The Kidnapping » hes (Sospesa)

By SLV___

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Cosa sei disposto a fare per le persone a cui vuoi bene? Commetteresti un reato pur di salvarle? In una Detro... More

Precisazioni e Cast
I. Nessuno si salva da solo
II. Un'offerta da non rifiutare
III. Indietro non si torna
IV. La vita che non ho scelto
VI. Non ti sopporto
VII. Orgoglio e pregiudizio
VIII. Non è un gioco
IX. Scappa
X. Appuntamento a quattro

V. Tanti anni in una gabbia d'oro

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By SLV___

Una villa in stile coloniale con 30 stanze, tra cui una sala cinema, una palestra, una piscina coperta e, per non farsi mancare nulla, anche una esterna, un giardino con un campo da golf, un autista personale, George, due sole amiche, una madre esageratamente rigida e un padre troppo impegnato con il proprio lavoro per poter stare con la propria figlia.

Così poteva essere riassunta la mia vita perfetta, come la definivano tutti quelli che mi conoscevano. In realtà, nessuno mi conosceva. Mi pensavano viziata, snob, molto fortunata, ma nessuno era andato oltre a questo.

Odiavo la mia vita "perfetta", perché per me era una prigione. Certo, di lusso, ma pur sempre una prigione.

Mi sentivo uno di quegli uccellini colorati, strappati alla libertà e posti in una gabbia: attendevo con ansia che qualcuno si dimenticasse la porticina aperta per poter prendere il volo e scappare via.

Detroit mi stava stretta, in senso figurato ovviamente. Avrei voluto vedere il mondo e fotografare ogni cosa: le piramidi di Giza, il Partenone di Atene, la Muraglia cinese, la Sidney Opera House e un'infinità di altre città.

Ma ero bloccata in una casa troppo grande, perennemente scortata ovunque andassi, perché mio padre era un magistrato incaricato di occuparsi di processi contro i mafiosi.

Non avevo amici, a parte Catherine e Cylie, non partecipavo a nessuna festa universitaria e l'unico momento di interazione con i miei coetanei era l'università che avevo insistito a frequentare, nonostante i miei volessero farmi dare lezioni private.

Una vita perfetta, non è vero?

***

«Tesoro, arriverai in ritardo se non ti muovi»

«Sì mamma, arrivo!» sbuffai dandomi un'ultima occhiata allo specchio.

Il vestito verde acqua di Prada si intonava perfettamente con i miei occhi e le ballerine bianche completavano il look da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Quanto avrei voluto indossare qualcosa di più comodo, come dei jeans e quella maglietta dei Blink 182 che non era mai uscita dal mio armadio. Probabilmente, se lo avessi fatto, i miei mi avrebbero costretta ad una lezione extra di pianoforte con quell'antipatico del signor Moore.

Scesi velocemente le infinite scale in marmo bianco, posando lo sguardo sulla donna dai capelli castani che mi aspettava accanto all'ingresso. Sbatteva ritmicamente la punta delle sue Louboutin nere sul pavimento in acero canadese, mentre i suoi occhi, verdi come i miei, mi squadravano soddisfatti per il mio outfit impeccabile.

Io e mia madre eravamo molto testarde e orgogliose e queste nostre caratteristiche, soprattutto durante l'adolescenza, si erano trasformate in un motivo di scontro continuo. A volte, la trovavo troppo attenta alle apparenze, concentrata solo sull'immagine che la nostra famiglia doveva dare al pubblico. Le volevo bene, ovviamente, ma spesso pensavo che non mi capisse appieno e, durante le nostre liti, mi ripromettevo di non diventare mai come lei.

«Ci vediamo stasera, amore» mi salutò con un bacio sulla guancia, prima di chiudere la porta di ingresso.

Annuii distrattamente, mentre mi incamminavo lungo il vialetto di ghiaia per raggiungere l'auto che mi avrebbe portato all'università, come ogni mattina.

«Buongiorno, George» lo salutai sorridente entrando nella vettura tirata a lucido.

«Buongiorno, signorina Cooper. Dormito bene?» mi chiese l'uomo guardandomi con i suoi allegri occhi marroni dallo specchietto retrovisore.

Adoravo George. Era il mio autista da quando ne avessi memoria e, appena vedevo i suoi capelli ormai grigi, il sorriso gentile e il completo nero inamidato da sua moglie Mary, mi sentivo immediatamente al sicuro.

