, investito da quelle iridi che sembravano essere state inghiottite dal buio della sera.

«Non sei costretto a rispondermi, se non vuoi. Ma sai, conoscere le dinamiche all'interno della famiglia dei bambini che seguo, mi è d'aiuto per capire meglio come comportarmi con loro e - »

«Chiedimi ciò che vuoi sapere senza troppi giri di parole, Harry» lo interruppe, mantenendo lo sguardo serio su di lui.

«Mi domandavo quando ci avrebbe raggiunti tua moglie».

Calibrò le parole, stando attento ad ogni minima reazione del ragazzo al suo fianco.

Louis inclinò appena il capo. L'angolo destro della bocca leggermente sollevato all'insù.

«Cosa ti fa credere che io sia sposato? Non porto nemmeno la fede al dito».

A quella precisazione, Harry fece correre gli occhi sulla mano sinistra di Louis, appurandone la veridicità. Nessuna fedina adornava quelle dita.

«Allora la tua compagna» azzardò, rimangiandosi tutto quando lo vide scuotere il capo «D'accordo, lascia perdere. Come se non ti avessi chiesto nulla».

Si mosse a disagio sulla sedia, abbassando lo sguardo sulle proprie mani e maledicendosi mentalmente per aver azzardato tanto. Poi, però, la voce di Louis ruppe l'improvviso silenzio calato tra loro.

«Quando ho scoperto che sarei diventato padre, avevo solo 23 anni. Kate, la mia ragazza, ne aveva 20. Non avevamo di certo intenzione di diventare genitori... è semplicemente capitato» iniziò a raccontare, evitando di incontrare il suo sguardo «A differenza mia che, oltre al momento di panico iniziale, avevo poi elaborato meglio la notizia e accettato la gravidanza, per Kate non fu lo stesso. È stato difficile convincerla a portare a termine quei nove mesi. E più il tempo passava, più la situazione peggiorava».

Gli si incrinò la voce, costringendolo a fermarsi un istante e chiudere gli occhi per prendere un respiro profondo.

«Non sei obbligato a raccontarmi tutto».

«Non c'è comunque molto da raccontare» si affrettò a riprendere il controllo, sfregandosi il volto con le mani e spostando finalmente gli occhi su di lui «Le cose tra me e Kate non andavano più bene e, come se non bastasse, quando Jaxon è venuto al mondo, è caduta in una profonda depressione post-partum. Il bambino aveva bisogno di lei, ma non c'era verso di convincerla a vederlo».

Scosse il capo, lasciandosi andare meglio contro lo schienale rigido della sedia e inclinando di poco il capo all'indietro.

«Non ha mai preso in braccio suo figlio. Mai. Nemmeno in sala operatoria. Quando poi gli è stato diagnosticato l'autismo, non ne ha proprio più voluto neanche sentire parlare».

«Mi dispiace - »

«Quindi, per rispondere alla tua domanda, non ci raggiungerà nessuno» soffiò piano, sconfitto «Siamo solo io e lui. Noi due, soli fin dall'inizio».

Harry rimase in silenzio, mentre seguiva la scia umida della lacrima che rigò la guancia sinistra di Louis, fino a cadere a terra dopo aver raggiunto la linea della mascella.

«Io - » si interruppe, tradito dalla voce commossa «Mi dispiace davvero tanto».

«Non farlo. Non dispiacerti» lo corresse, voltando il capo verso di lui e sorridendogli sincero.

I suoi occhi erano completamente annacquati e Harry sentì una morsa al cuore.

«Non è stato facile, e ancora oggi ci sono giorni in cui credo che non ci sarà mai una via d'uscita, ma amo mio figlio. É il dono più bello che la vita abbia deciso di farmi e, nonostante tutto, io sono felice. Se mi chiedessero di scegliere, io non cambierei niente».

«Sono certo che anche lui sia grato di avere un padre così».

«Lo spero» annuì, abbassando stancamente le palpebre «Lo spero davvero tanto perché lo amo in un modo che non è possibile da descrivere».

«Lo ami da morire».

Scosse il capo. «Lo amo da vivere» lo corresse.

Harry corrugò la fronte, non capendo esattamente ciò che quel ragazzo intendesse dire. Ma non osò ribattere oltre, sicuro che ci sarebbe stato un altro momento in cui comprenderlo.

Quella sera, Louis aveva messo in tavola parte delle sue carte; si era aperto, concedendogli una parte della vita sua e di suo figlio e mettendo da parte l'orgoglio che nei giorni precedenti lo aveva portato ad evitarlo costantemente.

Di certo, quella era decisamente una base di partenza migliore.







*****







Louis era spaventato.

O forse era meglio dire terrorizzato, se il colorito smorto del suo viso e l'irrequietudine del suo corpo potevano essere di qualche indicazione.

Harry l'aveva informato che, da quel giorno, avrebbe fatto conoscere a Jaxon il cavallino con il quale aveva intenzione di farlo interagire. Riteneva che il bambino si fosse ormai abituato ad aver a che fare con gli animali e l'ambiente circostante, di conseguenza era sicuro potessero passare al livello successivo.

Nonostante avesse acconsentito a dargli una possibilità e iniziato a fidarsi di lui, la prospettiva che suo figlio iniziasse seriamente a rapportarsi con un pony, non riusciva a farlo stare tranquillo. I pony erano decisamente più piccoli dei cavalli, meno imponenti, ma comunque un loro calcio, o addirittura un morso, sarebbe stato dannoso. In particolar modo per un bambino.

Temeva che Jaxon potesse avere uno dei suoi scatti d'ira, o compiere un gesto avventato che avrebbe provocato una reazione dell'animale, e lui non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo perché Harry gli aveva proibito di restare vicino a loro. Aveva detto che sarebbe stato una distrazione per Jaxon e che la sua paura non avrebbe fatto altro che rendergli più difficile il lavoro.

Per quel motivo lui ora si trovava appoggiato alla staccionata del maneggio, il piede sinistro che batteva ripetutamente contro l'asse di legno su cui era posato e le mani sudate.

Come avrebbe potuto intervenire in tempo per proteggere Jaxon, in caso di bisogno, se si trovava così lontano da lui?

Il giovane Styles era però stato sufficientemente chiaro: quella che stavano per attuare era una seduta di terapia che avrebbe coinvolto solamente lui, Jaxon e il pony. Nessun altro.

''Ti è però consentito guardare, Louis'' erano state le sue ultime parole. Come se quella concessione, avrebbe potuto tranquillizzarlo.

Un sorriso spontaneo spuntò sulle sue labbra, quando vide comparire dalla stalla suo figlio, accanto a Harry; una mano del ragazzo intrecciata a quella di Jaxon e l'altra stretta attorno alle briglie, mentre trainava un grazioso pony dal colore marrone chiaro.

Il bambino camminava impettito, stretto nei vestiti che gli aveva comprato appositamente per quell'attività, con i suoi piccoli stivali da fantino e con il caschetto nero sul capo. Non avrebbe già iniziato a montare il pony, ma Harry preferiva che lo indossasse comunque.

Entrarono nel maneggio e, senza alcuna protesta, lo osservò far compiere all'animale un paio di giri del perimetro, sempre ovviamente accompagnato da Harry.

Trattenne per un attimo il respiro quando, dopo essersi fermati al centro esatto, Jaxon, anziché accarezzare il pony come Harry gli stava mostrando, aveva afferrato la coda, dandole un piccolo strappo.

«Non ti preoccupare. Lady è abituata ad avere a che fare con i bambini. Una tiratina alla coda, non basta ad infastidirla».

Anne, senza che se ne accorgesse, lo aveva affiancato e, come lui, osservava contenta il lavoro di suo figlio.

«È un pony molto docile di natura. Inoltre, è stata addestrata per rapportarsi con bambini come Jaxon. Non gli farà alcun male. E, in ogni caso, c'è Harry con lui. Non metterebbe mai in pericolo uno dei suoi pazienti. Puoi fidarti davvero del mio ragazzo, sa quello che fa».

Il sorriso gentile che gli rivolse, fu come un toccasana; quel semplice gesto, ebbe su di lui un piccolo effetto calmante.

«Me l'ha detto anche lui, di fidarmi, ma divento piuttosto apprensivo quando si tratta di mio figlio».

«Esattamente come ogni buon genitore. Gemma e Harry erano due pesti da piccoli, si arrampicavano ovunque e non stavano fermi un attimo. E per quanto prestassi loro attenzione, sembravano essere due calamite per i guai. Perciò, non sai quanto ti capisco, Louis».

Ridacchiò a quelle parole, immaginandosi due piccoli bambini che correvano a perdifiato per tutta la tenuta. Anche Johannah tendeva a consolarlo in quel modo, raccontandogli aneddoti di quando era un bambino vivace e piuttosto capriccioso.

Tornò a prestare attenzione a Jaxon, sorridendo nel notare come il bambino avesse impugnato una spazzola e avesse iniziato a strigliare la cavallina, sempre sotto le attente direttive di Harry. Era bello vedere Jaxon compiere azioni come quella.

Chi lo osservava in quel momento, del tutto all'oscuro del suo disturbo, lo avrebbe considerato come un normalissimo bambino che si divertiva a spazzolare il suo pony. Niente in lui poteva far trasparire la presenza di un problema comportamentale, mentre faceva scorrere la spazzola lungo il pelo ispido dell'animale e con l'altra manina, lo accarezzava lungo il fianco.

Sarebbe rimasto incantato a rimirare il suo piccolino per sempre, se solo non avesse avvertito una strana aria calda colpirgli la nuca, scompigliandogli i capelli.

Si voltò per controllare da dove provenisse e per poco non rischiò un colpo nel ritrovarsi il grande muso di un cavallo bianco ad alitargli dall'alto.

Saltò letteralmente sul posto, spostandosi poi di lato, più vicino ad Anne.

«Mi hai fatto prendere un colpo» mormorò ancora scosso, portandosi una mano sul petto, all'altezza del cuore.

«Perdonami, amico. Non era mia intenzione spaventarti e nemmeno quella di Artax. Non è vero bello?»

Il cavallo nitrì, spostando poi il capo verso il ragazzo al suo fianco e spingendolo con il muso per farsi accarezzare.

«Io sono Niall, comunque. Non ci hanno ancora presentati».

«Piacere, Louis».

Gli strinse la mano sorridendogli cordiale e cercando di non badare troppo ai residui di color marrone su di essa, nonostante il ragazzo se la fosse prima pulita alla buona, strofinandola sulla stoffa dei suoi pantaloni. Sperava solamente si trattasse di terra e non di qualcos'altro, ma si sarebbe disinfettato le mani in ogni caso.

