The tale of us. // clario

By iLudox

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Mario, Romano trasferitosi a Verona dopo aver confessato alla sua famiglia di essere gay, e Claudio, propriet... More

Capitolo uno.
Capitolo due.
Capitolo tre.
Capitolo quattro.
Capitolo cinque.
Capitolo sei.
Capitolo sette.
.
Capitolo otto.
Capitolo nove.
Capitolo dieci.
Capitolo undici.
Capitolo dodici.
Capitolo tredici.
Capitolo quattordici.
Capitolo quindici.
Capitolo sedici.
Capitolo diciassette.
Capitolo diciotto.
Capitolo diciannove.
Capitolo ventuno.
Capitolo ventidue.
Capitolo ventitré.
Capitolo ventiquattro.
Capitolo venticinque.
Capitolo ventisei.
Epilogo.

Capitolo venti.

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By iLudox

«Hai di nuovo la febbre?» Claudio rise, seduto a gambe incrociate sul suo letto, tenendo il cellulare fermo tra l'orecchio e la spalla destra, mentre controllava dei documenti del bar.

Dall'altro capo del telefono sentì un borbottio in risposta, e forse Mario l'aveva anche mandato a quel paese. «Ma è già la quarta volta che succede, in due mesi e mezzo!» Claudio lasciò perdere i fogli e si sdraiò di schiena sul materasso.

«Non è colpa mia!» disse Mario, alterato, per poi tossire fortemente.

Claudio sospirò e si passò una mano in faccia. Voleva andare a cena fuori quella sera, e aveva appunto chiamato il moro per proporglielo ma gli rispose una voce nasale, interrotta da uno starnuto. Quindi la cena fuori era automaticamente saltata.

«Vengo da te» decise, alzandosi con uno scatto dal letto.

«No, che poi te la passo» mormorò Mario.

«Non m'importa, vengo a prendermi cura di te perché sono sicuro che tu non lo stai facendo» lo derise, ridendo, chiudendosi la porta di casa alle spalle.

«Vaffan..» un altro colpo di tosse lo interruppe.

«Tra una ventina di minuti sono da te, compro anche la cena e la mangiamo sul divano. Tu non devi far altro che sprecare le tue poche energie per scegliere un film» diceva, mentre scendeva velocemente le scale. Chiuse la telefonata senza neppure dargli la possibilità di rispondere, perché sapeva che gli avrebbe lanciato un altro insulto.

Circa quindici minuti dopo Claudio era sotto casa di Mario, col dito premuto sul campanello. Il moro sbuffò leggermente, alzandosi dal divano portandosi sulle spalle tutto il groviglio di coperte.

Gli aprì la porta e tornò sul divano, senza salutarlo. «Ma buonasera eh» lo salutò Claudio, ridacchiando mentre entrava in casa, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio.

«Mh, ciao» borbottò Mario, già sdraiato sul divano. «Che hai portato?» chiese, dando un'occhiata alla busta che Claudio stringeva.

«Panini del McDonalds» rispose, poggiando la busta sul tavolo della cucina.

«Mi viene di nuovo da vomitare solo al pensiero di mangiare quella roba» si lamentò Mario, socchiudendo gli occhi.

Claudio si avvicinò per guardarlo meglio, accovacciandosi sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. Osservò il suo volto ed era parecchio smunto, pallido, con due profonde occhiaie a contornare i suoi occhi neri.

«Hai vomitato?» gli chiese, preoccupato.

«Due volte» borbottò il moro, ad occhi chiusi. «E mi sa che tra poco lo rifarò» aggiunse, toccandosi la pancia e facendo una smorfia.

Claudio sospirò, allungando una mano per togliergli i capelli dalla fronte e approfittò per accarezzargli una guancia. «Domani vai dal medico.»

«Cla, è una normale influenza.»

«Si ma non è normale che ti venga in così poco tempo, Mario. Domani andrai dal medico, e non si discute» affermò, serio.

Mario respirò profondamente, annuendo. «Ora ti sdrai vicino a me, per favore?» gli chiese, a voce bassa, aprendo leggermente gli occhi.

Claudio sorrise all'istante a quella visione, a quegli occhi neri che lo stavano guardando con tutta la dolcezza possibile. Forse era dovuto all'influenza, dato che Mario rare volte era dolce con lui, ma Claudio non si lasciò perdere quell'occasione.

Si affrettò a togliersi le scarpe e a sdraiarsi al suo fianco, sotto le coperte. Aveva caldo, ma se quello era il prezzo da pagare per avere Mario sul suo petto, il suo respiro caldo sul suo collo, i suoi capelli a solleticargli il volto, l'avrebbe pagato ad ogni costo.







