In Media(s) Res [Completa]

By blackcarson

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Prima che rapissero sua sorella, Valeria aveva investito tutto nel suo sogno: diventare un'attrice. Adesso, p... More

Ancora una volta, la premessa
Prologo
1. Sipario
2. Physique du rôle
3.
4.
5. Atto primo
6.
7. (s)Comparsa
8.
9. Backstage
10.
11. Chiamata di scena
12.
13. Sticomitia
14.
15. Assolo
16.
18.
19. Buio
20.
21. Variazione sul tema
22. Luce
23. La quarta parete
Epilogo
Ringraziamenti
La lista Wattys - Grazie per il vostro supporto

17. Intreccio

214 26 58
By blackcarson



«Vale, ma perché ci hai messo tanto? Stavo andando fuori di testa per la preoccupazione!» era nascosta nella macchia rada, a pancia in giù sul terreno brullo. Stava morendo dal caldo, e le urla di Enzo al telefono non contribuivano a migliorare la situazione.

«C'è stato un contrattempo, ma adesso ho risolto tutto» o almeno sperava che fosse così «Ora tocca a te.»

«D'accordo. Ma non farmi venire mai più un infarto del genere, piuttosto mandami un messaggio. Ti ricordo che la tua auto è ancora in ostaggio nel mio garage.»

«Non più. Ho dato le chiavi a Chiara, in compenso io ho la tua.»

Un silenzio seguì dall'altra parte della comunicazione.

«Eddai, pensi che ci tenga a farmi uccidere?»

«No, ma conoscendoti potresti anche non avvertirmi e scappare alle Seychelles senza dirmi che stai bene.»

«Piantiamola, abbiamo del lavoro da fare.»

«Passo e chiudo, capa.» fece il ragazzo, ironico.

Valeria si girò a guardare la casa poco lontana, nascosta in parte dagli alberi e dagli arbusti secchi, come se dovesse fronteggiarla.

"Mezzogiorno di fuoco" si disse, guardando l'ora.

Non che non si sentisse. Forse sarebbe uscita di lì viva, ma dopo sarebbe dovuta andare all'ospedale con ustioni di terzo grado su tutto il corpo.

Il telefono vibrò in silenzio.

"Fatto", diceva il messaggio di Enzo, perciò adesso doveva solo aspettare.

Trentacinque gradi all'ombra, accidenti.

Ma non era il momento per lamentarsi, doveva concentrarsi. Se i suoi cari amici si fossero asserragliati lì dentro lei non avrebbe dovuto fare assolutamente nulla, ma se avessero portato Anna via da lì... beh, lei aveva un'opportunità sola per seguirli.

Tirò fuori il navigatore satellitare e ripassò ancora una volta i percorsi alternativi.

Molto probabilmente non si sarebbero allontanati troppo da lì, e a costo di passare per i boschi si sarebbe almeno fatta un'idea della loro destinazione.

Non le sarebbe servito a niente, ma non voleva perdere quello che considerava un vantaggio inestimabile: sapere dove si trovava sua sorella.

Nonostante tutto però doveva dare retta ad Enzo. Che le aveva detto di non correre rischi.

Se avesse dovuto scegliere tra seguirli, farsi scoprire e causare la sua morte e quella di Anna e ignorare la destinazione della sorella avrebbe scelto la seconda.

Era improbabile, comunque, che spostassero Anna.

"Improbabile, improbabile" si ripeté.

Perché se tutti erano dalla parte dei rapitori, allora loro avevano le spalle coperte e nessun motivo per allontanarsi da lì.

Altrimenti, si disse analizzando le strade alternative sul navigatore, li avrebbe seguiti solo per un pezzo, finché fosse riuscita a non esporsi.

Sì, avrebbe fatto così.

Peccato che tutto aveva intenzione di andare storto nel giro di pochi minuti e lei – pensò più tardi – avrebbe dovuto saperlo.

Mentre controllava il navigatore, Valeria ad ogni manciata di secondi gettava un'occhiata alla casa.

Alla quarta occhiata la casa era perfettamente immobile, come del resto ci si aspetta da una casa, e tutto era calmo.

