Il ragazzo della 113

By SthefannyStories

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Le regole alla Columbia University sono poche e precise: puntualità alle lezioni, tenere uno studio costante... More

Cast
Prologo
1. Columbia
2. Frutto proibito
3. Guida Turistica
4. Connie
5. "Siamo amici"
6. Football&Cheesburger
7. Fuoco
8. Questione di fiducia
9. MagBlue's
10. Cappuccino
11. Rissa
13. Il tuo tocco
14. Insieme
15. Bacio Rubato
16. Fratelli Protettivi
17. Fratelli giganti e buoni
17. Fratelli giganti e buoni
18. Nostalgia
19. Maglioni imbarazzanti
20. Momenti imbarazzanti
21. Il Ringraziamento
22. Goodbye Brother
23. Auschwitz 1941
24. Giro Turistico In Presidenza
25. Casa Walker
25. Casa Walker
26. Mi affido a te
27. La partita
28. Il ballo
28. Il Ballo
29. Un mare di bugie
30. La verità
Epilogo
SEQUEL
Ringraziamenti
LULLABY

12. Tregua

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By SthefannyStories

▶️Post Malone - Pyscho

Nei due giorni seguenti, Isaac ed Elia, erano stati entrambi convocati nell'ufficio del Preside. Una settimana di sospensione, con aggiunta ai lavori di pulizie nelle classi, nei laboratori, nella biblioteca scolastica, nella palestra, nel teatro abbandonato e negli sgabuzzini impolverati. A me invece era stato semplicemente richiesto di riordinare gli scaffali della biblioteca, mettendo in ordine alfabetico ogni libro presente, che era stato spostato dagli studenti. Dopotutto era la conseguenza per essermi intromessa all'interno di una rissa, nonostante le proteste di Isaac verso il padre, che con un: "Se non fosse stato per Eisel, questo idiota sarebbe ormai all'Ospedale. Lei non ha colpe." Aveva pronunciato con il tono vocale alto, risuonando in ogni angolo dell'ufficio. Elia si era offeso per il nomignolo con cui era stato nominato da Isaac, iniziando nuovamente un litigio, che per fortuna si placcò grazie al Signor Walker.

"Me lo sono meritato, Isaac, il Preside ha avuto le sue ragioni per darmi questa punizione." Mormorai per la millesima volta, appoggiando un libro sulle trecento pagine, dopo aver aspettato che Isaac ripulisse lo scaffale.

Erano passate oramai due ore da quando avevamo messo piede all'interno di quelle mura, di quel nuvoloso Sabato pomeriggio. Il ragazzo al mio fianco puliva - sotto continui lamenti - mentre la sottoscritta lo seguiva, rimettendo i libri in ordine alfabetico come richiesto. "Continuo dell'idea, che questa punizione, sia ingiusta nei tuoi confronti." Parlò prendendo quattro libri pesanti dalle mie braccia, per appoggiarli nelle mensole più in alto, dove non avrei mai sfiorato con un dito per colpa della mia altezza, che sfiorava il metro e sessantatrè.

"Almeno, la prossima volta che capiterà, imparerai a non intrometterti in una rissa. Ragazzina." Mormorò Elia superandomi, pulendo - scarsamente - il pavimento con una scopa, che teneva - come se fosse per la prima volta - saldamente fra le mani. I capelli bianchi gli ricadevano sulla fronte, coprendogli lo sguardo tinteggiato dall'azzurro degli occhi e al sopracciglio tagliato che si evidenziava grazie alla cicatrice, dandogli le sembianze da ex carcerato. Dalla rissa - svoltasi nel corso dei giorni precedenti - si era trascinato ferite in alcune parti del volto, procurandosi lividi sulla guancia destra e un taglio violaceo sulle labbra. Le braccia - ricoperte dai tatuaggi dall'apparenza significativa - erano in movimento, fasciate solamente da una maglietta giallastra con la stampa nera di uno scheletro. Lo guardai ignorando completamente le sue parole, domandandomi mentalmente se non avesse freddo con quel misero tessuto addosso e con quei ridicoli pantaloncini - a fantasia dalle forme a fette di arancia - che - a parer mio - erano completamenti fuori stagione. Guarda che l'estate è passata da un pezzo, avrebbe voluto aggiungere Eisel lingua biforcuta.

