Celeste - Lasciati trovare [S...

By Ritaska99

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[SEGUITO DI "CELESTE - LA MIGLIOR COSA CHE NON HO MAI AVUTO". È CONSIGLIABILE LEGGERE QUELLA, PRIMA DI QUESTA... More

Prologo
0.1 Celeste
0.2 Peter
0.3 Celeste
0.4 Peter
0.5 Celeste
0.6 Peter
0.7 Celeste
0.8 Peter
0.9 Celeste
1.0 Peter
1. Ruin
2. The Scientist
3. The One That Got Away
4. Always hate me
5. Drunk
6. When We Were Young
7. Friends
9. Places Where We Are

8. What Happened To Perfect

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By Ritaska99

"Remember when I used to make,
You laugh and every joke was better
Than the last.
Tell me how to bring
You back to this".

Ecco, l'ho detto. Bel guaio. Mi complimento con me stessa per il tempismo e il tatto. Peter si irrigidisce di scatto e risucchia un respiro. Sgrana gli occhi e, affannato, smette di depositarmi baci languidi sul collo e porta il viso all'altezza del mio. Mi fissa con un'espressione indecifrabile, e non dice niente. È come se fosse pietrificato. Il calore che mi si è propagato in corpo da quando abbiamo iniziato a sfilarci i vestiti defluisce per gradi, finché non comincio a sentire freddo e a tremare. Lui si discosta da me e mi passa gli indumenti, che raccatta da terra, prima di prendere anche i suoi e andare sul sedile del guidatore, mentre li indossa e si dà una sistemata. Scombussolata, mi infilo gli slip e la camicetta e cerco i jeans. La pioggia all'esterno è meno violenta di prima e, come da manuale, funge nuovamente da unico sottofondo sonoro, al momento. Solo una volta completamente rivestita comprendo che non è per il freddo, che ho la tremarella. Ho anche un fastidioso nodo alla gola e uno che mi attorciglia lo stomaco, divorato dall'ansia. Perché ha reagito così? Capisco la sorpresa, lo stupore iniziali... Ma sono passati più di due minuti. Apre il suo finestrino di uno spiraglio e fa lo stesso con quello del passeggero.

"Sarà meglio che ti riaccompagni in albergo" decreta poi, lasciandomi a bocca aperta, incapace di fare qualsiasi cosa.

Scelgo di rimanere qui dietro. Mi allaccio la cintura di sicurezza mentre lui leva il freno a mano e mette in moto, e sono sommersa da talmente tante emozioni contrastanti, adesso, che non so neanche come prendere questa sua reazione. Mi schiarisco la gola e sbuffo, passando poi il palmo di una mano sul vetro freddo del finestrino appannato, e inizio a guardare il paesaggio notturno che muta forma a ogni metro che il veicolo percorre. Il mio cellulare emette un fastidioso ronzio da dentro la borsetta che ho lasciato sul sedile del passeggero. Peter solleva lo sguardo e mi lancia un'occhiata tramite lo specchietto retrovisore, per poi allungare la mano destra verso la borsa, afferrarla e passarmela in religioso silenzio. Gliela strappo di mano senza troppe cerimonie, guadagnandomi una sua espressione dubbiosa, e la apro, alla ricerca del telefono tra le tante cianfrusaglie. La lucina gialla lampeggiante mi segnala l'arrivo di un messaggio. È da parte di Colin, che si è ricordato della mia esistenza dopo più di due ore da quando gli ho inviato il primo messaggio.

"Divertiti, tigre ;-)".

Sorrido e trattengo un risolino nervoso. Gli occhi di Peter saettano immediatamente ancora una volta verso lo specchietto.

"Che c'è?" gli chiedo, in tono seccato, rimettendo intanto il telefonino al proprio posto, dopo aver letto l'SMS.

"Uh, ora siamo addirittura diventate acide. Eppure, di solito, del buon sesso dovrebbe sortire l'effetto contrario..." pondera, celando a stento un irritante sorrisino.

"È un peccato che io non ricordi l'ultima volta che ho fatto del buon sesso, allora" ribatto, con un sorriso trionfante.

Spalanca occhi e bocca, fingendosi scandalizzato, e si porta una mano al cuore.

"Così mi ferisci!" esclama, recitando la parte dell'offeso.

Gli rivolgo un altro piccolo sorriso e abbasso lo sguardo sulle mani che ho congiunto in grembo. Evito di fargli presente che il suo non è l'unico orgoglio a essere rimasto leso da questa conversazione. Gli ho detto di amarlo, e non solo mi ha ignorata alla grande, ma si è proprio allontanato fisicamente e mentalmente da me. Come se avesse preso una scarica elettrica o si fosse scottato, e si è poi chiuso in se stesso, come faceva sempre anche in passato durante una circostanza che non sapeva gestire. Ma come mi è venuto in mente di confidargli una cosa del genere? Non è che gli ho detto di aver comprato un nuovo paio di scarpe o di essermi dedicata al giardinaggio. Il punto è che non è stato qualcosa di prestabilito, o voluto. Nel senso che, sì, volevo dirglielo - morivo dalla voglia di dirglielo -, ma non così. È un discorso delicato, e io gliel'ho presentato con la delicatezza di una doccia fredda. È comprensibile che si sia comportato in questo modo. Anche io sarei alquanto destabilizzata, al suo posto. Il bello è che io sono destabilizzata, pur non essendo nei suoi panni. Perché confessare al ragazzo che si ama che si prova un sentimento così forte nei suoi confronti, dopo non si sa quanti anni in cui lo si è tenuto solo per sé, terrorizza. E io sono terrorizzata. Sono terrorizzata perché è la prima volta, in venticinque anni di vita, che ho confessato una cosa simile a qualcuno con cognizione di causa. Sono terrorizzata perché è la prima volta che ho confessato a Peter di amarlo. Mi sento più esposta e vulnerabile ora, che non prima, quando ero completamente nuda e predisposta a ogni sua volontà o desiderio. E sono terrorizzata perché la mia frase non è stata: "Peter, ero innamorata di te", ma "Ti amo, Peter". Della serie che fraintendere sarebbe stato impossibile. E se non mi avesse sentita? No, altrimenti non avrebbe fatto così. Devo guardare in faccia la realtà, una volta tanto: è rimasto talmente sconvolto, da non sapere cosa fare. Il che non so fino a che punto possa essere un bene. Ha fatto l'amore con me, o è stato solo sesso? Mero bisogno fisico, o l'ha percepita anche lui, una certa affinità? Quella complicità, quel trasporto, quella passione, li ho avvertiti soltanto io? Sussulto quando accende inaspettatamente la radio, strappandomi ai miei pensieri piuttosto confusionari. Colin mi ripete spesso: "La tua peggior nemica sei tu". E ha ragione. So che ha ragione. Probabilmente ci sto rimanendo più male per le congetture che mi sto creando, che non per la sua effettiva reazione. Ora mi piacerebbe credere che l'accensione dell'apparecchio sia dovuta al fatto che anche lui vuole mettere a tacere le voci nella sua testa, e che quindi stia riflettendo pure lui sull'accaduto. Ma sembra ancora una volta che il caso ce l'abbia con me, viste le parole della canzone che stanno or ora trasmettendo alla stazione su cui è settato l'aggeggio.

The time is right,
Your perfume fills my head,
The stars get red,
And oh the night's so blue,
And then I go and spoil it all
By saying something stupid
Like I love you.
I love you...

Peter cambia brutalmente canale, quasi accanendosi contro l'arnese, e tutto ciò avrebbe anche un che di comico e divertente, se l'occasione non fosse così critica.

I'll be waking up in the morning,
Probably hating myself.
And I'll be waking up,
Feeling satisfied but guilty as hell.

Yeah, but baby there you go again,
There you go again, making me love you.

"E che cazzo!" commenta finemente, prima di bocciare anche questa stazione e provare con la successiva.

Mi mordo il labbro inferiore per non scoppiare a ridere per l'assurdità della situazione.