La cosa che Mario più odiava nella vita erano le visite mediche. Non sapeva il perché ma sin da piccolo, quando sua madre lo portava dal medico di famiglia anche solo per una semplice febbre alta, aveva l'ansia. Era risaputo che fosse una persona che andava nel panico per ogni piccolezza, ma quel giorno, seduto su una sedia della sala d'aspetto del suo medico, aveva uno strano presentimento.

Quella notte si era risvegliato un migliaio di volte, tra le braccia di Claudio. Si toglieva le coperte perché aveva caldo, ma dopo un po' si risvegliava perché tornava ad avere freddo e quindi si ricopriva.

La soluzione la trovò Claudio: mettersi solamente il lenzuolo addosso, senza la pesante coperta. Ma Mario si tolse anche la maglietta, dormendo a petto nudo per poter stringersi al corpo di Claudio senza avere caldo.

Al mattino si era svegliato ancora tra le sue braccia e non c'erano tracce di febbre, almeno per quel momento. Claudio doveva per forza andare al bar quel mattino, quindi non poteva accompagnarlo alla visita, ma Mario lo tranquillizzò, ce l'avrebbe potuta fare anche da solo.

«Serpa Mario?» la segretaria, appena uscita dalla sala del medico, chiamò il suo nome. Mario sollevò piano una mano e si alzò dalla sedia e capì che no, non ce l'avrebbe potuta fare da solo.

La donna gli sorrise debolmente, aprendogli di più la porta. «Può entrare.»

Mario annuì, facendogli un piccolo sorriso. Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. «Mario, da quanto tempo! Come va?» Luca, il suo medico, lo conosceva da quattro anni e il loro era per lo più un rapporto d'amicizia, anche se si vedevano molto di meno rispetto ai primi anni, ma Luca lo conosceva bene e riusciva sempre a metterlo a suo agio.

«Insomma» rispose, scrollando le spalle.

«Ti vedo parecchio smunto e pallido. Influenza?» chiese, scrivendo il nome del moro su un foglio bianco, dopo aver indossato gli occhiali da vista.

«Si» rispose il moro, sedendosi sulla sedia di fronte all'uomo, spostandosi il ciuffo di capelli dagli occhi. «E' già la quarta volta in meno di tre mesi. In più questa volta è accompagnata dalla nausea» spiegò, schiarendosi la voce.

Luca annuì in ascolto, studiandolo con lo sguardo. «Controlliamo la gola innanzitutto, d'accordo?» Mario annuì e Luca gli indicò il lettino su cui sedersi, prima di prendere l'abbassalingua.

Mario si accomodò sul lettino, asciugandosi i palmi sudati per l'ansia delle mani sui jeans quando Luca gli si avvicinò con quel stecchetto di legno che provocava un senso di vomito e che tutte le persone normali odiavano.

«Apri la bocca» lo istruì il medico, poggiando una mano sul suo mento per spostargli il volto nella sua direzione, e sotto la luce. Luca corrugò la fronte mentre controllava l'interno della sua bocca. Estrasse lo stecchetto qualche secondo dopo, tastandogli la gola con l'indice e il medio di entrambe le mani. Notò che i linfonodi fossero abbastanza ingrossati, e ciò un po' lo preoccupava.

«Cosa c'è?» chiese Mario, senza smettere di scrutare il suo sguardo corrugato.

«Hai i linfonodi un po' gonfi» lo mise al corrente, togliendo le mani dal suo collo. «Ti faccio un prelievo del sangue, d'accordo? Vorrei dirti cose certe, e solo così posso farlo» cercò di non farlo andare nel panico, ma Mario lo era già parecchio. Però il moro annuì, respirando profondamente.

Mario si sentiva come se ci fosse qualcosa che non andava in lui. E mentre Luca gli avvolgeva il braccio col laccio emostatico, sapeva che anche il medico stesso lo pensava, lo capì dalla sua espressione pensierosa e allo stesso tempo preoccupata.

«Perfetto, tra due giorni avremo i risultati» gli disse Luca, quando entrambi tornarono a sedersi di fronte la scrivania. Mario annuì, torturandosi le mani mentre Luca controllava la sua cartella clinica, le sue precedenti visite.

«Dato che sei qui, e dato che sono sei mesi che non fai quel test, che ne dici di farlo adesso?»

«C'entra qualcosa con tutto questo?» chiese il moro, spalancando leggermente gli occhi.

Luca allora distolse immediatamente lo sguardo dai fogli per guardarlo, apprensivo. «Mario, te l'ho chiesto perché ho notato che è da tempo che non lo fai e di solito lo facevamo ogni tre mesi, ricordi?» gli chiese, calmo, tranquillo. E Mario di fronte quell'espressione serena si calmò, sospirando di sollievo e annuendo.

