Destination: Home

By GalahadB

1.5K 32 6

Prologo: L'inizio di questa storia è da datarsi a più di 4 miliardi di anni fa. Volente o nolente, anche Tu n... More

Destination: Home

1.5K 32 6
By GalahadB

Parte prima:

Gli occhi gli si spalancarono di scatto, come se fossero stati azionati da un meccanismo a molla e Phil si tirò a sedere. Nei polmoni gli si era bloccato un urlo muto. Si portò le mani alle tempie per massaggiarsi la fronte, ma non la trovò. Si guardò le mani, ma non le vide. Provò ad alzarsi, ad urlare, ma non riuscì a sentirsi, ne tanto meno a muoversi. A quel punto si svegliò del tutto.

Aprì e chiuse gli occhi un paio di volte prima di capire che era la realtà ciò che in quel momento stava vedendo. Era abituato a svegliarsi nel cuore della notte senza un motivo preciso: si girava nel letto nella vana ricerca di una posizione che gli permettesse di riprendere il sonno interrotto. Fin da quando era ragazzo i genitori davano la colpa ai suoi più che frequenti incubi. Lui si era dichiarato più volte in disaccordo, dopotutto non gli era mai capitato di ricordare ciò che sognava. Mai, nemmeno una volta.

Guardò l'orologio: le lancette segnavano le 6.42

- Beh, non mi è andata troppo male – pensò - dopotutto la sveglia era programmata per le sette. -
Si alzò dal letto e, nonostante si sentisse stordito per colpa del breve e disturbato sonno, impose a se stesso di procedere dritto. Raddrizzò le spalle, sciolse velocemente i muscoli intirizziti. Dirigendosi con passo incerto verso il bagno gli ultimi sprazzi di un sogno quasi dimenticato gli affiorarono nella mente. Una volta uscito inspirò l'aria del mattino alla finestra e si svegliò del tutto. Fu a quel punto che un pensiero fulminò la sua mente ora del tutto lucida, nel sogno stava correndo. Per un momento si fermò sulla soglia della stanza da letto riflettendo su quel particolare dato ma, alla fine, decise di scacciare quel balzano pensiero.

– Oggi è il grande giorno e non permetterò a nulla di rovinarlo. -
Rimuginando tra se e se, aprì l'armadio e scelse un completo in tweed non troppo appariscente, ma nemmeno troppo elegante.
Si erano fatte le sette e mezza quando scese in cucina per ingurgitare una leggera colazione e, alle otto in punto, uscì di casa diretto alla cerimonia che aveva atteso per anni.

Sin da bambino il suo più grande sogno era quello di volare. Da quando aveva memoria coltivava l'idea di diventare un pilota. Ma non come tutti i volatili, ormai in via d'estinzione, che da bambino vedeva nel museo di cui la madre era curatrice. No, lui voleva salire più in alto, spingersi più lontano di ogni altro. Mirava a raggiungere le stelle. Voleva tuffarsi in quel calamaio d'inchiostro nero, misterioso ed infinito che era lo spazio. Niente a che vedere con l'insignificante atmosfera, lui cercava ben altro. Rincorreva l'ignoto.

Accompagnato dal rumore del motore pensò ad Isaac: lui lo avrebbe sostenuto nelle sue scelte fin dall'inizio. Suo padre avrebbe creduto in lui e lo avrebbe incoraggiato, ne era certo.

Nel cassetto sinistro in basso della scrivania nello studio, al primo piano della sua casa Phil teneva un diario. Grazie a quello poteva ricordare ogni cosa successa da quando aveva imparato a scrivere. Tra quelle pagine erano conservati ricordi d'amore e di morte, gioie e tristezze. In quelle pagine c'era la sua intera vita. Ed era proprio tra quelle pagine che aveva annotato i ricordi del giorno in cui la lettera della Federazione era giunta a casa.
Frequentava ancora la scuola e, a detta di tutti, era un bambino introverso. Egli si sdraiava spesso a terra e fissava il cielo per ore ed ore, affascinato dallo spostarsi delle nuvole e da tutto ciò che poteva cogliere con gli occhi. Quegli occhi, piccole finestre che si affacciavano su di un animo tanto misterioso ed evanescente quanto sconfinato e bellissimo..
Il flusso selvaggio di pensieri, potente quanto un fiume dopo il primaverile disgelo dei ghiacci, trascinò Phil con sé come avrebbe trascinato il corpo inerme di un'annegato e lo scagliò con violenza sulle desolate spiagge della memoria. Ricordò quel giorno..

C'era il sole quel pomeriggio e lui si stava trascinando stancamente verso casa quando, a poche centinaia di metri dalla destinazione vide Frank, il vecchio postino, che lo salutava dal furgone delle consegne.

- Hey ragazzo salta su! – gli disse aprendo la portiera del passeggero – Ti do uno strappo a casa, ho della posta per tua madre da parte della Federazione.

Al suono di quella parola Phil drizzò le orecchie, la Federazione per lui aveva un solo ed unico significato: notizie del padre. Corse alla portiera e si arrampicò sul sedile quasi interamente ingombro di pacchi. Visto che non era la prima volta che il vecchio Frank gli dava un passaggio, Phil si chiese ancora una volta come facesse il postino a coesistere, con la puzza di sigaro che aleggiava perennemente nell'abitacolo del furgone della posta. Stava per decidersi a chiederglielo, ma ormai erano arrivati. Phil saltò giù dal furgone con il pacchetto in mano, salutò Frank ed entrò in casa. Il consueto profumo di fiori lo avvolse.

La madre di Phil era curatrice del museo zoologico cittadino. Margaret Clarke amava la sua casa e amava i fiori. Quindi, nonostante gli impegni lavorativi, la sua abitazione era limpida e splendente come uno specchio e ogni volta che la porta principale veniva aperta, si avvertiva il profumo dei fiori che ella curava ogni giorno. Come ogni volta, contravvenendo a quello che sua madre gli diceva ogni giorno, Phil buttò lo zaino in un angolo dell'ingresso e corse attraverso il corridoio fino alla cucina dove consegnò il pacchetto accompagnato da un sorriso.
- Mamma il vecchio Frank mi ha dato questo per te, arriva dalla Federazione! - Quelle parole provocarono nella donna lo stesso effetto che avevano indotto poco prima al figlio; gli occhi le si illuminarono di gioia. Tese le mani e Phil le consegnò il pacco ricevuto poco prima. La scatola era leggera, avvolta da una sobria carta marrone e odorava d'ufficio, di colla e di chiuso. A dir la verità, pensò Phil, puzzava anche del sigaro del postino. La casa in quel momento racchiudeva tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta: l'unione di una famiglia dinanzi ad un evento che accomuna i suoi membri.

Ma la felicità si comporta come l'acqua di un fiume: scorre e, a volte, scompare sottoterra per non fare mai più ritorno.
Dopo che Margaret ebbe aperto la busta, dopo che si fu materializzato nell'aria il consueto ologramma con il marchio della Federazione si sentì la voce del generale Heine. La voce era chiara, distinta come se l'uomo fosse nella stanza, distante solo pochi passi.

Phil sterzò per non collidere con un veicolo proveniente dal senso opposto. Il flusso di ricordi rischiava di fargli perdere il contatto con la realtà. Si impose di stare più attento alla strada che scorreva velocemente sotto di lui.

A distanza di anni non ne era più del tutto certo, ma l'ologramma da lui consegnato alla madre quel giorno recitava pressappoco così:
- La Federazione comunica a Margaret Clarke che da più di dodici ore si sono interrotti i contatti con la stazione ISS.Vector in seguito ad una tempesta meteorica. A distanza di sei ore da quel momento abbiamo ricevuto un rapporto dal pilota in seconda Herman Jenkins. La stazione ha subito gravi perdite di ossigeno a causa degli urti. Il capitano Adams ha tentato invano di attivare le paratie del ponte di comando, purtroppo senza successo. Egli ha così ha deciso di uscire di persona dalla stazione di modo da sbloccarle manualmente, in questo modo è stato esposto completamente alla tempesta solare. Il pilota di classe A Isaac Adams ha sacrificato sua vita per salvare quaranta membri dell'equipaggio da morte certa. In riconoscenza di questo gesto gli è stata assegnata la medaglia al valore inclusa agli effetti personali che, ritengo, debbano tornare alla famiglia.”

Le mie più sentite condoglianze,

Gen. Alexander Heine direttore esecutivo della Federazione, zona alfa.

Con un leggero bip l'ologramma si spense e la scatola si aprì, lasciando intravedere al suo interno una medaglia nera come gli abissi più profondi ma, allo stesso tempo, luccicante come le stelle.