«Io rientro, ragazzi, ho alcune cose da sbrigare. Vi aspetto come sempre per cena, Louis».

Salutò Anne, che strinse la spalla a Niall prima di allontanarsi a passo svelto verso la sua casa.

Il ragazzo - Niall - stava riservando tutte le sue attenzioni al cavallo e, ora che erano rimasti soli, Louis non sapeva bene se voltargli le spalle o provare ad instaurare una conversazione con lui. Non voleva essere giudicato come un maleducato.

«È il tuo cavallo?»

Optò per provare a scambiarci due parole. Anche perché averlo accanto e rimanere in silenzio, non lo rendeva affatto tranquillo.

«Artax? No, magari. Sono molto affezionato ad ognuno dei cavalli degli Styles, ma lui è sempre stato il mio preferito».

«Lavori per loro da molto?»

«Praticamente da sempre. Io e Harry siamo amici fin da quando eravamo piccoli e trascorrere qui i pomeriggi, cavalcando e gustando le merende di Anne, era la routine. Questo posto è la mia seconda casa e, finché mi vorranno, io resterò qui».

Annuì, provando a immaginare quanto forte potesse essere l'amicizia tra quei due ragazzi, per essere durata così a lungo. Aveva sempre considerato la vera amicizia, uno dei sentimenti più belli e puri del mondo, ma molto difficile da trovare.

Lui non l'aveva mai vissuta.

«Lui è tuo figlio, immagino».

Si riscosse dai suoi pensieri, riportando l'attenzione su Niall che stava guardando oltre le sue spalle. Si voltò, allora, proprio nel momento in cui Jaxon stava dando una carota al pony, aiutato naturalmente da Harry.

«Sì, lo è».

«Si troverà bene qui. Questo posto è perfetto per i bambini come lui. Ne ho visti diversi, ormai, e la maggior parte sembrano degli altri una volta che se ne vanno».

«Lo spero con tutto il cuore. Mi basterebbe anche solo vederlo sorridere ogni tanto».

Si scambiarono uno sguardo d'intesa, prima che Harry e Jaxon si avvicinassero a loro con il pony, interrompendoli.

«Lady!» asserì deciso Jaxon, non appena li raggiunsero.

«Lady? È così che si chiama, cucciolo? Ti piace?»

«Lady! Lady!»

Sorrise al bambino, allungando poi una mano per accarezzare il muso dell'animale, non prima di aver lanciato uno sguardo a Harry e aver ricevuto il suo consenso.

«Ciao, Lady. Sei veramente bellissima. Ti diverti a stare con lei, Jaxon?»

Il piccolo non rispose, ma qualcosa gli diceva che fosse proprio così, dal momento che non smetteva un attimo di accarezzarla.

«Ora riporto Lady in stalla, Jaxon. Domani la potrai vedere ancora e stare con lei, va bene?»

Harry lasciò al bambino il tempo necessario per salutare la cavallina e staccarsi da lei, sollevandolo poi da terra e passandolo a Louis, oltre la staccionata.

«Avete terminato?»

«Sì, per oggi basta così. Anche perché se gli faccio trascorrere troppo tempo insieme a lei, rischieremmo di ottenere effetti sbagliati: che si affezioni troppo e non voglia mai allontanarsi da Lady o, peggio, che se ne stanchi e la rifiuti. Dobbiamo procedere poco per volta».

Louis annuì, convinto dalle sue parole. Dopotutto, aveva deciso di fidarsi di lui, perciò non poteva fare altrimenti.

Lasciò poi che Niall salutasse il suo bambino, nonostante Jaxon gli rivolse solo una breve occhiata, troppo preoccupato di non perdere di vista il pony.

«Ho notato che hai seguito l'esercitazione per tutto il tempo».

«Ovviamente, da bravo padre ansioso quale sono. Ti tengo d'occhio, Harry».

Il più giovane rise a quell'affermazione, ben consapevole di essere sotto esame. Era però abituato alla diffidenza iniziale dei genitori; era normale e lui non se ne risentiva affatto. L'unica cosa che poteva fare era svolgere bene il suo lavoro e dimostrare con i fatti la veridicità delle sue parole.

«Sempre se te lo permetterò» azzardò, sperando di non aver appena commesso un passo falso. Ma il sorriso divertito di Louis gli diede la conferma che cercava.

Il maggiore posò Jaxon a terra, prendendolo per mano e accingendosi a salutarli.

«Mi ha fatto piacere conoscerti, Niall. Ci si vede in giro. Andiamo giovanotto, ci aspetta un bel bagno».

«Noi ci vediamo a cena, invece» si affrettò a specificare Harry «E dopo, magari, posso dirti un po' cosa ne penso di questi primi giorni di terapia. Se non sarai troppo stanco».

«Non faccio niente dalla mattina alla sera, oltre che provare a godermi questo bel posto. Non sarò di certo stanco. A dopo».

Non appena padre e figlio si furono allontanati, Harry si accinse a riportare finalmente Lady nella sua stalla.

Niall non perse tempo a seguirlo.

«Quindi, che cos'era quello che ho appena visto?»

Guardò confuso l'amico.

«Che intendi dire?»

«Stavi flirtando con quel ragazzo».

Arrestò il passo, obbligando così anche Niall a farlo. «Non stavo assolutamente flirtando!» protestò risentito.

«''Sempre se te lo permetterò''. Ti prego» insistette, scimmiottando le sue stesse parole per rendere più chiaro il concetto.

«Era semplicemente una battuta, Ni. Non sai più riconoscerle?»

Fece uscire Lady dal maneggio e riprese a marciare, deciso a chiudere sul nascere quella chiara provocazione iniziata dal migliore amico.

«Lo sai che non puoi nasconderti con me. Conosco i tuoi gusti in fatto di uomini, Haz».

«È il padre del mio paziente».

Niall gli si fece più vicino, accostandosi proprio alle sue spalle. Sulle labbra un sorrisino sfacciato.

«Non hai negato, quindi ti piace» sussurrò direttamente nel suo orecchio.

«Non ho detto questo» sollevò gli occhi al cielo «E, in ogni caso, gli piacciono le donne, quindi puoi abbassare le antenne e rinfoderare gli artigli».

«Quello lascialo decidere a me».

Montò nuovamente sul cavallo, sorpassandolo e dirigendosi verso il maneggio adibito all'equitazione. Non senza averlo salutato con un occhiolino complice.

Harry restò per alcuni secondi fermo a osservarlo.

Era vero, Niall lo conosceva bene. E dire che non fosse attratto dall'aspetto fisico di Louis, sarebbe stata una pessima bugia; ma quello non stava a significare che avesse mire su di lui. Non era così debole, né tantomeno così stupido da perdere la testa per qualcuno che non avrebbe mai potuto avere.

Scosse il capo e tornò sui propri passi, conducendo Lady nella sua stalla e imponendosi di lasciarsi alle spalle le parole dell'amico.

Avrebbe tenuto la situazione sotto controllo.




La cena di Anne fu deliziosa.

Louis non aveva perso occasione di complimentarsi più volte con la donna, informandola riguardo a come la sua cucina gli ricordava un po' quella di sua madre. Anne lo aveva guardato con un sorriso sincero, ringraziandolo con una mano adagiata sopra la sua, sulla tovaglia a quadretti bianchi e rossi.

In quei momenti, quando erano tutti assieme, Louis sentiva meno la mancanza di casa.

«Harry ci ha detto che Jaxon sembra essersi già affezionato a Lady» esordì Gemma, portandosi il tovagliolo alla bocca per pulirsi le labbra sottili.

«Affezionato è una parola grossa, Gems» la corresse subito il fratello «Diciamo che credo gli piaccia».

Louis prese un sorso d'acqua dal suo bicchiere, rivolgendosi poi al ragazzo seduto a capo tavola, alla sua destra.

«Da cosa l'hai dedotto?»

«I suoi movimenti sono calmi, mentre è attorno a Lady. Mi ha aiutato a spazzolarla con cura e delicatezza. Se la sua compagnia gli desse fastidio, reagirebbe in modi più bruschi».

Annuì, ricordandosi mentalmente che Harry sapeva sicuramente ciò che stava dicendo. Era il suo lavoro. Louis poteva fidarsi.

Sussultò quando Jaxon rilasciò un urlo acuto, impugnando poi il cucchiaio nella mano destra e incominciando a sbatterlo violentemente sul tavolo.

«No, no, no. Piccolo fermo».

Si affrettò subito a fermare i suoi movimenti, intrappolando la posata nella sua mano e sfilandogliela dal piccolo pugno.

Anne si alzò subito dalla sedia, iniziando a raccogliere i piatti sparsi lungo il tavolo.

«Forse è il caso che cominci a sparecchiare. Gemma, dammi una mano». Lanciò un'occhiata esaustiva alla figlia, che si affrettò ad imitarla, cercando di sgombrare il tavolo il più velocemente possibile.

«Lady! Lady! Lady!» urlò nuovamente Jaxon, stropicciandosi gli occhi prima di iniziare a colpirsi ripetutamente le orecchie con i palmi delle mani.

In casi come questi, Louis sapeva bene che Jaxon stesse ormai attraversando una delle sue solite crisi. E, purtroppo, il più delle volte era davvero impossibile trovare un modo per tranquillizzarlo. Doveva aspettare che la crisi facesse il suo corso e che suo figlio ritrovasse da solo la calma.

Tuttavia, non erano a Toronto, da soli nella mura di casa loro. Erano ospiti a casa di persone che sicuramente avevano già assistito a situazioni del genere, ma che erano comunque estranei. Terze persone alle quali Louis non poteva celare gli aspetti negativi e faticosi di quella parte della sua vita.

«Jaxon, ti fai male così» sentenziò, provando ad abbassargli le braccia.

Tutto ciò che ricevette in cambio fu un grido ancora più forte da parte del bambino, prima che riprendesse a gridare il nome del pony.

«Lady starà dormendo, ometto» tentò nuovamente Louis, mantenendo la calma «Domani la potrai vedere ancora».

Non si accorse di come Harry, alle sue spalle, avesse abbandonato la sua postazione e si fosse avvicinato alla madre e alla sorella, incentivandole ad uscire e lasciarli soli.

Non le seguì, però, preferendo rimanere in disparte, sull'uscio della cucina, ma pur sempre presente. Da una parte, assistere alle crisi di quel bambino gli permetteva di capire a cosa sarebbe potuto andare incontro anche lui, un giorno, se Jaxon avesse cominciato ad agire in quel modo durante una delle loro lezioni; dall'altra, non riusciva a girare i tacchi e lasciarli soli. Non mentre la voce di Louis si faceva sempre più dura e le mani di Jaxon tentavano di raggiungere il suo volto per allontanarlo.

