Vesper, la Rinascita degli Ul...

Por MartinaBattistelli

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2° libro della saga Oblivium. Alice spera di poter superare l'ennesima tragedia che è stata costretta a viver... Más

Prologo
1. Un Infausto Inizio
2. Il Mistero
3. Il Racconto del Vecchio
4. Ritorno a casa
Blogtour+Giveaway: vinci una copia cartacea di Vesper!

5 . Questione di equilibrio

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Por MartinaBattistelli

5. Questione di equilibrio

Prodiga grazia, perché spendi
solo per te il patrimonio della tua bellezza?
William Shakespeare, Sonetto 4

Determinata, energica, svelta, sinuosa, tosta.
Già... quella ragazza era davvero tosta. Jade non aveva mai visto nessuno combattere in quel modo - a parte Andrea, forse; lui era l'unico che metteva anima e corpo nell'esercizio fisico. Era anche un ottimo insegnante, esattamente come lei.

Si muoveva agile, attorniata da quattro ragazzi che cercavano di aggredirla. Il più basso tentava di sfruttare la sua statura per passare inosservato; allungò la mano con il coltello dritta verso lo stomaco, ma l'arma volò via con un calcio rovesciato, e così il suo padrone.

Un ragazzo magrolino provò con un pugno in direzione del volto, ma lei lo schivò e rispose con la stessa manovra; un altro fuori gioco.

Il terzo e il quarto lavorarono insieme: si lanciarono uno sguardo complice, poi uno allargò le braccia, dalle quali liberò una nebbia fitta, mentre l'altro vi sparì all'interno. Lui e la ragazza erano totalmente inghiottiti dalla foschia che continuava ad alzarsi fin sul soffitto. Un paio di gemiti dopo, il poveretto era a gambe all'aria fuori dalla palla grigiastra, piegato sullo stomaco, il volto verde. L'amico aveva richiamato la sua nebbia e l'aveva affiancato, inginocchiandosi al suo fianco.

La prima cosa che riapparve di lei fu il sorriso sghembo - abbastanza inquietante, in effetti. La coda di cavallo rossa oscillava da parte a parte, mentre lo sguardo attento saettava velocemente in ogni direzione, alla ricerca di qualcun altro da affrontare.

Nessuno fu tanto coraggioso da farsi avanti. Nella palestra il tempo sembrava essersi fermato, e una mandria di ragazzini la fissava sgomenta.

«Nessuno vuole provare?» domandò con voce bassa e un accento particolare. I suoi occhi passarono in rassegna tutti i presenti, ma non trovarono sfidanti. «È solo un allenamento, non abbiate paura.» Il sorriso ampio e provocatore non migliorò le cose; l'uditorio rimase muto. «Bene, se nessun altro si sente in grado di combattere, per oggi possiamo anche concludere.» Batté i palmi uno contro l'altro. «J.J., la prossima volta non usare una mossa tanto stupida» disse al ragazzo del pugno. «Luca, ci sai fare col coltello, ma è un'arma complessa, dovremo lavorarci su.» Il ragazzino sbiancò. «Mitch, Noah,» guardò gli altri due sfidanti «va bene lavorare in coppia, ma pensatene una meno prevedibile. E ricordate di tenere sempre a mente chi realmente è il vostro nemico» disse a tutti. «Sono in grado di combattere al buio completo, perché posso diventare il buio completo.» Sorrise ampiamente, allegra, poi fece per avviarsi all'uscita, quando un finto colpo di tosse la fermò.

«Mi piacerebbe combattere... se non è un problema.»

La rossa si voltò verso Jade, quando parlò. Non aveva idea di chi diavolo fosse quella sconsiderata, e non voleva certo perdere altro tempo con ragazzini incapaci; doveva già sopportarli più di quanto desiderasse. Ma non poteva rifiutare una sfida davanti a tutti i suoi studenti. Non era stata cresciuta da codarda, aveva una reputazione da difendere.

«Temeraria» commentò con le braccia al petto. «Sei proprio sicura?»

Il sorriso di Jade era una chiara provocazione. Voleva vedere fin dove si sarebbe spinta. Nessuno la incuriosiva tanto da quando aveva conosciuto Sabrina. «Temeraria è il mio secondo nome.»