Il gelo era palpabile, in quel momento i cuori di una madre e di un figlio saltarono simultaneamente un battito. Nella cucina di casa Adams un secondo si consolidò per un istante che ai due parve una vita intera.

Entrambi faticavano a respirare.

Successe in un attimo, con poche parole recitate da un ologramma, consegnato nelle mani di una madre dal figlio armato del più innocente dei sorrisi.. fu così che Margaret divenne la vedova Adams e Phil orfano di padre.

I mesi e gli anni passarono. Il tempo scivolava lievemente, in leggera discesa. Inizialmente fu un declino leggero, quasi impercettibile. Ma con il passare del tempo la situazione peggiorò in modo irreparabile.

Nonostante gli sforzi di sua madre Phil si chiuse del tutto in se stesso: passava intere giornate senza parlare, barricato nella sua stanza chiudendo il mondo intero al di fuori. Margaret ingoiò la notizia della morte del marito come si butta giù un boccone particolarmente amaro. Ma i pensieri crebbero in lei, come una pianta piena di spine che la feriva dall'interno provocandole ogni giorno ed ogni notte un dolore intollerabile. Phil non conservava il ricordo preciso del primo crollo nervoso della madre, ma ci fu. E tanto bastava.

A differenza di Margaret, che necessitava di farmaci per dormire e continuare a vivere la propria vita in modo quasi normale, Phil resistette. Si fortificò, chiuso nella sua stanza e nei suoi pensieri. Come un proiettile dotato di una propria autocoscienza si lanciò incontro al suo obbiettivo con una velocità sorprendente: meno di quattro anni più tardi entrò a far parte dell'Accademia, divenendone il più giovane cadetto da due secoli.

Per un breve istante Phil aveva sperato nel sostegno della madre ma il giorno in cui giunse a casa la lettera di ammissione all'accademia, Margaret lo disilluse completamente. Di fronte alla lettera la madre non sorrise con uno sguardo fiero e gli occhi velati di lacrime. No, la vedova Adams fissò il figlio come si fissa un orizzonte troppo vasto da abbracciare, troppo immenso da comprendere e disse:

- Non potrai mai diventare come tuo padre, rinuncia prima di rendertene conto a tue spese, perché la delusione è il peggiore dei mali. –

Detto ciò, ingollò un bicchiere d'acqua correlato ad un numero fin troppo elevato di pillole. Si sedette sul divano e fissò il muro con sguardo vacuo.

Quel giorno Phil decise che avrebbe perseguito il proprio obbiettivo con rinnovato vigore. Fissò la foto di suo padre poggiata sul mobile accanto alla porta d'ingresso. Osservò i lineamenti duri e marcati, eppure così dolci ed espressivi del pilota che diede la vita per salvare il proprio equipaggio, senza curarsi del dolore provocato alla sua famiglia.
La rabbia accompagnava sempre quel tipo di pensieri.
- Perché non ci hai mandato qualcun altro? - urlò con il pensiero nella speranza che, dovunque fosse suo padre, potesse sentirlo.
- Perché non sei tornato a casa? -


Voleva scappare, voleva allontanarsi dal dolore della perdita, da quel buco enorme che l'assenza del padre ogni giorno gli provocava. Voleva volare lontano da quella casa che ogni giorno lo opprimeva sempre più; dagli sguardi sempre più vuoti della madre. Paradossalmente desiderava avvicinarsi allo spazio, lo sconfinato luogo dove il padre era morto, per lasciarsi anch'esso alle spalle. Voleva immergersi nel nulla, voleva poter osservare cose mai viste da occhi umani. Il terrore gelido provocato in ogni forma di vita che si comparava all'infinito non lo spaventava; non lo aveva mai spaventato. Sapeva di essere solamente un infinitesimale agglomerato quasi casuale di atomi, un nulla se confrontato all'immensità dell'universo. Phil Adams non aveva paura, era pienamente cosciente della propria microscopicità di fronte al vuoto siderale perché l'aveva accolta a braccia aperte. Quasi con gioia.

Trattenendo un singhiozzo si voltò e salì le scale, diretto ancora una
volta alla porta della propria stanza.
La casa non profumava più di fiori ormai da tempo.

Parte seconda:

Il cartello alla sua destra avvertiva che mancavano due chilometri al Site23. La città scorreva infinita sotto di lui mentre procedeva verso l'Accademia. Era decisamente orgoglioso di se stesso.
- Oggi è il grande giorno. - pensò per l'ennesima volta nella mattinata.

Rallentò di modo da poter godere appieno della vista sugli edifici in lontananza. Dalla prima volta che gli aveva visti erano passati ormai dieci anni.

Una settimana dopo aver ricevuto la lettera di ammissione, Phil scese da un mezzo di trasporto pubblico nei pressi della moltitudine di edifici, grandi e piccoli, che componevano il Site23. Dopo il suo primo ingresso assieme agli altri cadetti, era stato diviso in classi e aveva fatto conoscenza con la persona che sarebbe stata il suo educatore di volo durante i successivi quattro anni.
Era un uomo tarchiato, dal nasco aquino. La tuta arancione della Federazione gli fasciava gli avambracci muscolosi. Il primo pensiero che passò per la mente di Phil quando vide Albert Pennworth fu:
- Questa è una persona che bisogna evitare di contrariare. -

Nei successivi quattro anni Albert insegnò ai cadetti sottoposti alla sua autorità la storia degli ultimi secoli che riguardavano la nazione. Durante le lezioni teoriche Pennworth descrisse come il pianeta fosse da secoli appeso ad un filo che si faceva ogni giorno più sottile.

- È ormai noto a tutti. - disse una mattina. - Esiste la concreta possibilità di un lancio di testate nucleari. Ma voi tutti, finché ci sarà la Federazione, non dovrete preoccuparvi di nulla. Essa esiste da più di trecento anni e, grazie al sistema noto alla comunità con il nome di Rappresaglia, nessuno oserà mai effettuare un attacco. -
Gli occhi dell'istruttore si soffermarono per un attimo sulle prime file, fino a quando non incrociarono quelli di Phil.
- Cadetto Adams, esponi il funzionamento della Rappresaglia. -
La risposta non si fece attendere:
- Semplice quanto efficace, questa soluzione consiste nel possesso da parte della Federazione di testate nucleari da poter idealmente utilizzare contro il nemico. In questo modo, in caso di attacco, entrambe le nazioni verrebbero bombardate. Grazie a questa la civiltà del pianeta non si è ancora autodistrutta, grazie alla paura. -

Phil era uno studente modello e più volte l'istruttore espresse il suo supporto ad ogni sua risposta corretta. Albert insegnò, com'era previsto dall'educazione della Federazione, la struttura gerarchica che sosteneva la società. Più di trecento anni prima era stata scelta l'immagine di una quercia, albero ormai totalmente estinto, per indicare le varie sezioni dell'autorità e le loro funzioni. Esse erano: le radici, il tronco, i rami e le foglie.

Le Radici, il sostegno della civiltà erano la raffigurazione del reparto di Studio e Sfruttamento delle Risorse. Esso era formato da ricercatori e tecnici che si occupano di assemblaggio, riparazioni e migliorie delle complesse macchine installate nel sottosuolo che incanalano il magma dal centro del pianeta e lo utilizzano come fonte di calore. L'SSR faceva inoltre in modo di ricavare dal suolo ogni goccia di energia possibile. Petrolio e combustibili erano la principale occupazione del reparto. Grazie ad esso la civiltà continuava la sua corsa. Bruciare, consumare, ricostruire.. esistere.

L'EdPL, acronimo dell'Esercito di Popoli Liberi, era rappresentato dal tronco. Esso era il sistema che difendeva e sorreggeva l'intera struttura. Nonostante fosse prevalentemente formato da personale di combattimento, l'EdPL formava i dirigenti delle varie sezioni.

I Rami, le parti che si innalzano verso il cielo, erano la rappresentazione dell'Accademia. L'istituzione che formava piloti, tecnici, ingegneri, ufficiali medici e scientifici, addetti alle comunicazioni, meccanici e navigatori. Ciononostante essa era anche la complessa istituzione che gestisce il campo di ricerca e sperimentazione più importante del pianeta: il Planet.
Esso, idealmente rappresentato dalle Foglie, consiste nella ricerca e nella colonizzazione di nuovi pianeti.

A Phil accadeva spesso di perdersi nei suoi pensieri e di immergersi nei ricordi. Si guardò intorno, sorrise e salutò alcune persone che conosceva respirando a fondo. Amava quel luogo, dopo quattro anni di studi e sei di duro lavoro quello era l'unico posto al mondo dove si sentiva a casa.