Alla quinta occhiata tre uomini stavano uscendo dalla casa e il più grosso di loro reggeva tra le braccia un'ingombrante fagotto.

Trova le differenze.

I tre uomini si guardarono attorno con una certa attenzione, ma non sembrarono notarla grazie alla cura che aveva messo nel nascondersi.

Non avrebbero dovuto essere lì, non così presto! Ma dopotutto non era importante.

Tirò su la macchina fotografica che aveva al collo e scattò un paio di foto: potevano sempre tornarle utili.

A uno dei due con le mani libere – quello che le aveva aperto di sopra, ricordò Valeria – squillò il telefono.

«Sì, siamo già fuori.» disse, in risposta a una frase del suo interlocutore.

«La fascia nel fiume?» fece dopo una pausa significativa, con un'espressione confusa sul volto. Nel silenzio che seguì l'uomo annuì un paio di volte, ora iniziava a capirci qualcosa.

«Allora è lei.» attese ancora qualche secondo, ascoltando con attenzione, poi chiuse la comunicazione.

«Muoviamoci.» si limitò a dire agli altri, che lo guardavano con aspettativa. No, no, un momento, che diavolo stava succedendo?

La fascetta? Che c'entrava la fascetta, adesso? E quel fagotto era mica Anna?

Sì, era lei di sicuro!

Gli alberi che aveva davanti iniziarono a sembrarle grandi e piccoli allo stesso tempo, come dopo una sbornia colossale, e il terreno aveva evidentemente cambiato pendenza, perché lei non riusciva più a starci sopra dritta.

L'avevano uccisa?

L'uomo che aveva risposto al cellulare tirò fuori qualcosa dalla tasca.

Chiavi dell'auto.

Fu grazie alle luci che segnalavano l'apertura delle porte che vide la sporca auto blu, parcheggiata a pochi metri da lei al limitare della boscaglia. Solo in quel momento qualcosa di gelido dentro alla sua testa mise a tacere il panico, come se qualcuno le avesse infilato della neve nel cervello, e lei capì che l'unica cosa che poteva fare era entrare in quell'auto, ora o mai più.

Il problema era che aveva solo una decina di secondi per farlo.

Fa' che non sia morta, fa' che non sia morta!

No, non doveva pensarci.

Si lanciò attraverso i cespugli secchi lasciando che la graffiassero quanto pareva a loro, tanto l'importante era arrivare alla macchina.

Per fortuna non avevano ancora iniziato ad avvicinarsi.

«Che stiamo aspettando?» sentì dire all'uomo che teneva il cappotto, probabilmente stufo di reggere il peso.

E certo, era una bambina di trenta chili e rotti!

«Non trovo la chiave.» disse la voce di Tore.

"Grazie, imbecille!" disse tra sé e sé Valeria, mentre scivolava dietro il bagagliaio della macchina. Sollevò il portellone con estrema cautela, trattenendolo dall'alzarsi del tutto perché un pezzo di lamiera che improvvisamente scatta verso l'alto è il genere di cosa che viene notata da tre uomini tesi.

Ancora pochi secondi, per favore...

Sgusciò nello spiraglio che aveva aperto e rotolò su un fianco, ma la maledetta borsa con il maledetto fucile dentro si incastrò a metà strada, facendola gelare per un lungo momento.

Per un attimo considerò l'idea di mollare la presa e lasciarla lì, ma non poteva essere sicura che quei tizi se ne andassero senza notarla.

Tra l'altro era pure rossa, ne avesse almeno portata una mimetica...

Si dimenò, cercando una posizione che le garantisse una presa migliore sulla tracolla.

Accidenti. Non solo non poteva lasciarla lì, adesso non riusciva neppure a sfilarsela di dosso.

La tirò fino a farsi venire le lacrime agli occhi, finché non sentì i passi degli uomini avvicinarsi, e ci mancò poco che il cuore le sfondasse il petto.

L'auto sussultò sotto il peso degli uomini che salivano e Valeria, frustrata, diede un ultimo strattone alla borsa ad occhi chiusi.

Il portello del bagagliaio si chiuse con uno scatto nel momento in cui la portiera veniva sbattuta.

