Celeste - Lasciati trovare [S...

By Ritaska99

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[SEGUITO DI "CELESTE - LA MIGLIOR COSA CHE NON HO MAI AVUTO". รˆ CONSIGLIABILE LEGGERE QUELLA, PRIMA DI QUESTA... More

Prologo
0.1 Celeste
0.2 Peter
0.3 Celeste
0.4 Peter
0.5 Celeste
0.6 Peter
0.7 Celeste
0.8 Peter
0.9 Celeste
1.0 Peter
1. Ruin
2. The Scientist
3. The One That Got Away
4. Always hate me
5. Drunk
6. When We Were Young
8. What Happened To Perfect
9. Places Where We Are

7. Friends

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By Ritaska99

"We're not, no we're not friends,
Nor have we ever been. We just
Try to keep those secrets in a lie,
And if they find out, will it all go
Wrong? And Heaven knows,
No one wants it to".

Tutte le luci si riaccendono dopo pochi secondi, mentre il suono amplificato della chitarra acustica di Peter si propaga ancora nell'aria, trasmesso dalle casse ai lati del palco. In uno stato catatonico, reduce da questa sua esibizione, che è stata ciò che di più inaspettato e sconvolgente potesse capitarmi, mantengo il contatto visivo con lui. Guardandomi piangere a dirotto, deglutisce e serra gli occhi, reggendo su una sua coscia la chitarra con una mano, e strofinandosi le palpebre con il pollice e l'indice dell'altra. Il pubblico sta ancora applaudendo, ignaro di ogni cosa, e gli dedica addirittura una standing ovation. Tuttavia, i rumori giungono ovattati, alle mie orecchie che fischiano. Tiro su col naso e mi impongo di darmi un contegno. Perviene proprio ora il cameriere di prima, con in mano il cocktail che ho ordinato; me lo poggia davanti e lo ringrazio, tentando di non apparire troppo scossa e passandomi le dita delle mani sotto gli occhi e sulle guance. Sento gli sguardi di quei tre addosso, a perforarmi l'anima. Ma li evito accuratamente e mi munisco di un fazzoletto per soffiarmi il naso. Mi alzo e recupero la mia borsetta dallo schienale della sedia, nel momento esatto in cui sopraggiunge sul palcoscenico un uomo sulla trentina - a cui non presto particolare attenzione - che, con un microfono in mano, commenta la performance di Peter e introduce un altro artista, mentre Peter scende dal palco sorreggendo la chitarra. Con gambe tremanti, rassicuro Connie, Will e Colin, visibilmente in apprensione, e mi avvicino al piano bar per chiedere dove si trovi la toilette. La ragazza - impegnata a dispensare consigli a un pover uomo totalmente ubriaco seduto al bancone, che le sta raccontando tutti i problemi che affliggono la sua vita - mi indica distrattamente con un dito una porta alla fine di un lungo corridoio buio. Mi affretto a raggiungerla e la spingo per aprirla. C'è un tremendo tanfo di vomito, alcool e altri odori non ben identificati, e stento a trattenere un conato. Mi avvicino all'unico lavandino presente, otturato con dei pezzi di carta igienica bagnata, e mi guardo allo specchio sopra di esso. Pensavo peggio, onestamente. Ho solo gli occhi cerchiati dall'eyeliner sciolto e le guance rigate di nero. Sospiro e apro di poco il rubinetto. Mi bagno le mani e, in assenza di sapone, mi sciacquo il viso facendone a meno. Prendo dalla borsa un pacchetto di fazzoletti e mi servo di uno per asciugarmi le mani, e di un altro per la faccia. Non avevo previsto di fare questa fine, quindi non ho portato né mascara né matita per occhi con me. Dovrò accontentarmi di essere riuscita a eliminare almeno la parte più evidente e di apparire comunque abbastanza scombinata. Rimetto il pacco di fazzolettini al proprio posto, mi ravvivo i capelli e mi pizzico le guance per assumere quantomeno più colore e non sembrare un cadavere. Osservo per un'ultima volta il mio riflesso, e distolgo lo sguardo quando gli occhi mi si fanno lucidi di nuovo e sento di star per riprendere a piangere. Testa alta, pancia in dentro, petto in fuori, esco da quella latrina e ritorno al nostro tavolo, afferrando e bevendo tutto d'un sorso il mio drink, procurandomi un piccolo giramento di testa per l'impeto. Mi osservano tutti e tre attoniti, mentre, ancora in piedi, mi guardo attorno.

"Dov'è?" domando, non sentendo la necessità di specificare il soggetto della frase, siccome mi sembra alquanto ovvio.

"Lo abbiamo visto uscire qualche minuto fa" mi informa Will, titubante, fissandomi con attenzione.

Annuisco e faccio per uscire a mia volta dal locale, ma la voce di Colin mi trattiene e arresta la mia corsa.

"Cosa hai intenzione di fare?" mi interroga, guardingo, con un sopracciglio all'insù e il volto inespressivo.