Mentre varcava la porta d'ingresso del sito, i due membri dell'EdPL che sorvegliavano l'ingresso lo salutarono portandosi rapidamente alla fronte la mano sinistra. Soprattutto nell'EdPL, ma generalmente in tutte le strutture della Federazione, vigeva un saluto militare diffuso da secoli che indicava la sottomissione ad una persona di rango superiore: alzare la mano sinistra sino alla fronte esponendo il cuore ad ogni attacco. Per un breve attimo Phil si stupì: quegli uomini, che dovevano avere almeno vent'anni e dieci centimetri in più di lui, lo trattarono come un superiore.
- Sono uno stupido. - sorrise di sé stesso. - A partire da oggi appartengo ad un rango più elevato rispetto ad ogni soldato del Tronco. - Pensò, muovendo i primi passi nel grande scintillante che accoglieva i visitatori dell'Accademia. Nel corso dei dieci anni passati alsuo interno il giovane figlio di Isaac Adams, l'eroe della Vector, si era fatto un nome. Non solo era stato, dieci anni prima, la recluta più giovane dell'Accademia. Ma in quella soleggiata mattina, a soli trentadue anni, gli stava per essere conferita la medaglia e l'abilitazione di pilota classe A. Una carica che normalmente nessun pilota, nemmeno suo padre, aveva raggiunto prima dei quarant'anni. Nonostante il momento fosse vicino, quasi palpabile, ancora non credeva di essere arrivato così in alto in così poco tempo. Si guardò intorno alla ricerca del suo migliore amico, ripensando a come era arrivato ad essere la stella più luminosa di tutta l'Accademia.

In seguito ai quattro anni passati con l'istruttore Pennworth, Phil divenne pilota di classe C addetto al trasporto di materiali, rifornimenti ed attrezzature tecniche sulle stazioni orbitanti. Dopo nemmeno due anni, già considerato una giovane promessa dell'Accademia,venne promosso a pilota di classe B. In questo frangente smise di occuparsi delle navi da carico in favore di incarichi più elevati. Nei successivi quattro anni pilotò navi di soccorso e di rilevamento. Ma soprattutto, cosa che lo interessava ed appassionava, ottenne la possibilità di pilotare alcune navi d'esplorazione del progetto Planet. In questo modo ebbe la possibilità di allontanarsi dal pianeta, di staccarsi dal dolore per la perdita del padre. Nel corso di questi anni una missione di supporto lo portò a recarsi sulla ISS.Vector.

Non se ne rese conto fino a quando non mise piede sul ponte d'attracco. Era nel suolo dove il padre era morto, molti anni prima. La stazione Vector era interamente metallica e ovunque regnava un odore di disinfettante e di saldature, tipico delle stazioni costruite prima degli ultimi nove anni. Phil scoprì che parte dell'equipaggio di suo padre era ancora in servizio e in molti piansero dicendogli quanto lui gli assomigliasse. Lui li odiava. Li odiava tutti, quegli scarafaggi. Meritavano di marcire in mezzo a quelle maledette lamiere, soffocati dall'odore del disinfettante e dalla puzza del metallo saldato male. L'unica persona di tutta la stazione orbitante che meritava il suo rispetto era l'attuale comandante Herman Jenkins, un tempo il secondo in comando di suo padre. Nei tre giorni in cui rimase sulla stazione Phil parlò spesso con lui.

- Cosa ti disse prima di morire? - chiese una sera Phil, vincendo la paura di ciò che avrebbe potuto racchiudere la risposta – Ti parlò di me? -

Gli occhi del comandante per un momento divennero tristi e velati di lacrime .

- Io lo conoscevo bene, sai? Isaac era un uomo forte. Ma non era di ghiaccio, non biasimarlo mai. Io so che in quegli attimi tu eri nei suoi pensieri - rispose Herman – mi chiese di promettergli una cosa. -

A quel punto il portello della cabina del comandante scivolò di lato aprendosi al passaggio di un ragazzo che, pensò Phil, poteva avere pressapoco la sua età.

- Mi chiese di badare a mio figlio, di stare con lui. - Disse Jenkins guardando il nuovo arrivato - Perché non si sa mai quando dobbiamo andarcene. -


Phil, accorgendosi che Herman stava piangendo, anche se tentava di nasconderlo, si voltò a guardare il nuovo arrivato. Il ragazzo era alto almeno dieci centimetri più di lui, con un'espressione che ispirava simpatia. I suoi capelli erano corti e storti in modo particolare, come se li avesse tagliati da solo di fronte allo specchio. Dopo averlo sentito parlare Phil immaginò che il ragazzo dimostrasse più anni di quelli che in realtà aveva per colpa della barba incolta che evidentemente amava portare.

Il capitano si riprese in fretta e presentò i due ragazzi. Fu così che Phil Adams conobbe Ethan Jenkins, il figlio dell'attuale comandante della stazione Vector.

Si accese una spia sulla consolle di comandi accanto al tavolo in plexiglas su cui il comandante ed il pilota di classe B stavano discorrendo.
- Il dovere mi chiama, ma sono certo che mio figlio Ethan potrà farti compagnia fino alla tua partenza. - disse Herman guardando prima l'uno, poi l'altro. - Trattatevi bene a vicenda e non sarò costretto a mettervi in cella per il resto della vostra miserabile vita! - Il comandante Jenkins uscì dalla cabina ridacchiando fra sé e sé.


- Non far caso a mio padre, è mezzo matto. -
Prima di quel momento Phil non aveva mai socializzato molto con le persone della sua età, ma c'era qualcosa in Ethan che gli ispirava complicità.
- Ti va un boccone? -
- Certo che sì, muoio di fame! -

Durante il pasto, Phil scoprì che la madre di Ethan era morta l'anno precedente e lui ne aveva preso il posto come cartografo e tracciatore di rotte anche se, a suo dire, avrebbe preferito occuparsi delle comunicazioni, cosa che di fatto già faceva.

La cosa più strana del giovane Jenkins erano le sue origini: era nato sulla Vector. Egli raccontò che all'epoca del varo della stazione orbitante sua madre era prossima al parto e lui, cosa che Phil trovò decisamente insolita, non aveva mai messo piede a terra. Ethan era una specie di macchina che riusciva, con le parole e le risate,a scacciare tutte le ombre e le preoccupazioni. I due parlarono per ore, fino a quando venne il momento della partenza. Phil si sentiva male al pensiero di allontanarsi da quel ragazzo conosciuto da poche ore che era riuscito a diventare quello che non aveva mai avuto, un amico.

Quello fu il primo giorno in cui Ethan lo colse alla sprovvista. Meno di un'ora dopo era sul ponte d'attracco armato di una borsa e una richiesta.

- Ho notato che che alla tua nave manca l'operatore alle comunicazioni e, sinceramente, non vedo come hai potuto farne a meno fino ad ora.. non voglio rimanere inchiodato qui tutta la vita. - disse Ethan - Sono pure disposto a chiamarti capitano. - Aggiunse ridendo.
- Mi sono occupato io delle comunicazioni durante questo viaggio. Hai parlato con tuo padre? - Chiese Phil di rimando, cercando di trattenere un sorriso.
- Ci siamo già salutati. Eravamo entrambi certi che mi avresti preso. -
Adams e Jenkins si strinsero la mano e quel gesto, già avvenuto nei loro cuori, suggellò un'amicizia più forte di ogni altra.

- Ethan è alto. - Phil lo pensava ogni mattina, quando nell'atrio dell'Accademia cercava l'amico con lo sguardo.
- Hey fratello! Ciao vecchietto come te la passi? - egli apparve, come sempre, alle sue spalle.
- Dovresti smetterla di saltarmi alle spalle, visto mi dai del vecchio, non credi che potrei morire d'infarto? - Controbatté Phil, ma entrambi stavano già ridendo. Si abbracciarono, più fratelli che amici.

- Allora è il gran giorno? - Ethan assunse per un attimo un espressione quasi seria. Cosa che per lui, pensò Phil, era già uno sforzo immenso.
- Oggi diventerai pilota di classe A e verrai assegnato al progetto Planet?
-
Esattamente e ci tengo a farti notare che ho il diritto e la facoltà di rinnovare il mio equipaggio quindi cerca di fare il bravo, altrimenti mi prendo Kevin come addetto alle comunicazioni. -
Per un momento Ethan lo guardo con due occhi che sembravano dilatarsi sempre più, incrinò le sopracciglia, come solo lui sapeva fare e disse:
- Kevin Bermer? Spero tu stia scherzando, quello non riuscirebbe nemmeno a farti chiamare casa tua dalla cabina telefonica che sta dall'altra parte della strada. - Inevitabilmente Phil scoppiò a ridere, Ethan era l'unica persona al mondo in grado di portare l'allegria all'interno in qualsiasi situazione.