Arricciò il naso. «Bene, allora» accordò, facendosi avanti.

Jade iniziò a studiare il campo di battaglia. I ragazzi erano ancora tutti immobili ai loro posti, i quattro si erano tolti di mezzo per affiancare gli altri.

Lo spazio era ampio: in fondo alla sala c'era una pila di materassini spessi, a fianco attrezzi e pesi di ogni tipo e un contenitore a forma di tubo con dei bastoni all'interno. Sulla parete dietro erano fissate delle armi: una balestra, un arco, katane di diverse dimensioni, coltelli più o meno ornati...

Chissà dove le aveva prese Charlie.

«Vuoi un'arma?» La rossa si chinò a raccogliere il coltello usato dal ragazzo e lo porse a Jade, restando a distanza di sicurezza.

Aveva sentito di una nuova ragazza arrivata dal Rifugio degli Stati Uniti, ma era pur sempre una sconosciuta. Oltretutto laggiù non avevano neanche mai avuto una vera guida fino a poco tempo prima, era praticamente una selvaggia. Offrirle il coltello era una mossa astuta per sottolineare la sua superiorità nel combattimento. L'avrebbe battuta anche se dotata di un'arma. Dopo Andrea, nessuno poteva eguagliarla in quella disciplina.

Jade distolse lo sguardo dalle armi e lo puntò su di lei. «No, grazie» rispose con un sorriso di convenienza.

Con una smorfia indispettita, la ragazza ripose il coltello su una panca lungo una parete e continuò ad avanzare insieme alla sua sfidante. Era stufa di temporeggiare, aveva altro da fare. «Attaccami, forza. Vediamo che sai fare» la esortò.

La sua espressione si fece improvvisamente seria. La luce tremò sopra le loro teste: ora era concentrata.

La rossa alzò lo sguardo un istante, abbastanza per distrarsi mentre Jade attaccava per prima con un diretto destro; quella che aveva davanti, però, non era certo una dilettante. Fece appena in tempo a schivarlo e rispondere mirando al mento. Jade fu svelta e si spostò da un lato; usando lo stesso calcio rotante della sua avversaria tentò di colpirla su un fianco, ma lei scivolò via velocemente e contrattaccò subito - contava sull'effetto sorpresa. Peccato che Jade aveva lavorato tanto con i riflessi, ultimamente.

Fu in grado di parare il gancio sinistro con un braccio e per un po' di tempo si batterono a suon di pugni ravvicinati. Più la rossa era irritata dalla perdita del controllo su quella situazione, più Jade sorrideva ed era spinta a concentrarsi al massimo.

La luce della lampadina continuava a tremare, ma non sembravano accorgersene. Nessuno dei loro colpi andò a fondo, e dopo diversi minuti erano entrambe ansimanti e grondanti di sudore, i petti che si alzavano e abbassavano a velocità inconsueta.

Si staccarono.

«Riconosco la tua tecnica» disse la ragazza, sempre all'erta, braccia distanti dal corpo e sguardo di falco. «Andrea mi ha allenata per anni.»

Jade le girò intorno; si indicò con atteggiamento teatrale. «Due mesi» si vantò. «Imparo in fretta.»

Le rivolse un'espressione infuriata. «Vediamo se sai schivare questo.»

Poi tutto avvenne in pochi secondi: la rossa balzò in aria come un felino, diretta verso di lei con una gamba tesa; la lampadina sopra le loro teste si spense del tutto e il buio li avvolse.

Il colpo non arrivò mai. A Jade sembrò trascorsa un'infinità quando si rese conto che la sorpresa le aveva fatto perdere il controllo. Fece tornare subito la luce, ma la ragazza era sparita. Davanti a lei non c'era altro che il vuoto e una gran quantità di sguardi sorpresi.

C'era qualcosa che non andava.

«Tieni sempre a mente chi è il tuo nemico.»

Jade sussultò. La rossa aveva un braccio intorno al suo collo e le teneva la testa ben salda nell'incavo della sua spalla, senza forzare la presa.