"Tu continua a tenere la bocca chiusa, Jefferson. Non ti è bastato il giretto di solo andata all'infermeria?" Fu Isaac a ribattere mettendosi in piedi alla mia destra, rivolgendo al ragazzo dai capelli bianchi, uno sguardo che prometteva tanto.

Elia alzò le spalle, riabbassandole successivamente. "A differenza degli altri, io non ti temo, Walker." Annunciò mantenendo il contatto visivo, facendomi sospirare. Di questo passo avrebbero ripreso sicuramente inizio ad un'altra lite e non potevamo permettercelo, con tutto il lavoro che avevamo ancora da concludere con le pulizie.

"Potreste smetterla di comportarvi come due bambini delle elementari ed iniziare a riprendere i vostri compiti? Non abbiamo tempo da perdere, potrete continuare a stuzzicarvi una volta fuori da queste mura, dove non sarò costretta ad ammonirvi come se fossi la più adulta fra i tre." Annunciai gesticolando con in mano un Dizionario, rivolgendomi verso i due presenti con sguardo severo. Ero abbastanza stanca dei loro continui battibecchi, volevo soltanto finire ciò che avevamo iniziato ed andarmene.

Vidi Elia guardare Isaac con gli occhi socchiusi, come se volesse sfidarlo ad aggiungere qualcosa per dar inizio all'esplosione. Il ragazzo al mio fianco si limitò a distogliere lo sguardo, per riporlo nel mio, come se volesse dirmi: poi non chiedermi perché perdo facilmente il controllo. "Forza Walker, almeno datevi tregua per la durata in cui trascorrerete del tempo insieme. Prima concluderete qui e prima vi lascerete alle spalle questa storia." Cercai di fargli riflettere, appoggiando le carte in tavola aspettando una risposta da parte sua, ricevendo - in attesa - un cenno d'assenso da Elia, che porgeva la mano in direzione di Isaac.

"Tregua." Annunciarono entrambi, stringendo - in una forte stretta - le loro mani, prima di riprendere con le pulizie.
Era incredibile come parlare comprensivamente, con persone talmente vulnerabili, mi facesse trarre ottimi risultati. Perché dopotutto la frase: mai rispondere alla violenza con altra violenza, aveva il suo fondo di verità. Elia era molto esperto nelle sue provocazioni, Isaac - invece - era davvero ottimo nel controbattere usando la forza, bisognavano avere soltanto qualcuno che riuscisse a placcare la loro rabbia e la loro incomprensione.

Quell'oggi il ragazzo della 113 indossava un maglione di lana - color crema - che fasciavano le sue braccia, in un modo perfetto. Ed appoggiando lo straccio umido sopra ad un tavolo, fece per alzare le maniche lunghe fino al gomito, con scarsi risultati, per non sporcarsi con la candeggina o prodotti vari. "Lascia fare a me." Parlai appoggiando alcuni libri al mio fianco, allungando le mani verso i suoi polsi, che rimasero fermi ad aspettare i miei movimenti. Piegai perfettamente il tessuto di lana fino ai suoi gomiti, senza stringerlo maggiormente per non dargli fastidio mentre lavorava. Trattenni - senza accorgermene - il fiato quando sfiorai, con le dita, la sua pelle che emanava calore. Sentii un brivido scorrermi lungo la spina dorsale, come se all'interno di quelle mura fosse appena passata un'ondata d'aria fredda, nonostante le finestre fossero chiuse. "Ecco fatto." Conclusi distogliendo velocemente le dita, appoggiandole successivamente sulle cosce, interrompendo quella strana sensazione appena provata.