«Ho detto basta!» tuonò il maggiore, afferrandogli i polsi e sibilando a denti stretti dopo che il figlio gli aveva lasciato sulla guancia dei nuovi graffi superficiali.

«Cattivo!» strillò di rimando Jaxon e Harry sentì una stretta al cuore, certo che, anche se non poteva vederli, gli occhi di Louis fossero feriti dopo quella parola.

Forse non avrebbe dovuto intromettersi, ma voleva davvero essere d'aiuto; perciò, corse al piano di sopra, recuperando dalla sua vecchia cameretta un piccolo peluche e ritornando il più velocemente possibile in cucina.

Sperò vivamente che Louis non si sentisse sminuito e non prendesse il suo gesto ancora come una nuova critica verso il suo ruolo da padre mentre, sforzando il più dolce dei sorrisi, si inginocchiava al suo fianco.

«Hey, Jax» attirò la sua attenzione, sventolando il peluche che aveva in mano «Tuo papà ha ragione, sai? Lady sta dormendo adesso, ma se vuoi puoi fare amicizia con Simba».

Vide Jaxon ammutolirsi e non opporre più resistenza al padre, prestandogli tutta la sua attenzione e fissando con inespressività il cavallo dal finto pelo beige che gli stava mostrando.

«Me l'aveva regalato mio papà quando ero un bambino piccolo come te. Sono sicuro che saprai volergli bene anche tu».

Percepì gli occhi di Louis addosso, ma non osò incontrarli. Sorrise, invece, incoraggiante a Jaxon che allungò la mano, prendendo Simba e portandoselo al petto, cominciando ad accarezzare la finta criniera bionda.

Louis si sollevò da terra, lasciandogli una carezza sui capelli biondi «Credo che Simba ti adori già» gli assicurò, chinandosi a lasciargli un bacio sul capo «Potrà dormire con te, stanotte».

A Jaxon quello sembrò bastare e, senza smettere un secondo di accarezzare il peluche, balzò giù dalla sedia, incamminandosi fuori dalla cucina.

Louis e Harry gli furono subito dietro, seguendolo fino alla dependance del maggiore. Non servì chiedere a Harry di aspettarlo fino a quando Jaxon non si sarebbe addormentato. Quella, ormai, era diventata la loro routine serale.

Infatti, quando si ritiravano dopo la cena, Harry li raggiungeva sempre alla dependance, prendendo posto su una delle due sedie in veranda e aspettando Louis. Senza fretta.

Era in quei momenti che il maggiore aveva scoperto come Harry non abitasse più in casa con la madre, ma aveva una piccola villetta dal lato opposto del maneggio, in linea con la dependance; o ancora, come suo padre fosse venuto a mancare da pochi mesi, a causa di un tumore scoperto in stadio già fin troppo avanzato, e Gemma non era riuscita a lasciare sua madre in quella grande casa da sola, nonostante avesse comprato una deliziosa casetta più in centro.

Louis aveva trovato in lui una persona amica con cui parlare tranquillamente della sua vita, senza sentirsi costantemente giudicato. Harry, infatti, si era rivelato un grande ascoltatore e un ragazzo piacevolmente intelligente e rispettoso. La sua compagnia sembrava un toccasana in quel posto dove Louis era incessantemente messo in gabbia dai suoi stessi pensieri, che sembravano affollare maggiormente la sua mente.

Trascorse una buona mezz'ora, prima che Harry sentisse la porta delle dependance cigolare e Louis prendesse posto al suo fianco.

Diuk si avvicinò immediatamente a lui, sedendosi ai suoi piedi e posando il muso sulle sue ginocchia, socchiudendo poi gli occhi e beandosi delle dolci carezze del maggiore.

Vennero inghiottiti dal silenzio. In sottofondo solo il suono provocato dalle cicale a fare loro compagnia.

Harry avrebbe lasciato a Louis il compito di intavolare una discussione. Non era sicuro che Louis volesse parlargli - ancora timoroso di come avesse preso il suo gesto di poco prima - ma sperava vivamente che tra loro fosse tutto a posto. Altrimenti, avrebbe comunque rispettato il suo silenzio o qualsiasi altra reazione avrebbe avuto al riguardo.

Percepì i muscoli del proprio corpo rilassarsi quando Louis lo sorprese con una sola e semplice parola.

Quasi gli sembrò di non udirla.

«Come hai detto?»

«Ho detto, grazie» si passò le mani sul volto, chiaramente pensieroso «Non ho idea di come avrei calmato Jaxon, senza il tuo aiuto».

«Louis - »

«No, davvero» sorrise amaro, mentre le corde vocali sembravano intrecciarsi tra loro a formare un nodo irremovibile «Durante queste crisi, credo sempre alle sue parole, sai? Forse, se dice che sono cattivo, un fondo di verità c'è».

Strabuzzò incredulo gli occhi, scosso da quella rivelazione. Il ragazzo accanto a lui sembrava sempre così forte e sicuro di sé; come era possibile che potesse anche solo mettere in dubbio la falsità di quelle parole?

«Non è così» si affrettò, quindi, a smentirlo.

«Non puoi saperlo».

«Louis, seriamente... hai mollato tutto per quattro mesi. Per tuo figlio. E lo so che può sembrare qualcosa di ovvio e scontato ma, credimi, non è così. Tu non hai idea di quanta gente, alla fine, annulli l'appuntamento, decidendo di non recarsi qui, perché mettono sempre loro stessi prima dei figli».

Louis lo osservò in silenzio; sulla fronte un cipiglio scuro, attento ad ogni minima parola di quel giovane ragazzo. Dentro di sé, anche un po' sinceramente colpito dalla foga che stava impegnando in quel discorso; segno che credesse veramente alle parole che defluivano rapidamente dalla sua bocca.

Sussultò appena quando Harry voltò il capo, catturandolo con quegli smeraldi che, in quel momento, al buio della notte, erano più scuri che mai.

«Tu non sei così. Non sei quel tipo di genitore. Tu... io lo vedo, ok? Vedo il modo in cui ti prendi cura di tuo figlio anche solo attraverso uno sguardo. Cavolo, Louis... onestamente, credo di non aver mai visto un paio d'occhi in grado di trasmettere così tanto amore come i tuoi».

Accennò un sorriso divertito, coprendosi subito la bocca con il dorso della mano sinistra.

«Sto blaterando e mi trovi divertente. Bene» scosse il capo il più giovane «Ti sembrerò patetico, adesso».

«Non lo sei. Affatto. Sono solo colpito dalle tue parole. Tutto qua».

«Sono serissimo, Louis».

«Lo so, Harry» distese i lineamenti del volto, posandogli una mano sulla spalla e stringendogliela appena «E te ne sono grato, davvero».

Il più giovane annuì, pizzicandosi le labbra con le dita. Poi, scattò in piedi, intimandogli di fare lo stesso.

«Non prendermi per pazzo, ti prego».

Louis lo osservò interdetto da sotto le lunghe ciglia, mentre si alzava e si posizionava esattamente di fronte a lui.

Si irrigidì immediatamente quando le braccia di Harry si strinsero attorno al suo collo, incastrandolo contro il suo corpo tonico.

Non era solito spargere abbracci e gesti d'affetto con gli amici di una vita, figuriamoci con una persona che conosceva da così poco tempo.

C'era qualcosa, però, in quell'abbraccio, nel calore emanato da quel corpo, nella dolcezza di quel gesto, che non lo fece allontanare in modo brusco; ma, anzi, le sue braccia parvero sollevarsi in automatico, circondando il busto del ragazzo, mentre le mani si chiudevano a pugno dietro la sua schiena.

«Sei un padre meraviglioso e Jaxon migliorerà. Te lo prometto».

La voce di Harry gli arrivò bassa e roca alle orecchie. Un flebile movimento d'aria, caldo e dolce come il suo proprietario.

Louis sorrise, rafforzando di poco la presa e pensando che forse, una persona come Harry, così giovane e matura, proprio come lui, sarebbe stata una fedele spalla amica nella sua vita.

A Toronto, escludendo sua madre, non aveva nessuno su cui poter contare. Harry, invece, sarebbe stato l'amico perfetto. Era certo che sarebbe stato un valido aiuto nel gestire Jaxon e le sue crisi.

Ma quella era destinata ad essere solamente la sua vita. Quella non era la vita di Harry. Lui con la città c'entrava poco e nulla. Lui apparteneva a Sweet Carolina, ai prati verdeggianti e alle montagne rocciose sullo sfondo; alla cura dei suoi cavalli e alle notti come quella, tiepida e impolverata da stelle dorate.

Harry era la tranquillità e la pace. Lui... lui era l'esatto opposto. Lui era il freddo di Toronto, la frenesia e il caos.

Ma, forse, per quei pochi mesi, caos e pace potevano imparare a sopportarsi e ad essere buoni amici l'uno per l'altro.

«Grazie, Harry» gli lasciò una veloce pacca sulla schiena, prima di sciogliere la presa e interrompere il contatto.

Si schiarì la voce, imbarazzato dagli occhi lucidi del più giovane, riprendendo poi posto sulla sedia e sfregando tra loro i palmi delle mani per smorzare la tensione.

Cambiare discorso l'avrebbe sicuramente aiutato a riprendere il controllo della situazione.

«Dunque. Cosa fa un ragazzo della tua età, per divertirsi la sera, qui a Sweet Carolina?»

Harry si sistemò meglio sulla propria sedia, sollevando le gambe e piegandole contro al petto. Vi posò sopra la guancia, perdendosi per qualche istante fra i suoi pensieri.

«Qualche volta, esco con Niall e andiamo in paese. Non ho molti amici. Mi piace contare su poche persone».

«Poche, ma buone» precisò Louis, facendo nascere sulla sua bocca un sorriso con tanto di fossette.

Quando sorrideva così, gli sembrava perfino più piccolo di Jaxon.

«Già. Comunque... a volte organizzano qualche karaoke nei pub. Oppure delle sfide su un toro meccanico».

«Un che?»

Roteò gli occhi al cielo.

«Un toro meccanico, Louis. Lo so che voi, ragazzi di città, non siete abituati a questi intrattenimenti» lo prese bonariamente in giro «Ma questo è ciò che Sweet Carolina offre e noi lo accettiamo con umiltà».

Louis arcuò le sopracciglia, portandosi una mano al petto.

«Sono colpito dalla tua umiltà».

Harry scoppiò genuinamente a ridere, posando la fronte contro le ginocchia e nascondendo così il suo volto.