Valeria riaprì gli occhi e si ritrovò con la sacca tra le braccia.

Oh, se la disperazione potesse trasformarsi in energia altro che centrali nucleari...

Tese l'orecchio, convinta, per un terribile attimo, che l'avessero notata.

Nessuno venne a ridurla in briciole, dal che Valeria dedusse che per quella volta l'aveva scampata. Che fortuna!

No, aspetta, quale fortuna? Era nella merda fino al collo.

«Chi era?» sentì dire a uno dei tre, che era quello che le aveva fatto mille salamelecchi quando aveva fatto finta di essere Beatrice.

«Giò.» rispose laconico l'altro.

Valeria, suo malgrado, ebbe la presenza di spirito di tirare fuori il cellulare e accendere il registratore vocale. Se mai ce ne fosse stata l'occasione, in un processo quelle erano cose che tornavano utili.

«E cosa dice?»

«Che la nostra Beatrice è Valeria Guzzani.» l'auto ebbe uno scossone, come sconvolta dalle parole dell'uomo.

«Cioè quella che è venuta qui...?»

«Sì.»

«Ma porc...» Valeria sentì un rumore. L'uomo doveva aver tirato un pugno al sedile «Se non sentivamo il capo... stava per andare a puttane tutto!»

«Ma tanto» intervenne Tore, esitante «Era già tutto messo in conto, no? Che bisognasse incolpare lei.»

Lei chi?

«Sì, ma si è messa nei casini da sola.»

Parlavano di lei. Porco cane, parlavano di lei!

Cercò nella sua testa che cosa avesse sbagliato. Sembravano aver capito che la Beatrice che era andata a trovarli pochi giorni prima non era, appunto, Beatrice, ma come avevano fatto a capire con una certezza così assoluta che si trattava di lei?

Oddio. La fascia!

Loro sapevano perfettamente che Anna era viva e non aveva in testa nessuna fascetta, trovarla nel fiume doveva avergli dato la conferma che qualcuno sapeva la verità, e che quel qualcuno aveva accesso alla camera di Anna Rita Guzzani. Nello specifico lei.

Non avrebbe mai dovuto farsi prendere dal panico e buttare la fascetta nel fiume, quanto era stata stupida!

«Ma dove stiamo portando la ragazza?» fece Tore con una certa insistenza. Forse non era la prima volta che faceva quella domanda.

Ci fu un attimo di silenzio. Valeria attese, mentre le faceva male tutto e persino respirare era doloroso, cercando di fare mente locale nonostante si sentisse sul punto di dire addio ai suoi sensi.

«Fra poco la togliamo di mezzo.» fece l'uomo pacato, quello che aveva parlato al telefono.

Valeria vide il sangue andarsene dalle sue mani quasi prima di capire che cosa aveva sentito.

Il cuore le salì in gola e nel processo ferì tutto quello che incontrava, lasciandole la sensazione che i polmoni le bruciassero.

I singhiozzi no, quelli no, stava per piangere e doveva fermarsi. Respirò a fondo con fatica e si morse la mano per trattenere un singulto. Avanti, Valeria, in qualche modo...

Dopotutto aveva ancora la doppietta.

Senza spegnere il registratore, Valeria premette con cautela i tasti del cellulare per mandare un messaggio ad Enzo: "È successo un casino. Mi sa che stiamo andando al paese di sotto, vieni lì. Subito!"

Poi strinse il cellulare tra le mani, un po' per attutire la vibrazione se Enzo le avesse risposto o avesse deciso di chiamarla, un po' perché la tranquillizzava.

«Ma ucciderla...» replicò dopo quella che parve un'ora di silenzio Tore. Doveva aver fatto parecchia fatica per racimolare il coraggio necessario a fare quell'osservazione.

«Sarai tu a farlo, Tore, naturale. Noi ce ne andiamo fra poco.»

Ci fu un tonfo, un po' di tramestio. Valeria avrebbe potuto giurare che il suono che seguì fosse la sicura di una pistola che veniva tolta.

«Stai fermo lì.» disse freddo l'uomo del telefono.

Un silenzio spaventoso cadde sugli occupanti dell'auto, tanto che Valeria dovette trattenere il fiato per paura che sentissero il suo respiro.