'Cause your sex takes me to paradise.
Yeah, your sex takes me to paradise.
And it shows, yeah, yeah, yeah.

"Perfetto, faremo a meno della musica - decreta, spegnendo definitivamente la radio e incominciando a litigare con il comando vocale dell'automobile - Conosci l'indirizzo dell'hotel?" mi domanda poi, guardandomi di sfuggita dal riflesso sullo specchietto.

"Per favore, ripetere, e scandire bene la destinazione" si intromette la voce della donna del navigatore satellitare, che deve aver capito che Peter ce l'ha con lei.

"Oh, ma che palle, stasera! Non ce l'ho con te!" si accanisce contro la voce registrata e comincia a premere una serie di pulsanti - sia quelli sul volante che quelli sul touch screen della mappa elettronica - nella speranza di zittirla.

Nella foga, riattiva involontariamente la musica, e, mentre il navigatore ripete incessantemente "Ricalcolo del percorso", e la radio sembra impazzita, si ferma bruscamente, tira il freno a mano, gira e rimuove le chiavi dal quadro, si slaccia la cintura di sicurezza, apre il proprio sportello ed esce dall'auto, con la pioggia che continua ancora a cadere copiosamente fuori. Non so che intenzioni abbia, ma di sicuro non posso starmene qui con le mani in mano. Prendo un respiro lungo e profondo, mi slaccio la cintura e lo raggiungo. Fa un dannato freddo e sta piovendo abbastanza forte. Ma lui non sembra curarsene, mentre procede a grandi falcate avanti e indietro, ripercorrendo sempre lo stesso tratto di strada. Se fossimo in un cartone animato o in un fumetto, di certo ci sarebbe del fumo che gli fuoriesce dalle orecchie. Percepisco i capelli appesantirsi a causa dell'acqua, e i panni attaccarmisi addosso. Decido, per cui, di pararmi davanti alla furia e di arrestare la sua corsa. Gli circondo il viso con entrambe le mani e lo costringo silenziosamente a guardarmi negli occhi.

"Peter, ti supplico: una volta tanto, non chiuderti in te stesso. Puoi parlarmi di qualsiasi cosa, lo sai" provo a tranquillizzarlo, carezzandogli le guance e fissandolo intensamente.

"Per averlo fatto, sei anni fa, te ne sei andata comunque" attesta, corrucciato, con entrambe le braccia che gli ricadono ai lati dei fianchi, senza muovere nemmeno un muscolo verso di me.

"Non me ne sono andata, Peter! Non me ne sarei mai andata, se mi avessi chiesto di restare!" mi altero, punta sul vivo, distanziandomi da lui e gesticolando per sostenere la mia tesi.

"Ma è proprio questo il problema! Avrei vissuto per sempre con il rimpianto di averti tarpato le ali! E in fondo al tuo cuore - seppure non lo avresti mai ammesso - avresti provato risentimento nei miei confronti per averti impedito di seguire i tuoi sogni!" contesta, alzando la voce a sua volta e allargando le braccia mentre parla.

"Ma tu non mi hai neanche lasciato spiegare! Non mi hai dato la possibilità di discuterne con te come due persone normali avrebbero dovuto fare! Sei partito in quarta, mi hai fatto quella scenata, e mi hai evitata come la peste per tutti i giorni successivi! Il messaggio era piuttosto chiaro, tu che dici?" inquisisco, retoricamente, incrociando le braccia al petto e osservandolo con l'ovvietà dipinta in volto.

"Spiegare cosa, Celeste? Non ti avrei mai chiesto di restare, perché non volevo precluderti la possibilità di avere un futuro roseo! Non ero così egoista. Non sapevo quanto tempo saresti stata via, ma non sarei mai riuscito a sopportare una relazione a distanza, senza poterti avere tra le dita, baciarti, accarezzarti, guardarti... Sarebbe stato uno strazio!" si lamenta, sofferente, passandosi una mano tra i capelli fradici.

"Avevo diciannove anni, per la miseria! Il futuro roseo me lo sarei potuto creare anche in un secondo momento, non era quello il problema principale!" controbatto, seccata perché non vuole proprio collaborare.

"Invece sì, Celeste! Proprio a diciannove anni dovevi iniziare a gettare le basi per costruirti una vita! Ti avrei solo ostacolato, perché non lo vuoi capire?" indaga, con il tono di voce sommesso e grave.

"Peter, per l'amor di Dio, io ti amavo sopra ogni cosa, perché non lo vuoi capire? Me lo sono delineato, un futuro 'roseo', ma non ti sei chiesto perché sono di nuovo qui? Perché sentivo che mi mancava un pezzo. E quel pezzo eri tu. Sei sempre stato tu. Non ha senso prepararmi a una vita piena di soddisfazioni e successi, se non ho la possibilità di condividerli con te!" affermo, esasperata, con le lacrime agli occhi per l'irritazione e la frustrazione.

"Ma perché adesso? Perché sei anni? Perché mi stai facendo questo?" esige di sapere - disperato, oserei dire.

"Peter, io morivo di paura, al college. E tu lo sai. Ero una ragazzina. Non che ora le cose siano cambiate di tanto, ma vogliamo davvero continuare a vivere di rimpianti? Se sono qui è proprio perché io non ne ho la minima voglia" metto in chiaro, respirando a fatica a fine discussione per la veemenza che ho adottato per pronunciarla.

Mi osserva, ma non proferisce più parola alcuna. Le gocce di pioggia gli scorrono numerose sul naso, sul viso, ma non sembra importarsene. Suppongo di essere nelle sue stesse condizioni. Non voglio neanche immaginare come sarà ridotto il trucco già di per sé disastroso e pietoso che ero riuscita ad 'aggiustare' in quel bagno orrendo.

"E lo so. So che hai una fidanzata, so che quello che abbiamo fatto è deplorevole e tremendamente sbagliato. Ma io sono egoista, invece, Peter. E non mi pento di niente di tutto quello che è stato. Indipendentemente da se tu l'hai fatto solo per un bisogno fisico o per...-" preludo, ma mi blocca prima ancora che possa terminare il concetto.

"Perché, scusa, per te non era solo un bisogno fisico? Non è così che fai con tutti?" si informa, strafottente e pungente, servendomi una pugnalata gratuita in pieno petto.

"Ma lo vedi come fai? Mi rinfacci cose preistoriche per farmi sentire in colpa e scaricare tutte le responsabilità su di me! Sei anni fa mi hai rinfacciato la faccenda di Colin. Ora questo. Ma l'hai capito che una coppia non è costituita da una persona sola, e che non è umanamente possibile che sia tutta colpa mia? Così come non è concepibile il fatto che tu serbi rancore e ti tieni le cose dentro, per poi scoppiare come una bomba a orologeria e rigettare tutto su di me? Quindi, fammi un fischio quando avrai deciso di comportarti da persona matura. Guido io fino all'albergo" statuisco, non ammettendo repliche, prendendogli le chiavi dell'auto di mano e rientrando al posto del guidatore.

Nel frattempo che non si decide a tornare nell'abitacolo a sua volta, mi ritaglio un po' di tempo per fare dei respiri controllati e calibrati per ritrovare la calma e non scoppiare in lacrime proprio adesso. Mi guardo riflessa nello specchietto retrovisore per farmi almeno un'idea dello stato in cui mi ritrovo, ma preferirei non averlo fatto. Mi strofino le guance con le mani, inserisco e giro le chiavi, premo la frizione, accendo il riscaldamento e disattivo il comando vocale. Peter sale in macchina qualche minuto dopo, in silenzio, sbattendo poco garbatamente la portiera del passeggero. Allacciamo le cinture, rimuovo il freno a mano e mi immetto di nuovo sulla strada principale. I tergicristalli producono un rumore fastidioso, che non fa che aumentare la stizza mia e - a quanto pare - anche di Peter. Dallo spiraglio aperto del finestrino si insinuano delle gocce d'acqua, che mi cadono sulla camicia già di per sé grondante. Lui incomincia, intanto, a rovistare nel portaoggetti, alla ricerca di qualcosa a me ignoto. Se pure ero riuscita a ristabilire una sorta di calma interiore, il suo nervosismo non fa altro che far innervosire anche me. Recupera un pacchetto di sigarette e un accendino, ne tira fuori una e se la accende, aspirando, e rigettando poi il contenitore dove l'aveva preso. La nuvola di fumo non impiega molto a raggiungermi, provocandomi un conato di vomito e una tosse non indifferente.