«Sappi che dovrò vederti alle prese con quel coso, prima di tornarmene a Toronto».

«So cavalcarlo molto bene».

Rise. «Oh, ne sono certo»

«È una sfida?»

Deglutì rumorosamente. C'era qualcosa con quel ragazzo. Qualcosa che, nonostante i passi avanti che stavano facendo per conoscersi meglio, lo frenava e lo spingeva di nuovo indietro di un paio di posizioni.

Anche in quel momento. Non sapeva se fosse stato il tono serio della sua voce o la scintilla che gli parve di scorgere fra le ciglia castane, ma qualcosa c'era. Lo sentiva. Lo percepiva attorno a loro, nell'aria, nel silenzio che calava di tanto in tanto, nei loro sorrisi e nei loro sguardi. C'era e lui non riusciva a darsi pace perché non riusciva a capire di cosa si trattasse.

«Prendila come vuoi, Harry. Solo, non voglio perdermi lo spettacolo» si limitò a mormorare, alzandosi in piedi e regalando una nuova carezza a Diuk, che scodinzolò contento. Poi, posò la mano sulla maniglia della porta, voltandosi a guardarlo un'ultima volta.

«Non succederà».

Annuì, consapevole che sarebbe andata proprio così, regalandogli un nuovo sorriso.

«Buonanotte, Harry».

Non attese di udire la sua risposta, ma rientrò nella dependance percependo il corpo avvolto da un calore che per troppo tempo aveva smesso di sentire.







*****







Louis ripose il borsone sul sedile posteriore della sua auto, mettendosi poi alla guida per far ritorno alla fattoria degli Styles. Si era appena fermato ad un semaforo quando la suoneria del suo cellulare, risuonò per tutto l'abitacolo. Grazie alla connessione bluetooth, riuscì a leggere dal display dell'auto, il nome di Johannah apparire su di esso. Un sorriso spontaneo apparve sul suo viso e senza alcun indugio, rispose alla chiamata.

«Ciao mamma».

«Ciao tesoro, che stai facendo di bello?»

«Sono appena uscito dalla palestra. Sto tornando dagli Styles».

La luce verde del semaforo si accese, permettendogli così di riprendere il cammino.

«Che ci facevi in palestra, Louis? E Jaxon?»

Roteò gli occhi al solo sentire il tono della madre farsi più ansioso al saperlo lontano dal bambino.

«Jaxon sta facendo la terapia, e siccome io non posso partecipare, ne ho approfittato per fare qualcosa di diverso».

Percepì chiaramente il sospiro di sollievo che la donna aveva rilasciato dall'altra parte della cornetta, ma evitò di farglielo notare. «Come mai tu hai chiamato a quest'ora, invece?»

«Perché avevo voglia di sentirti. Mi mancate moltissimo, Louis».

Quella volta fu lui a rilasciare un piccolo sospiro. Anche lui sentiva tremendamente la sua mancanza e, in alcuni momenti, avrebbe tanto voluto che fosse lì con lui, alzarsi la mattina e trovare i suoi occhi azzurri ad accoglierlo in cucina, pronta a coccolarlo e sostenerlo, come solo lei sapeva fare.

«Ci manchi tanto anche tu, mamma, lo sai. Vorrei tanto dirti di venire a trovarci per il fine settimana, ma temo che per Jaxon non sia ancora il momento. È troppo presto e vederti andare via dopo solo un paio di giorni, ho paura che non lo accetterebbe e lo porterebbe a fare passi indietro con la terapia» le spiegò, con un velo di tristezza nella voce.

«Lo so, hai ragione. Ma promettimi che mi chiamerai subito quando riterrete che io posso passare a trovarvi, ok?»

«Puoi starne certa».

Cambiò la marcia, premendo maggiormente sull'acceleratore, quando si lasciò alle spalle il centro abitato e s'immise sulla statale che portava dagli Styles.

«E dimmi di Jaxon. Pensi che la terapia stia funzionando?»

«Male non gli sta facendo di sicuro. Ha ancora i suoi momenti no e nel rapporto con me non noto ancora miglioramenti eclatanti, ma sembra davvero che si stia affezionando a quel pony, sai? Cambia espressione quando è vicino a lei e quando Harry gli dice che è ora di andare a trovarla, sembra che non aspetti altro».

Evitò di dirle come, alcune volte, vederlo così sereno in compagnia di Lady, facesse emergere la sua parte insicura, che cercava sempre di nascondere. Lo faceva sentire stupido esternare quei pensieri a qualcun altro, perché era assurdo essere gelosi di un animale. Eppure, c'erano quei momenti in cui non poteva fare a meno di desiderare che gli occhi di Jaxon brillassero per lui, che fosse il suo il viso che suo figlio volesse accarezzare e non quello di un pony. Poi, però, il bene che provava per lui tornava prepotentemente a farsi sentire e l'unico suo pensiero era che voleva solamente vedere Jaxon felice e sereno come qualsiasi altro bambino e se per esserlo c'era bisogno di Lady, andava bene così.

«E di Harry, che mi dici ora che sarai riuscito a farti un'idea migliore su di lui?»

«Mi piace» ammise di getto, sorprendendo un po' anche se stesso «Lo sai quanto fossi scettico nei confronti di questa terapia e, successivamente, anche di lui. È così giovane, temevo che avesse troppo poca esperienza e poi ero scoraggiato dall'esito delle terapie precedenti. Invece, devo ammettere che sa quello che fa. Ormai, dopo quasi un mese che siamo qui, posso affermare che è bravissimo con Jax, anche più bravo di me, alcune volte. Spero possa continuare in questo modo».

Nel frattempo, aveva appena attraversato il cancello della tenuta e parcheggiato il suv fuori dalla dependance. Spense il motore e scese dall'abitacolo, proseguendo la telefonata direttamente dal cellulare.

Si stava dirigendo verso il maneggio, dato che la seduta sarebbe finita di lì a poco, ansioso di vedere Jaxon e magari farlo salutare anche a Johannah quando, a pochi metri dalla recinzione, arrestò di colpo il passo, smettendo di rispondere alle domande della madre. La scena che si stava mostrando davanti ai suoi occhi, era una delle più belle che avesse mai visto: Jaxon era in sella a Lady. Non stava cavalcando da solo, ovviamente - essendo la prima volta che montava sul pony - Harry gli camminava accanto, tenendo con una mano le briglie di Lady e stringendo l'altro braccio attorno alla vita del bambino.

Si riscosse, riprendendo il passo, quando si sentì richiamare dalla voce ora preoccupata di Johannah.

«Sì, mamma ci sono, scusami ma, sono appena arrivato a casa e... Jaxon è in sella a Lady, mamma».

«O mio dio».

«Io...devo andare, mamma. Devo andare da lui. Ci sentiamo ancora stasera, magari?»

«Sì, certo. Vai, Louis. E scattagli tante foto per me».

Chiuse la chiamata, mantenendo il telefono in mano e accelerando il passo. Si accorse di non aver nemmeno salutato sua madre, ma era sicuro che non si sarebbe arrabbiata.

Raggiunse la staccionata, appoggiando le mani su di essa e guardando con orgoglio il suo piccolo tesoro, in sella alla cavallina.

Fu Harry ad accorgersi per primo della sua presenza, riservandogli un sorriso luminoso prima di sporgersi verso Jaxon per parlargli. Pochi attimi dopo, vide il capo del piccolo sollevarsi e guardare nella sua direzione e a quel punto non riuscì più a trattenersi; salì in piedi la staccionata e si sbracciò a salutarlo, mandandogli ripetuti baci con le mani.

Voleva fargli capire che era felice per ciò che stava facendo, che era fiero di lui. E percepì il cuore gonfiarsi nel petto nello scorgere la parvenza di un pallido sorriso dipingersi sul suo piccolo viso, prima che tornasse a prestare attenzione a Lady.

Un sorriso tutto per lui e che Louis non avrebbe mai dimenticato.

Rimase a rimirare Jaxon fino al termine della seduta, che cessò pochi minuti dopo, e subito Harry condusse il pony verso di lui, permettendogli così di salutare meglio il figlio.

«Ma sei bravissimo, Jaxon. Ti piace cavalcare Lady?»

Jaxon annuì deciso con il capo, muovendo le gambine e abbassandosi fino quasi a stendersi sul collo del pony, lasciando poi un bacio sulla sua criniera dorata.

«Abbiamo fatto un altro passo avanti, hai visto? Jaxon sta diventando sempre più bravo».

Harry elogiò il bambino, carezzando il piccolo su e giù lungo la schiena e sorridendo soddisfatto per quell'ulteriore progresso ottenuto.

Poco dopo, il rumore di un'auto nelle vicinanze attirò la loro attenzione. Un pick-up rosso attraversò il cancello della tenuta, fermandosi sul vialetto sterrato.

«Ciao, Liam. Ti stavo aspettando».

Louis vide un ragazzo dai capelli castani, e la corporatura ben definita, scendere dal veicolo e avvicinarsi a loro con quella che gli sembrava una cassetta medica nella mano sinistra. Non dovette attendere molto prima di scoprire che quel ragazzo fosse il veterinario di fiducia degli Styles, nonché altro grande amico di Harry.

Era arrivato per vaccinare i cavalli e anche a Lady sarebbe spettato lo stesso trattamento.

«Forse è meglio se la portiamo nella sua stalla, così non avrà molto spazio per muoversi. Se si agita come le scorse volte, sarà difficile farle la puntura».

Liam aveva già notato come il pony stesse diventando irrequieto al solo vederlo e voleva evitare di farla arrabbiare ulteriormente, rischiando di ricevere di nuovo qualche calcio come l'ultima volta. La sua schiena ne aveva risentito per settimane.

«Forza Jax, adesso il dottore deve curare Lady. La dobbiamo salutare».

Prese il bambino tra le braccia, facendolo smontare dal dorso di Lady per permettere a Harry e Liam di svolgere il loro lavoro. Ma Jaxon non sembrava essere della stessa idea, visto il piccolo broncio che nacque sul suo volto.

«No punture per Lady».

Si agitò tra le braccia di Louis, fino a sporgersi verso il muso di Lady per accarezzarla, venendo aiutato dal pony stesso che rispose al suo richiamo.

«'favore. No punture».

Harry osservò pensieroso quella scena.

Era ormai innegabile il legame che si stesse creando tra Jaxon e Lady e forse, quella volta, il bambino poteva essere loro d'aiuto.

Legò le briglie ben strette allo steccato e si posizionò accanto a Louis e Jaxon.