Respirò a fondo e guardò il fratello che non aveva mai avuto e che aveva ancora dipinta addosso un'espressione falsamente sconvolta.
- Passiamo alle cose serie, se mai con te ci riuscirò, mi vuoi accompagnare all'auditorium 4 o te ne stai qui impalato? -
- Ma certo che ti accompagno, non me la perderei per nulla al mondo questa cerimonia. Tutti quei decrepiti piloti di classe B che ti fissano con odio perché hanno dieci anni d'esperienza in più di te e non riescono a superare i test. Sai che non sopporto quelle mummie, sarà spassosissimo, una vera chicca! -
Mentre si avviavano, fianco a fianco, Ethan scoppiò nell'ennesima risata di quella mattinata appena cominciata. Le massicce porte dell'auditorium 4 si schiusero sibilanti al loro passaggio. Una volta dall'altra parte Ethan si mischiò alla folla mentre Phil si diresse verso il fondo della sala, dove lo attendevano alcuni degli uomini più potenti di tutto il territorio. Salì le sale del palco, dove il generale Heine in persona lo accolse e nella sala fu il silenzio.

Parte terza:

L'auditorium era gremito di spettatori. I capitani più anziani erano presenti per poter sparlare in tutta tranquillità sotto il naso di quel giovane di appena trentadue anni a cui veniva conferito un titolo, secondo la maggior parte di loro, fin troppo importante. Un gran numero di giovani cadetti erano accorsi a frotte per divertirsi alle spalle dei più vecchi, che si rodevano lo stomaco pensando alle loro carriere. Probabilmente qualcuno era capitato lì per caso cercando disperatamente il bagno. Tutti pensavano a qualcosa: gli anziani pensavano a tutte le loro fatiche superate da un ragazzino. I giovani pensavano a sbeffeggiare gli anziani. Qualcuno pensava a maledire l'architetto che aveva progettato l'auditorium, perché ancora non trovava il bagno. Ethan, dal canto suo, pensava a quante possibilità potesse avere con l'ufficiale medico seduta due file davanti a lui. Volse poi gli occhi al palco.
- Oggi non è la mia giornata. Oggi è la tua! - pensò con tutto il cuore, come se l'amico potesse sentirlo.
L'unico che non lasciava spazio ai frivoli pensieri era proprio Phil. Non pensava ai soldi, alla gloria o ai festeggiamenti che lo attendevano. No, il giovane Adams pensava al padre e a come si sarebbe sentito se i suoi occhi scuri fossero stati tra il mare di sguardi che lo fissava. Come sarebbe stato se le sue mani lo avessero applaudito assieme alle altre? Sarebbe stato felice?
- È inutile fantasticare, lui non è qui e non potrebbe esserci in alcun modo. Ha fatto una scelta diversa, non ha scelto me. - pensò tra se e se.
Una sola persona percepì il velo di tristezza che oscurò per un attimo gli occhi nel neo-capitano. Quella persona era, ovviamente, Ethan Jenkins.

Al termine della cerimonia, a poco a poco, l'imponente sala si svuotò. Prima che il capitano Adams avesse l'occasione di allontanarsi troppo, il generale Heine gli rivolse direttamente la parola:
- Il più giovane cadetto dell'Accademia che a soli trentadue anni diviene un capitano di classe A. Signor Adams, quali sorprese lei ci nasconde ancora? -
Il generale sorrise bonariamente a Phil.
- Signore, non vorrei deludere le sue aspettative, ma io non credo di riservare delle sorprese. È vero che ero giovane al mio primo ingresso qui al sito, ma non sarò l'unico. Sono certo che ne verranno altri dopo di me, probabilmente più giovani ancora. -
Lui e il generale si fissarono l'un l'altro per diversi istanti.
- È dunque vero che la morte di uno dei miei piloti migliori, di uno degli uomini migliori che io abbia mai avuto il piacere di conoscere, ha reso adulto il figlio prima del tempo. - disse Heine, con gli occhi velati di tristezza - Questo rafforza la mia convinzione nell'affidarle la sua prima missione. Domani mattina alle 9 nel mio ufficio, lì potremo parlare. Buona giornata capitano, vedo che i meritati festeggiamenti l'attendono. -
Phil si portò la mano sinistra alla fronte e salutò così il suo diretto superiore.

Il giorno seguente il capitano Adams si svegliò all'alba. Fece una doccia e si vestì, questa volta con l'uniforme, indossandola con una fierezza mai provata prima. La quercia, il simbolo della Federazione formava una grande A, simbolo del suo rango e premio per le sue fatiche che luccicava sul suo petto. Erano, come di consueto, le otto quando Phil accese il motore per dirigersi verso il Site23. Non fece nemmeno in tempo a scendere dall'auto che Jenkins gli capitò, come si suol dire, tra capo e collo con una notizia fresca di giornata.
Si avviarono insieme verso l'ingresso, salutandosi nell'atrio. Jenkins si diresse verso il corridoio che portava alla zona 5 e Phil prese un ascensore per salire sino all'ottantesimo livello. L'ultimo piano del palazzo di acciaio e vetro che componeva l'Accademia, lì avrebbe incontrato il generale.

Per la prima volta da anni, era realmente eccitato. Non stava più nella pelle quando attraversò le imponenti porte in ferro battuto dell'ufficio dirimpetto all'ascensore.

Il generale era un uomo convinto che i vecchi andassero soppiantati via via dai giovani. Sapeva bene che un giorno sarebbe toccato anche a lui e non ne era spaventato, semmai desiderava oltremodo assicurarsi un sostituto più che valido, preferibilmente migliore. Sapeva che era il ciclo naturale della vita. Ma l'atmosfera dell'ufficio del generale era cupa, quasi tenebrosa. Phil non venne accolto con un sorriso ma con l'ordine di avvicinarsi ed ascoltare attentamente. Il capitano si avvicinò al tavolo circolare in plexiglas su cui erano srotolate mappe stellari e di territorio. Solo in quel momento Phil notò che, in modo completamente caotico, attorno a lui erano sparsi fogli di ogni genere. Non si sarebbe mai immaginato di vedere lo sfavillante ufficio del più anziano e decorato generale così in disordine. Rapporti fisici e chimici, riconoscibili grazie al colore verde dei fogli su cui erano stampati. I fogli rossi erano rapporti militari, ed infine un colore che a Phil parve totalmente nuovo: dei fogli azzurri.

Il generale era nervoso, si notavano le ore di sonno mancate, aveva gli occhi arrossati e stanchi. Quegli occhi fissarono per un breve momento quelli di Phil, quasi volessero valutarlo.
- Capitano, la situazione è più grave di quanto temevamo. -
La voce del generale, solitamente squillante e carismatica, adesso lasciava trasparire ciò che egli era: vecchiaia, stanchezza e, per la prima volta, paura.
- Quando ieri l'ho convocata, non avevo ancora ricevuto questo. -

Heine afferrò quasi con rabbia un rapporto rosso e lo sbatté sul tavolo.
- Comandante di classe A Phil Adams, questo è un rapporto cifrato di classe uno: il segreto è assoluto! - gli occhi del generale si inchiodarono ai suoi, raggelandolo. - David Barker, uno dei nostri agenti infiltrati, ci ha comunicato di un attacco programmato tra 4 mesi al nostro paese. La guerra è vicina. -
Le ultime parole caddero nella stanza, come una pietra gettata in un pozzo vuoto e dimenticato da dio, riverberarono sulle pareti e si infransero contro il capitano Adams come un'onda gigantesca, travolgendolo.
- Lei decollerà tra otto giorni a bordo della più moderna nave che l'SSR del nostro gruppo Radice, abbia mai realizzato, la GoldHeart. Essa contiene due miliardi e cinquecento celle adibite al crio-sonno. Trasporterà su un nuovo pianeta i più alti vertici di governo e le loro famiglie. Ad essi si affiancheranno funzionari ed operai della sezione Radice in grado di approntare tutto il necessario per costruire la prima città, il nostro primo avamposto. Successivamente altre navi decolleranno evacuando tutta la Federazione. -
Phil assunse per un momento un'espressione incredula, nelle orecchie sentiva il rumore sordo tipico di chi viene esposto ad un'esplosione da distanza ravvicinata. Aveva la mente traboccante di domande.

