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Parte prima:

Gli occhi gli si spalancarono di scatto, come se fossero stati azionati da un meccanismo a molla e Phil si tirò a sedere. Nei polmoni gli si era bloccato un urlo muto. Si portò le mani alle tempie per massaggiarsi la fronte, ma non la trovò. Si guardò le mani, ma non le vide. Provò ad alzarsi, ad urlare, ma non riuscì a sentirsi, ne tanto meno a muoversi. A quel punto si svegliò del tutto.

Aprì e chiuse gli occhi un paio di volte prima di capire che era la realtà ciò che in quel momento stava vedendo. Era abituato a svegliarsi nel cuore della notte senza un motivo preciso: si girava nel letto nella vana ricerca di una posizione che gli permettesse di riprendere il sonno interrotto. Fin da quando era ragazzo i genitori davano la colpa ai suoi più che frequenti incubi. Lui si era dichiarato più volte in disaccordo, dopotutto non gli era mai capitato di ricordare ciò che sognava. Mai, nemmeno una volta.

Guardò l'orologio: le lancette segnavano le 6.42

- Beh, non mi è andata troppo male – pensò - dopotutto la sveglia era programmata per le sette. -
Si alzò dal letto e, nonostante si sentisse stordito per colpa del breve e disturbato sonno, impose a se stesso di procedere dritto. Raddrizzò le spalle, sciolse velocemente i muscoli intirizziti. Dirigendosi con passo incerto verso il bagno gli ultimi sprazzi di un sogno quasi dimenticato gli affiorarono nella mente. Una volta uscito inspirò l'aria del mattino alla finestra e si svegliò del tutto. Fu a quel punto che un pensiero fulminò la sua mente ora del tutto lucida, nel sogno stava correndo. Per un momento si fermò sulla soglia della stanza da letto riflettendo su quel particolare dato ma, alla fine, decise di scacciare quel balzano pensiero.

– Oggi è il grande giorno e non permetterò a nulla di rovinarlo. -
Rimuginando tra se e se, aprì l'armadio e scelse un completo in tweed non troppo appariscente, ma nemmeno troppo elegante.
Si erano fatte le sette e mezza quando scese in cucina per ingurgitare una leggera colazione e, alle otto in punto, uscì di casa diretto alla cerimonia che aveva atteso per anni.

Sin da bambino il suo più grande sogno era quello di volare. Da quando aveva memoria coltivava l'idea di diventare un pilota. Ma non come tutti i volatili, ormai in via d'estinzione, che da bambino vedeva nel museo di cui la madre era curatrice. No, lui voleva salire più in alto, spingersi più lontano di ogni altro. Mirava a raggiungere le stelle. Voleva tuffarsi in quel calamaio d'inchiostro nero, misterioso ed infinito che era lo spazio. Niente a che vedere con l'insignificante atmosfera, lui cercava ben altro. Rincorreva l'ignoto.

Accompagnato dal rumore del motore pensò ad Isaac: lui lo avrebbe sostenuto nelle sue scelte fin dall'inizio. Suo padre avrebbe creduto in lui e lo avrebbe incoraggiato, ne era certo.

Nel cassetto sinistro in basso della scrivania nello studio, al primo piano della sua casa Phil teneva un diario. Grazie a quello poteva ricordare ogni cosa successa da quando aveva imparato a scrivere. Tra quelle pagine erano conservati ricordi d'amore e di morte, gioie e tristezze. In quelle pagine c'era la sua intera vita. Ed era proprio tra quelle pagine che aveva annotato i ricordi del giorno in cui la lettera della Federazione era giunta a casa.
Frequentava ancora la scuola e, a detta di tutti, era un bambino introverso. Egli si sdraiava spesso a terra e fissava il cielo per ore ed ore, affascinato dallo spostarsi delle nuvole e da tutto ciò che poteva cogliere con gli occhi. Quegli occhi, piccole finestre che si affacciavano su di un animo tanto misterioso ed evanescente quanto sconfinato e bellissimo..
Il flusso selvaggio di pensieri, potente quanto un fiume dopo il primaverile disgelo dei ghiacci, trascinò Phil con sé come avrebbe trascinato il corpo inerme di un'annegato e lo scagliò con violenza sulle desolate spiagge della memoria. Ricordò quel giorno..

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