"Potrei abituarmi al modo in cui stai cercando di prenderti cura di me." Scherzò riferendosi ai fatti accaduti dal giorno della rissa, ad oggi. Gli ero stata vicina come mi ero ripromessa a me stessa, per cercare di non fargli combinare altre risse. A patto che andassi a vedere e fossi presente ad ogni suo incontro al Blue's, così sarò sicuro di non combinare altri guai se sarai con me, aveva detto il giorno prima facendomi sorridere.

"Non abituartici troppo, sei ancora nel periodo di prova." Lo incalzai inarcando un sopracciglio, mettendomi in punta di piedi per appoggiare altri libri, che - a parer mio - non sembravano finire più.

A me piaceva davvero vedere quel lato spensierato del ragazzo della 113, che fino ad ora nessuno aveva mai avuto l'occasione di poter vedere. In questi ultimi tre giorni, mi era apparso di conoscerlo da sempre, mentre mi raccontava qualcosa di sua sorella Connie ed io gli rispondevo raccontandogli di mio fratello. "Dicevi sul serio, quando l'altro ieri mi raccontavi di tuo fratello maggiore, che - per una scommessa - si dovette fare due isolati di corsa completamente nudo?" Domandò ridacchiando ogni tanto, fra una parola e l'altra, mettendo in mostra i denti bianchi.

Annuìì per più volte, sorridendo al ricordo. "I suoi amici erano davvero originali, sulle penitenze dei loro giochi."

Tolse altri libri dagli scaffali, mettendoli sopra al tavolo, passando sulla superficie il panno umido per sterilizzare la polvere, con alcool. "Tu hai mai partecipato?" Chiese abbastanza curioso al riguardo, facendomi annuire. "Avanti, raccontami." Mi incitò.

Sospirai, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio. "Avevo ancora sedici anni, quando decisi di voler giocare insieme a loro, protestando al loro no perché mi sentivo grande abbastanza per partecipare. La scommessa era molto semplice, dovevo buttarmi in piscina - in pieno inverno - completamente vestita di vesti pesanti. Io però non sapevo nuotare, però questo loro lo sapevano bene. E niente di speciale, dovetti uscire - per il mio primo appuntamento - con il ragazzo più disgustoso del Liceo, Zac Andrews. Ci credi che si metteva la matita nel naso e senza accorgersene, se la rimetteva in bocca?" Gli raccontai ascoltando la sua sonora risata lungo gli angoli vuoti di quella biblioteca, che si aggiunse a quella di Elia - che passando di lì con la scopa - aveva ascoltato il mio racconto.

"E ciliegina sulla torta, scommetto che vi siete baciati sul porticato di casa alla fine del vostro appuntamento?" Mi domandò il ragazzo dai capelli bianchi, completamente divertito dalla situazione, giocando con il pearcing sul labbro inferiore, per non dare inizio ad una lunga risata.

Lo guardai abbastanza male, pregandolo di smetterla con quelle risate, mi faceva ricordare quel periodo poco felice della mia vita. Alla fine di quell'appuntamento - per così dire - dovetti baciare Zac, dalle labbra screpolate e dal retrogusto amaro. "Se ci ripenso, mi rivengono nuovamente i conati di vomito." Mormorai appoggiando altri libri in alto, sistemandomi successivamente la felpa che mi era salita lungo i leggins.

"Come si suol dire, il primo bacio non si scorda mai." Annunciò Isaac con tonalità di voce cantilenante, non riuscendo - insieme ad Elia - a trattenere le risate. Mentre lo schiaffeggiavo leggermente su un braccio, per farlo smettere.

Per tutta l'ora successiva continuammo a pulire, riempendo i muri e le pagine giallastre dalle nostre risate, che echeggiavano in dolci suoni in ogni angolo. Eravamo arrivati quasi a metà della Biblioteca, il restante l'avremmo finito l'indomani, con più energie e con più voglia di fare. Chiusi le porte principali con la chiave che mi aveva dato il Preside, salutando Elia e aspettando il ritorno di Isaac, che era andato a rimettere i prodotti di pulizie nello sgabuzzino. Guardai l'orario nell'orologio che portavo al polso, notando che fossero quasi le sei. L'incontro quella sera al Blue's sarebbe iniziato verso le undici, avrei avuto tutto il tempo per buttare qualcosa di calorico nello stomaco e prepararmi. Dopo tutto, non avrei nuovamente voluto presentarmi con indosso il pigiama, orribile oltretutto. Il tempo era davvero volato, pensai alzando lo sguardo sulla figura palestrata venire in mia direzione. "Sono sfinito." Annunciò al mio fianco, iniziando ad incamminarsi - insieme a me - verso l'ufficio del Preside, per restituire le chiavi e per riprenderle nuovamente domani.