- Signore, com'è possibile organizzare un lancio così imponente in soli otto giorni? Da quanto esiste questa nave? Di quale nuovo pianeta sta parlando, quale sarebbe la rotta? -
Le risposte non si fecero attendere. Il generale allungo una mano verso un plico di moduli e rapporti azzurri.
- Li vede questi? Questi rapporti sono frutto di anni e anni di lavoro, centinaia di persone si sono prodigate giorno e notte per far si che a prima operazione del progetto Planet riuscisse al meglio. Lei non è qui per fare domande, è qui per eseguire un mio ordine diretto. -
Il tono di voce del generale non ammetteva repliche.
- È tutto chiaro capitano Adams? -
- Sissignore ma voglio l'addetto alle comunicazioni Jenkins con me sul ponte di comando. Non mi muoverò senza di lui. -
Heine abbozzò un lieve sorriso ed il suo tono si addolcì.
- Lo immaginavo capitano. La maggior parte degli anziani sono contrari all'idea di affidare questa missione ad un pilota giovane come lei. Ma questa decisione spetta a me, le concedo ciò che mi ha chiesto perché so che la complicità e l'efficienza generate dal rispetto e dall'amicizia sono più potenti di qualsiasi gerarchia. Le ultime informazioni: una volta giunto a destinazione si prepari ad indicare ai successivi capitani i luoghi del pianeta migliori per atterrare. La sua nave, una volta uscita dall'atmosfera seguirà una rotta già tracciata dai nostri tecnici del progetto Planet caricata sui computer di bordo. Lei dovrà preoccuparsi unicamente del decollo e dell'atterraggio. Vada a casa capitano, lei è congedato sino al giorno del decollo. Metta ordine nei suoi affari, perché starà via a lungo, molto a lungo. -
Con un gesto della mano il generale fece capire a Phil di essere appena stato congedato.

Nemmeno cinque metri dopo essere uscito dall'ascensore, nuovamente nell'atrio, Ethan gli si parò davanti sorridente come sempre. Phil, senza poter imporre alle proprio mani di smettere di tremare, riferì il colloquio con il generale. L'espressione di Ethan era attonita per la notizia ricevuta.

- Cosa intendi fare adesso? -
Phil inspirò ed espirò con calma per tre volte per rilassare i muscoli tesi.
- Devo e voglio farlo, quindi ci andrò e tu verrai con me. -

- Questo nemmeno era da discutere. - Concluse Ethan con il solito sorriso.

Gli otto giorni passarono così in fretta che Phil non se ne accorse. Aveva osservato per giornate intere i propri vicini di casa, ignari di ciò che sarebbe accaduto nei quattro mesi successivi. - Sgomberi, traslochi in fretta e furia, imbarchi. Famiglie separate.. si chiese più volte se l'ignoranza fosse un bene. Il detto “Sapere è potere” valeva sempre?

Né Phil né Ethan avevano mai visto una nave così grande. In effetti non avevano mai nemmeno provato ad immaginarne una così grande. Era di un bianco lucente, quasi abbagliante. Era enorme ma, allo stesso modo elegante. Sfuggiva alla comprensione come potesse esserlo, ma lo era.

Il capitano Adams era nel suo elemento. Finalmente aveva avuto accesso ai computer di bordo ed ora conosceva la destinazione e sapeva come arrivaci. Jenkins sedeva alla sua destra con il viso contratto in un'espressione di piena concentrazione, coordinando il lancio con la torre di controllo di modo che avvenisse nel migliore dei modi. La voce del generale Heine risuonò all'interno degli auricolari della cabina di pilotaggio.
- Capitano, il suo carico è completo. Immagino che lei già sappia che tutti i suoi passeggeri sono già nelle capsule di crio-sonno e resteranno in quello stato fino a quando non sarà lei a svegliarli. Buon viaggio figliolo. -

Phil guardò uno ad uno tutti i nove membri dell'equipaggio, Ethan compreso ed espose le norme di sicurezza per quel viaggio così particolare.
- Ognuno di voi, dopo il decollo, si recherà nella proprio capsula per il crio-sonno e verrà svegliato da me esattamente ventiquattro ore prima dell'atterraggio. La nave segue la rotta programmata dai computer quindi ognuno di noi verrà svegliato a rotazione automaticamente per verificare l'andamento ottimale della nave. In caso di problemi sveglierete me. Ci sono domande? - nessuno dell'equipaggio fiatava – Benissimo signori, si parte. -

Il generale osservò sui monitor il decollo della nave, splendente e magnifica, avvolta dalle nuvole di fumo e le fiamme verdi create dal combustibile fossile. Chiuse gli occhi colmi di lacrime.

Aveva mentito al capitano Adams: quella era l'unica nave che la Federazione, per quanto economicamente potente, poteva far decollare, l'esistenza stessa della nave appena decollata era frutto di un caso fortuito. Programmò il terminale che aveva di fronte per l'invio di un messaggio cifrato che solo i computer di bordo della GoldHeart avrebbero potuto riprodurre.

Infine, terminato il suo ultimo incarico, sedette ed attese.

Parte quarta:

Fu alla seconda sveglia che Phil aprì gli occhi con la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto. Osservò la plancia: i comandi erano a posto e la velocità della nave era rimasta la stessa. Il flusso dei dati era uguale all'ultima volta che il macchinario lo aveva svegliato. Richiese al computer un controllo completo di rotta e di eventuali danni allo scafo esterno. La risposta fu negativa, andava tutto bene. Eppure c'era quella sensazione.. come se dovesse accadere qualcosa. Aveva appena terminato i controlli di routine e calibrato il macchinario del crio-sonno per la successiva sveglia quando sentì un rumore. Un flebile - bip – dalla consolle alle sue spalle. Si voltò di scatto, come un'animale pronto a difendersi. Ma non ci fu bisogno di fare nulla; era un messaggio olografico dalla torre di comando. Si avvicino allo schermo rendendosi conto di non avere idea di come riprodurre il messaggio. Ma sapeva a chi doveva rivolgersi e, anche se sembravano passati giorni invece che anni, aveva proprio voglia di vedere quel sorriso.

Ethan Jenkins si destò dal crio-sonno, aprì gli occhi, si rese conto di essere sveglio solamente quando la voce metallica all'interno della cella disse: - Lei è liberò di muoversi. Il capitano l'attende sul ponte di comando. -
Quando l'addetto alle comunicazioni apprese dal proprio migliore amico che non erano ancora atterrati ma che erano ancora nella prima metà della rotta prevista, si interrogò sul perché della sua sveglia.
- È semplice amico mio, - rispose il capitano – la torre di controllo ci ha inviato una trasmissione cifrata e tu, a differenza di me, sai come riprodurla. -
Il colorito della pelle di Ethan si fece bianco in pochi secondi.
- Una trasmissione in arrivo adesso, prima di aver percorso metà rotta? - L'addetto alle comunicazioni guardò il proprio capitano chiedendosi come faceva ad essere così tranquillo. Poi, un lampo di consapevolezza lo illuminò: era fin troppo ovvio. Era il capitano e, nonostante fosse quello con il grado più alto sulla nave, non era tenuto a conoscere nulla dei codici di trasmissione della Federazione. Ethan si sedette davanti alla consolle, premette alcuni pulsanti e lo schermo si accese. Era una trasmissione di classe uno.
- Di male in peggio, - pensò.
Mentre il computer di bordo decodificava il messaggio, Jenkins si voltò per spiegare all'amico allibito il perché della sua preoccupazione.
- Phil, tu sai come volare, come decollare e come atterrare,insomma sei un ottimo pilota e il capitano. Tu prendi le decisioni difficili ma, come chiunque, ci sono cose che non sai. Ed è per questo che ci sono qui io. La Federazione pone il tassativo divieto di comunicazione tra la torre di controllo e la nave nella prima metà del percorso previsto dalla rotta in quanto il punto di non ritorno non sarebbe ancora superato. Tranne in caso di estremo pericolo.-
A quel punto anche l'espressione di Phil si fece più grave. Un suono sommesso dal computer di bordo annunciò l'imminente riproduzione del messaggio. Sul monitor comparve il volto di Heine, lo sguardo era fermo come sempre, ma ad uno sguardo più attento Phil notò una luce triste negli occhi del generale.
- Ragazzo, potrai mai perdonarmi? Io ti ho mentito, non dovrei inviare questo messaggio ma se non lo facessi non onorerei la memoria di tuo padre. La nave sotto il tuo comando non sarà mai raggiunta da altre. Nessuno arriverà sul nuovo pianeta dopo di voi, sarete soli. Buona fortuna, perdonami se puoi. - Una voce metallica annunciò la fine del messaggio. Dopo un momento di silenzio Phil prese la parola.
- La missione Planet continua come previsto dal protocollo. Non possiamo fare niente per loro. Il messaggio sarà stato inviato subito dopo il nostro decollo, ma ci avrà messo del tempo per venire codificato a quest'enorme distanza dalla fonte. -
Ethan si alzò dalla sua postazione dirigendosi verso la sua cella. Mentre camminava si voltò per un attimo.
- Questo lo so bene amico, so che non possiamo fare niente e ti prenderei per pazzo se tu volessi tornare. Ma cosa faremo adesso con il “carico”. Racconterai loro quanto è successo? -
Si fissarono per una manciata di secondi.
- No, non possiamo dir loro niente. Comprometteremmo l'intera missione. Nessuno deve sapere, la speranza è ciò che tiene l'uomo in vita dopo i grandi cambiamenti ed è pericoloso che vada persa. -
Jenkins pensò a ciò che il capitano aveva appena detto; non era di certo la cosa più corretta da fare. Ma era quella giusta.
- Non vorrei mai essere al tuo posto. Non credo che sarei capace di prendere decisioni come questa senza avere dei terribili incubi. -
Per la prima volta in tanti anni Ethan si congedò senza sorridere, lasciando il capitano ai propri pesanti ed indecisi pensieri. Gli occhi di Phil seguirono il fratello fino a quando il portello si chiuse alle sue spalle, isolando acusticamente il ponte di comando dal resto della nave, lasciandolo solo. Fu a quel punto, e solo a quel punto, che Phil disse:
- Ho incubi ogni notte, è solo che non li ricordo. -