"Ti dispiace?" chiedo, infastidita, tossendo ancora e facendomi aria con una mano.

"Sì" risponde, odioso e menefreghista, fornendomi un'ennesima conferma del fatto che è un bambino.

Roteo gli occhi al cielo e stringo con forza le mani intorno al volante, figurandomi che si tratti del suo collo. Perché, sì, avrei tanta voglia di strangolarlo. Spero solamente di arrivare in albergo il prima possibile, perché, paradossalmente, vorrei liberarmi di lui il prima possibile. Sono esausta. Non ne posso più di tutto questo. Mi meraviglio davvero di me stessa per la tenacia e la perseveranza, oltre che per la pazienza. In un'altra occasione avrei lasciato perdere. Ora non posso, però. Ho affrontato un viaggio che mi è sembrato interminabile; ho collezionato esperienze di cui non penso proprio che chiunque si possa "vantare"; ho provato emozioni e sensazioni più uniche che rare - molte delle quali per niente piacevoli; ho vissuto una vera e propria avventura, assieme ad alcune delle persone a cui tengo di più al mondo. A dispetto di ciò che può apparire a un occhio esterno, non è stato un viaggio di piacere, ma di scoperta. Perché ho scoperto più cose su di me in questi giorni, che in tutta la mia vita. E, a prescindere da come andrà, io Peter devo ringraziarlo comunque. Perché grazie a lui ho capito chi sono veramente. Ho capito chi ero e chi non volevo essere. Grazie a lui ho compreso i miei valori e i miei principi. Lui mi ha formata. Mi ha reso una Celeste diversa, e, assurdamente, il risultato mi piace. È grazie a Peter che sono quella che sono e che voglio essere, e non potrei mai ringraziarlo a sufficienza per questo.
Il tragitto è breve e, una volta a destinazione, fermo la vettura, arresto il motore, tiro il freno, mi slaccio la cintura e propendo verso i sediolini posteriori per agguantare quella dannata borsetta. Poso poi una mano sulla maniglia della portiera, pronta a uscire.

"Domani sera hai da fare?" si informa, voltandosi a guardarmi con un'espressione apatica, buttando fuori dal finestrino la cicca della sigaretta ormai terminata.

"È il compleanno di Colin, domani. Dipende da cos'ha in programma..." gli illustro, sospirando e sistemandomi dietro l'orecchio destro una ciocca di capelli bagnati.

"Jane ha insistito tanto per averti come nostra ospite a cena" chiarisce, scrollando le spalle.

Il cuore mi sprofonda nello stomaco a questa sua affermazione.

"Come mai non è venuta, stasera?" domando, accorgendomi solo in un secondo momento dell'infelice doppio senso insito nella mia frase, e diventando bordeaux per l'imbarazzo.

"Doveva ultimare un articolo che deve consegnare entro domani" mi istruisce, schiarendosi la gola con la mano destra chiusa a pugno davanti alle labbra.

Annuisco, e mi preparo ad affrontare la pioggia torrenziale. Mi auguro solo di potermi cambiare i vestiti zuppi prima di prendere un altro colpo di freddo, che mi farebbe poi risalire la febbre.

"Possiamo sentirci telefonicamente per accordarci, nel caso..." azzardo, fissandolo intensamente negli occhi.

Non posso credere di star davvero accettando una proposta del genere. Non ho niente contro Jane. Anzi, mi sembra tanto una cara ragazza. Il problema è che io non riuscirei mai a essere così fiduciosa, se fossi in lei. Insomma, deve essere tremendo, il ritorno della fiamma del tuo fidanzato proprio alla vigilia delle nozze. È perché ha fiducia in Peter e nel suo amore nei propri confronti? Ma perché tenerci tanto a conoscermi? Al suo posto, farei di tutto per sbarazzarmi di un'ex appena rispuntata dal nulla. E non mi vergogno ad ammetterlo, anche perché ritengo che sia una cosa più che logica. Chiunque la penserebbe come me. È lei a essere anormale. Proprio per questo mi incuriosisce e mi affascina, e questo suo modo di fare mi ha fatto venir voglia di conoscerla a mia volta. Non è un film della Marvel; lei non è la mia acerrima nemica, e io non lo sono per lei; non è un gioco a premi, una competizione; è la vita reale, siamo persone, e Peter non è una coppa o una corona d'alloro da conseguire a fine gara. Non è un ring di wrestling, non finiremo col picchiarci o afferrarci per i capelli. Non ne sento neppure la necessità. Non ci saranno né vincitori né vinti, solo qualcuno di noi tre che rimarrà maggiormente segnato da questa vicenda. Ho sempre odiato i triangoli amorosi - all'infuori del fatto che non sono mai stata una cima in matematica o in geometria: mi sapevano di cliché da commedia romantica da quattro soldi. E ora, invece, ci sono dentro con tutte le scarpe. Il che ha, a suo modo, un qualcosa di comico. Peter mi rivolge un segno d'assenso con il capo, e io presumo che non ci sia altro da aggiungere. Apro lo sportello ed esco, predisponendomi alla corsa che dovrò affrontare - auspicandomi di non scivolare - per mettermi rapidamente al riparo. Richiudo il portello e, proprio quando sto per avviarmi verso l'ingresso, sento un'altra portiera sbattere, e vedo Peter - con respiro affaticato e di corsa - venire verso di me. Sotto l'acqua scrosciante, lo guardo perplessa, ma ho a malapena il tempo di formulare anche solo un pensiero di senso compiuto, perché mi posa istantaneamente le mani a coppa attorno al viso, e unisce in un gesto repentino e bisognoso le labbra alle mie. Spiazzata, trattengo il fiato, mentre il cuore pulsa a velocità supersonica e lo stomaco si attorciglia su se stesso. Chiudo gli occhi e mi abbandono al bacio, alle sensazioni, a Peter. Lo trascino più vicino a me tirandolo per il giubbotto, e lui rende il contatto più profondo. Il suo profumo mi avvolge, e il suo sapore di tabacco mi solletica la lingua. Da dolce e innocente, il bacio si fa desideroso, disperato - quasi -, e io prendo le distanze da lui quando lui soffoca un gemito. Ci guardiamo a lungo negli occhi, ci studiamo, e potrei rimanere per sempre, a perdermi negli occhi di Peter. Ma ora è meglio di no. Diluvia, e dire che siamo zuppi sarebbe un eufemismo.

"Il bacio sotto la pioggia fa così tanto luogo comune..." lo provoco, incapace di astenermi dal farlo, con un sorrisino furbo in viso.

"La prossima volta faremo in modo che sia più originale" mi assicura, sorridendo anche lui e facendomi un occhiolino.

Mi ha appena detto implicitamente che ci sarà una prossima volta. Ora devo solo astenermi dal darmi un pizzicotto su un braccio per verificare se io stia sognando o meno.

"Ti prendo in parola" lo avverto, lasciando che sia lui a intendere se si tratti di una raccomandazione o di un monito.

Gli do un ultimo bacio a fior di labbra, scaturendo un suo luminoso sorriso - che, naturalmente, ma non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo, fa sorridere anche me di rimando -, per poi iniziare letteralmente a correre verso l'hotel, consapevole del fatto che anche stanotte la passerò insonne.