«Che ne dici di provare a farlo qui, Lì? Lady è sempre molto tranquilla quando Jaxon è attorno a lei. Forse con la sua presenza non si agiterà e ti renderà il lavoro più semplice».

Liam parve valutare per alcuni istanti la sua proposta, studiando a sua volta la scena di fronte ai suoi occhi. Doveva ammettere che sembrava quasi irreale il modo in cui Lady cercava la vicinanza di quel bambino. Quasi come se ne avesse bisogno a sua volta anche lei.

Decise quindi che forse valesse davvero la pena tentare, fidandosi del pensiero dell'amico.

Nel mentre, Louis aveva già cominciato a sudare freddo.

«Non sarà pericoloso, vero? Non credi che Lady possa reagire e magari rischiare di morsicare Jax?»

Harry scosse il capo.

«No, non se la prenderebbe mai con lui. Comunque io resto qui, in modo da tenerla ferma e intervenire nel caso ci fosse bisogno».

Annuì, nonostante fosse un po' reticente, ma aveva fiducia degli occhi grandi di Harry, che aveva imparato avessero su di lui uno strano potere calmante.

Non era la prima volta che lo notava ed era una strana sensazione perché solamente sua madre, fino ad allora, sembrava avere quell'effetto su di lui.

«Cosa volete che facciamo?»

Liam si posizionò lungo il fianco di Lady, accarezzando dolcemente la cavallina.

«Direi che basterà voi la accarezziate in modo da tenerla calma e distrarla da me».

Come a dimostrare il suo non apprezzamento nei confronti di Liam, il pony si mosse subito sulle proprie zampe, rilasciò uno sbuffo contrariato.

«Avanti Lady, fai la brava. Ti lasci accarezzare ancora un po' da Jaxon e Louis?»

La cavallina fece un breve nitrito, indirizzando poi la testa verso padre e figlio, proprio nel momento in cui Louis stava facendo vagare lo sguardo tra lei e Harry, che l'aveva coinvolto in quella situazione.

Con un pizzico d'indecisione, Louis allungò la mano, posandola sulla fronte di Lady, vicino a quella già presente di Jaxon, e imitando i suoi gesti, facendola scorrere avanti e indietro lungo il muso, mentre Harry lo incoraggiava con lo sguardo.

«Brava Lady» la elogiò Jaxon, mentre non cessava un attimo di riempirla di attenzioni, sbilanciandosi nuovamente in avanti per lasciarle un bacio sul muso.

«Perfetto, ho finito».

Quando Liam annunciò di essere riuscito a vaccinare il pony, Louis lo guardò realmente sorpreso. «Già fatto? Ma non avevi detto che faticavate a tenerla ferma di solito?»

«Evidentemente, questa volta, aveva una buona ragione per stare tranquilla» scrollò le spalle «Ottima intuizione, Haz. Come sempre, del resto».

Harry ridacchiò, strofinandosi la nuca con la mano libera.

«Il merito è tutto di Jaxon. Lady lo adora e ha voluto farsi vedere coraggiosa per lui. Non è vero, bellissima?»

La cavallina sollevò il muso, strofinandosi contro il petto del suo giovane padrone.

«Grazie mille, Jax. Sei stato un perfetto aiutante».

Sollevò una mano nella direzione del bambino, attendendo finché il piccolo non gli batté il cinque.

Louis se lo strinse maggiormente addosso, schioccandogli un bacio sulla guancia paffuta e sorridendo quando Jaxon se l'asciugò con il dorso della mano. Sapeva che lo infastidiva essere baciato in quel modo, ma non aveva proprio potuto trattenersi. Era così orgoglioso di lui e dei suoi progressi.

«Ora vado dagli altri. Tu vieni con me, Haz?»

«Certo, ti accompagno così porto in stalla anche Lady. Prima però volevo chiederti una cosa».

Liam che aveva raccolto la sua cassetta medica, pronto per uscire dal recinto, sollevò le sopracciglia curioso.

«Dimmi pure».

«Pensavo di far provare a Louis l'ebrezza di una serata in uno dei locali più amati di Sweet Carolina. Sei dei nostri?»

«Con piacere. Sai che ci sto sempre per una birra in compagnia, non dovresti nemmeno chiedere».

«Perfetto, quindi è deciso. Sento anche Niall e poi ti farò sapere con esattezza per che giorno ci saremo accordati».

Louis ascoltò interdetto quello scambio di battute. Se non errava, Harry l'aveva appena coinvolto in un'uscita serale con i suoi migliori amici. Senza nemmeno averlo interpellato.

«Vado ad occuparmi degli altri cavalli, ora».

«Certo, io ti raggiungo subito. Saluto loro e sono da te. Troverai già Nì ad aspettarti, comunque».

Liam salutò Louis e Jaxon, incamminandosi verso le stalle.

«Quand'è che avresti pensato di parlarmi di questa serata?»

«Adesso» rispose semplicemente il più giovane, mentre un sorrisino irriverente nasceva sulle sue labbra.

«E com'è che sei così sicuro che voglia venire, da non avermelo nemmeno domandato?»

«Perché non hai possibilità di scelta, Louis. Ora scusami, ma devo proprio raggiungere Liam. Ci vediamo dopo».

Diede un piccolo buffetto sul naso a Jaxon, poi si allontanò lasciando Louis spiazzato ma, allo stesso tempo, divertito da quella sua presa di posizione. Lo osservò scomparire dietro l'angolo del maneggio, poi s'incamminò anche lui dalla parte opposta, facendo ritorno alla dependance.

Era da parecchio tempo che non organizzava uscite con amici. A stento ricordava come fossero. Non era certo che sarebbe stata la cosa più giusta da fare, dal momento che non avrebbe di certo potuto portare suo figlio con sé. E quello significava automaticamente affidarlo alla sorveglianza di Anne.

«Per te è un problema se una sera papà esce, ometto?»

Jaxon lo guardò inespressivo, tornando poi a scalciare i sassolini lungo la strada, mentre stringeva la sua mano.

Sorrise. Avrebbe comunque avuto tutto il tempo per pensare e ripensare riguardo quella serata. Al momento, c'era qualcosa di più importante con cui avrebbe dovuto fare i conti. Difatti, le emozioni di poco prima gli avevano fatto completamente scordare di scattare a Jaxon qualche fotografia da inviare a Johannah, come le aveva promesso, ed era certo che, quella volta, una ramanzina non sarebbe proprio riuscito a risparmiarsela.







*****







Louis si guardò per l'ennesima volta allo specchio ancora indeciso se, ciò che aveva scelto d'indossare per quella sera, andasse bene o meno. Harry non stava scherzando quando gli aveva detto che avrebbe organizzato un'uscita serale con Niall e Liam, e quella sera era ormai arrivata.

Non aveva idea di come fossero i locali in quel posto e non voleva apparire fuori luogo, scegliendo vestiti non adatti. Immaginava potesse trattarsi di un posto tranquillo e alla buona, lo stesso Harry aveva provato a rassicurarlo dicendogli di indossare qualcosa di semplice, ma nonostante tutto, era preoccupato di non avere abiti adatti. Insomma, lui era un ragazzo di città e, per quanto la sua vita sociale si fosse drasticamente ridimensionata negli ultimi anni, non poteva certo negare di essere stato un assiduo frequentatore della vita notturna di Toronto, con i suoi locali in e glamour, dove prevaleva l'apparire all'essere.

Lisciò il tessuto della camicia bordeaux, sistemandola per bene all'interno dei jeans neri e ravvivando il ciuffo un paio di volte con le mani. Erano secoli che non indossava un paio di jeans, essendo costretto ad indossare sempre dei completi per lavoro e preferendo pantaloni della tuta per il tempo libero e si complimentò con se stesso nel constatare che gli calzassero ancora a pennello. Forse tiravano solo un po' di più sul fondoschiena, così si voltò di spalle, mantenendo il volto girato verso lo specchio e fece un paio di molleggi sulle gambe per controllare che anche posteriormente fosse tutto perfetto. Sembrava di sì, perciò decise di smetterla di specchiarsi come il peggior narcisista esistente e s'incamminò verso il salotto, dove Jaxon se ne stava seduto sul grande tappeto in pelliccia, impegnato con le sue costruzioni.

Era da alcuni giorni che il bambino non aveva più avuto una delle sue crisi isteriche, che non aveva gesti rabbiosi o che non si isolava in qualche angolo della casa chiudendo tutti, e soprattutto lui, fuori dal suo mondo, e questo gli fece pensare che quella serata non poteva capitare in un momento migliore.

Anche quando gli disse che era ora di andare a dormire, Jaxon non fece una piega. Mise in ordine i suoi giochi, come lui gli aveva insegnato e lo seguì prima in bagno e poi nella loro camera. Gli aveva letto una delle sue storie preferite come ogni sera e dopo pochi minuti, il piccolo si era addormentato.

Una parte di lui continuava a temere di star sbagliando ad uscire lasciandolo a casa. Ovviamente non sarebbe stato solo dato che Anne e Gemma sarebbero state con lui, ma gli piaceva essere presente in ogni momento, nel caso Jaxon avesse potuto cercarlo o aver bisogno di lui. Harry aveva però insistito talmente tanto, assicurandogli che sarebbe andato tutto bene perché sarebbero usciti quando Jaxon già dormiva e che per un paio d'ore, non si sarebbe accorto di nulla, che alla fine non era stato capace di rifiutare e si era lasciato convincere.

Guardò per un'ultima volta il viso rilassato di suo figlio e, stando attento a non fare rumore, uscì dalla stanza, lasciando la porta socchiusa.

Poco dopo, sentì bussare alla porta, così si posò un maglioncino nero sulle spalle e si affrettò ad aprire la porta. Sorrise ad Anne e Gemma, facendosi da parte per farle entrare, prima di soffermare il suo sguardo su Harry, facendo vagare gli occhi lungo tutta la sua figura e sentendosi immediatamente inadeguato. Indossava una camicia a scacchi rossa e nera, dei jeans neri che gli fasciavano all'inverosimile le lunghe gambe e un paio di stivaletti neri di pelle. Aveva legato al collo un fazzoletto blu con disegni bianchi, che s'intravedeva grazie ai primi bottoni della camicia lasciati strategicamente aperti, una cintura di pelle marrone con una grande fibbia argentata e i capelli sciolti che si arricciavano deliziosamente sulle punte.

Chi li avrebbe visti vicini, non avrebbe mai pensato che sarebbero andati nello stesso locale e, dato che era Harry quello esperto del posto, era certo di essere lui quello vestito nel modo sbagliato.

