L'attesa

By judith29114

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Terzo romanzo della serie -Il paradigma dell'amore- Sono passati quattro anni, Giuditta è una special... More

Nota dell'autrice
Copyright©
2012
2013
2014
2015
LIBRO PRIMO
DIETRO OGNI TRAGUARDO C'È UNA NUOVA PARTENZA
CHIUSI LA PORTA E CONSEGNAI LA CHIAVE A TE
DEFLAGRAZIONE parte prima
DEFLAGRAZIONE parte seconda
DOLCETTO O SCHERZETTO? parte prima
DOLCETTO O SCHERZETTO? parte seconda
IL NOSTRO PICCOLO FIORE
MISTERO
UN'ESTATE INDIMENTICABILE
THE MAN WHO CAN'T BE MOVED
FORTUNA O SFORTUNA?
SE UN GIORNO TU TORNASSI DA ME parte prima
SE UN GIORNO TU TORNASSI DA ME parte seconda
I SOGNI SON DESIDERI
REGALO DI NATALE
FASI
SCELTE parte prima
SCELTE parte seconda
CONFIDENZE
CONFIDENZE parte seconda
UN'IRRAGIONEVOLE CONVERSAZIONE parte prima
UN'IRRAGIONEVOLE CONVERSAZIONE parte seconda
BRUTTE NOTIZIE
UN'ULTIMA VOLTA
MILLETRECENTOCINQUE CHILOMETRI
LE RICERCATRICI-CHEERLEADER
PER OGNI FINE C'È UN NUOVO INIZIO (parte prima)
PER OGNI FINE C'È UN NUOVO INIZIO(parte seconda)
DEBOLEZZE (parte prima)
DEBOLEZZE (parte seconda)
VICOLO DEI LAVANDAI
LA FIDUCIA SI GUADAGNA GOCCIA A GOCCIA, MA SI PERDE A LITRI (parte prima)
LA FIDUCIA SI GUADAGNA GOCCIA A GOCCIA, MA SI PERDE A LITRI (parte seconda)
UN FARDELLO TROPPO GRANDE (parte prima)
UN FARDELLO TROPPO GRANDE (parte seconda)
CI SI PARLA. MA NON NEL LINGUAGGIO DELLE PAROLE. NEL SILENZIO
Anticipazioni
IL SENSO GRAVITAZIONALE CHE NON C'È (parte prima)
IL SENSO GRAVITAZIONALE CHE NON C'È (parte seconda)
IL SENSO GRAVITAZIONALE CHE NON C'È (parte terza)
CHI È SENZA PECCATO SCAGLI LA PRIMA PIETRA (parte prima)
CHI È SENZA PECCATO SCAGLI LA PRIMA PIETRA (parte seconda)
CHI È SENZA PECCATO SCAGLI LA PRIMA PIETRA (parte terza)
LIBRO SECONDO
SE
L'ATTESA
IO NON CREDO NEI MIRACOLI
QUANDO APPOGGI LA TUA TESTA SULLA MIA SPALLA
SIAMO UNA SOLA ANIMA TU ED IO
SE IO POTRÒ IMPEDIRE A UN CUORE DI SPEZZARSI
QUANDO APPOGGI LA TESTA SULLA MIA SPALLA
ROULETTE RUSSA
CORAGGIO
LA DOTTORESSA DEL NORD
AMICI
SE QUEL LONTANO GIORNO DI MAGGIO...
IL BUON SAMARITANO
L'AMORE PERDUTO
L'INELUTTABILITÀ DEL DESTINO
NON HO SMESSO DI PENSARTI, VORREI TANTO DIRTELO
Comunicazione
LIBRO TERZO
UN DESTINO ILLOGICO E PERVERSO
UN DESTINO ILLOGICO E PERVERSO (SECONDA PARTE)
L'OCCASIONE RENDE L'UOMO LADRO
IL MIO CUORE NELLA TUA MANO
CI SONO COSE CHE NON SAI
SENZA FILTRI
TUTTI I GIORNI TI AMO E TI ODIO IRRIMEDIABILMENTE
PICCOLO, FREDDO CUORE
VOLGIMI E STRAVOLGIMI
NON È MAI TARDI PER L'AMORE
A CIÒ CHE SIAMO ORA E ALL'AMORE CHE ERA ALLORA
IL DOLORE RENDE EGOISTI
CI VUOLE CORAGGIO PER ESSERE FELICI
PROVOCAZIONI
A CHE GIOCO VUOI GIOCARE?
CILIEGIA AL MARASCHINO
LISTEN TO YOUR HEART
FRAGOLA E LIMONE
Epilogo
Ringraziamenti
Quando i sogni si realizzano
CONTEST WATTPAD
Pronti, Partenza Viaaaaaa!
Annuncio

PER LA PRIMA VOLTA, DOPO UN'INFINITA ATTESA

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By judith29114

FLAVIO

Per l'intero pomeriggio resto fossilizzato sulla panchina a osservare l'andirivieni di persone, pensando al modo migliore per irrompere nella vita di Giuditta.