×××

Per celebrare questo giorno speciale, Colin ha prenotato un tavolo in un locale alquanto rinomato. Stamattina abbiamo poltrito per buona parte del tempo. Will ha fatto in modo che al festeggiato fosse recapitata una sontuosa colazione a letto, fornita di tutte le prelibatezze preferite di Colin, e gli ha consegnato il suo regalo in separata sede, per cui non ho ancora avuto modo di scoprire di cosa si componga. Io gli ho regalato una maglietta nera, la cui stampa è basata su una serie televisiva per la quale impazzisce: sarebbe superfluo dire che sprizzava gioia da tutti i pori, e che ha scelto di indossarla seduta stante - con un "sensuale" spogliarello che ci ha fatto ridere a crepapelle. Connie è sparita stamattina presto, scusandosi fino allo sfinimento, ma annunciandoci che aveva degli impegni improrogabili, che l'avrebbero tenuta occupata tutta la giornata - non nascondo che abbiamo pensato tutti che sia coinvolta in un circolo di traffico clandestino di droga, o altre sostanze stupefacenti di vario genere. Rimasta sola con la coppietta felice, abbiamo trascorso il resto della mattinata e del primo pomeriggio a girare per la città - che io, per inciso, non avevo ancora visitato -, con quei due che, solo per essere usciti più di me, si sentivano delle vere e proprie guide turistiche, e non perdevano occasione di farmi notare una serie di particolari che, magari, a me potevano essere sfuggiti. Come una curiosità che ha raccontato loro un senzatetto che hanno incontrato per strada giusto ieri: che oltre tremila persone si sono suicidate gettandosi dal Golden Gate Bridge, e che solo ventisei sono sopravvissute. Di quelle ventisei, non c'è n'è stata una che non si sia pentita di quell'azione nell'esatto momento in cui ha saltato. Oppure che la baia di San Francisco è profonda quanto una piscina, e per questo le grosse navi hanno difficoltà a destreggiarvisi. O anche che il biscotto della fortuna cinese, in verità, trae le sue origini qui. La giornata è stata piacevole - il tempo è tornato stabile -, e, tra negozi, musei e passeggiate, è volata. Stamattina ho mandato un messaggio a Peter, mettendolo al corrente dei miei piani per la giornata e facendogli intendere di non potermi proprio sottrarre agli impegni presi. Mi ha risposto che non dovevo preoccuparmi e che sarebbe stato per la prossima volta. Ora mi sto tirando a lucido per la cena di stasera. Ho optato per un abito da sera, ma penso proprio che farò a meno dei tacchi, visto che l'attività di ieri mi ha già procurato un mal di schiena a dir poco allucinante. Come se non bastasse, in mattinata sono anche dovuta andare alla ricerca di una farmacia per comprare una confezione di pasticche contraccettive, e assumere la pastiglia entro le ventiquattro ore dal rapporto. Avevo dimenticato che avessero questo saporaccio. Non ne ho mai fatto uso, con Evan. L'ultima volta che ne ho presa una è stato proprio sei anni fa... E proprio con Peter. Colin e Will si sono già avviati al ristorante mentre ero sotto la doccia - l'ennesima in due giorni, ma stamattina ho sudato così tanto, per via delle camminate interminabili, che mi è sembrata d'obbligo. Liscio le pieghe del vestitino rosso che ho deciso di indossare, infilo il giubbetto di pelle e i sandaletti bassi neri, metto la borsetta in spalla ed esco. Non ho abbondato con il trucco per non risultare eccessiva, e ho lasciato i capelli sciolti, siccome ho realizzato che sono molto più gestibili, a questa lunghezza. Una volta sul marciapiede, l'aria umida serale mi accoglie tra le sue braccia non appena metto piede fuori dalla struttura. Fermo il primo taxi che passa, stringendomi nel giubbino per non rabbrividire, e indico all'autista l'indirizzo del ristorante. Il tratto è breve, e non impieghiamo molto a giungere a destinazione. Pago la corsa e mi inoltro nel locale, già alquanto luminoso e appariscente dall'esterno. Si rivela essere, ciò nonostante, un ristorante come un altro, né troppo sfarzoso né troppo sobrio: equilibrato. Indico al maître il nome sotto cui è stato prenotato il tavolo, e lui mi ci scorta subito, dopo aver controllato su una lista posta su un leggio in legno. Quando, però, sopraggiungo al tavolo, e scorgo una candela, quei due seduti uno di fronte all'altro, una rosa come centrotavola, e nessuna terza sedia, comprendo che, quando Colin mi ha avvisato dicendo: "Stasera abbiamo in programma una cena di lusso", non intendeva coinvolgermi nell'invito, ma solo farmelo sapere. Ecco perché non mi hanno aspettata. Vorrei sparire sottoterra, in questo preciso istante. Prima ancora che possa girare i tacchi e andarmene, pregando di passare inosservata, Will si accorge di me e, stupito, mi saluta, esortando Colin a voltarsi. Lo sguardo omicida che mi rivolge è più eloquente di qualsiasi discorso a effetto che avrebbe mai potuto farmi. Sorrido, imbarazzata, e chiarisco loro l'equivoco dovuto alla mia insormontabile sbadataggine. Ma Will ride e insiste affinché io rimanga, nonostante io provi in più modi a declinare. La sua ostinazione ha, però, la meglio, e chiede gentilmente al primo cameriere che passa di aggiungere un posto. Così mi ritrovo a fare il terzo incomodo, mentre Colin mi lancia occhiate assassine che non si preoccupa neppure di nascondere, e Will tenta di coinvolgermi in una qualsiasi conversazione, e di parlare del più e del meno. Mentre siamo in attesa degli antipasti, subito dopo aver effettuato le nostre ordinazioni, loro cominciano a spettegolare riguardo un loro amico che è apparentemente risorto dalle sue ceneri per fare gli auguri a Colin. Perciò lascio loro un po' di "intimità", e inizio a giocare al cellulare. L'arrivo di un SMS fa sì che il suddetto gioco si blocchi, e il telefono emetta una piccola vibrazione.

"Come procede la cena a lume di candela? :-P".

È da parte di Peter, ma non mi spiego come faccia a sapere che sono la candelina tra i due, dato che stamattina non gli ho detto che Connie non ci sarebbe stata. Mi guardo istintivamente intorno, spaesata.

"Ora addirittura mi cerchi tra la folla?".

Mi immagino la frase pronunciata direttamente da lui e corredata del suo irritante ghigno malizioso e sfacciato. Ma allora è qui! Che ci fa qui? Faccio per voltarmi ancora, ma non ce n'è bisogno, perché lui e consorte si materializzano istantaneamente in piedi al mio fianco. Colin e Will smettono di discutere e, a bocca aperta, si girano verso i due nuovi arrivati. Lui è di una bellezza innaturale. Ha: una camicia color indaco - che gli mette in particolar modo in risalto gli occhi chiari, oggi più sfolgoranti del consueto - con i primi bottoni fuori dalle asole e le maniche arrotolate fino ai gomiti; un paio di pantaloni blu scuro, e mantiene con un braccio una giacca del medesimo colore. Lei, invece, veste un abito verde acquamarina lungo fino a metà coscia, ricamato e con una scollatura a V, e dei sandali color carne, con un tacco che sarà minimo di dodici centimetri. E, malgrado ciò, non è comunque alta quanto lui. Ha i lisci capelli castano-rossicci raccolti sulla spalla sinistra e lasciati sciolti, a eccezione di due ciocche che ha fissato dietro il capo, con quello che presumo essere un fermaglio, e una lasciata libera a incorniciarle il viso. Porta in mano una pochette rosa acceso. È così graziosa, accidenti. Ci sorridono entrambi. A lei prendono anche forma due adorabili fossette sulle guance, a quel gesto. Ripongo il cellulare in borsa e, confusa, sorrido anche io, mentre il cuore mi ruzzola nello stomaco quando mi accorgo del fatto che Peter non mi stacca gli occhi di dosso. Nessuno si azzarda a dire niente, così lo fa Colin, preannunciando il suo intervento con un colpo di tosse.

"Ma che piacevole casualità!" evidenzia, allegro, ma io so che in realtà sta già pianificando il mio omicidio in tutte le maniere possibili e immaginabili.