Alzò le mani davanti a sé, sorridendo. «Tregua.» Si voltò verso di lei quando la lasciò andare lentamente. «Potrei sapere con chi ho avuto il piacere di combattere?»

La ragazza la fissò un momento a braccia incrociate, l'espressione confusa. Alzò il mento. «Catriona Brown.»

Jade allungò una mano e lei la strinse, incerta. La sua stretta era salda, inizialmente, poi qualcosa cambiò e si indebolì.

Jade non vi fece troppo caso; era impegnata a fissare i suoi occhi. Erano verdi, ma un tipo particolare di verde; verde smeraldo, quello che appare per pochi istanti al tramonto, quando il sole scompare dietro il mare.

Finalmente Catriona sorrise, e il mondo di Jade si illuminò.

***

Dopo la morte di Annie e Julie, per Alice non fu affatto facile gestire i poteri. I sentimenti intensi che provava erano come bombe a orologeria, solo che ciò che scoppiava era il suo immenso potere. Ogni volta che era terribilmente arrabbiata o infelice si scatenava come un violento uragano inarrestabile. Tutto iniziava a vorticare in aria; gli oggetti si schiantavano contro le pareti o ne urtavano altri, rompendosi; i vetri si frantumavano; ciò che era intorno a lei diventava una probabile arma contundente, ed era preferibile girare al largo.

Alice non poteva permettersi di uscire di casa in quelle condizioni. Non che ne avesse particolare voglia, ma aveva deciso il giorno stesso dell'incidente che non avrebbe vissuto un giorno di più in quel posto.

Doveva trasferirsi. Velocemente.

Una settimana dopo, il potere non migliorava - o meglio, le sue capacità di controllarlo. Oltretutto era terrorizzata, si sentiva una specie di mostro e non poteva permettersi di avvicinarsi a coloro che amava - anche se non le era rimasto molto da amare.

Nadia non si lasciò intimorire. La prima volta che Alice la cacciò era emotivamente instabile e non riuscì ad obiettare; fuggì all'istante da quella casa piena di ricordi e non si guardò indietro. Ma impiegò meno di un giorno a capire che la sua famiglia non era andata del tutto; aveva ancora Alice a cui badare e non le avrebbe voltato le spalle in quel modo. Conosceva bene la sua ragazza ed era consapevole dell'immensa fatica che avrebbe dovuto fare per crescerla da quel momento in poi, ma lei non si sarebbe arresa. Mai. Lasciare la sua unica famiglia a vedersela da sola con i propri demoni non era un'opzione praticabile.

Quando tornò da lei la trovò sui diari della madre, il naso immerso in quella che sembrava una breve spiegazione di ciò che le stava accadendo. Giurò che l'avrebbe aiutata a venirne a capo e riuscì a convincerla ad esercitarsi. Dono o disgrazia che fosse, Alice aveva ereditato grandi facoltà, e con esse delle responsabilità. Doveva essere in grado di gestirle e ci sarebbe riuscita, Nadia ne era certa.

Il primo giorno fu tremendamente scoraggiante: non solo Alice non riusciva a controllare i suoi sentimenti, neppure il potere sembrava appartenerle davvero. Si manifestava solo quando era troppo arrabbiata per lo scarso successo, prendendo a distruggere tutto ciò che la circondava. Ed era molto più che assurdo - il suo autocontrollo non l'aveva mai delusa.

C'è sempre una prima volta, diceva il suo subconscio.

No, non per me, rispondeva lei. E ricominciava ad allenarsi.

Una settimana dopo, parte del potere era finalmente sua. L'autocontrollo era tornato più forte di prima. Ora non si arrendeva più a nessun sentimento, riusciva a controllarlo - o almeno era ciò che credeva.

Questione di equilibrio, aveva detto Nadia. E aveva ragione.

La telecinesi era a posto, il prossimo passo era vedersela con le terribili emicranie dovute al potere di Annie. All'epoca non avevano la minima idea di cosa stessero affrontando, e solo la chiacchierata con Zafira aveva chiarito le cose. Ma dovevano immaginarlo: l'empatia non poteva che appartenere ad Annie. Solo un grande cuore poteva sviluppare un potere del genere, e solo un grande cuore poteva permettersi di manipolare la mente umana - o di non farlo.

