La storia prima della storia

By soyso_

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Daniel è un ragazzo di quindici anni e vive in una splendida famiglia. In un contesto familiare sereno, gioio... More

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By soyso_

Daniel

Entrai nell'edificio che avevo di fronte. All'interno; una marea di gente camminava in tutte le direzioni, in fretta, come se ognuno fosse in ritardo per una riunione importante. C'era un banco informazioni alla mia destra, dietro al quale sedeva una ragazza giovane; non avrà avuto trent'anni. Mi avvicinai istintivamente a lei, con l'intento di chiederle dove potessi trovare la palestra.

Davanti a me, tre persone in coda attendevano il loro turno per poter parlare alla signorina che, capelli castani legati in una coda alta, dava l'idea di una persona affidabile e puntuale.

Buttai un occhio al quadrante dell'orologio. Ero già in ritardo di due minuti. Sbuffai, puntando nervosamente il piede sul pavimento, lucidissimo.

Quando fu il mio turno chiesi frettolosamente dove si trovasse la palestra in cui sarebbe avvenuto l'incontro per le lezioni di danza.
Lei mi guardò in cagnesco, sbarrando gli occhi. Sembrò quasi cercare la risposta alla domanda alle sue spalle, ove si voltò in cerca di suggerimenti. Ma la collega più vicina era troppo in fondo per poterla assistere.
"Mi dispiace, qui non ci sono palestre" disse, con un lieve imbarazzo. Poi sorrise, dispiaciuta.
"Come?"chiesi stupito dalla sua dichiarazione.
"Sì, qui ci sono solo uffici". Ero basito. Non sapevo cosa dire. Oltre al danno, anche la beffa. Non solo non mi trovavo nel posto giusto ed ero in ritardo. In più tutto ciò mi era costato una figuraccia madornale.

"A me avevano detto che in questo posto c'era una palestra. Mi ha accompagnato un ragazzo, dicendo che...".
"No, si sarà sbagliato. Non so cosa dirti". Mi sorrise nuovamente. Anche lei, ovviamente, non sapeva che cosa consigliarmi.
"Ma... qua nei dintorni c'è una palestra, che lei sappia? Io non sono della zona".
"Mh..." riflettè un attimo.
"Effettivamente sì. Rispetto alla fermata del pullman, devi camminare sul marciapiede opposto a essa per mezzo chilometro circa".
"Quindi..." riflettei un attimo ad alta voce.
"Adesso dovrei tornare di fronte alla fermata e proseguire ancora dritto?" domandai confuso, unendo parole che probabilmente assieme non avevano alcun significato.
"Mmh.. esatto" confermò lei.
"Cioè è praticamente dalla parte opposta a dove sono io adesso?".
"Eh sì" risposs. Mi morsi il labbro.
"Okay. Grazie mille". Uscii di passo svelto dall'edificio, udendo una sua risposta in lontananza. Poteva solo essere un "prego", niente di più.
Mi diressi correndo verso la fermata del pullman dal quale ero sceso poco tempo prima.
Una volta lì, proseguii dritto davanti a me, mantendendomi sul marciapiede opposto, come mi aveva consigliato la ragazza.
In lontananza vidi un palazzo con un'insegna corrispondente alla società di danza a cui mi ero iscritto.
"Meno male" pensai. Alla fine ero riuscito a trovarla, non proprio da solo, ma con un piccolo aiuto. Questa volta sincero.

Non mi posi nell' immediato il problema della menzogna che mi era stata raccontata poco prima, ma dopo la riunione fu l'unico mio pensiero per tutto il pomeriggio e anche per parte della serata, per un motivo specifico.

Entrai nella palestra alle undici e undici, con il fiatone e i capelli scompligliati. Aprii la porta bruscamente trovando, di fronte a me, una cinquantina di ragazzi che si girarono a guardarmi, occhi seri, quasi scocciati per aver interrotto il silenzio assoluto che vigeva nella palestra. Una ragazza castana, vestita in tuta, parlava al pubblico stando in piedi, davanti a tutti quei ragazzi che invece siedevano comodamente su sedie in plastica nera.

"Ciao", mi salutó, rivolgendomi un sorriso.
"Buongiorno" dissi, timidamente.
"Tu sei?".
"Daniel".
"Benvenuto". I ragazzi non smettevano di fissarmi.
"Grazie. Scusi il ritardo. Ho avuto un imprevisto". Sentii un ragazzo ridere.
Cercai con lo sguardo la provenienza di quel fastidioso rumore chiaramente sarcastico. Proveniva dalle labbra di un ragazzo castano, seduto in seconda fila.
"Siediti pure" mi invitò quella che, quasi certamente, doveva essere l'insegnante. Il discorso venne ripreso, spostando la mia concentrazione sulla conferenza e obbligandomi a sorvolare sull'episodio appena verificatosi.