Jane mi fa un piccolo cenno di saluto con la mano libera, che non esito a ricambiare di riflesso, seppure ancora intontita. Peter è come se si fosse tramutato in un soldatino di piombo. Vedendo che lui non dà segni di vita, Jane si presenta a entrambi i miei amici, stringendo loro la mano e dispensando sorrisi. Quando Peter si rià, si introduce a sua volta a Will e saluta timidamente Colin, porgendogli i suoi auguri. Segue un breve istante di imbarazzante silenzio.

"Avevate in programma una serata romantica, o volete unirvi a noi?" suggerisce Will, rompendo il ghiaccio, gesticolando.

Ora credo proprio che dovrò erigergli una statua. O un monumento al caduto, visto come lo sta guardando Colin. Non mi stupirei se stesse macchinando anche il suo, di assassinio. Peter e Jane si scambiano un'occhiata interdetta e, dopo un primo momento in cui provano educatamente a rifiutare (poveri illusi, ignari del potere di persuasione di cui si vanta Will), alla fine si convincono ad accettare. Colin convoca di malavoglia un altro cameriere, e gli domanda se è possibile unire un altro tavolo al nostro, e apparecchiare per altre due persone. E così, da una tenera cenetta a due, quella di Will e Colin si è trasformata in una festicciola a cinque. Percepisco distintamente gli effluvi negativi che mi sta indirizzando Colin. Ancora una volta, per sciogliere la tensione, Will tiene banco, e interroga Jack e Rose su come si siano conosciuti. Tendo le orecchie, visto che anche io me lo sono chiesto, ma non ho mai avuto occasione di informarmi, mentre Jane soddisfa le nostre curiosità. Si sono incontrati nel duemilaundici, quattro anni fa, quando lei era una tirocinante presso un giornale locale di Princeton. Per le sue doti particolarmente spiccate, le è stato assegnato il compito di intervistare la nuova stella emergente nel campo dell'informatica. Quello su Peter è stato il suo primo articolo a essere pubblicato. Ecco dove avevo già sentito il suo nome! Da quel giorno si sono piaciuti e hanno iniziato a frequentarsi.

"Niente di eclatante" commenta al termine del racconto lei, ridacchiando, e richiedendo, invece, come si sono conosciuti lui e Colin.

Peter non è intervenuto neanche una volta, durante tutto il discorso della sua ragazza. È seduto di fronte a me e accanto a lei, e non la smette di fissarmi da quando ha preso posto. Non che la cosa mi metta a disagio, per carità, ma è snervante. Soprattutto perché non posso sapere a cosa cavolo stia pensando. Will narra, intanto, a Jane - che pare essere l'unica realmente interessata -come lui e Colin si siano incontrati perché al padre di quest'ultimo serviva un avvocato, per curare alcune operazioni legali che avevano a che fare con il mini-market che gestisce. Will si è laureato in legge e, essendo molto portato nel campo, ha seguito presto le orme di suo padre, che aveva già uno studio in proprio. Ha pensato di affidargli il caso del signor Turner come primo incarico, perché non era troppo impegnativo, e perché come primo tentativo ci stava... Così si sono conosciuti quando Will si è recato a un primo colloquio con il padre di Colin, al quale era presente anche lui, visto che lavora pure lui in negozio. Da cosa nasce cosa, si sono piaciuti, e hanno incominciato a uscire insieme. Quello di cui mi rendo conto, ascoltando le loro storie, è che io sono un caso patologico, invece. O più unico che raro, perché solo io ho la storia d'amore più complicata del mondo. Potrebbero scriverne un libro. O ricavarne una telenovela. Mi appunto di prendere in considerazione quest'ipotesi per il futuro. Com'è equo che sia, viene anche il mio turno. Quindi parlo anche io di Evan, il poliziotto che, con il fascino della divisa, mi ha ammaliato il cuore, e della nostra vicenda. Ma non risparmio di puntualizzare che tra noi è finita proprio il giorno prima che stabilissi di partire, perché mi pareva giusto così. Peter si limita a osservarmi attentamente durante il racconto, ma non commenta. Mi interrompo quando giungono le prime portate, e iniziamo tutti a mangiare. Mentre sono intenta ad addentare una bruschetta con olio, pomodorini a dadini e origano sopra, non so come sia possibile, uno dei dadini mi cade sul vestito, macchiandomi di olio il tessuto.

"Sei sempre la solita imbranata..." considera Peter, con voce nasale, rompendo il silenzio colmato solamente dal rumore delle forchette che battono contro i piatti di ceramica.

Qualcuno si è preso un bel raffreddore, dopo la pioggia di ieri... Riporto il pezzo di cibo nel piatto e mordo la bruschetta, fissandolo con gli occhi assottigliati, fingendo che non mi sia saltato il cuore in petto, non appena ha preso parola e si è rivolto proprio a me. Tre paia di occhi puntano verso di noi. Colin sorride sotto i baffi, Will e Jane sono incuriositi.

"Non so di cosa tu stia parlando..." ostento indifferenza, pulendomi le labbra con il tovagliolo di stoffa che era riposto al lato del mio piatto.

"No, certo. E quel vestito che ti sporcasti con il ketchup quella volta che uscimmo tutti insieme?" mi ricorda, alzando un sopracciglio e sorridendo, beffardo, portandosi alla bocca un boccone di antipasto.

Se ne ricorda ancora.

"Ma quello non fu colpa mia! Era quel cheeseburger ad avere un difetto di fabbricazione. E ha parlato quello che ha sbattuto la testa contro la rete del letto a castello mio e di Lindsay più di una volta" ribatto, rigirando la frittata, bevendo un sorso d'acqua, che il cameriere si è premurato di versarci nei bicchieri.

"Ma quel letto era bassissimo, dannazione! Come faceva quella poveraccia a dormirci?" contesta, sorridendo ancora, rinfrescandosi a sua volta la gola con un po' d'acqua.

Nessuno dei tre si intromette nella conversazione. Ci ascoltano "battibeccare" in silenzio, comportandosi da semplici spettatori, a volte simulando disinteresse, altre lanciandoci qualche occhiatina furtiva di sottecchi. Persino Jane ha un sorrisino divertito sulle labbra.

"Perché, ci dormiva? Stava sempre in camera vostra con Mike. Specialmente nell'ultimo periodo" gli faccio notare, riprendendo a mangiare.

"Vero... Ti ricordi quella volta che pensammo di sorprenderli a fare atti osceni?" indaga, scoppiando a ridere subito dopo.

"Sì!! E chi l'avrebbe mai detto che la coppia dei nostri sogni alla fine si sarebbe realizzata, a quei tempi..." riscontro, sognante.

"Io ho sempre saputo che Mike era cotto" attesta, convinto, dando così il via a un acceso dibattito sull'argomento.

La serata procede così, tra camminate nel viale dei ricordi e rare e brevi intromissioni da parte degli altri presenti. È così piacevole... Mi sento leggera e spensierata, come libera da ogni preoccupazione e in grado di fare qualsiasi cosa. Mi sarebbe piaciuto interagire un po' di più con Jane, ma è rimasta più che altro in disparte, ad assistere alla scena da spettatore esterno. Colin spegne le candeline su una torta che Will fa portare al tavolo apposta per lui, e intoniamo tutti insieme la canzoncina degli auguri, per poi terminare con un applauso generale che coinvolge tutta la sala. Verso mezzanotte siamo tutti fuori dal locale a salutarci. Quando è il turno di Peter, mi deposita un bacio decisamente lungo su una guancia, senza dire niente.

"Mi ha fatto davvero tanto piacere conoscerti" asserisce Jane, quando mi viene vicino, con un sorriso sulle labbra ma gli occhi lucidi.

Aggrotto le sopracciglia, pensando che sia solo una mia svista. Perché mai dovrebbe piangere? Invece di darmi gli abituali baci sulle guance, mi abbraccia di slancio, e mi stringe forte a sé per mezzo minuto, lasciandomi talmente interdetta, da non sapere cosa fare. Quando si distanzia da me, tira su col naso e mi sorride ancora, dopodiché lei e Peter si incamminano insieme verso la loro auto. Mi rimane nel petto una sensazione strana, che non so spiegarmi, determinata dai comportamenti di quella ragazza. Come se avesse cercato di comunicarmi qualcosa senza adoperare le parole. Qualcosa, ma cosa, di preciso?