«Ehm...non sapevo cosa mettermi, quindi...» provò a giustificarsi lievemente in imbarazzo, senza nemmeno salutarlo, sicuro che il più giovane avrebbe riso di lui, ma Harry sembrò non pensarla nello stesso modo, dato che «Stai benissimo» si complimentò, sorridendogli ampiamente. Abbassò lo sguardo, improvvisamente in imbarazzo perché, o Harry sapeva fingere bene oppure trovava davvero che il suo abbigliamento andasse bene.

«Jaxon dorme. Era tranquillo quindi non penso ci saranno problemi».

«Non preoccuparti, Louis. Ci pensiamo noi a lui» lo rassicurò Anne, mentre Gemma suggeriva loro di pensare solo a divertirsi.

Uscirono dalla dependance e raggiunsero il pick-up di Harry. Louis si guardò attorno aspettandosi di vedere Liam e Niall, o quantomeno il secondo, lì fuori ad aspettarli per andare insieme.

«Con Niall e Liam c'incontriamo direttamente sul posto» esordì Harry, rispondendo alla sua muta domanda, mentre si accomodavano sui sedili.

«Oh, perfetto».

In effetti era più sensato così. Era talmente abituato a vedere Niall gironzolare per la tenuta, che aveva dato per scontato sarebbe stato lì anche quella sera.

Il tragitto fino al paese fu silenzioso; Louis alternava lo sguardo tra il parabrezza e il finestrino, osservando le luci dei lampioni che illuminavano la strada e non potendo fare a meno di pensare se avesse preso la decisione corretta, se fosse giusto che avesse deciso di uscire quella sera, lasciando Jaxon a casa e con persone che ancora non conosceva bene.

Ancora una volta, Harry sembrò leggergli nel pensiero quando gli posò una mano sul ginocchio, richiamando la sua attenzione.

«Starà bene».

Pronunciò solo quelle due parole, approfittando del semaforo rosso e voltando il capo nella direzione di Louis, rivolgendogli un sorriso rassicurante.

«Perdonami, sono il genitore più apprensivo del mondo, lo so».

Harry scosse il capo.

«Sei semplicemente un buon padre».

Annuì, ricambiando il suo sorriso e abbassando lo sguardo, irrigidendosi non appena si accorse che la mano del più giovane, era ancora appoggiata sulla sua gamba. Si mosse leggermente a disagio e quello sembrò essere il segnale giusto per Harry, che ritrasse immediatamente la mano, riportandola sul volante. Si schiarì la gola, rimettendosi in marcia una volta che il semaforo divenne verde e facendo ricomparire l'atmosfera silenziosa di poco prima.

Dal canto suo, Louis evitò appositamente di guardarlo, stranito da quel suo piccolo gesto, che se aveva contribuito a placare la sua inquietudine, ma che aveva trovato insolito.

Sollevò il capo solamente quando si rese conto che si erano fermati, capendo che erano arrivati a destinazione. Davanti a loro c'era quello che gli sembrava un vecchio capannone di legno, con dei faretti che ne illuminavano l'entrata e una grande insegna al centro che diceva ''Country Temple''.

«Siamo arrivati».

Scesero dal pick-up e Louis riconobbe subito Niall e Liam appostati vicino all'ingresso. Liam indossava dei jeans chiari, una giacca di pelle marrone e quella che gli sembrava una t-shirt girocollo nera, mentre Niall aveva una camicia scozzese come Harry, ma sulle tonalità dell'azzurro, blue jeans, stivali e un cappello da cowboy.

Se prima era incerto sull'adeguatezza del suo abbigliamento, a quel punto aveva la conferma che sarebbe apparso come un pesce fuor d'acqua in quel posto. Non poteva certo chiedere a Harry di tornare indietro per cambiarsi - anche perché non possedeva vestiti simili ai loro in ogni caso - però poteva cercare di migliorarsi almeno un po'. Per quello, si slacciò i primi due bottoni della camicia e quelli dei polsini, arrotolando le maniche fino ai gomiti, specchiandosi per quanto poteva nel finestrino.

Non era chissà che cambiamento, ma sicuramente meglio di prima.

Girò attorno al pick-up, affiancando Harry e incamminandosi con lui fino all'ingresso.

«Andavi benissimo anche come eri prima». Il più giovane ridacchiò, urtandolo piano con un gomito.

«Vorrei evitare di attirare troppo l'attenzione e farmi ridere dietro da tutti».

«L'attiri comunque l'attenzione» mormorò piano, ma non abbastanza per evitare che Louis lo sentisse.

Il maggiore, infatti, si fermò di colpo; lo sguardo confuso.

«Che intendi dire, scusa?»

«Ehm...niente... solo che qui ci conosciamo più o meno tutti e uno straniero lo si nota subito. Tutto qua» spiegò, cercando di essere il più convincente possibile. In fondo anche quella era una verità, anche se non era esattamente ciò che intendeva dire con il suo commento.

«Hey, ben arrivati».

Liam li accolse con un sorriso smagliante sulle labbra e un abbraccio per entrambi, mentre Niall si limitò a salutare Louis, prima di allacciare un braccio attorno al collo di Harry e fare strada all'interno del locale.

Gli interni erano molto spartani. A Louis ricordavano i saloons del west presenti all'interno di vari film. Lasciò scorrere gli occhi, sorridendo nel constatare come la maggior parte dei presenti fossero vestiti in stile country: gli uomini con i gilet in pelle e le grandi fibbie dorate ai pantaloni e le ragazze con dei foulard rossi a decorare i loro colli, mentre delle ampie gonne lunghe svolazzavano ad ogni loro movimento, mettendo in bella mostra gli stivaletti di camoscio che portavano ai piedi.

Lanciò un ultimo sguardo al suo abbigliamento, storcendo ancora una volta la bocca. Si sentiva un vero e proprio pesce fuori dall'acqua, in quel momento.

Si riscosse solamente quando sentì Liam, al suo fianco, alzare il tono della voce e richiamare una giovane cameriera con lo schiocco delle dita.

«Jade, quattro pinte per i tuoi clienti preferiti» ordinò, facendole roteare gli occhi al cielo mentre, sollevandosi sulle punte, recuperava quattro boccali di vetro dallo scaffale alle sue spalle.

Presero posto a uno dei tavoli con cassapanca presenti lungo il lato destro del pub. Lui e Liam da un lato, mentre Niall e Harry esattamente di fronte a loro.

«E quindi è qui che trascorrete le vostre serate» esordì, guardandosi ancora attorno e arricciando il naso nel vedere una testa di cervo appesa al muro, poco più lontano da loro.

Niall annuì sorridente. «Il Country Temple del vecchio Hunk è un'istituzione, qui a Sweet Carolina».

«Non è male» commentò, ritrovandosi tre paia di occhi seri su di sé. «Insomma... diciamo che a Toronto i locali sono più - »

«Snob» lo interruppe Harry, costringendolo a spostare lo sguardo su di lui.

Louis lo vide piegare l'angolo della bocca in un sorrisetto sfrontato.

«Credi che io sia così, uno snob?»

Il più giovane incrociò le braccia sul tavolo di legno in mezzo a loro, allungando il busto in avanti. «Credo che dovresti imparare a lasciarti andare di più. Voi, ragazzi di città, siete sempre abbastanza altezzosi».

Sbuffò, scuotendo il capo contrariato. Era già la seconda volta che Harry si rivolgeva a lui inserendolo all'interno di una categoria nella quale, a detta sua, non vi era comunque niente di male ad appartenervi.

«A parte il fatto che essere un ragazzo di città, come ti compiace definirci, non significa per forza essere altezzosi» specificò, prostrandosi a sua volta in avanti per fronteggiarlo «Secondo, io non sono gli altri».

«Lo so».

Harry fece schioccare la lingua, ritraendosi e lasciandosi andare contro lo schienale in legno della panca. Non prima di aver ammiccato al maggiore, facendolo sorridere in quel modo che, aveva imparato, gli faceva brillare gli occhi.

Vennero interrotti da Jade, la ragazza con i lunghi capelli castani, che sistemò sul tavolo i quattro boccali di birra.

«Era da un po' che non vi facevate vedere, ragazzi. Avevate bisogno di un forestiero per tornare?»

A Louis non passò inosservato lo sguardo malizioso che la giovane cameriera gli riservò e non perse tempo a regalarle un lieve sorriso. Era carina. Decisamente carina, ad essere onesto. Ma non si trovava lì per cercare una compagna di vita, o di una notte soltanto. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva rimorchiato una ragazza, concedendosi anche lui un po' di svago dalle preoccupazioni che alimentavano la sua vita; ma nemmeno ne sentiva la mancanza. Era troppo concentrato su suo figlio, anche solo per vedere qualcun altro.

Ancora si domandava come fosse possibile che avesse accettato di lasciare suo figlio da solo, con due persone che praticamente Jaxon nemmeno conosceva.

«Si chiama Louis, Jade».

Niall interruppe il flusso dei suoi pensieri, facendolo sussultare appena.

Annuì, porgendo la mano alla ragazza che inclinò il capo sorpresa.

«È perfino un gentiluomo» ammiccò, ricambiando la stretta «È un piacere conoscerti, Louis. Ero davvero esausta di ritrovarmi davanti sempre gli stessi volti».

«Jade, le birre le hai portate e Louis ti ha vista. Ora puoi anche andare, grazie».

La ragazza alzò gli occhi al cielo, spingendo poi Niall per una spalla.

«Sei antipatico e maleducato, Niall. Non è difficile capire perché Barbara non ti voglia» asserì piccata, sollevando il mento. Un coro di oh e fischi si sollevò da parte di Liam e Harry alla provocazione di Jade, che si sporse verso di loro, battendo il cinque, mentre un divertito Louis, assisteva alla scena in silenzio.

«Questo è un colpo basso piccola Jade e voi fate poco gli spiritosi» riprese i suoi amici, indicandoli uno per uno «Ma vi ricrederete il giorno in cui ci vedrete entrare qui mano nella mano. Sono piuttosto sicuro di essere riuscito finalmente a convincerla ».

La giovane cameriera agitò una mano per zittirlo.

«Se vuoi altro, Louis, basta che mi fai un fischio e sono subito da te» aggiunse in direzione del maggiore, facendogli un occhiolino malizioso, prima di allontanarsi per occuparsi degli altri clienti.

Louis era rimasto sinceramente spiazzato dall'atteggiamento intraprendente della ragazza. Non era più abituato a ricevere un certo tipo di attenzioni, o forse, era lui che non ci faceva più caso.

«Prima uscita a Sweet Carolina e hai già fatto una conquista, Louis. Complimenti».

Liam gli strinse il braccio con la mano, facendolo voltare nella sua direzione.