Il nuovo pianeta era di una bellezza mozzafiato.
- Assomiglia al nostro, tranne per qualche dettaglio. - osservò Ethan mentre la nave entrava nell'atmosfera.- Guarda che oceani Phil, e quante aree verdi. Questo posto è una miniera d'energia. -
Tutto ad un tratto gli allarmi della nave iniziarono a suonare in modo assordante, spie luminose e lampeggianti si accesero su tutta la plancia di comando.
- Che diavolo sta succedendo? - Chiese Ethan al fratello.
- L'accelerazione di gravità è più forte del previsto, stiamo andando giù! -
Gli occhi di Ethan erano completamente invasi dal terrore.
- Devo tentare un ammaraggio. -
Lo sguardo di Ethan era, se possibile, più terrorizzato di prima:
- Ma sei completamente impazzito? La nave rimbalzerà come un sasso lanciato su un laghetto ad una velocità enorme. Pensa a tutto il “carico”: sarà un disastro! -
Phil lo guardò, gli disse di calmarsi, di respirare. Gli disse che le celle erano preparate per cose ben peggiori. Si fissarono:
- Posso farcela. So che posso riuscirci. -

L'impatto fu tremendo, entrambi vennero proiettati in avanti. Phil colpì il plexiglas di un terminale. Gli mancò il respiro. Dolore e poi, il buio.

Quando rinvenne si sentiva ancora stordito, sentiva dolore in ogni fibra del suo corpo. Aprì gli occhi e la luce del sole lo accecò per alcuni secondi. Si mise seduto e solo allora si rese conto di dove si trovava, era su una spiaggia.

Ethan a terra accanto a lui:
- Ti senti bene? - gli chiese.
- Sento dolore dappertutto, ma non credo di avere niente di rotto. Che è successo? Ricordo l'ammaraggio ma credo di essere svenuto.-
Jenkins soffocò una risata, indicò un punto alle spalle di Phil e disse:
- Beato te amico. Io me lo sono visto tutto. La nave ha colpito l'acqua e l'impatto ci ha sbalzati in avanti. Tu hai battuto la testa ma non ci è andata troppo male, per fortuna l'attrito ha diminuito in fretta la velocità quindi l'impatto con la costa non è stato troppo grave. Temo però che la GoldHeart sia andata del tutto ormai. -

Il capitano Adams si volto a guardare ciò che Ethan stava indicando e rimase a bocca aperta. Quella che anni addietro, alla partenza, era stata un'abbagliante e splendida nave, adesso era per la metà posteriore immersa nell'oceano. La parte anteriore si era fortemente danneggiata dopo l'impatto con uno sperone di roccia. Esso era, in parte, ancora conficcato a fondo nella prua, proprio dov'era situato il ponte di comando. Phil ringraziò l'amico per averlo fatto uscire vivo di lì.
- È stato un piacere, cerchiamo solo di non trovarci nella condizione in cui tu mi ricambi il favore. - Ethan riuscì ancora una volta, nonostante tutto, a farlo ridere.

Erano passate quattro ore dall'incidente quando i due fecero ritorno in plancia. La maggior parte dei macchinari era inutilizzabile ma fortunatamente il terminale che regolava le celle del crio-sonno era ancora funzionante. Dal ponte di comando che, vista l'inclinazione della nave ne era il punto più alto, Phil riuscì a guardarsi intorno. Da una parte si dipanava la terra, con i suoi alberi ed in lontananza delle montagne. Dall'altra una sconfinata distesa d'acqua limpida ed infinita.
- Mai visto un oceano tanto enorme. Ci rimarrà della terra su cui abitare? - Pensò,prima che Ethan lo richiamasse alla realtà.

Decisero in comune accordo di svegliare per primi i settori dove dormivano gli operai, i manovali, i tecnici e soprattutto gli inservienti del team medico. Tutti coloro che avrebbero avuto i mezzi e le conoscenze necessarie per estrarre le celle nella poppa che erano sommerse sotto metri e metri d'acqua. Al capitano bastò attivare il terminale, assicurando la propria identità grazie al lettore retinico per svegliare una parte dei passeggeri. Per fare in modo di poter chiarire loro la situazione si collego a tutti i diffusori audio ancora in funzione sulla nave e trasmise questo messaggio:
- È il capitano e pilota di classe A Phil Adams che vi parla. Innanzitutto mantenete la calma, siamo stati costretti ad un ammaraggio d'emergenza a causa di un guasto tecnico. Voi tutti avete l'ordine di dirigervi al ponte principale dove vi illustrerò la situazione di persona. -

Arrivarono a frotte, erano così tanti che il ponte principale a stento ne conteneva la metà. Non si contò nessun morto, solamente qualche ferito di cui il personale medico si occupò immediatamente. Quando il capitano Adams prese la parola, pian piano tutti si acquietarono.
- Signori, la situazione non è delle migliori. Ma potrebbe andare peggio, ricordate sempre: niente panico. Questo è il segreto. -
Phil riferì dell'errore di calcolo riguardante l'accelerazione gravitazionale del nuovo pianeta. Parlò loro della situazione in cui si trovava la nave e divise i presenti in diverse squadre operative. Dispose che una parte dei manovali e dei tecnici approntassero un campo sulla spiaggia destinato ad ospitare quante più persone possibile. Comunicò al personale medico di rendere operative tutte le infermerie non invase dall'acqua. Organizzò inoltre delle squadre a cui avrebbe partecipato personalmente, per lavorare sott'acqua di modo da sbloccare le stive di poppa. Infine nominò Ethan Jenkins suo secondo in comando.

La poppa della nave era divisa in nove stive. Tre di esse, le più lontane dalla plancia, erano irraggiungibili perché sommerse da troppi metri d'acqua. Come se non bastasse, il computer di bordo riferiva di gravi danni in quella zona.
- È molto probabile che si tratti di una falla nello scafo, provocata dall'impatto con il fondale marino. - pensò Phil.

Restavano sei celle in totale. Una di esse già vuota, gli occupanti erano gli uomini e le donne che adesso lavoravano al fianco del capitano e di Ethan.

Delle ultime cinque solamente due sarebbero state agibili in tempi brevi perché non del tutto sommerse. Gli occupanti delle tre rimanenti avrebbero dovuto dormire ancora qualche settimana, prima che i tecnici riuscissero a sbloccare le pompe per liberare le stive dell'acqua che le rendeva inagibili.

- Nessun problema, - si disse il capitano. - quelle persone dormono da anni qualche settimana non cambierà nulla. -

Ethan dormiva ormai da un pezzo, la giornata di lavoro lo aveva oltremodo spossato, quando un rumore secco ,simile ad un ramo spezzato lo svegliò. L'addetto alle comunicazioni si alzò in piedi e si avvicinò con fare circospetto alla boscaglia, che nel buio della notte pareva protendersi verso di lui, come un mostruoso ammasso d'ombra che volesse inghiottirlo. Cercò invano di distinguere delle forme o del movimento, ma al buio era impossibile, anche perché soffiava un vento leggero che muoveva le foglie. Cosa che contribuiva a rendere l'intero scenario ancor più spettrale. Ma Ethan non era un codardo, respirò a fondo e si immerse nell'ignoto, nel buio. Non riuscì a percorrere più di trenta metri che si trovò faccia a faccia con un essere dalle fattezze semi umane alto quasi due metri.