Nadia permise ad Alice di allenarsi su se stessa, ovvero di affinare l'empatia attraverso di lei. Paradossalmente, scoprirono che era quello il potere più difficile da controllare. Le emicranie non passavano, Alice aveva provato a concentrarsi su Nadia, ma continuava a sentire tutto. Tutti. C'erano momenti in cui pensava che la testa le sarebbe scoppiata, e l'unico modo per evitare che si strappasse i capelli era ingoiare un sonnifero e mettere a tacere ogni cosa.

Debole, tornava a tormentarla il subconscio.

Ed era in quei momenti che si applicava al massimo; non poteva averla vinta la piccola parte insicura che possedeva.

Non sono debole. Non lo sarò più.

Non appena riaperti gli occhi aveva deciso che ce l'avrebbe fatta, e tramite Nadia aveva imparato a controllare l'empatia.

Il controllo mentale, invece, fu tutt'altra storia. Alice non sapeva di poterlo fare, non aveva idea dell'immenso potere che aveva. Scoprì dell'ulteriore capacità straordinaria in uno dei suoi momenti critici. Stava combattendo con le infinite scartoffie riguardanti la sua famiglia ormai totalmente andata. Ovviamente Nadia e il loro contabile la stavano assistendo in quel compito impossibile: riordinare tutti i documenti e definire la situazione finanziaria da quel momento in poi. Alice odiava tutto ciò, odiava essere rimasta sola, e non riusciva neppure a pensare ad una vita diversa da quella che aveva sempre avuto; la nausea la opprimeva. Tutto era stato stravolto in un istante lungo quanto un battito di ciglia. Annie e Julie erano morte sul colpo, a quanto dicevano i poliziotti, non avevano sofferto.

Ma lei era sola. E soffriva immensamente.

L'uomo, ad un certo punto, si era permesso di consigliarle di cercare suo padre per tornare con lui, e Alice non era riuscita a contenere la rabbia. Una scarica di adrenalina si era diffusa in tutto il suo corpo, le labbra si erano tese come corde di violino, i pugni si erano stretti fino a far diventare le nocche bianche, il volto aveva preso un'anomala sfumatura di rosso e gli occhi neri l'avevano puntato come razzi nucleari.

«Rimangiatelo!» aveva urlato.

Ma nulla intorno a loro aveva preso a volteggiare in modo incontrollato. Un'altra cosa razionalmente inspiegabile si era verificata: la memoria dell'uomo si era resettata, perdendo completamente ogni ricordo di quel momento - solo di quel momento. Come se non fosse successo nulla, aveva ripreso a parlare di numeri e conti incomprensibili per Alice, lasciando lei e Nadia a bocca aperta.

Non si era mai esercitata con questo potere. Neanche lei avrebbe mai potuto giocare con la mente delle persone, era... disumano.

Certo, non quando le serviva. Così aveva persuaso il portiere a dimenticarsi di lei, la sua vecchia preside ad inserirla nella nuova scuola senza problemi, un gruppo di ragazzi a caricarsi tutti i suoi averi e trasportarli a Nottingate, e il vecchio proprietario della casa a consegnargliela nel momento esatto in cui era arrivata - oltretutto lautamente pagato, cosa per cui avrebbe anche potuto evitare di incasinargli la testa.

Ma, in fondo, aveva solo mentito a se stessa. Era debole. Era stata debole e continuava ad esserlo. Eccome se lo era. Aveva ceduto all'inganno di Zafira, si era fidata di lei e le conseguenze erano note a tutti.

Ecco perché doveva essere forte. Più forte.

Ecco perché Evan le avrebbe insegnato ad incrementare i suoi poteri.

«Concentrati. Trova una sorta di pace interiore.»

Una parola, pensò sarcastica.

«Devi sentire il potere anche quando non lo usi» proseguì Evan. «Chiudi gli occhi.»

Alice obbedì, respirando forte per rilassarsi.

«Il respiro più lento.»

Aprì un occhio per lanciargli mezzo sguardo truce, poi fece come le aveva detto. Regolarizzò il respiro e si pose in ascolto.