Controllo milioni di volte l'orologio nella speranza di affrettare lo scorrere del tempo, le lancette sul quadrante sembrano essersi incagliate e la percezione di un solo minuto diventa insopportabile. Sono le diciannove e trenta quando Giuditta esce fuori sotto la luce del flebile sole.


Il cuore mi esplode nel petto, letteralmente.


Devo solo alzarmi e muovere qualche passo verso di lei, poi, sono certo, troverò le parole giuste per interagire. Le gambe, però, sono paralizzate. C'è qualche strano impulso dentro che mi impone di aspettare, che mi trattiene dal rincorrerla, afferrarla per un braccio e dirle: «Sono qui, Giù. Non mi è mai passata, Giù. Credo di amarti ancora, Giù».


E Giuditta mi passa davanti, cammina veloce. Non mi vede. La sua figura a mano a mano rimpicciolisce per poi scomparire dietro un albero.


«Maledizione!» Tiro un calcio alla panchina, e corro nella sua direzione per intercettarla con lo sguardo oltre gli smilzi rami della florida vegetazione nelle aiuole, oltre i pali della luce e le persone che camminando si frappongono tra me e lei.


Eccola, la vedo. È dall'altra parte della strada che entra nella sua macchina. La macchina di sempre. Quella dei giorni felici, del traffico in centro a Milano e dei parcheggi in divieto di sosta. La mia moto è quattro automobili dietro la sua Cinquecento.


Un rapido salto sulla sella, il casco sembra scivolarmi dalle mani tanto sono agitato e mentre allaccio il cinturino sotto il mento, lei parte.


Il rombo della moto è un grido che rompe il silenzio sulla strada poco trafficata; la seguo con l'accortezza di mantenere un profilo basso.


Costeggiamo per diversi chilometri le spiagge del lungomare, poi la Cinquecento inserisce la freccia a destra e parcheggia poco dopo. Giuditta scende dalla macchina e recupera la sua borsa e delle cartelline, si ferma dinanzi a un cancello, infila la chiave, apre e scompare dalla mia vista.


Ho l'impressione di aver fatto una maratona, di essermi iniettato in vena una quantità spropositata di adrenalina. E così, con le mani sudate e l'ansia che rende ancora più confuse le mie prossime mosse, scendo dalla moto e cammino verso il villino che affaccia sul mare.


Quando raggiungo l'entrata non riesco a premere il pulsante del campanello, le dita sono paralizzate dalla paura. Io, davvero, non so cosa fare, come comportarmi, da dove iniziare.


Passo diverso tempo seduto sullo scalino di un bar lì di fronte, più volte mi affaccio oltre il cancello, arrampicandomi sul muretto basso che lo circonda e allungando il collo oltre la siepe. Proprio mentre sono intento a cercare una fessura in grado di offrirmi una buona visione, un uomo passa di qui e resta a fissarmi insistentemente; io mi ritrovo a reprimere l'insano istinto di tirargli un pugno sul naso.


Idiota, sono qui perché credo di amare ancora la donna che vive in questa casa e la spio perché sto cercando il modo migliore per evitare che le prenda un colpo quando mi vedrà.


Che poi, un colpo le prenderà comunque, anche tirando fuori le idee migliori che ho a disposizione, e che al momento sono pari a zero.


Qual è il modo più opportuno per rientrare nella sua vita?


Farlo in punta di piedi, in maniera morbida, cercando di minimizzare i possibili effetti collaterali.


Suonare il campanello di casa sua rientra nella categoria dei metodi morbidi?


Francamente credo di no.


Io non sono un pacco regalo spedito da Amazon.


Potrebbe sbattermi il cancello in faccia.


Potrebbe mandarmi a quel paese.


Potrebbe picchiarmi – e io glielo lascerei fare se servisse a qualcosa −.


Il rumore di una zanzariera che si apre mi fa sussultare, cautamente mi avvicino alla siepe accanto al cancello. È lei che, accovacciata a terra, sta accendendo uno zampirone. Subito dopo si siede sul dondolo e accende una sigaretta.


Accidenti, ci ho impiegato una vita a costringerla a smettere di intossicarsi con quella robaccia, e ci è ricaduta un'altra volta. Espira una nuvola di fumo e alza la testa al cielo, verso quelle stelle che ha sempre venerato come fossero entità dotate di un fascino irresistibile.


E a guardarla ora, così, sembra quasi la stessa Giuditta di sempre in tutto tranne che in un particolare: gli occhi. Nonostante la distanza e la poca luce intorno, io li vedo i suoi occhi e no, non sono gli occhi che ricordo. Quelle iridi chiare miste tra il verde e l'azzurro lasciano intuire un silenzioso cambiamento.