Ci sono momenti in cui, anche l'uomo più coraggioso e forte del mondo urla di terrore. Trovarsi al buio, dopo un pessimo atterraggio che sfiorava il disastro, in una foresta sconosciuta su un nuovo pianeta, faccia a faccia con una forma di vita aliena è uno di quei momenti. Ethan Jenkins urlò con quanto fiato aveva in gola, e si voltò per tornare alla spiaggia. Corse come mai prima e pochi secondi dopo era nuovamente alla luce dei fuochi. Si voltò e vide con orrore che i mostri lo stavano seguendo urlando e menando fendenti con grossi pezzi di legno.

Jenkins non ebbe nemmeno bisogno di dare l'allarme.

Almeno dieci persone erano già state svegliate dalle urla selvagge. Il capitano Adams estrasse la pistola in dotazione ai membri dell'equipaggio ed iniziò a sparare. I primi colpi che raggiunsero quei mostri feroci ed urlanti, risuonarono nel freddo buio della notte come un'esplosione in una stanza completamente vuota. I proiettili volarono, uccisero e ferirono, rimbombando e riverberando nell'aria. Durò pochi minuti e, quando tornò la calma, cinque corpi erano stesi esangui nella sabbia. Phil esaminò i cadaveri, prese con se un gruppo di dieci uomini e si mise a scavare, per seppellirli. Prima che facesse giorno il lavoro era terminato.

Fu solo con la luce del sole che Jenkins scoprì un uomo in lacrime al limite della spiaggia. Si chiamava Lester Milton e aveva gli occhi rossi contornati da occhiaie violacee. Le sue mani erano sporche di sangue. A terra giaceva una donna. Vedendo avvicinarsi il capitano l'uomo raccolse la pistola da terra e la punto contro Adams:
- Non è colpa mia se Rose è morta! - urlò con gli occhi rossi più che mai. - Io non c'entro niente, l'ho colpita per sbaglio, mi stavo difendendo da quei mostri! La colpa, la responsabilità è solo tua, maledetto! - l'uomo tolse la sicura dalla sua arma. - Se non fosse stato per te sarebbe andato tutto bene! E tu invece hai mandato tutto a puttane. Tu, stupido ragazzo! L'intero progetto Planet è andato! Ed è solamente colpa tua maledettissimo capitano Phil Adams.-
Le ultime parole uscirono dalla bocca di Lester come veleno dalle ghiandole di un serpente che si prepara a mordere.

Ethan vide gli occhi dell'uomo stringersi leggermente, fu a quel punto che capì: Milton era completamente impazzito. Era un serpente irritato dal bastone di un ignaro viaggiatore che stava per essere attaccato. Milton il serpente morse con tutte le sue forze nell'attimo in cui Ethan estrasse la pistola e fece fuoco.

Parte quinta:

La detonazione dello sparo fu assordante.
- Probabilmente, perché è rivolta verso di me. È sempre una questione di punti di vista. - pensò Phil nei suoi ultimi attimi.
Tutto si svolse in fretta: una pallottola perforò il cranio di Lester Milton spargendo sangue, cervello e frammenti di osso tutto attorno a lui.
Jenkins aveva sparato appena in tempo e la tensione si dissolse, come una delle onde che lambivano la spiaggia, che invadevano la terra ma poi, pian piano tornavano al mare. Tutti sulla spiaggia tirarono un sospiro di sollievo. Medici, tecnici e passeggeri ordinari tornarono alle loro precedenti occupazioni. -Dopo questa direi che siamo pari, vecchio mio. Un salvataggio per uno non nuoce a nessuno. Tranne al povero Lester forse. - disse Ethan voltandosi e sorridendo all'amico.

Fu in quel preciso momento che Phil crollò a terra. Sul suo petto si allargava con velocità allarmante una macchia di sangue.
Perché dopo un'onda ne viene subito un'altra: Lester e Ethan avevano fatto fuoco nello stesso istante. E nello stesso istante avevano entrambi fatto centro. Il mondo di Phil si fece pian piano sempre più buio.

Il capitano Adams non sapeva dove si trovava. Si guardò intorno ma non vide nulla. Avvertiva vagamente la voce di Ethan che chiamava il suo nome. Ma era come essere all'interno di una caverna, il suono rimbombava e rimbalzava su tutte le pareti, rendendo impossibile determinarne la fonte con esattezza. Phil non sapeva verso che direzione camminare. Provò a fare un passo e sprofondò nell'acqua gelida e nera che aveva davanti.

In quel momento aprì gli occhi. Si trovava all'interno dell'infermeria del ponte principale e Ethan era chino su di lui.
- Come stai amico mio? Alla fine sono sempre io che ti rimetto in sesto. -
Le parole uscirono da polmoni di Phil con uno sforzo immenso. Si sentiva come schiacciato dalla stessa aria che respirava.
- Preferirei che tu non dovessi più farlo. -
Ethan sorrise preoccupato:
- A chi lo dici fratello, a chi lo dici. Ora vedi di riposarti, gli uomini del team medico mi hanno avvertito che hai una ferita molto brutta. Quel figlio di puttana ti ha bucato un polmone, ma almeno la pallottola è uscita da sola. - Phil sorrise e Ethan riprese:
- Già, mi rendo conto che è sempre una magra consolazione e che poteva andare peggio. -

Le ultime parole di Ethan si mossero piano nel cervello del fratello, formavano dei cerchi, come una foglia che si stacca da un ramo per poi cadere nell'acqua stagnante.
Phil era sveglio adesso, e camminava sulla spiaggia. In lontananza la città era lucente e bellissima nei suoi mille palazzi di ferro e vetro. Fu un attimo! Con un lampo di luce ed un suono assordante, tutto finì. Tutta la città esplose contro il sole di mezzogiorno ed i detriti ne oscurarono la luce. Egli venne distrutto, gli atomi che lo componevano si scissero, si divisero e si dispersero nell'aria del mattino, per poi ricomporsi in forme diverse. Ancora e ancora e ancora.
A quel punto gli occhi di Phil si aprirono realmente.
- Mi è sempre più difficile distinguere il sogno dalla realtà. Forse sto morendo, - pensò il capitano, disteso su di una branda in infermeria, - ma almeno ora ricordo quello che sogno. -

Le settimane passavano e i lavori per svegliare le persone dal crio-sonno procedevano bene. Anche Phil si stava pian piano riprendendo, da alcuni giorni aveva ricominciato a diminuire l'assunzione di medicinali. Anche il nuovo pianeta, insomma, girava per il verso giusto. Ma il capitano aveva un solo pensiero nella mente. Era una di quelle idee che somigliano a delle lampadine che, una volta accese, non si è più in grado di spegnere. Ma doveva aspettare, non era ancora pronto, la mattina si sentiva sempre molto debole faticava anche solo a respirare. Quando apriva gli occhi, steso nel letto dell'infermeria in cui ormai era costretto all'immobilità da più di un mese, sentiva dolore in ogni fibra del corpo. Fortunatamente ogni giorno, pian piano, il dolore diminuiva. Quando si svegliò quella mattina, la luce del sole lo colpì in modo particolare; provò a mettersi seduto e scoprì ce il dolore era sopportabile. Decise allora di alzarsi e di cercare Ethan. Una volta indossata la divisa uscì dall'infermeria e, prima di dirigersi al ponte di comando, si fermò di fronte alla porta di un'armeria con l'intenzione di aprirla. Con sua sorpresa la porta era bloccata. Consultò il display e si rese conto del suo errore: accesso non autorizzato, rivolgersi al proprio diretto superiore.

Il protocollo della Federazione prevedeva che, nel caso in cui il capitano fosse costretto in infermeria per più di ventiquattro ore, il computer di bordo registri al comando l'ufficiale designato: in questo caso il suo ufficiale in seconda era Ethan, quindi si recò sul ponte di comando per cercarlo. Apprese che Ethan stava dirigendo dei lavori di bonifica del terreno vicino alla spiaggia. Trascinandosi lentamente sulla sabbia Phil si rese conto di non essere del tutto guarito, i polmoni ardevano di dolore e bruciavano ad ogni respiro.

Trovò l'amico seduto su uno scoglio, il lavoro era terminato. Le onde dell'oceano si infrangevano sulla roccia provocando milioni di gocce simili alla pioggia, che risplendevano al sole.
- È molto diverso da quando lo incontrai sulla Vector, è cambiato. Il tempo passa e scava l'uomo come l'acqua erode, nei secoli, le grandi scogliere di roccia. Forse anch'io sono cambiato. - pensava Phil mentre si avvicinava.
Quando Ethan lo vide, lo aiutò a sedersi sulla roccia accanto a lui. Fissarono a lungo l'orizzonte in silenzio, forse l'uno sapeva quello che passava nella mente dell'altro, forse no. Ma dovevano parlare, pensò Phil. Doveva esporgli la sua idea, voleva saperlo d'accordo. Inoltre aveva bisogno di lui per metterla in atto, prima che fosse troppo tardi. Serviva un grande quantitativo di esplosivi che erano custoditi nell'armeria della nave. Luogo che, in quelle speciali circostanze, a Phil era precluso.