Non era tanto piacevole, considerato che si trattava dello stesso processo messo in atto mesi prima per liberarsi dei poteri. Ma ora non aveva nessuna intenzione di separarsene; voleva sentirlo, comprenderlo, controllarlo. Voleva sapere fino a che punto poteva spingersi.

Eccola, la fonte. Finalmente riusciva a sentirla chiaramente. Non era semplice energia che si irradiava in tutto il corpo da una zona precisa. Tutto il suo corpo era energia. O almeno così immaginava il potere che possedeva. Ogni piccola parte di sé era potere; vibrava, pronta a manifestarsi.

«Lo senti, vero?» domandò Evan.

Alice sorrise e annuì.

«Apri gli occhi.»

Obbedì di nuovo.

No.

Le sfuggì un verso sorpreso e si portò le mani alla bocca. Un istante dopo si lasciò andare ad una risata incredula. Tutto ciò che li circondava era sospeso da terra, immobile, così come i tappetini sui quali erano seduti loro.

In altre parole, stavano levitando.

«Sei tu a farlo» disse Evan con un sorriso soddisfatto. «E questa è solo una parte del tuo potere.»

«Assurdo» mormorò. Era evidente, non aveva idea di quanto potere le scorresse dentro.

Continuò a guardarsi intorno. La pila di tappetini in fondo alla palestra era ad almeno un metro da terra, così come le panche, i contenitori dei pesi, degli asciugamani e tutto quello che non era saldamente fissato a terra.

Non poteva fare a meno di sorridere. Si sentiva... forte, sì, in grado di demolire un edificio con la sola forza del pensiero. E, soprattutto, sentiva che tutto ciò era giusto, che così doveva essere. Quella era la sua natura.

Ma del controllo mentale non ne era sicura.

Un solo momento di distrazione e ogni cosa era atterrata all'improvviso, gli oggetti sparsi, le panche con qualche gamba rotta e loro con il sedere a terra.

«Scusa» disse con una smorfia - sia per aver distrutto la palestra che per aver lasciato cadere Evan.

«Non fa niente» la rassicurò mentre si alzava in piedi. «Hai sempre usato la telecinesi solo per trasportare o schiantare, giusto?»

«Sì.» Alice lo osservò raccogliere i pesi e riporli nel loro contenitore. Lo aiutò occupandosi di ripiegare gli asciugamani puliti.

«La tua gestione del potere si limita a questo, infatti. Ti insegnerò a controllarlo completamente, ma è di vitale importanza il tuo stato mentale.» Il suo tono si fece serio. «A cosa pensavi poco fa? Quando hai perso il controllo» specificò.

Alice si bloccò un momento, abbassando lo sguardo. «Agli altri poteri che possiedo» rispose, esitando. «Al controllo mentale.»

«Ti spaventa, non è vero?»

Lo guardò. I suoi occhi erano sempre allegri, gentili e sinceri. Non c'era nulla di ambiguo in lui.

«Più di quanto voglia ammettere» rispose.

«Non devi, Alice. Fidati di me, sarà più facile di quanto credi.»

«Io e la fiducia non andiamo tanto d'accordo, al momento» confessò con un sorriso amaro, riponendo gli asciugamani piegati al loro posto.

«Lo so. Ecco perché ti allenerai su di me.»

***

«No. Non lo farò mai. Non ti entrerò nella testa, Evan.»

Alice per poco non ebbe un attacco di cuore. Era pazzo, Evan non aveva tutte le rotelle che giravano per il verso giusto, non c'era altra spiegazione.

«Io mi fido ciecamente di te.»

«Io no» gridò quasi. «Non ho mai usato tanto questa... parte del potere. Mi spaventava scoprire di cosa sarei stata capace» confessò ancora, sperando di convincerlo a desistere. «Non ho mai modificato più che gli ultimi momenti di vita di qualcuno.»

«Cominceremo da questo allora. Quando lo padroneggerai bene in questa fase, ci spingeremo più in là.»

Alice scosse violentemente il capo. «No, è escluso.»

«Odio infiltrarmi nelle menti altrui, è sbagliato», la voce di Dan le risuonò nella testa.

«Cos'è che ti spaventa tanto?» Evan si avvicinò e le rivolse uno sguardo curioso, la fronte corrugata.