Mi misi alla ricerca di un posto libero, ma purtroppo non ne trovai. Mi sentii un po' in imbarazzo, in piedi di fronte a una massa di gente seduta. Lei, notando il mio disagio, me ne indicó uno con lo sguardo, che andò a puntare la sedia accanto al ragazzo che aveva avuto chissà cosa su cui ridacchiare.

Raggiunsi la postazione, posando il mio borsone per terra. Notai con piacere che non ero stato l'unico a portarlo: assieme a me c'erano altre tre persone. Ben poche, ma sufficienti per non farmi sentire un completo imbecille. Guardai di sfuggita il ragazzo seduto alla mia destra. Stava masticando una gomma.
"Alla fine ce l'hai fatta, eh?" sentii pronunciare a basso tono dalla sua voce.
"Mh?". Lo guardai in volto. Lo riconobbi. Era il ragazzo 'dello skateboard'.
"Sì, hai visto? Sono riuscito ad arrivare nonostante un cretino mi avesse dato un'indicazione errata e quindi non sapesse nemmeno lui dove doveva andare" mi lasciai scappare di bocca. Non era da me andarci pesante con le frecciatine, ma in quell'occasione non ci avevo proprio visto più. Odiai la sua sfacciataggine e fu impossibile per me rimanere in silenzio.

"Attento con le parole". A quella provocazione non risposi. Avevo già dato, non volevo proseguire con quelle stupide battutine inutili. In fondo, la migliore risposta era da sempre stata l'indifferenza. Quella sì che uccideva.

La lezione proseguì tranquillamente, presi qualche appunto mentalmente, perché non avevo portato con me un taccuino su cui annotare in cartaceo ciò che Annabella, questo il nome dell'insegnante, ci disse di ricordare.

"Le lezioni si svolgeranno due volte a settimana, ciascuna sará di un'ora e mezza, il sabato e il lunedì. Dovrete portare il cambio, ovviamente delle scarpe da ginnastica e una borraccia per l'acqua. Per oggi non farete niente, ma la prossima volta vorrei che portaste già il materiale". Già mi piaceva. Sembrava interessante e il modo in cui ci espose il programma, poco più tardi, mi aveva intrigato. Annabella mi parve molto professionale.

"Ah, un'altra cosa importante: non sarete tutti con me. Dato che siete così numerosi, verrete divisi in tre gruppi. Uno avrà lezione con me, quelli del primo anno, mentre quelli del secondo e terzo anno andranno con due miei colleghi, che vi presenterò a fine lezione. Spero di riuscire a coinvolgervi e se dovesse esserci qualche dubbio, non esitate a contattarmi. Vi lascio la mia mail".

Il ragazzo accanto a me si lasciò scappare un fischio provocante.
"Fabio, eddai! Smettila" prese parola un ragazzo alle mie spalle. Mi voltai a guardare chi fosse.
"Lo sanno tutti che...".
Fabio si alzò in piedi.
"Che? Dai, avanti, parla" disse a colui che aveva osato provocarlo.
"Parla se hai coraggio".
"Certo che ho coraggio. Cosa cazzo fischi a fare, che lo prendi in culo!".
"Ragazzi, cosa vi prende?" cercò di placare le acque Annabella.
"Discutete delle vostre questioni fuori dalla mia palestra, okay? E sia chiaro che alla prima volgarità e o insulto che sento pronunciare dalle vostre bocche verrete cacciati fuori. Chiaro?". Fabio si sedette. Se avesse potuto avrebbe sputato fuoco dalle narici. Era iracondo, gli occhi incattiviti; faceva realmente impressione. Le sue pupille si colmarono d'odio e la fronte venne aggrottata.

"Ti aspetto fuori" sentii pronunciare a bassa voce dalla sua voce, mentre con gli occhi osservava il suo arcinemico il quale, senza farsi troppi problemi, serrò gli occhi a fessura, in segno di sfida. Poi annuì.
"Cominciamo bene" pensai.
Speravo tanto di non essere nello stesso gruppo di quei due. Mi avrebbero esasperato, ne ero più che certo. Ma anche fossimo capitati insieme, non sarebbero stati di certo loro ad impedirmi di iniziare al meglio quella nuova avventura.

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