×××

"Dormi?".

È il messaggio che mi sveglia alle due e mezza del mattino, e non ho bisogno di controllare, per avere un'ulteriore conferma di chi sia il mittente. Ormai ho smesso di farmi domande, quando si tratta di Peter.

"Non più".

È la mia risposta, concisa ma veritiera. Mi sollevo sui gomiti e mi stropiccio le palpebre, assonnata. Connie dorme come un angioletto. Quando siamo rientrati in stanza, due ore fa, l'abbiamo trovata già a letto, sotto le coperte, sfinita. Mi chiedo davvero cosa abbia fatto, tutto il giorno, per non essersi fatta sentire e non averci detto niente riguardo i suoi piani. Mi gratto la testa e stacco il cellulare dalla presa del caricabatteria, in attesa di una sua replica.

"Scendi. Sono qua sotto".

Sgrano gli occhi e sono costretta a rileggere il testo più di una volta, credendo di aver visto male.

"No, ma, dico: sai che ore sono?!".

Già di prima mattina, dopo comunque numerose ore di riposo, sono intrattabile. Figuriamoci se vengo destata alle due e mezza della notte da un pazzo che ha tempo da perdere ed energie da esaurire.

"Per favore. È urgente. Devo parlarti".

Questo non promette bene. Per niente. Sono assalita da un senso di ansia e da un brutto - orrendo - presentimento che si impossessano di me. Okay che magari può anche volermi dare una bella notizia, ma il "devo parlarti" non presagisce mai qualcosa di gioioso e felice. Almeno non che io sappia.

"Cinque minuti e sono da te".

Sbuffo e scendo dal letto. Facendomi luce con la torcia del telefono, cerco nell'armadio un pullover di Colin da apporre al pigiama per non morire di freddo. Infilo il primo che capita e raccapezzo un paio di fantasmini e di Converse da mettere ai piedi. Ho i capelli arruffati e la faccia assonnata, ma non ho la forza di sistemarmi. E poi perderei solo tempo. Mi procuro le chiavi di riserva dalla giacca che Colin ha lasciato sul tavolino in legno, ed esco silenziosamente. Percorro il lungo corridoio fino all'ascensore, per poi attendere impazientemente che giunga al piano terra. Quando sono nella hall, proseguo a passo svelto in direzione delle porte d'ingresso. Una volta all'esterno, non impiego troppo tempo per individuare Peter - che armeggia con il cellulare -, vestito esattamente come a cena, a qualche metro di distanza dall'entrata principale. Ma perché non si cambia mai, quando torna a casa? Dorme così? In compenso, però, indossa anche degli occhiali da vista che prima non aveva, dalla montatura marroncina e quadrata, che lo rendono ancora più sexy di quanto già non fosse. Alza lo sguardo, forse sentendosi osservato, e si gira verso di me. Gli sorrido e mi avvicino.

"Ehi..." principio, ma mi ferma ancor prima che possa proseguire.

"Dobbiamo smettere di vederci" statuisce, serio e irremovibile, facendomi letteralmente restare a bocca aperta per lo stupore, dopo una frase simile.

"Cosa?" ho la prontezza di domandare, facendo fatica ad articolare le parole, percependo una morsa chiudermi la gola e un macigno sul petto.

"Mi hai sentito. Dobbiamo finirla qui" ribadisce il concetto, come se fossi stupida e non lo avessi recepito la prima volta.

È un sogno? È solo un brutto sogno? Un incubo che il mio cervello si diverte a proiettarmi nella mente per prendersi gioco di me? Perché non è umanamente possibile che lui sia la stessa persona che fino a qualche ora fa rideva e chiacchierava animatamente con me, come se nulla fosse. Che fosse bipolare l'ho sempre sospettato, ma non ho mai avuto ragione di crederlo sul serio. Ora sembra quasi che io mi ritrovi a interfacciarmi con il suo gemello cattivo, che si diverte a giocare con il mio cuore.

"Ma... Cosa? Perché?" lo interrogo, sconvolta, e mi accorgo di suonare disperata solo a quesito pronunciato.

Mi rendo conto che le mie sembrino frasi telegrafiche e per niente sensate. Ma riesco a malapena a parlare. Questo è già un grande sforzo, per me.

"Perché sì, Celeste. È meglio così. Non facciamo che rovinarci a vicenda e far stare male le persone che ci stanno attorno" assoda, con gli occhi di ghiaccio e l'espressione che non lascia trasparire emozione alcuna.

"Io... Non capisco, davvero" mormoro, attonita, respirando a fatica e sentendo come se mi stesse venendo un attacco di panico.

Ma cosa sta succedendo? Chi è questa persona che ho di fronte? Perché non è il Peter con il quale ho fatto l'amore e discusso l'altro ieri, o riso e scherzato ieri. Sembra un robot. A stento batte ciglio. Ma come fa? E come fa a non sentire anche lui il suono assordante del mio cuore che va in frantumi? Perché io lo sento forte e chiaro, e mi sta per spaccare i timpani, tanta è la sua potenza. Mi fischiano le orecchie ed è come se mi disconnettessi dalla realtà. Non mi viene neppure da piangere, tanto che mi sembra surreale.

"Non mi aspetto che tu capisca. Vorrei solo che rispettassi la mia decisione. E che non mi cercassi più. Va bene per te?" inquisisce, come se fosse del tutto normale porre domande così alle persone.

Ma "va bene per te" cosa?! Ma stiamo scherzando?! No che non mi va bene! Ti pare che mi va bene? Gesù, qualcuno mi dica che è una candid camera. Per favore. Ora devono spuntare dei cameramen da dietro le macchine parcheggiate in fila qui davanti, e dire che sono su Prank Patrol, o un programma televisivo del genere.

"Peter... Posso sapere che ti prende?" indago, con una calma e pacatezza che non avrei mai creduto che potessero appartenermi, data la tempesta e il casino che ci sono dentro di me.

"Mi prende che basta, Celeste. Dobbiamo mettere un punto a questo circolo infinito. Perché non voglio ritrovarmi nella stessa situazione tra altri sei anni. Quindi finiamola qui" taglia corto, con la stoccata decisiva.

Ora lo sento davvero, come migliaia di finestre di vetro che esplodono, il mio cuore spezzarsi in tante piccole parti e cessare per qualche secondo di battere. Ingoio a fatica un fiotto di saliva e mi impongo di darmi un certo contegno, e di smetterla di sembrare un pesce lesso imbambolato.

"Se questo è quello che vuoi, non mi opporrò di certo alla tua volontà" decreto, diplomatica, respirando a fatica.

È come se mi stesse risucchiando tutte le energie vitali, lasciandomi incompleta, vuota. Non lo so, cosa provo in questo istante, però so che, se qualcuno mi puntasse una pistola al petto e sparasse dritto al cuore, sentirei meno dolore di quanto ne sto provando ora. Ora, che è lui ad avere l'arma in pugno, e che ha premuto il grilletto senza remore o esitazioni.

"Però vorrei salutarti come si deve, per non avere rimpianti in futuro. Penso che almeno questo tu me lo deva..." bisbiglio, avendo ormai perso completamente il controllo delle mie azioni.

"Non credo sia una buona idea..." protesta, abbassando per la prima volta lo sguardo da quando ha iniziato questo discorso, e grattandosi la nuca con una mano.

"Sei tu quello che vuole farla finita. Non io. E non ti sto dicendo niente. L'unica cosa che ti chiedo è un bacio d'addio. Tanto per completare la catena di cliché..." consiglio, con un sorriso amaro in volto che non mi tocca, tuttavia, gli occhi.