«Io...» inciampò nelle parole. «Be', credo sia meglio non approfondire la conoscenza di questo potere.»

Continuò ad avvicinarsi lentamente. «Non hai risposto alla mia domanda.»

Però... È sveglio...

Il suo sguardo fermo non la intimoriva. Alzò il mento e incontrò i suoi occhi castani. «Entrare nelle menti altrui è sbagliato, quindi perché allenarsi a farlo?»

«Per evitare che accada qualcosa di spiacevole, non avendone il pieno controllo» fu la sua risposta pronta.

Sì, forse era una possibilità. Ma esercitarsi su di lui... Insomma, era pur sempre il capo. «Potrei usare Xor» propose.

Evan rise, divertito, e delle rughe d'espressione comparvero intorno ai suoi occhi. «Non posso permetterlo.»

«Quindi era una bugia. Non ti fidi davvero di me» osservò lei, piegando il volto da un lato.

«Ero sincero.» Il suo tono tornò serio. «Ma qualcosa mi dice che non ti impegnerai molto con quel ragazzo. Hai bisogno di essere motivata, Alice. Niente di meglio della testa del capo, per farlo, non credi?»

Forse.

Sbuffò, distogliendo lo sguardo. Non era per niente convinta.

Ma una domanda aveva preso a girarle liberamente nel cervello, una domanda che aveva già posto ad una persona di cui non poteva fidarsi. Aveva bisogno di sicurezza, ora. Aveva bisogno di Evan. «È vero che i poteri sono pericolosi se usati troppo in un breve periodo di tempo?»

Il suo volto si contorse in un'espressione confusa. «Dove hai sentito una cosa del genere?»

«L'ho letto nel diario di mia madre e ne ho parlato con...» La saliva le si bloccò in gola. Era un incubo anche solo pensare quel nome. «Zafira» sputò infine. «La sua risposta è stata molto vaga, ma in quel momento avevo cose più importanti a cui pensare per soffermarmici.»

Evan prese una brutta cera, il volto scuro e lo sguardo altrove. «Non tutto ciò che vi ha detto è falso, questo è vero, ma quella donna era malvagia. Non potete fare affidamento sulle sue parole.»

«L'ho imparato a caro prezzo» disse atona. Non c'era bisogno che le venisse ricordato. «Quindi la vera risposta è...?»

«I poteri sono parte di noi» esordì, portandosi una mano al petto. «Non saranno mai un pericolo mortale per il nostro organismo. È evidente che Zafira non voleva farvi avere il pieno controllo delle vostre facoltà per raggiungere i suoi scopi. Non so come tua madre abbia potuto pensare che...»

«Io sì» lo interruppe Alice. Era abbastanza ovvio: Zafira l'aveva convinta di questo quando l'investigatore privato di Julie era andato a parlare con lei. Al solo pensiero di quel mostro, sentì il sangue ribollirle nelle vene e temette di perdere il controllo.

Non poteva permetterlo.

«Devo andare.» Si catapultò verso l'uscita della palestra ed era già con un piede fuori dalla stanza quando si sentì chiamare. Voltò solo il capo verso Evan, immobile dove lo aveva lasciato. «Sì?»

«Volevo sapere com'è andata da Charles. Non ne abbiamo ancora parlato. Hai trovato ciò che cercavi?»

Con una mano sullo stipite della porta el'espressione disillusa, ripose: «Nulla di concreto.»

#spazioautore

Rieccomi qui con un nuovo capitolo di Vesper!! Ragazzi, le cose iniziano a movimentarsi, d'ora in poi non ci sarà un attimo di pausa tra allenamenti e scoperte improbabili!
Devo però informarvi che temo questo sarà l'ultimo capitolo che potrò postare perché il prossimo mese FINALMENTE USCIRA' IL ROMANZO IN LIBRERIA😍
Eh, già, ce l'abbiamo fatta!
Colgo l'occasione per ringraziarvi ancora una volta per il sostegno e spero di non deludervi con questo secondo libro della saga!
Ma ora fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, tanto vi assillerò non appena il romanzo sarà uscito😂
Vi adoro❤❤❤

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