Il capitano Adams dovette spiegare molto bene le sue ragioni prima che Ethan comprendesse ciò che aveva in mente. Phil voleva far esplodere la GoldHeart. Non voleva distruggerla completamente. La sua intenzione era quella di rendere la nave e ciò che essa conteneva, completamente inutilizzabile.

Il suo obbiettivo era quello di distruggere la tecnologia, prima che essa consumasse anche il nuovo pianeta.
- Pensaci Ethan, è grazie alla ricerca e allo sviluppo delle armi nucleari se siamo in questa situazione! I nostri antenati se la cavavano benissimo da soli, con ciò che il terreno circostante offriva. È colpa di coloro che hanno voluto spingersi troppo oltre, troppo lontani dalla natura dell'uomo, se si è arrivati alla devastazione atomica che ci ha distrutti! -
- Phil, ma che diavolo stai dicendo? È stato proprio quello sviluppo tecnologico che tu accusi ad averci salvati. Esso ci ha permesso di arrivare qui, sul nuovo mondo! -
Il capitano guardò negli occhi il suo addetto alle comunicazioni e sorrise: - Pensaci bene, la tecnologia non ha fatto altro che salvarci da se stessa. Se le testate nucleari, la polvere da sparo e le armi a rifrazione laser non fossero mai state costruite la razza umana avrebbe vissuto in pace con gli altri popoli e con la natura del mondo. -

Ethan ascoltò il ragionamento del suo capitano, non era ancora convinto: - Sei certo di ciò che dici, questo lo vedo. Ma io so che questo non è il modo corretto di agire. Tu dici che senza armi l'uomo avrebbe vissuto in pace, ma sai quanto me che questo non è vero. Se metti due uomini affamati a morte in una stanza e ci butti un pezzo di pane essi si uccideranno pur di non dividerlo.
- So bene che hai ragione Ethan, ma ciò di cui parli è la natura umana, io non posso cambiarla. L'uomo continuerà ad essere violento. Delle persone moriranno, ne sono pienamente consapevole. Ma dentro di te lo sai: se avrò successo molte vite saranno salvate. Privando quegli uomini e quelle donne sulla spiaggia dei componenti e della tecnologia contenuta nella nave impedirò lo sviluppo di armi. Guardami, mi hanno sparato, la tecnologia ha già mietuto tre vittime su questo mondo e siamo qui da così poco tempo. Devo affondare la GoldHeart negli abissi. -
Ethan distolse lo sguardo e fissò l'orizzonte.
- Come intendi fare? - gli chiese.
- Se piazzerò delle cariche ad alto potenziale nella parte inferiore del ponte di comando la nave si spezzerà in due e la metà inferiore cadrà in mare. Così facendo lo sperone di roccia che ha trafitto la prua non reggerà la potenza dell'esplosione e anch'essa cadrà. Non ci sarà nessun ferito, il campo sulla spiaggia è sufficientemente lontano. -

- Voglio aiutarti, non puoi fare tutto da solo. -
Phil guardò l'uomo accanto a lui e disse:
- C'è un solo modo per aiutarmi, e tu lo conosci bene. Parlerò a quella gente dopo l'esplosione e spiegherò il perché del mio gesto, ma nessuno mi ascolterà. Saranno tutti accecati dalla rabbia, crederanno che io sia impazzito e tu dovrai lasciarglielo credere. Dovrai spararmi, e dovrai uccidermi. Senza di me questa gente avrà bisogno di una guida e io so che nessuno meglio di te saprà prendere le giuste decisioni per far rinascere la nostra civiltà; avranno tutti bisogno di te. Il Generale Heine diceva sempre che i giovani soppiantano i vecchi e che, prima o poi, viene il momento di tutti quanti. Il mio è arrivato. Se non lo farai tu lo farà uno di loro e ci sarà una lotta per il potere. Tu mi sparerai Ethan Jenkins, questo è un ordine diretto di un tuo superiore. È necessario altrimenti nessuno ti rispetterà come loro capo. Dovrai dimostrare il tuo completo disaccordo con il mio gesto e solo così può funzionare. Forse non tutti ti vedranno, ma coloro che vedranno parleranno a chi non c'era e la notizia si diffonderà. Ed è questo ciò di cui abbiamo bisogno. -
Ethan non sapeva ciò che stava provando. Non sarebbe riuscito a descriverlo nemmeno se avesse avuto a disposizione un'infinità di tempo. Aveva di fronte la più terribile delle scelte: ciò che era giusto e ciò che non avrebbe mai voluto fare.
- Lo so, brutto vecchietto imbecille, lo so. - aiutò il fratello ad alzarsi. - Ora cerca di andartene in fretta da qui, prima che mi venga voglia di seguire per impedirti di morire anche stavolta. -

Phil si portò la mano sinistra alla fronte, ma Ethan si era già voltato. Ancora una volta i suoi occhi fissavano l'orizzonte.

L'esplosione fu enorme: una palla di fuoco che bruciò persino l'aria. La nave si piegò su se stessa, la scogliera si infranse definitivamente e sprofondò negli abissi assieme alla carcassa fiammeggiante della GoldHeart. Quando Phil giunse al campo la folla di persone sulla spiaggia lo fissò con un comune sguardo d'odio. Ethan gli corse incontro urlando:
- Che tu sia dannato maledetto pazzo! Ci hai condannati tutti! -

A quel punto premette il grilletto, come Phil gli aveva chiesto. Come era necessario perché tutti gli credessero. Perché tutti, in futuro, eseguissero i suoi ordini. Per poter raccogliere il testimone da quelle mani morenti che lo avevano strappato ad una vita di noia su una squallida stazione spaziale piena di derelitti umani che si compiangevano di giorno in giorno. Sparò al giovane uomo che gli aveva cambiato la vita. Ethan vide gli occhi del suo migliore amico, di suo fratello, del suo capitano chiudersi e pensò, perché nessuna delle persone che aveva attorno lo sentisse:
- A un'altra vita, fratello – e, solo a quel punto, pianse.

Mentre si accasciava a terra Phil sperò che ovunque fosse, suo padre potesse vederlo. Si era ritrovato davanti una scelta quasi impossibile e, se c'era qualcosa ad attenderlo dopo la morte, forse avrebbe avuto l'occasione per scoprire se aveva agito nel modo giusto. Era riuscito ad annientare, almeno momentaneamente, la tecnologia. Sapeva che non era una soluzione definitiva. Sapeva che l'uomo tende ad impigrirsi ed a facilitarsi la vita con la tecnologia, giustificando il tutto con il termine evoluzione. Forse aveva condannato tutti i suoi passeggeri a morte certa. O forse li aveva salvati dall'autodistruzione.

- Questa è la terribile contraddizione di fronte alla quale si trovano coloro che sono costretti a prendere le decisioni realmente importanti: commettere il male per creare il bene. – pensò mentre lo forze lo abbandonavano.

Finalmente Phil capiva il padre, capiva perché aveva scelto di morire per salvare il suo equipaggio. Capiva, ed andava incontro alla morte con la serenità che posseggono solo gli uomini puri di cuore e coraggiosi di spirito.

Capiva.. e perdonava.

  

Epilogo:

L'ultimo pensiero che la mente di Phil produsse fu:
- Che luogo strano per ricostruire una civiltà.. per ripartire da zero. Un pianeta composto principalmente d'acqua, con un unico grande sole giallo. -
Phil volse l'ultimo sguardo al cielo e pensò:  - È così diverso dai quattro soli azzurri che vedevo quando ero bambino. - 

 _________________________________________


 

“Se elimini l'impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità”

Sir Arthur Conan Doyle

Continue Reading

You'll Also Like

270 17 3
1 LIBRO DELLA SAGA "LE STREGHE REGINE DEI 4 REGNI* Iris Diamond, Strega dell'Est. La sua congrega è conosciuta per essere molto misteriosa, non si...
7M 203K 78
Arya Reid ha diciotto anni e la testa tra le nuvole praticamente da sempre. La sua vita è piatta, nessun colpo di scena, nessuna pazzia di troppo, ne...
201K 1.8K 9
Brys ha sedici anni e una vita perfetta: è una famosa modella, invidiata da tutti, e la figlia prediletta del ricco Amministratore Europeo della Spid...
4.5K 1.3K 23
Trama: in un futuro post apocalittico ambientato in una società distopica, ogni anno vengono prelevati, tramite una cerimonia d'estrazione, alcuni ra...