Non sapeva per quale motivo esatto, ma quel commento gli causò un lieve imbarazzo che lo portò a soffocare una risatina contro il palmo della mano e abbassare lo sguardo sul tavolo.

«È solamente perché sono nuovo, niente di più» minimizzò, lanciando una rapida occhiata a Harry per osservare la sua espressione, ma trovandolo intento a contemplare il suo boccale di birra. Improvvisamente sembrava che la situazione, non lo stesse più divertendo così tanto.

Al contrario invece di Niall, che sembrava decisamente interessato ad approfondire la cosa.

«Non fare il modesto, Louis. Cos'è... non ti piace, per caso?»

«Non è questione di modestia, è solo ciò che penso. E Jade è carina, ma non sono interessato».

Niall ingollò un buon quantitativo della bevanda dorata, asciugandosi poi la bocca con il dorso della mano.

«Non capisco. Forse perché, come i locali, anche le abitanti di Sweet Carolina non sono all'altezza di voi ragazzi di città?»

Lo guardò confuso, sollevando le sopracciglia e fissandolo dritto negli occhi. Aveva letto una punta di acidità nel suo commento e non riusciva proprio a comprendere da cosa potesse essere dovuta.

Nonostante il ragazzo si trovasse sempre alla scuderia per via del suo lavoro, difficilmente erano riusciti a scambiarsi più di qualche parola. Dopo il loro primo incontro, infatti, i successivi approcci si erano trattati di semplici saluti e poche parole di circostanza, tra una lezione d'equitazione e l'altra. Non se ne era mai preoccupato; il suo unico pensiero era sempre Jaxon, non certo quello di intavolare discussioni con Niall dalla mattina alla sera. E forse questo suo atteggiamento di distacco non intenzionale, aveva fatto scaturire nell'altro una sorta di antipatia, non voluta, nei suoi confronti.

Fu tentato di reagire, ma preferì mordersi la lingua ed evitare di abboccare alle sue provocazioni, con il rischio di rovinare la serata. Non era proprio il caso.

«Non ho mai detto questo. Intendevo che il motivo per il quale sono qui è la salute di mio figlio, e basta. Non ho tempo per interessarmi ad altro. E, se proprio dobbiamo dirla tutta, questi paragoni sono sempre stati fatti da Harry, mai da me».

Sentendosi nominare, Harry sollevò finalmente il capo, spalancando gli occhi.

«Io... mi dispiace se ti sei sentito offeso, Louis. Non era mia intenzione» si affrettò a spiegare, concitato.

«No, tranquillo. Non ce l'ho con te. Erano battute e... ci sta, okay? L'ho detto solo per far capire a Niall che non ho alcun preconcetto verso di voi o il vostro paese».

Gli riservò un piccolo sorriso, giusto per sottolineare meglio come non fosse minimamente infastidito dai suoi commenti, ed Harry sembrò credergli, annuendo e ricambiando il gesto.

«Beh, ma mica si sta parlando di una storia duratura. Non vedo che problemi ci siano nel farsi una sana scopata senza alcun impegno».

«Niall!»

Harry e Liam intervennero all'unisono, alzando la voce e riprendendolo per quell'affermazione, mentre Louis iniziò a tossire a causa della birra che gli era andata di traverso.

«Che ho detto di male? È la verità».

«Louis ti ha chiaramente spiegato di non essere qui alla ricerca di avventure o altro, quindi non capisco perché devi uscirtene con queste esternazioni e metterlo a disagio».

Niall sapeva benissimo che Harry avesse capito quali fossero le sue intenzioni. Lo conosceva meglio di chiunque altro e lo capiva al volo quando entrava in modalità di difesa serrata del suo migliore amico; così come era conscio del fatto che questo suo comportamento irritasse oltre modo Harry.

Innumerevoli volte gli aveva detto che apprezzava il suo senso di protezione nei suoi confronti, ma non era un ragazzino indifeso e le sue battaglie sapeva di certo combatterle anche da solo. Tuttavia, ogni volta che secondo lui si presentava una situazione di ''pericolo'', proteggerlo diventava automatico.

Corresse però il tiro, notando lo sguardo decisamente irritato che Harry gli stava riservando e rendendosi conto di aver un po' esagerato.

«Ok, ok, chiedo venia. Scusami, Louis, se sono stato inopportuno. Non era mia intenzione. Era solamente un modo per conoscerci un po' e fare conversazione».

«Nessun problema, tranquillo».

Il maggiore decise di accettare le sue scuse e porre così fine a quel momento.

Notò l'espressione di Harry rilassarsi all'istante alla sue parole, mentre batteva una mano sulle spalle di Niall.

Quella situazione lo stava facendo sentire veramente in imbarazzo, quindi aveva sinceramente apprezzato molto che Harry fosse intervenuto in sua difesa. Quasi si fosse sentito in dovere di farlo. Era una bella sensazione quella di sapere che c'era sempre qualcuno pronto a coprirti le spalle nel momento del bisogno; così come era bello sapere che fosse proprio Harry quel qualcuno.




Dopo una partenza stentante, però, la serata non poteva che proseguire nei migliori dei modi. Louis aveva ascoltato i racconti di Liam sulle sue esperienze di veterinario e gli elogi dei due amici su come, grazie alla sua ottima preparazione, in breve tempo fosse riuscito a farsi apprezzare da tutto il paese. E, di conseguenza, di come fosse colui al quale i possessori di animali da fattoria si rivolgessero in ogni occasione.

Poi era stato il turno di Niall di raccontare dei suoi giovani allievi e di come fosse soddisfacente vedere che, in pochi mesi, riuscissero ad imparare a cavalcare alla perfezione.

Fu, però, ancora una volta Harry a lasciarlo senza parole quando aveva incominciato a parlare agli amici di Jaxon; dei piccoli progressi che aveva fatto in quelle prime settimane e di come, secondo lui, fosse un bambino speciale.

Era stata proprio l'uso di quella parola a spiazzarlo completamente.

Speciale.

Le persone con le quali aveva avuto a che fare per il disturbo di suo figlio, non l'avevano di certo mai definito speciale. Anzi. Solamente sua madre glielo diceva, ma era anche normale dato che Jaxon era suo nipote.

Sentirlo dire da Harry, gli fece tremare il cuore.

Forse per lui era consueto, dovendo lavorare con bambini con quel tipo di problematiche, e probabilmente lo diceva di ogni bambino con cui si era ritrovato ad avere a che fare; eppure, la gioia e la passione con la quale parlava di suo figlio, gli fece pensare e desiderare che quella fosse un'eccezione riservata solo a Jaxon.

«Ragazzi è arrivato il momento del toro meccanico. Chi vuol farsi un giro?»

L'attenzione dei quattro ragazzi, venne attirata da Jade che, con megafono in mano, era salita sul bancone per incitare i clienti a sfidarsi sul toro meccanico. Richiamate all'ordine, le persone si alzarono dai propri tavoli, raggiungendo l'angolo destro del locale e lo stesso fecero loro.

«Eccolo qui il primo maschione che ha deciso di affrontare il nostro amico» gridò Jade incitando le persone ad applaudire in direzione di un ragazzo che stava prendendo posto sul dorso del toro. Louis strabuzzò gli occhi quando quell'aggeggio meccanico iniziò a muoversi su e giù e a ruotare su se stesso sempre più velocemente.

Notò come le persone, compresi Harry, Niall e Liam, urlavano e ridevano della prestazione del ragazzo che stava facendo l'impossibile per restare in sella al toro il maggior tempo possibile. In effetti, era una cosa piuttosto divertente da guardare, ma non era altrettanto certo che lo fosse anche praticarla.

Un indicatore elettronico si era attivato non appena il toro meccanico era entrato in funzione, conteggiando i secondi di resistenza dello sfidante. Quando il giovane finì rovinosamente a terra, indicava un minuto e sette secondi.

«Sei pronto per vedermi in azione?»

Era talmente concentrato nel guardare ciò che stava succedendo davanti ai suoi occhi, che non si era nemmeno accorto che Harry si fosse spostato alle sue spalle. La sua voce roca, gli giunse perfettamente all'orecchio e il fiato caldo che gli aveva solleticato il collo, provocandogli un piccolo brivido. Voltò il capo, trovandolo esattamente dietro di lui, con un sorrisino irriverente sul viso.

«Non vedo l'ora. Sono sicuro che non sei così bravo come dici».

Lo aveva provocato e il luccichio che gli vide sprigionare dagli occhi, gli fece capire che Harry lo aveva preso sul serio.

«Ti farò rimangiare ciò che hai appena detto».

Lo superò camminando sul materassino quadrato posizionato attorno al toro e, con agilità, salì a cavalcioni dell'animale meccanico.

«Ed ecco il nostro fuoriclasse signore e signori. Un bell'applauso per Harry Styles» urlò Jade, scatenando fragorosi battiti di mani.

«Penso proprio che sarai costretto a ricrederti, Louis» gli disse Liam, prima di mettersi due dita in bocca e fischiare forte per sostenere l'amico, esattamente come stava già facendo Niall. Lui non staccò gli occhi di dosso a Harry che, dopo avergli riservato un ultimo sguardo, aveva dato il via a Jade.

Il toro partì subito a roteare su se stesso ad un ritmo decisamente più sostenuto rispetto alla volta precedente, ma Harry sembrava non scomporsi: aveva il corpo proteso in avanti, le mani attaccate alle corna finte e i piedi ancorati appena sotto la pancia. I secondi scorrevano inesorabili e più il numero sul display aumentava, più Louis si stava rendendo conto che Liam avesse ragione. Harry era davvero bravo e dalla sua posizione ben franca sull'animale, sembrava che potesse durare ancora a lungo là sopra. Addirittura, quando il toro si fermò, iniziando a muoversi su e giù, Harry drizzò la schiena e staccò una mano dalla presa, agitandola sopra la testa. Inutile dire come quel gesto non fece altro che aizzare maggiormente le urla d'incitamento, mentre lui si era ritrovato a pensare come Harry riuscisse a essere addirittura sexy sopra a quel coso.

Il suo corpo che ondeggiava sinuoso seguendo i movimenti del toro, i lunghi ricci che si muovevano, andando a coprirgli il volto e il petto lasciato scoperto dalla camicia semi sbottonata, imperlato di sudore, lo rendevano uno spettacolo piuttosto interessante da vedere.

E non era merito di quell'arnese infernale se i suoi movimenti risultavano così sensuali, dal momento che il ragazzo precedente, a confronto, sembrava avere la sensualità di un sacco di patate in sella a quell'aggeggio. Era proprio Harry che aveva una capacità innata di renderli tali.