È malinconia. Forse sofferenza. Magari tormento.


O probabilmente nulla di tutto ciò.


Mi viene da pensare che potrei essere io a vedere cose che non esistono, perché quelle cose mi aiutano a pensare che lei ha ancora bisogno di me, che non ho attraversato l'intera Italia per scoprire che ha una nuova vita, più appagante della vecchia. Che io sono tramontato definitivamente.


Sopraggiunge un senso di colpa. Lo sento proprio qui, sulla bocca dello stomaco e capisco di aver lasciato passare tanto tempo, forse troppo per arrogarmi qualsiasi tipo di pretesa nei confronti di Giuditta. Ma io no, non sto pretendendo nulla. Io vorrei solo una possibilità.


Giù porta una mano al ventre, strizza la stoffa che lo ricopre e sospira girando con lo sguardo tutt'intorno.


Cos'è successo, Giù?


Poco dopo rientra in casa e io resto fossilizzato davanti al cancello finché non la sento nuovamente uscire fuori, allora mi nascondo dietro l'angolo della strada e la spio ancora finché non spunta sulla via.


Cammina la mia Giù, cammina leggera come una foglia trasportata dal vento.


La seguo, restando sempre un po' distante, quel tanto che basta a rendermi invisibile. Porta una gonna lunga dalla stoffa leggera e una canotta che le lascia scoperta la schiena per un bel pezzo. Il giubbino di jeans è legato in vita. È dimagrita, e non poco. Lo noto dalle spalle smunte, dalle scapole sporgenti e dalla scanalatura evidente al centro della schiena.


Ci addentriamo per i vicoli del paese e a ogni passo la fatica di starle dietro aumenta, non per la stanchezza fisica, ma per quella emotiva. Vederla mi sta strizzando il cervello, obbligando la memoria a tirare fuori, a uno a uno, tutti i ricordi che ci legano.


Temo che questa strada possa portarci da un uomo. Dal suo uomo.


Non potrei sopportarlo.


Una piazzetta si apre svoltato l'angolo, lo spiazzo è gremito di gente e illuminato da luci aranciate che sbattono addosso al Duomo in lontananza. I riverberi ambrati si riflettono tra le alte palme sparse intorno ai gazebo.


Giuditta raggiunge un tavolo pieno di persone.


E ora? Ora qual è la prossima mossa da fare?


Perdo la percezione del tempo e la riacquisto non appena mi soffermo sull'uomo che le si avvicina. Un bacio, qualche frase sussurrata e lei che ride flettendo indietro la testa.


Un sentore di gelosia mi investe. A essere sincero non è solo un sentore, è qualcosa di più che ho paura ad ammettere. Sono possessivo io, anche se non lo do a vedere. Quando avverto l'odore della minaccia, do in escandescenza. Peccato che un anno fa non mi accorsi di nulla. Il mio istinto si era anestetizzato, è così che succede quando ci si concentra troppo su altro. E quel tipo, quello con cui lei ha consumato qualcosa, e del quale non conosco l'identità, dovrebbe essere grato alla divina provvidenza se è ancora in grado di camminare con le proprie gambe.


Un anno fa ero troppo impegnato a preoccuparmi di me stesso e della mia carriera. Le mie attenzioni dirottavano soltanto sul dottorato di ricerca. E così che persi la percezione delle cose importanti della vita. Un anno fa smerciai l'amore con il successo senza rendermi conto che poi, alla fine, c'è sempre un prezzo da pagare. Quando Giuditta mi confessò il fattaccio, non mi soffermai ad ascoltare le sue ragioni. Perché, checché se ne dica, non esistevano – e non esistono – ragioni volte a giustificare un tradimento.


E allora, che ci faccio io qui se poi quelle ragioni non esistevano un anno fa e neppure oggi?


La risposta è semplice. Non lo so. Ho capito solamente che l'amore non si può ridurre a un calcolo matematico o a una mera speculazione scientifica.


Decido di muovermi. Decido che non posso restarmene all'ombra a guardarla mentre qualcuno la tocca, ne annusa il profumo, se la tiene vicino. Si è liberato un tavolo non troppo lontano da quello in cui si trova lei. Senza indugio lo raggiungo e prendo posto. Riesco a mantenermi invisibile abbastanza a lungo da captare una certa complicità tra lei e il biondino e, improvvisamente, Giuditta non mi sembra neppure più così malinconica come prima, fuori nel suo giardino.


Ordino un drink e lo mando giù per intontirmi ben bene, poi, mentre il tipo accanto a lei si alza dalla sedia, succede qualcosa di estremamente breve ma incredibilmente intenso. Gli occhi di Giù e i miei si incontrano, per la prima volta, dopo tanta, infinita attesa.



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