Poi l'energumeno che l'aveva fatta entrare la prima volta in casa parlò: «Vedi Tore» suonava accondiscendente, ma il tono ossequioso con cui aveva parlato a lei se n'era andato del tutto «hai fatto un contratto, ormai. Se uccidi la ragazza c'hai un milione tutto per te, altrimenti... che ti devo dire, qui ci deve scappare il morto, mi spiego? Perché se non è questa qui magari è tua figlia, chi lo sa...»

Tore gemette piano.

«Ragazzo, ti stiamo facendo un favore.» continuò il bestione «Sei indebitato fino alle mutande, mi spiego?»

L'auto rallentò, e Valeria riconobbe il familiare dosso che segnava l'inizio di San Graziano di Sotto.

«Ma perché qui a scuola?» disse Tore con voce stanca, come se non ne potesse più non solo del viaggio, che tutto sommato era stato breve, ma in generale della vita.

«Perché Valeria Guzzani può aver benissimo ucciso sua sorella qui. Sei fortunato, Tore, già.»

Valeria interruppe il messaggio che stava scrivendo a Enzo per aggiornarlo sulla sua posizione e quasi si strozzò da sola per l'indignazione. Incredibile, stavano davvero cercando di incastrarla!

«Ma devo lo stesso ucciderla io.»

Non era una domanda, ma il suo interlocutore la prese come tale: «Sì, e sarà meglio che tu lo faccia.»

In quel momento l'unica cosa nella testa di Valeria era un buio totale in cui navigavano una sequela di insulti irripetibili.

Prima che potesse rendersene conto l'auto si fermò.

Ci furono portiere aperte e sbattute, il suono di qualcosa di pesante e inerte che veniva fatto scivolare fuori dal sedile posteriore e le luci dell'auto che si accesero per qualche attimo.

Dopo ci furono solo i loro passi sul ghiaino.

Valeria attese qualche secondo, cercando di dominare l'istinto che le diceva di correre fuori di lì e saltare addosso a quei tre con tutto il suo peso. C'era ancora tempo, poco ma ce n'era: quelli avevano detto che se ne sarebbero andati, e lo avrebbero fatto prima che Tore uccidesse Anna.

Artigliò le mani al pianale del bagagliaio e cercò di farlo cedere, prima di rendersi conto che bastava un po' di cervello per sfilarlo dalla sua sede senza fare nessuna fatica.

Lo depose con urgenza accanto a sé e sbirciò dal finestrino.

La scuola elementare del paese, un edificio sgraziato del secondo dopoguerra, si ergeva a pochi metri da lì, divisa da lei da un triste cortile pavimentato con ghiaia grigia.

Non c'era nessuno.

Il trio delle meraviglie doveva essere entrato nella scuola, e lì attorno non c'era anima viva. Non dubitava che le ricerche fossero state opportunamente dirottate verso qualche altro posto.

Grazie al cielo il bagagliaio della macchina era orientato dalla parte opposta rispetto a quel casermone. Valeria scese dalla macchina senza movimenti bruschi, cercando di controllarsi.

Tirò fuori il fucile dalla borsa e lo imbracciò, avvolgendogli attorno un asciugamano per silenziarlo alla bell'e meglio, come Vito Corleone nel Padrino parte II.

Anziché attraversare il cortile ne costeggiò i bordi per non esporsi, sempre tenendo il fucile puntato sulla scuola.

Il portone principale era chiuso ma le scale che scendevano in basso lungo il lato dell'edificio portavano alla porta della cantina, chiaramente accostata anche da dove si trovava lei.

Si sporse dalla ringhiera che circondava le scale e attese.

Il Muto era dalla sua parte o no? In ogni caso la prima persona di cui occuparsi era l'uomo con il berretto rosso.

Quanto a Tore, in qualche modo avrebbe fatto. Lui la preoccupava meno.

Si preparò caricando il colpo.

"Sono quaglie" si disse "sono solo quaglie."

Si chiese come avrebbe fatto a entrare nella cantina senza svenire alla vista del sangue, ma scacciò quel pensiero. Dove avrebbe sparato avrebbe sparato.