Si mosse irrequieto sul posto, stranito dai suoi stessi pensieri e da uno strano formicolio che sembrava invadergli perfino le ossa.

Si stava agitando.

Il suo intero corpo stava avendo una reazione, nei confronti di Harry, che non riusciva a spiegarsi. Era quasi come se ne fosse attratto e... no, decisamente no. Non era possibile.

Sbatté ripetutamente le ciglia, quando le urla divennero congratulazioni e si accorse che Harry giaceva ora ai piedi del toro.

«4 minuti e 27 secondi! Ottima prestazione, Harry».

Jade lo raggiunse, posandogli le mani sulle spalle e schioccandogli un rumoroso bacio sulla guancia, esattamente come aveva fatto con il ragazzo di poco prima.

«Wo-oh amico. Ci mancava poco che non battessi il tuo record! Sei grande».

Niall quasi gli saltò in braccio quando ritornò da loro, abbracciandolo e battendogli ripetute pacche sulla schiena, prima di lasciarlo ai complimenti di Liam.

Quando se lo ritrovò davanti, Louis era riuscito nel frattempo a riprendersi dai suoi strani pensieri. Applaudì quindi nella sua direzione e gli riservò un piccolo inchino.

«Ti porgo le mie scuse, o prode Harry. Sei proprio un gran cavalcatore di tori».

Harry scoppiò genuinamente a ridere, abbracciandosi il busto con le mani e gettando la testa all'indietro. Fu veloce però a ricomporsi, arricciando il naso in una piccola smorfia per smorzare le risa e passandosi una mano tra i capelli.

«Hai poco da fare lo spiritoso, perché ora tocca a te».

Louis cambiò drasticamente espressione. Non era minimamente intenzionato a salire su quel coso.

«Non ci pensare nemmeno, Harry» lo ammonì, avendo capito le sue intenzioni.

Lo rincorse nel momento esatto in cui il più giovane non gli diede retta, avvicinandosi a Jade e sussurrandole qualcosa nell'orecchio.

«Harry, no. No. Fermati, torna qui!»

Ci vollero solo pochi istanti prima che la ragazza volgesse lo sguardo verso di lui, sorridendogli con entusiasmo.

Era fregato.

«Signori, ho appena saputo che abbiamo un coraggioso novellino tra noi. Avanti Louis, facci vedere di cosa sei capace».

Bastò quell'annuncio per attirare l'attenzione della folla su di lui. E a nulla servirono le sue proteste o i penosi tentativi di nascondersi dietro Liam, quando Harry tornò da lui e, senza badare alle sue proteste, lo accompagnò senza pietà fino al toro meccanico.

«In bocca al lupo» gli augurò, lasciandolo poi da solo, di fronte a quel bestione.

Stava sinceramente pensando di darsela a gambe ma, guardandosi attorno, non scorse alcuna via d'uscita.

In più, come se non bastasse, Jade, Niall e Liam sembravano essersi coalizzati con Harry, incitandolo a dare una dimostrazione pratica delle sue capacità.

Rilassò le spalle e si sfregò le mani sui jeans cercando di asciugarle dal sudore, dopodiché salì sul toro. Cercò di posizionarsi come meglio poteva, mentre nella mente provava a ricordare come si era comportato Harry per imitarlo.

Ma proprio quando stava per dare il via libera a Jade, scorse il più giovane rispondere al cellulare.

Harry aveva portato la mano libera a coprirsi l'orecchio per sentire meglio la voce del suo interlocutore e, nonostante le luci soffuse e la confusione circostante, riuscì chiaramente a notare come il suo corpo si fosse irrigidito.

Non poteva sentire la sua voce ma, dall'espressione seria sul suo viso e da come si girasse irrequieto a destra e a sinistra mentre discuteva, era certo che fosse successo qualcosa.

Il suo pensiero corse immediatamente a Jaxon. E non fece in tempo a realizzarlo, che vide Harry voltarsi a guardarlo, cercando a sua volta i suoi occhi.

Scese immediatamente dal toro, incurante delle proteste delle persone e raggiungendolo in preda al panico.

«Che succede?»

Harry non gli diede risposta, sporgendosi verso Niall per riferirgli qualcosa, poi lo prese per un braccio.

«Dobbiamo tornare a casa» si limitò a dirgli, dandogli le spalle e incamminandosi verso l'uscita.

Rimase per un attimo interdetto e immobile sui due piedi. L'ansia ad impadronirsi di lui e la mente a pensare già al peggio.

Jaxon.

Era sicuramente successo qualcosa.

Si riscosse, attraversato da un brivido glaciale, prima di corrergli dietro e affiancandolo.

«Vuoi dirmi cosa sta succedendo?»

«Non qui. Usciamo».

Non protestò, imitandolo e seguendolo fuori dal locale.

Aspettò finché non furono saliti sul pick-up, poi bloccò la mano di Harry che stava per accendere il veicolo e pretese una spiegazione.

Il più giovane si passò una mano sulla fronte, prima di girarsi verso di lui.

«Prima, promettimi che non darai di matto».

«Harry, mi stai agitando. Dimmi cosa cazzo è successo» sbottò, facendolo appena sobbalzare. Stava già stringendo le mani al bordo del sedile quando lo vide prendere un profondo respiro, prima di iniziare a parlare

«Era mia madre. Jaxon si è svegliato e, non trovandoti, ha iniziato ad agitarsi».

La presa attorno alla pelle ruvida del sedile, si fece più stretta e la sua mascella s'irrigidì.

Lo sapeva.

Dannazione, lo sapeva.

Non avrebbe mai dovuto uscire quella sera; non avrebbe mai dovuto lasciarlo in casa senza di lui.

«Torniamo subito a casa. Più in fretta che puoi».

«Louis - »

«Ho detto, torniamo. Guida e basta, Harry».

Raddrizzò la schiena, sedendosi composto e puntando lo sguardo fisso davanti a sé.

Harry non osò replicare, limitandosi ad avviare il pick-up e prendere la via del ritorno.

Il silenzio tra loro proseguì durante tutto il tragitto, esattamente come all'andata; ma quella volta l'animo di Louis era decisamente più tormentato.

Non poteva fare a meno di pensare che il suo bambino avesse disperatamente bisogno del suo papà e lui non era lì. L'aveva lasciato con persone che ancora non conosceva bene, si era lasciato convincere da Harry che una singola sera fuori non sarebbe stata poi la fine del mondo, e quello era il risultato.

Gli aveva dato retta, nonostante sapesse che fosse sbagliato.

Si era fidato delle sue parole, commettendo un grave errore.

Non gli erano sfuggite le occhiate preoccupate che Harry ogni tanto gli lanciava, nella speranza che ricambiasse i suoi sguardi o che gli rivolgesse la parola, ma non era assolutamente intenzionato a fare nessuna delle due cose.

Era arrabbiato, furioso. Con Harry, per aver avuto quella stupida idea, ma, più di tutto, con se stesso; perché per quanto Harry potesse essere informato sull'autismo, non poteva certo conoscere suo figlio, come invece lo conosceva lui.

Jaxon era una sua responsabilità e lui non gli aveva dato la giusta importanza.

Scese di corsa dal pick-up non appena Harry spense il motore, correndo a perdifiato verso la dependance. Le urla e il pianto disperato di Jaxon si potevano sentire già dall'esterno e quello non fece altro che preoccuparlo ulteriormente.

Spalancò la porta, guardandosi attorno, e la scena che si ritrovò davanti fu una delle più difficili da affrontare: Jaxon era rannicchiato in un angolo del salotto con le mani a coprisi le orecchie, mentre piangeva sconsolato.

Era interamente rosso in viso, segno che stesse urlando in quel modo da diverso tempo, e le sue guance erano completamente bagnate dalle lacrime.

Anne era inginocchiata davanti a lui, probabilmente nel vano tentativo di calmarlo, mentre Gemma era in piedi accanto alla finestra, che tratteneva a stento le lacrime.

Non perse altro tempo e si fiondò da lui.

«Cucciolo, sono qui. Non piangere, amore, il tuo papà è qui con te».

Era talmente agitato, che non si era preoccupato di avvicinarsi a lui con cautela, tentando un approccio cauto e aspettando la sua reazione. L'aveva raggiunto e l'aveva preso istintivamente in braccio, stringendolo forte a sé.

Fortunatamente, Jaxon non lo respinse, lasciandosi sollevare da terra senza alcuna protesta. Aveva smesso di gridare, percependo la sua presenza, ma continuava comunque a singhiozzare senza sosta.

«Sshh, Jax. Calmati, tesoro. Non è successo niente, papà è qui».

Lo cullò tra le sue braccia, una mano dietro la schiena e una sulla nuca, mentre dondolava a destra e a sinistra e gli posava piccoli baci sul capo.

Non rivolse la parola a nessuno, mentre lasciava il salotto e si dirigeva verso la sua camera da letto.

Fece giusto in tempo a sentire Anne dire a Harry che aveva provato a calmarlo in tutti i modi, ovviamente senza alcun risultato, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Sicuramente le due donne erano preoccupate e spaventate - le lacrime di Gemma ne erano la prova evidente - ma non aveva tempo di angustiarsi per loro. Doveva pensare a Jaxon, soltanto a lui, come sempre aveva fatto. Non sapeva se quell'episodio avrebbe lasciato degli strascichi nel comportamento del suo bambino; l'unica cosa di cui era certo in quel momento, era che non avrebbe più permesso che un fatto del genere si ripetesse.

Mai più.








Angolo autrice:
Buonasera a tutti, sono infinitylou di EFP. In tanti mi avete chiesto di pubblicare anche su Wattpad e allora eccovi accontentate.
Chi mi segue su Twitter saprà sicuramente da quanto io ci stia lavorando e come non sia ancora completa. Per niente.
Pochi giorni fa credevo di essere arrivata almeno a metà della trama, ma poi ho sviluppato altre idee e non ne sono più così sicura. Per questo non so ancora dirvi quanti saranno i capitoli totali di questa nuova storia.
Ho voluto iniziare a pubblicarla perchè già tanti di voi la aspettavano con ansia e io so essere ancora più impaziente di voi, perciò non ho resistito oltre.
Cercherò di aggiornare il prima possibile, in base anche a quanto riuscirò ad andare avanti con la stesura dei nuovi capitoli. Voi cercate di pazientare e prometto di fare del mio meglio affinché questo nuovo viaggio insieme non vi deluda.
Come sempre aspetto le vostre impressioni e riflessioni, sia qui che su Twitter dove potete sentirvi libere di disagiare insieme a me.

A presto.
Giu xx ( Twitter: @meetmeintheblue)

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