Deglutisce e annuisce piano, quasi timoroso. Mi avvicino lentamente, cercando di imprimere ogni minimo dettaglio nella mia mente: se è l'ultima volta che lo vedo, voglio ricordare bene il colore dei suoi occhi, le rughe d'espressione del suo volto, il modo in cui porta i capelli e la sua postura. Voglio ricordare i ritmi del suo respiro e le pulsazioni del suo cuore. Il sapore delle sue labbra e il tocco delle sue mani sulla mia pelle. Voglio ricordarmi di lui con un sorriso in viso, quando sarà. Non con uno nostalgico o malinconico. Ma con uno felice. Di una persona che ha saputo voltare pagina e andare avanti con la sua vita dopo Peter. E, se non lo bacio adesso, non credo che sarei mai in grado di fare tutto questo. Non che ritenga di poterlo fare comunque. Una parte di me spera ancora che sia solo un'illusione. Gli poggio una mano su una guancia e incateno gli occhi ai suoi per l'ultima volta. Fisso le sue labbra per l'ultima volta. Accarezzo la pelle coperta da un leggero strato di peluria del suo volto per l'ultima volta. Mi metto sulle punte per l'ultima volta in sua presenza. Congiungo le labbra alle sue per l'ultima volta. Non ho più le farfalle, nello stomaco, né questo si attorciglia, al contatto. Non ho il cuore a mille, perché non ho più un cuore. In senso metaforico, naturalmente. Le sue labbra sono morbide, calde, hanno il sapore di casa. Assorbo questa sensazione per l'ultima volta. Le schiude e mi prendo la libertà di approfondire il bacio, aggrappandomi alla sua camicia, aggrappandomi a lui, in un muto invito a rimangiarsi tutto e a non lasciarmi. A rimanere qui con me. Nonostante i casini, nonostante noi, nonostante me. Perché so di essere ciò che di più imperfetto possa esistere, ma quello che provo per lui è vero, autentico, e mi rende completa. Lui mi rende completa. Non sarò mai la stessa, dopo oggi, spero che lo capisca, questo. Trattengo il fiato e con l'altra mano gli sfioro la nuca, mentre lui mi poggia sui fianchi le sue, per l'ultima volta. E ora non me lo sogno neanche, di salutarlo con un misero "Addio, Pika" sussurrato a stento quando era ormai già oltre la soglia. Ora no.

"Ti amerò per sempre, Peter" gli prometto invece, quando mi allontano da lui e riapro gli occhi, che avevo in precedenza serrato per godermi appieno il momento.

I suoi sono velati di lacrime. Io non mi aspetto di piangere. Ormai non mi aspetto più niente. Né da lui, né da me stessa. Gli ho detto tutto quello che dovevo e volevo dirgli, ho fatto tutto quello che dovevo e volevo fare, e alla fine ho portato a termine tutti gli obiettivi che mi ero prefissa prima di partire. Per cui, davvero, adesso sono pienamente in pace con me stessa, se non si considera la guerra interiore che sto combattendo ora tra la me patetica che vuole implorarlo di restare, e quella giudiziosa che vuole lasciarlo andare. Gli rivolgo un ultimo sguardo e gli volto le spalle, trascinandomi fino all'ingresso. Come Orfeo quando scese a riprendersi Euridice dagli Inferi, però, compio il madornale errore di girarmi ancora una volta verso di lui, prima di entrare, e lo vedo con lo sguardo basso e una mano a coprirsi le labbra, mentre il suo corpo è scosso da un singhiozzo. Mi mordo il labbro inferiore e rientro in albergo, ripensando alla frase che mi ha detto Colin in taxi, mentre tornavamo qui dopo cena: "Ma sì, fanculo Jane, e fanculo pure Evan: io vi ci vedo troppo assieme. Dai che è la volta buona". E sorrido tristemente, nel realizzare che solo due ore e mezza fa ero su una nuvola, allegra e beata, e ora sono precipitata in picchiata nel vuoto, con un paracadute difettoso che si è rifiutato di aprirsi. E, ripensando anche alle mie considerazioni dell'altro ieri, suppongo che, se si fosse davvero trattato di una competizione, avrebbe vinto lei. Ha scelto lei.

×××

Sono trascorsi quattro giorni da quella notte. Quattro giorni in cui è come se non fossi stata in me. Come se fossi uscita dal mio corpo e non potessi rientrarvi, perché non ne sono più residente. Non ho versato neanche una lacrima. Non ho più parlato con nessuno, di niente. Ho tolto la collana con il ciondolo a forma di aeroplanino di carta. Non ce la facevo più ad averla al collo. Pesava. L'ho chiusa in una busta da lettere, che ci hanno lasciato sulla scrivania in dotazione con la stanza, e l'ho riposta in valigia, sotto tutti i panni. Ho fatto di tutto per non dover vedere il tatuaggio. Ho indossato solo maglie a maniche lunghe, sebbene facesse caldo nell'ambiente chiuso della camera. L'unico momento in cui sono uscita di qui è stato per recarmi al primo supermercato reperibile, dove ho comprato della tinta scura per capelli, perché non riuscivo nemmeno a guardarmi allo specchio. Del resto, sono rimasta a letto, a fissare il nulla. Sul divano, a guardare la Tv senza vederla realmente. Ho mangiato poco, soltanto perché Colin si è impuntato, e perché altrimenti gli sarebbe venuto un esaurimento nervoso. Non mi faccio una doccia da quattro giorni. Probabilmente puzzo come un cadavere in putrefazione, ma per me non è poi così rilevante. Non mi ha inviato neanche un messaggio, in questi giorni. Non che mi aspettassi che lo facesse. Ho dovuto cancellare il suo numero dalla rubrica, perché l'alternativa sarebbe stata mozzarmi le mani per evitare di telefonargli. Ho cancellato anche le conversazioni che abbiamo avuto, perché le ho rilette fino allo stremo: ma tanto le ho imparate a memoria. I miei genitori mi hanno chiamata più volte. Ha risposto sempre Colin dicendo che ero occupata. Zia Flo mi ha chiamata due volte. Stessa solfa. Mi ha chiamata anche Mike. A lui non ha risposto nemmeno Colin. Non ho detto a nessuno di loro quello che è successo. Colin non si è ancora rassegnato e, imperterrito, prova a parlarmi ogni giorno, pur sapendo che non otterrà alcuna reazione da parte mia. Ci prova comunque. Will fa dei tentativi discreti ogni tanto, ma si arrende pochi minuti dopo. Connie mi sta ripagando con la stessa moneta. È come se ce l'avesse con me, e non mi spiego il perché. In questi giorni ho avuto la mente sgombra. Totalmente vuota. Assente. Sono stata assente. Come in un'altra dimensione, un iperuranio tutto mio, deserto. Non ho pensato a nulla, non ho riflettuto su nulla. Dovrei reagire. So che la vita va avanti. Che devo voltare pagina. Che chiusa una porta si apre un portone. Continuo a ripetermelo, ma sono ancora qua. Il mio problema è che la pagina non voglio voltarla, la porta non voglio chiuderla, avanti non ci voglio andare. Voglio ancora Peter, anche dopo tutte le cose che mi ha detto e che ha fatto. E so di non avere un minimo di amor proprio, perché se tornasse lo accoglierei a braccia aperte. E so che è sbagliato, ma non potrei farne a meno. Un amore così non si spegne da un giorno all'altro, come una fiaccola con una folata di vento. Ho la netta sensazione, però, che, se in tutti questi anni non si è spento, malgrado tutto, non lo farà mai. Ti amerò sempre, Peter, gli ho confessato. Ma era vero. È vero. Perché non potrei mai smettere di amarlo, seppure un giorno dovessi mai riuscire ad amare qualcun altro anche solo la metà di quanto amo lui. Mentre sono persa nelle mie riflessioni/non-riflessioni, Connie prende posto sul letto e si appoggia con la schiena alla testiera. Io sono stesa su un fianco, e la guardo, zitta e immobile. Lei fissa dritto davanti a sé, e non mi dedica la minima attenzione. Ha una spallina della canotta di seta del pigiama calata, e i capelli scompigliati. È mattina. Non stavo dormendo, prima del suo arrivo, ma sono a letto da ieri sera. Non ho neanche cenato. Né fatto tantomeno colazione.