"Il Quarterback si lascia abbattere da un po' di polvere e un panno umido? Isaac, mi deludi." Parlai senza guardarlo, probabilmente sarà rimasto sorpreso dalla mia voglia di scherzare in quella giornata. Stavo così bene in quegli ultimi giorni, che preoccuparmi di prendere in giro il ragazzo più pericoloso della scuola, non mi importava affatto.

Una volta chiusa - alle nostre spalle - la porta dell'Ufficio del Preside dopo aver consegnato le chiavi, ci incamminammo in direzione dei corridoi che portavano verso i dormitori, entrambi con la testa china e in perfetto silenzio. Alzai il capo in alto, per poter sbirciare - sotto la montatura dei miei occhiali - i suoi occhi, immersi completamente nella sua bolla di oscurità. Era entrato nella modalità 113. Odiavo quando si chiudeva in sé stesso, sbattendomi in faccia una porta della sua vita di cui - probabilmente - non avrei mai oltrepassato la soglia. Notai le guance leggermente scavate e i zigomi risaltati, i capelli scuri caduti in fronte coprivano le iridi verdognole dei suoi occhi. A cosa starà pensando? Provai a chiedermi mentalmente, non distogliendo lo sguardo dalla sua figura slanciata e scultorea al mio fianco. "Cosa mi consigli per il mio outfit per l'incontro di oggi? L'orrendo pigiama della scorsa volta?" Provai a chiedere, un modo per distrarlo dai suoi pensieri. Volevo vederlo completamente sereno, al suo agio e senza bolle di oscurità con me. Mi sentivo in dovere di farlo, era come se fosse una mia necessità farlo star bene.

Vidi - sulle sue labbra - un accenno ad un sorriso, mentre abbassava gli occhi in mia direzione. "Le ciabattine arancioni - con cui avevi abbinato al giallo canarino del pigiama - erano davvero originali, mi piacevano." Affermò amplificando il sorriso, dopo aver visto la mia espressione facciale, per niente d'accordo alle sue parole.

"Verso che ora partiamo?"

"Per le dieci meno un quarto, bussa alla mia porta." Mi informò una volta fermi davanti alla mia stanza, facendomi annuire. E dopo avermi salutata con un semplice cenno del capo, s'incamminò in direzione della sua stanza, mostrandomi la completa visuale delle sue spalle larghe da perfetto Quarterback.
Ah.

Abbassai la maniglia della porta centoventi, oltrepassando successivamente la soglia, venendo improvvisamente soffocata da un fortissimo odore di cipolla, che filtrava all'interno delle mie narici. Non potei fare a meno di trasformare la mia espressione facciale in una smorfia, sventolando una mano per far aria, dirigendomi verso il porta-finestra per far circolare quell'odore fuori. Finalmente, annunciai portando nei polmoni una grande quantità di aria fresca. "Mh, che fai? Chiudi quella porta, mh, che fa freddissimo!" Mormorò una voce femminile alle mie spalle, e quando mi girai a guardarla, notai fosse Kara. Teneva in entrambe le mani un enorme Kebab, masticando - con gusto - quest'ultimo fra i denti. Rabbrividii, sentendo dei conati di vomito salirmi lungo lo stomaco.

"Quante volte devo ripetertelo, che queste cose le dovresti mangiarle fuori?" Parlai portandomi le mani lungo i fianchi, guardandola attentamente mentre continuava a masticare per poter rispondere. Mi stavo comportando come una madre casalinga, che aveva appena finito di lucidare la propria casa, ma era necessario riprenderla.