Dopo aver prelevato il sangue anche per quel test, Luca scrisse qualcosa su un foglio e glielo porse. «Torna qui tra due giorni, d'accordo? Intanto ti ho prescritto dei farmaci da prendere per la gola e per la nausea» l'uomo lo accompagnò poi alla porta, poggiandogli una mano sulla schiena.

«E mi darai buone notizie, giusto?»

Luca sospirò. «Non chiedermi queste cose, Mario, lo sai come funziona il mio lavoro. Non posso promettere né assicurare nulla, se non ho dei risultati certi tra le mani» lo rimproverò.

Mario annuì e si scusò con un piccolo sorriso, prima di salutarlo e uscire dalla stanza. Aveva l'umore sotto ai piedi, una preoccupazione che non lo abbandonava, ed ecco perché decise di non tornare a casa, ma di raggiungere Claudio al bar. Il castano era l'unico che riusciva a risollevargli il morale e a fargli andare via quella preoccupazione che lo stava opprimendo.

«E tu che ci fai qui? Dovresti rimanere chiuso in casa, non andare in giro a prendere freddo e complicare le tue condizioni» lo rimproverò subito Claudio, non appena lo vide entrare al bar.

«E' quasi estate, Claudio! E stamattina non avevo la febbre.»

Claudio sbuffò, rassegnato, e decise fosse meglio cambiare argomento. «Quindi cosa ti ha detto il medico?»

Mario scrollò le spalle, sedendosi su uno sgabello, poggiando i gomiti sul bancone. «Mi ha prescritto delle medicine per la nausea, ha fatto dei prelievi e tra due giorni devo tornare da lui per sapere i risultati» spiegò, cercando di mostrarsi quanto più tranquillo possibile.

Claudio, però, sapeva quanto Mario andava in ansia per cose di quel genere, ecco perché si sporse maggiormente verso di lui, poggiando una mano sulla sua, ferma sul bancone, e parlandogli a distanza di pochi centimetri dal suo volto.

«Stai tranquillo, d'accordo? Non sarà nulla di grave» gli disse, con un dolce sorriso in volto.

Mario respirò profondamente e annuì, grato di avere Claudio a dirgli quelle parole confortanti. Quindi si sporse a sua volta verso di lui per lasciargli un piccolo bacio a stampo sulle labbra. Avrebbe voluto approfondire quel bacio, ma si trovavano in un luogo pubblico e non era il caso di dare spettacolo.

«Stasera devo lavorare» disse il moro, quando Claudio tornò da lui dopo aver servito un cliente.

«Ma stai ancora male, non puoi!» ribatté, serio.

«Sto meglio di ieri, Cla. E non posso chiedere di nuovo a qualche mio collega di sostituirmi. Non vorrei essere licenziato» sorrise al ricordo dell'ultimo episodio avuto con Sergio, il suo capo. Fortunatamente l'uomo non si era alterato per il suo comportamento possessivo e arrogante avuto per difendere Claudio, il suo ragazzo.

«Ti sostituisco io, dai a me la lista di stasera. Il tuo capo non se ne accorgerà della tua assenza» Claudio era assurdamente serio, mentre gli diceva quelle parole, e Mario non poteva credere a ciò che aveva appena sentito.

Claudio l'avrebbe fatto davvero, se solo lui non si fosse opposto. «Assolutamente no!» infatti Mario disse, scuotendo la testa. «Non andrai in quel posto da solo, non se ne parla. Poi stasera non avevi la cena di famiglia, per il compleanno di tua cognata?» inarcò un sopracciglio, ricordandogli quel particolare.

Claudio roteò gli occhi, ma annuì. «Avrei potuto disdire» rispose.

«Si, come no» Mario ridacchiò perché sapeva che se l'avesse fatto, sua cognata gliel'avrebbe fatta pagare per il resto dei suoi giorni.

«Vieni in ufficio con me?» propose Claudio qualche minuto dopo, lasciando perdere quell'argomento.

Mario inarcò un sopracciglio, maliziosamente. «Cosa vuoi fare, Sona?»

Claudio rise, scuotendo la testa. Si avvicinò poi al suo orecchio per poter farsi ascoltare solo da lui. «Voglio soltanto baciarti come si deve» gli sussurrò, facendolo rabbrividire.

«Mh, proposta allettante» ci scherzò su Mario, sorridendo divertito.

«Alzati e vieni, coglione» lo derise Claudio, avviandosi subito dopo verso la porta dell'ufficio.

Mario si morse il labbro inferiore, addentandosi il sorriso divertito ed eccitato che stava per apparire sul suo volto. Si alzò dallo sgabello qualche secondo dopo e seguì il castano.

Si chiuse la porta dell'ufficio di Claudio alle spalle e rimase poggiato con la schiena contro quella, mentre l'altro era fermo a pochi metri di distanza da lui. Si guardavano negli occhi, scrutavano lo sguardo dell'altro e fu Claudio a fare il primo passo, avvicinandosi a lui.