«Divinamente, grazie» risposi ricambiando il sorriso.

Appoggiai la testa al sedile osservando il paesaggio fuori dal finestrino.
La zona ricca di ville in cui abitavo, denominata Grosse Point, lasciava pian piano spazio alla zona più povera. A dividerle l'Alter Road, una strada che faceva da spartiacque tra le case dell'alta società e quelle della malavita.

Se eri in cerca di guai, ti bastava andare nella zona oltre Alter Road. Là i commercianti giravano con la pistola nel cinturone, come in un vero film western e non era inusuale trovare carcasse di auto bruciate, vetrine infrante o edifici che cadevano a pezzi.

«Siamo arrivati» mi informò George scendendo dall'auto per aprire la mia portiera.

Presi la cartella che avevo abbandonato ai miei piedi e, dopo averlo salutato, mi diressi verso l'entrata dell'edificio.

La Wayne University ricordava un vero e proprio college inglese, con tanto di torrette in mattoni e tetti a punta. Aveva una forma a rettangolo, al cui centro vi era un enorme parco dove adoravo studiare in primavera e in estate. Per certi versi mi sembrava Hogwarts, purtroppo senza magia.

Vantava tre biblioteche di tutto rispetto, una squadra di atletica, numerose confraternite ed, inoltre, vi aveva studiato l'attore che interpretava Andy ne La vita secondo Jim.

«Eccoti!» cinguettò Cath saltellando nella mia direzione. «Ti ho preso il frapuccino al cioccolato che adori»

I capelli castani, sempre impeccabili, erano raccolti dietro la nuca e gli occhi marroni erano lucidi per colpa del freddo.

«Ciao, Cath» la salutai prima di essere baciata sulla guancia. «Ti ho già detto quanto ti amo?» scherzai prendendo il bicchiere bollente di Starbucks.

«No, oggi proprio no. Ma sentirtelo dire fa bene al mio ego»

«Beh, volevo dirle che la amo immensamente, Catherine Adams» declamai con tono solenne. «Ma dov'è Cylie?» chiesi notando l'assenza della bionda che frequentava economia con lei.

«Oh lei è malata. Febbre, raffreddore. Quelle cazzate lì» gesticolò.

«Che sfiga! Dopo provo a chiamarla». Presi un sorso della calda bevanda guardando l'ora sul cellulare. Quasi mi andò di traverso, quando scoprii che fossero le 8.57. Avevo tre minuti per raggiungere il lato opposto dell'edificio e, visto che non avevo le ali, né alcuna capacità di teletrasporto, avrei dovuto correre.
«Sono di nuovo in ritardo! Devo andare. Ci vediamo in mensa» la salutai velocemente avviandomi verso l'aula del signor Hood.

Cath e Cylie erano le uniche amiche che avessi mai avuto. Le conoscevo fin dall'infanzia, perché i nostri padri erano colleghi e le nostre madri passavano i mercoledì pomeriggio davanti ad una tazza di thè aromatizzata con un'abbondante dose di pettegolezzi.

Cath mi assomigliava molto caratterialmente. Entrambe incarnavavamo alla perfezione il detto "mai giudicare un libro dalla copertina".
Sembrava il classico esempio di ragazza impeccabile: vestiva firmato, andava dalla parrucchiera ogni settimana e camminava come una principessa, ma solo chi la conosceva bene sapeva che lei non fosse affatto così. Le piaceva la musica rock, dalla sua bocca uscivano più parolacce di uno scaricatore di porto e fumava di nascosto dai suoi genitori.

Cylie, invece, era quella più equilibrata. Cercava sempre di passare inosservata, aveva una media alta ed evitava di mettersi nei guai. Era lei che cercava sempre di porre un freno alle cazzate che facevamo io e Cath, a volte senza riuscirci.
Come quella volta che avevamo deciso di tingerci i capelli di fucsia, giusto in tempo per il ballo di primavera organizzato da nostri genitori. Cylie aveva tentato ogni alternativa per dissuaderci, ma purtroppo senza successo. L'avventura si era conclusa con un castigo di tre settimane e una storia in più da raccontare.

Quel mattino, avevo appena girato l'angolo, quando andai a sbattere contro qualcuno.
Il bicchiere, che tenevo tra le mani, si accartocciò rovesciando il frapuccino bollente addosso al mio vestito.