"Non fare la pignola, Eisel. L'odore lo senti solamente tu." Annunciò addentando nuovamente il Kebab, mentre una foglia di insalata andava a schiantarsi sul pavimento, sporcandolo di alcuni residui di maionese. Bleah.

In quel preciso istante entrò Faith, che portandosi le mani sul naso mormorò un: "Si sono per caso rotti i tubi del bagno?" Facendomi inarcare un sopracciglio in direzione di Kara, che - sorridendo sotto i baffi - alzava e riabbassava le spalle, facendo il personaggio da bambina innocente.

La solita.

Lasciai la finestra aperta per una buona mezz'ora, non preoccupandomi minimamente dell'aria Autunnale che entrava, facendo accumulare - ancor più - le lamentele di Kara. Che, grazie al cielo, aveva finito di mangiare quella sottospecie di piadina odorante. Avevo approfittato, insieme a Faith, per dare inizio ai lavori di pulizie generali in camera, mentre la bionda si lavava nel bagno per mandar via i residui dell'odore sgradevole. Spolverando - con un panno - gli scaffali di libri, togliendo le tracce di sporcizie dal pavimento con la scopa e il moccio, avevamo reso più gradevole l'aria attorno a noi. "Senti che cambiamento!" Annunciò Faith sedendosi sulla sedia della mia scrivania, gonfiando i polmoni d'aria pulita. "Dovrebbe essere proibito vendere quel tipo di roba." Aggiunse, sciogliendo la coda di cavallo per pettinare - con una spazzola - i lunghi capelli, che le ricadevano lisci sulle spalle esili.

Annuii alle sue parole, mettendo - nel frattempo - i prodotti di pulizie al proprio posto. E dopo aver ordinato due semplici pizze al formaggio e pomodorini, cenammo sotto sguardo di Kara, che dopo essersi lavata non ci aveva più rivolto parola. Probabilmente si era offesa. "Faith, potresti gettare tu i cartoni della pizza?" Chiesi gentilmente alla ragazza, che seduta al mio fianco, si limitò ad annuire per più volte.

Dovevo ancora farmi la doccia e preparami per l'incontro che si sarebbe svolto quella sera, ed erano oramai quasi le nove. Presi una maglia - bianca - a maniche lunghe, un paio di jeans stretti, i soliti stivaletti e le mutandine. Il reggiseno non mi era necessario, non lo usavo quasi mai, probabilmente perché mi aveva sempre irritato la pelle. E dopo essermi assicurata di aver preso l'occorrente, mi avviai all'interno del bagno. Mi sciacquai per bene sotto il getto dell'acqua calda, passandomi sul corpo una buona dose di sapone dal profumo alla vaniglia, trasformando il liquido in tante piccole bollicine di schiuma bianca. Decisi di uscire dopo una quindicina di minuti, nonostante la grande voglia di voler restare ancora a farmi coccolare dal calore dell'acqua. Adoravo il modo in cui, dopo una doccia, mi si sciogliessero i muscoli. Rendendomi meno tesa e più libera nei miei movimenti. Indossai i vestiti - una volta asciugatami con il grande asciugamano che mi ero trascinata da San Diego - non preoccupandomi del risaltamento dei capezzoli sul tessuto della maglia bianca. Avevo il seno abbastanza piccolo, non rischiavo assolutamente di risultate volgare agli occhi altrui. Portai la montatura rettangolare degli occhiali lungo il naso, per guardare meglio il mio riflesso allo specchio, sistemandomi - con le dita - delle ciocche ribelli - che clandestinamente - erano fuggite dalla chioma a caschetto. Non mi passò per la testa di aggiungere del trucco al viso, d'altronde stavo andando ad un incontro di lotte clandestine, cimentandomi in mezzo a centinaia di persone sudate e rumorose, e non ad una serata di gala.