Una volta di fronte al moro, Claudio portò una mano tra il ciuffo leggermente rialzato dei suoi capelli, accarezzandolo e tirandolo indietro. Mario socchiuse gli occhi e respirò profondamente, sollevando il volto per andare incontro a quelle carezze.

In quel modo, Mario stava sporgendo ancora di più le sue labbra verso quelle di Claudio, che non perse tempo a sfiorarle con le sue, a toccarle, a baciarle delicatamente come se fossero il fiore più pregiato del mondo.

Fece poi collidere definitivamente le sue labbra carnose con quelle fini di Mario, socchiudendo gli occhi al contatto. Il moro mugugnò leggermente, allungando le mani per stringere il collo di Claudio e baciarlo con calma, lentamente, con gli occhi chiusi.

Quando Mario schiuse le labbra, Claudio assaporò la sua lingua e risucchiò le sue labbra con dolcezza. Gli fece inclinare la testa così da poter approfondire il bacio, spingendosi maggiormente col corpo verso il suo.

Claudio sorrise leggermente sulle labbra di Mario quando lo avvertì sospirare rumorosamente, mugugnando di piacere. Il moro spostò le mani sui suoi fianchi, stringendo il tessuto della maglietta per spingerselo ancora di più contro.

Si staccarono qualche secondo dopo, a corto di fiato, e ancora con gli occhi chiusi Claudio poggiò la fronte contro quella di Mario, respirando il suo respiro.

«Andiamo a casa?» chiese Claudio in un sussurro, col respiro corto.

Mario sorrise, sollevando il volto per strofinare il naso contro il suo dall'alto in basso. Claudio si leccò le labbra e Mario, che aveva aperto gli occhi, aveva osservato quel gesto e non potendone fare a meno, addentò il labbro inferiore del castano, tirandolo leggermente verso di sé, senza fargli male. Lo lasciò poi andare per leccarlo con la punta della lingua, ma senza malizia.

«Si, andiamo a casa» rispose, prima di prenderlo per mano e uscire da quella stanza.







Quei due giorni passarono piuttosto in fretta, sfortunatamente per Mario che si ritrovò di nuovo in quella sala d'attesa meno del previsto. Stava muovendo nervosamente la gamba destra su e giù, mangiucchiandosi le pellicine delle dita, aspettando di essere chiamato, seduto su una delle poche sedie.

Successe qualche minuto dopo: la solita segreteria lo chiamò e Mario entrò a passo lento nella stanza. Luca sollevò lo sguardo su di lui, sentendolo arrivare, e gli sorrise. Mario capì che quello fosse un sorriso falso e soprattutto nervoso, agitato, quindi deglutì avvertendo quello strano presentimento farsi sempre più prepotente e reale.

«Come va?» gli chiese cordialmente Luca.

Mario sospirò, spostandosi il ciuffo di capelli dalla fronte e scuotendo la testa. «Dimmi i risultati, ti prego» lo supplicò, col cuore in gola. Luca annuì, abbassando per un momento lo sguardo sulla scrivania, prima di tornare a guardarlo per riferirgli i risultati che il moro tanto temeva.

Mario socchiuse leggermente la bocca, pietrificandosi nel sentire quelle parole. Il suo cuore smise di battere, la sua mente smise di formulare pensieri, la sua bocca smise di formulare parole.

Il mondo gli crollò letteralmente addosso, e sapeva che Luca stava continuando a parlargli, stava continuando a dirgli cose che però lui non ascoltava. Quelle parole non arrivavano alle sue orecchie, riusciva a vedere solamente la bocca dell'uomo muoversi ma non riusciva ad assimilarle, le sue parole. Non riusciva a dargli un senso, a trovare un filo logico.

Mario voleva solamente scappare da quel posto orrendo, da quella notizia orrenda. Voleva solamente allontanarsi da tutto, rimanere da solo e sperare che tutto quello fosse il peggiore dei suoi incubi.

Così lo fece.

Mario si alzò dalla sedia e corse via, fuori da quell'edificio, lontano da ciò che più lo stava sconvolgendo e, soprattutto, spaventando.

Mario aveva paura, e quando quel pensiero si faceva sempre più spazio nella sua mente, il respiro iniziò a mancargli mentre guidava il più lontano possibile da lì. Dovette accostare in una stradina abbastanza isolata perché la vista iniziò ad appannarglisi e delle lacrime iniziarono a bagnargli le guance.

Pianse, con gli occhi e la bocca spalancati.

Pianse, col cuore che gli doleva.

Pianse, con la certezza che niente sarebbe stato più lo stesso.

Pianse, per la paura di morire.

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