Tirai una specie di urlo spezzato, dovuto sia al dolore che provavo sulla pelle, sia perché il mio cavolo di vestito si era macchiato.

«Ma si può sapere dove stavi guardando?» sbottai recuperando dei fazzoletti dalla cartella per pulirmi.

«Sei stata tu a venirmi addosso» mi riproverò una voce roca.

«Io??» chiesi alzando solo in quel momento gli occhi verso il colpevole.

Un ragazzo dai capelli ricci e dallo sguardo infuocato, mi stava fissando senza ritegno.

«Sei tu che dovevi spostarti dall'altro lato» mi ripresi tornando a pulirmi il vestito.

«E perché avrei dovuto spostarmi, di grazia? Per far passare la principessa sul pisello?» mi scherní incrociando le braccia e guardandomi dall'alto della sua statura.

«Tu! Come ti permetti?».
Gli puntai l'indice al petto fregandomene del fatto che stessimo dando spettacolo a tutti. «Razza di...di...» lo guardai da capo a piedi per trovare un termine adatto a descriverlo. «Razza di divano!»

«Di divano?» mi chiese corrucciando le sopracciglia.

Non sapevo nemmeno da dove mi fosse venuta quella parola, ma osservandolo era la prima cosa a cui avessi pensato.

«Andiamo! Chi indosserebbe mai una camicia del genere?» lo derisi lasciando perdere la macchia marrone per guardare la sua camicia nera con delle palme rosa.

«Hey! Questa camicia è di Marc Jacobs» mi sfidò pizzicando il tessuto tra l'indice e il pollice.

«Fa cagare ugualmente»

«Detto da una che indossa un centrino all'uncinetto, sembrerebbe quasi un complimento»

«Ma chi ti credi di essere? Brutto cafone, presuntuoso, arrogante...»

Se avessi potuto guardarmi allo specchio, ero sicura che mi sarei trovata con le guance rosse e gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia.

«Hai finito?» mi interruppe impassibile. «Devo andare ad una lezione e non so dove sia l'aula»

«Arrangiati! A mai più!» mi congedai ricominciando a correre per recuperare il ritardo che mi aveva costretto a fare quello stronzo.

Buttai il bicchiere nel cestino e passai velocemente dal bagno per tentare di pulire quel disastro, ma la macchia continuava ad essere ben visibile sul tessuto, così chiusi il cappotto beige fino al collo. Mi sarei cucinata come un pollo arrosto, ma almeno ero presentabile.

Appena arrivai a destinazione, il signor Hood aveva già iniziato a spiegare. Presi posto al primo banco salutandolo con un sorriso. Non ero mai arrivata in ritardo e la cosa mi infastidiva parecchio.

Quando finì di spiegare la teoria del debito pubblico, il professore si avvicinò al mio posto rivolgendomi un sorriso.
Mi mossi a disagio sulla scomoda sedia chiedendomi cosa volesse dirmi di così urgente da interrompere la lezione.

«Signorina, stavo dicendo ai suoi compagni che dovrete fare una presentazione su un argomento che vi assegnerò io. Lei conosce qualcuno? Altrimenti dovrà farla da sola, dal momento che le coppie sono già formate»

Mi guardai intorno, ma non conoscevo nessuno del mio corso. Andavo a lezione e me ne andavo appena finiva la spiegazione, perché i miei genitori non volevano che dessi confidenza alle persone.
"Potrebbero voler rapirti a causa del lavoro che fa tuo padre" diceva sempre mia madre e questa frase mi portava a respingere chiunque si avvicinasse per parlarmi.

«La farò da sola» ammisi tristemente dandomi della sfigata circa 200 volte.

«Scusi, questa è l'aula di Scienza delle finanze?» si intromise una voce che non mi era nuova.

Il professore si voltò verso la porta, mentre io tentavo di incassare la testa dentro alle spalle come le tartarughe.

«Sì, lei capita proprio a pennello, signor...»

«Styles» completò lo stronzo vestito da divano.

Maledizione!

—————

Ma ciao! Oggi sarò veloce che devo fare un esame😫

Finalmente Liza ed Harry si sono incon...ehm scontrati!
Vedrete, faranno i fuochi d'artificio sti due ahaha

Cosa pensate di Liza? Ve l'aspettavate diversa? Fatemi sapere.

Ci troviamo la prossima settimana!

Un bacio,
Silvia

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