"Non puoi fare così" mi impone a un certo punto, scuotendo la testa, ma osservando ancora quel punto lontano.

Non dico nulla. La lascio parlare. Tanto è così che faccio con tutti e tre, da giorni. Mi fa male la gola e così anche il petto. Sono così tante le cose che vorrei buttare fuori, che, se lo facessi, con ogni probabilità, loro tre scoppierebbero in lacrime. Dovrei farlo, sarebbe liberatorio, ma non ne sento la necessità. Non ne ho la voglia. È come se avessi perso proprio la voglia di vivere e combattere, quella che mi ha caratterizzata sempre.

"Non puoi fare così perché non è così che si fa. Io mi sono ispirata a te, Celeste. Se ora ti comporti così, mi crolla un mito. E sì, sono furiosa con te. Perché ti ho vista lottare con le unghie e con i denti, ti ho vista uscire vittoriosa da una battaglia che sembrava persa in partenza, ti ho vista prendere in mano la tua vita e farne ciò che volevi, non ciò che dovevi. E ora mi sembra un controsenso vederti così abbattuta e sfiorita. Le guerre si vincono con la strategia, non con la forza. Non sto qui a citarti tutti gli esempi famosi che la storia riporta. Non ti sto chiedendo di scendere in campo da sola. Hai noi. Hai Colin, hai Will, hai me - per quel che può valere. Se ti confidassi con noi, come hai sempre fatto, magari potremmo trovare una soluzione insieme. Se ti chiudi a riccio e accumuli tutta la sofferenza sulle tue spalle, come vuoi che passi?" mi chiede retoricamente, sospirando, affranta, a fine ragionamento.

Ancora, mi limito al silenzio. So che ha ragione, ma non glielo faccio presente. Evidentemente ne è già a conoscenza.

"Sono incinta. Di tre settimane. Lo ero venuta a sapere da poco, quando ho incontrato voi in quel locale. Per un po' vi ho osservati. Sembravate così felici e sereni, e mi sono detta che avrei voluto esserlo anch'io, perciò mi sono infiltrata nella vostra vita senza programmarlo o pianificarlo: è capitato. Ma non avrei mai pensato che voi vi sareste infiltrati nella mia, che mi avreste aiutato così tanto. Che tu mi avresti aiutata così tanto. Con la tua audacia, la tua fermezza, la tua caparbietà, mi hai insegnato che non esistono ostacoli, quando ci si fissa uno scopo. Mi hai fatto desiderare di essere come te. E non l'ho programmato o pianificato, ma mi sei entrata nel cuore, Celeste. Sei una donna forte, determinata, che sa ciò che vuole e che fa di tutto per ottenerlo. Ti ho presa a esempio - fa una pausa, durante la quale si volta a guardarmi per accertarsi che la stia seguendo - Fino a un mese fa, avevo una relazione con un certo Rufus. È di due anni più giovane di me, e non brilla in quanto a maturità. Eravamo 'amici con benefici', in sostanza. Io gli davo delle dritte per conquistare le ragazze che gli interessavano con del buon sesso, e lui appagava i miei desideri. Poi lo sai come succede: mi sono innamorata di lui. Ovviamente è sempre stato all'oscuro di tutto. Un giorno decisi di farla finita, perché ero stanca di farmi del male guardandolo fare il cascamorto con le ragazzine della sua età, per cui l'ho 'lasciato', senza dargli spiegazioni: non me le ha chieste neanche. Quando ho conosciuto te, invece, ho compreso che non bisogna arrendersi alle prime difficoltà, o cambiare strada solo perché quella che stai percorrendo è dissestata; che la vita non sempre è tutta rose e fiori, e che, quando non lo è, devi fare tu in modo che lo sia. Sai perché sono stata via, il giorno del compleanno di Colin? Perché ho fatto una visita da un ginecologo. La mia prima visita. E, per la prima volta, non mi sono sentita scocciata, ma grata e felice, del fatto che sto per diventare mamma. Ho chiamato Rufus. Gli ho detto tutto quanto: ciò che sento per lui e del bambino. E vuoi sapere com'è andata? Le ha provate tutte per insinuare che non era suo e che ero stata con un altro uomo. Ne era così convinto, che quasi mi ci ha fatto credere. E, naturalmente, non mi ama. Ma sai una cosa, Celeste? A me va bene così. Sono contenta di quello che ho fatto e non me ne pento, perché così potrò vivere leggera, senza rammarichi. E lo devo a te. Tutto questo lo devo a te. Quindi, fammi un favore: non pretendo che mi dici chissà cosa, o che ribatti in qualche modo; ho voluto farti io questa confidenza, non sei tenuta a parlarmi. Però ti concedo solo un altro giorno, signorinella. Dopodiché, alzi il culo da questo materasso fetido e ricominci a vivere. Siamo in vacanza, per l'amor del cielo. È estate! E chi ha detto che il nostro viaggio on the road si è già concluso?" chiede, in forma retorica, sorridendomi, sbarazzina.

A monologo terminato, si rimette in piedi e mi annuncia che si andrà a fare una lunga doccia, lasciandomi impietrita e sbigottita per la quantità e la qualità di informazioni che mi ha fornito.

×××

Il quinto giorno post animae mortem ancora non so cosa farne della mia vita e cosa ne sarà di me. Se c'è una, e dico una, parte di me che è però rimasta invariata, quello è il mio istinto: lo stesso che mi guida a comporre quel numero e a fare questa telefonata. Non risponde al primo squillo, né al secondo. Al terzo sì, però, e il sollievo celato nella sua voce quando pronuncia il mio nome non penso che abbia eguali.

"Celeste..." la sua affermazione ha il tono timoroso di una domanda, quasi come se stentasse a crederci.

"Evan..." è la prima parola che pronuncio dopo cinque giorni di mutismo, con voce roca ma rasserenata.

"What happened to perfect?
What happened to us?
We used to be worth it,
We never gave up.
It wasn't on purpose,
But hurts like it was.

Nobody deserves this".

N/A

Per quelle tra di voi che mi pensano una sadica malvagia e crudele, vi dico solo che sono la prima ad essersi commossa, durante la stesura del capitolo. Quindi... Non sono del tutto insensibile, dopotutto :P

Non odiatemi. Spread the love! AHAHAH

Giu (non so quanto possa farti piacere, visti i contenuti AHAHAH), ma questo è per te :-*

Carms, Ile, Eli, Giu contente?? Ho infilato anche il nome del gruppo nel capitolo, come tratto distintivo AHAHAH

Non ho molto da dire... Il capitolo si commenta da solo.

Per quanto riguarda lo spin-off, non vi dirò ancora su chi sarà, ma posso affermare con certezza che una di voi, tra i commenti lasciati sotto il capitolo scorso, ci ha preso in pieno.

Aspetto le vostre considerazioni sul capitolo (a proposito, scusate, scusate e scusate, se è infinitamente lungo: il più lungo che abbia mai scritto, in verità 😱) e le vostre idee sul come finirà la storia! Stranamente, questo capitolo mi soddisfa abbastanza. Il che non succede quasi mai, quindi io mi preoccuperei AHAHAH

Un'ultima cosa e poi vi lascio in pace, giuro: vi chiedo infinite volte scusa se non rispondo a tutti i vostri commenti. Non lo faccio perché sono snob o per altro, ma perché non trovo mai il tempo materiale di rispondere a tutte voi. Non appena la storia sarà finita e comincerò a revisionarla, cercherò di rispondere assolutamente a tutte voi. Ho letto tutti i commenti sotto lo scorso capitolo, e dire che siete dolcissime sarebbe un eufemismo. Non so più come ringraziarvi!

Ora vi lascio e... Che dire, - 1!!

Un bacio,

Rita x

P.S. Vi consiglio di non rimuovere la storia dalla biblioteca, una volta terminata, perché vi avviserò qui per quanto riguarda lo spin-off ed eventuali novità❤️

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