Sgusciai fuori dal bagno, andando in direzione del cellulare che si trovava appoggiato sulla superficie del mio letto. Mancavano ancora una decina di minuti, prima di andarmi a presentare davanti alla porta della stanza 113, constatai guardando l'orario sullo schermo acceso - che dall'immagine del blocco - rappresentava me insieme ai due uomini della mia vita. Come starà papà? Fu la domanda che mi sfiorò la testa, mentre la voce di Kara si diffondeva nella stanza, facendomi scuotere la testa. "Eisel, dove stai andando a quest'ora?" Mi domandò la bionda, scrutandomi - con i suoi occhioni blu - ogni centimetro del mio corpo. "Jeans stretti?" Mormorò aggrottando la fronte, apparentemente confusa. "Non indossi mai i jeans stretti." Aggiunse con voce da perfetto detective indagatore, il che mi fece sorridere divertita.

"Mh, qui qualcosa mi puzza. E non intendo il Kebab di Kara." Disse Faith alle mie spalle, facendomi unire - in una risata - insieme a lei, alla quale Kara non sembrò minimamente divertita. Alzò, infatti, il sopracciglio destro come per dire: non siete affatto simpatiche.

"Ogni tanto indosso anch'io qualcosa di non orribile." Parlai lisciandomi le gambe, con i palmi delle mani. "Comunque sto uscendo e non farmi domande, a cui sicuramente non risponderò." Annunciai rivolgendomi alla bionda, che aveva appena trasformato le labbra in una forma a circonferenza, abbastanza sorpresa dalle mie parole. Stranamente non aggiunse nulla e gliene fui grata, non avevo nessuna intenzione di dirle che sarei uscita con Isaac. Il ragazzo considerato da tutti il più temuto. Non me lo avrebbe mai acconsentito, era troppo oscurata - come gli altri - dall'apparenza che il ragazzo della stanza 113 poteva mostrare. Non lo conosceva come io stessa stavo cercando di conoscerlo, nemmeno sotto i miei occhi avrebbe mai cercato di capire. Non dovevo né a lei, né a Faith e né a nessun altro delle spiegazioni su Isaac. Era qualcosa che riguardava me e lui, e lui e me soltanto. In effetti, ero abbastanza affezionata a quel piccolo legame che si era creato per parlarne a qualcuno. Nemmeno alle mie amiche. Lo sentivo una cosa mia, una cosa nostra.

Salutai entrambe con un gesto della mano, continuando a non dare peso agli sguardi indagatori della bionda, che fino al momento in cui mi chiusi la porta alle mie spalle, aveva continuano a perseguitarmi. Sospirai distogliendo le mani dalla maniglia della porta 120, per dirigermi verso la 113, che si trovava a pochi passi da lì.

Quando alzai la mano per bussare alla porta della stanza di Isaac, la trovai già socchiusa. Decisi quindi di appoggiare il palmo sulla superficie in legno, ed aprirla con una leggera pressione. "È permesso?" Domandai oltrepassando la soglia a piccoli passi, mentre il mio sguardo si alzava in direzione della figura in piedi al porta-finestre.

Mi dava le spalle, larghe e senza la presenza di tessuti pesanti. Le braccia palestrate si muovevano in modo circolare, tenendo fra le mani un asciugamano per asciugare i capelli umidi. Probabilmente sarà appena uscito dalla doccia, pensai abbassando lo sguardo verso il suo punto vita. Stretto, asciutto. E quando si girò, non potei fare a meno di notare la presenza della V che si nascondeva fra il suo punto vita e l'inizio dei jeans neri e strappati. L'unico indumento che indossava in quel momento.

E quando incrociai con i suoi occhi, verdi con le pagliuzze castane, non riuscii a trattenere il fiato. "Ciao, Eisel." Parlò muovendo le labbra gonfie, rosee e dall'apparenza morbida.

Ah.

Commenti, alquanti inutili, dell'autrice:
Premetto inizialmente che il capitolo è stato diviso a metà, domani posterò quindi il continuo perché non vorrei sembrare pesante nel racconto.
Vi chiedo scusa per il ritardo commesso ultimamente, ma ero decisamente bloccata su alcuni punti per lo svolgimento.
Spero possiate gradire questo anticipo, ditemi che ne pensate commentando, mi farebbe piacere.
E niente,
Fanny.

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