In quel momento non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a ucciderli. Forse dopo sarebbe stata un'altra storia, ma a questo avrebbe pensato più tardi.

«Ferma lì, non ti muovere!» una voce dietro di lei la inchiodò dove stava.

Lasciò andare il respiro trattenuto e si girò con estrema lentezza per incontrare le pistole di tre poliziotti.

«Posa a terra il fucile e porta le mani sopra la testa.»

Valeria eseguì, ma non senza protestare: «Vi sbagliate, mia sorella è là sotto! Basta che andate a vedere, se non mi credete.» appena ebbe finito di parlare, Valeria si rese conto di avere appena fatto un grosso errore, l'ennesimo: aveva parlato come se sapesse già che cosa stava succedendo.

«Verificheremo subito.» disse gelido lo stesso che aveva parlato fino a quel momento «Anche se dubito che il cadavere sia davvero lì.»

«No! Anna non è morta, bisogna andare subito lì! Lasciatemi, lasciatemi!»

«Ti dichiaro in arresto per l'omicidio di Anna Rita Guzzani.» un poliziotto le torse prima un polso e poi l'altro, mettendole le manette «Hai il diritto di...»

«Enzo!» gridò Valeria, vedendo l'amico entrare nel cortile con la macchina di Fabrizio.

«Ma che succede?» fece lui, saltando giù dall'auto e cadendo dalle nuvole.

«Mi accusano di aver ucciso Anna.» rispose lei, strattonando le manette «Ma non c'è tempo da perdere, bisogna tirarla fuori di lì!»

In quel momento Valeria capì che non sarebbe mai uscita da quella situazione. Enzo era l'unica speranza per Anna, e perché lo rimanesse Valeria non doveva far cadere alcun sospetto su di lui. Gli lanciò uno sguardo chiaro, abbandonando qualsiasi espressione, per fargli capire che non era uscita di senno, poi cominciò a piangere e a divincolarsi con ancora più forza.

«Vi ho detto che non è morta! Lasciatemi, lasciatemi andare! Anna, Anna!»

Era una cosa folle, ma doveva essere credibile che lui credesse che fosse pazza.

«Tu.» lo apostrofò un agente, guardando sospettoso il ragazzo «Hai qualcosa a che fare con questo?»

«Questo cosa? Perché la state arrestando?»

«È la principale indiziata per l'omicidio della ragazza.»

Enzo sgranò gli occhi «Ma non è possibile, cosa dite? Valeria non... Era a Roma con me, e Chiara ha visto...»

«Mi dispiace, ragazzo» lo interruppe uno di loro, perentorio «ma non siamo autorizzati a fornire dettagli sulle indagini. Ci sono parecchi indizi a suo carico, ma ci sarà un interrogatorio e un processo: se è innocente lo decideremo lì.»

«Che ci fai qui, comunque?»

«È stata lei a chiedermi di venire, ma non mi ha detto perché.» la sua faccia confusa era impagabile, se la situazione fosse stata diversa Valeria avrebbe riso come una matta. Adesso invece avrebbe voluto solo dormire un sonno lunghissimo e al risveglio sentire una voce dirle che andava tutto bene, che si era risolto tutto.

«Perché volevi che venisse qui, eh?» Valeria non rispose ma si calmò momentaneamente, guardando l'agente senza proferire parola. Dopotutto la prossima frase che lui stesso stava per dire era "hai il diritto di rimanere in silenzio", giusto?

«Valeria, perché?» disse Enzo, guardandola disperato.

Ancora una volta lei non disse nulla, e il poliziotto che le aveva fatto mettere le manette cercò di guidarla verso la macchina. A quel punto Valeria ebbe un nuovo scatto di ribellione e iniziò a dimenare le braccia, per quanto glielo consentivano le mani legate.

Non che si illudesse di liberarsi, ma almeno avrebbero potuto dire di aver avuto a che fare con una pazza furiosa, quando avessero dovuto fare rapporto.

Mentre la portavano via lanciò un ultimo sguardo verso la scuola, in realtà cercando Enzo per assicurarsi che avesse capito.

Ti prego, Enzo...

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