Scuoto il capo e alzo le spalle, per fargli capire che non lo so neanche io, cosa ho intenzione di fare. Vorrei solo riuscire a trovare Peter e parlargli, una volta tanto. Come iniziare un discorso o cosa dirgli non lo so. Ma è qualcosa di cui mi preoccuperò nel momento in cui mi sarà davanti. Mi incammino a passo svelto verso la porta e la spalanco, avvertendo il cambio di temperatura non appena metto piede all'esterno. Dentro l'aria era afosa e soffocante, ora posso finalmente respirare. E ne ho la certezza quando individuo la figura di Peter, con un giubbino blu leggero addosso, appoggiato con le spalle alla parete esterna dell'edificio. Noto solo in un secondo momento la sigaretta accesa in bilico tra il medio e l'indice della sua mano destra. Non mi vede subito, perché guarda dritto davanti a sé, e, intanto, aspira il filtro, lasciando poi fuoriuscire il fumo dalle labbra qualche istante dopo. Non ragiono più e mi avvicino, indispettita, incapace di tenere a freno la lingua.

"Quella roba finirà con l'ucciderti" sentenzio, pungente e contrariata, parandomi dinanzi a lui con i pugni stretti lungo i fianchi.

"E da quand'è che ti preoccupi per me?" indaga, allora, aspirando un'altra volta.

Porta gli occhi nei miei e mi guarda con sufficienza. È sulla difensiva. Si prospetta un'altra conversazione come quella di ieri notte; prospettiva che non è per nulla allettante. Mi soffia il fumo in faccia, e non ci vedo più dall'irritazione. Afferro senza troppi giri di parole la cicca e la getto a terra, per poi calpestarla con la punta di una scarpa.

"Mi preoccupo sempre per te. E ora, se non ti dispiace, vorrei smetterla con queste bambinate e discutere seriamente" taglio corto, incrociando le braccia al petto e fissandolo.

Faccio fatica a concentrarmi su qualcosa che non sia quella bandana - che gli sta dannatamente bene, tra le altre cose. E faccio fatica a non perdermi nei suoi occhi, che mi sono mancati più del concepibile.

"Sei adorabile quando vai fuori dai gangheri, piccola" afferma sfacciatamente, assumendo la mia stessa posizione, senza distogliere lo sguardo.

Il suo atteggiamento mi fa immediatamente intuire qualcosa che mi porta a sbarrare occhi e bocca e a spintonarlo con entrambe le mani contro il muro, cosa che lo lascia confuso e perplesso.

"Eri perfettamente lucido, ieri notte, stronzo! Non è vero che non ti ricordi niente! Ma sei un bastardo!" esclamo, risentita, non sapendo se scoppiare a ridere per il sollievo o deprimermi.

Lui stenta a trattenere un sorrisetto compiaciuto e mi prende i polsi, frenando il mio attacco "violento". La sua non è una presa forte, non mi fa male, ma è decisa e, al contatto, avvampo, e il mio cuore comincia a battere più velocemente.

"Perché mi hai mentito?" inquisisco, con la voce più bassa - visto che prima il mio tono ha fatto voltare due ragazzi, a qualche metro di distanza, scandalizzati, verso di noi.

"Perché era più facile così" ammette, smettendo di guardarmi e soffermandosi sulle sue mani che stringono ancora i miei polsi.

Molla la presa e si rimette a braccia conserte. La distanza tra di noi è davvero infima. Percepisco chiaramente il suo profumo, misto a dopobarba e tabacco. Ha il respiro leggermente affannato e la bocca socchiusa. Si stacca dalla muratura e inizia a camminare sul marciapiede, diretto chissà dove.

"Perché hai scritto quella canzone?" domando, a bruciapelo, rincorrendolo e facendolo subito fermare e riportare gli occhi nei miei.

"L'ho scritta tempo fa" minimizza, con un'alzata di spalle, ostentando indifferenza e sviando il mio quesito, dopodiché riprende la sua avanzata.

"Perché hai deciso di suonarla stasera, allora?" insisto, determinata, con quelle note, quella melodia e quelle parole impresse nella mente e nel cuore.

"Perché volevo che la ascoltassi!" confessa, esasperato e frustrato, bloccandosi ancora una volta e girandosi a guardarmi.

"Lo sai, sarebbe tutto più facile, se mi parlassi chiaro e mi dicessi cosa provi e cosa ti sta passando per la testa in questo momento" gli faccio presente, sostenendo il suo sguardo e facendomi impercettibilmente più vicina.

Apre la bocca e fa per dire qualcosa, ma viene interrotto da un forte tuono, istantaneamente seguito da un altro. Successivamente, incomincia uno scroscio d'acqua non irrilevante. Prima che possa anche solo realizzarlo, Peter mi prende per mano e mi tira con sé, correndo verso una meta a me ignota. Recupera un mazzo di chiavi da una delle tasche del giubbotto e sblocca le sicure di un'auto nera parcheggiata nelle vicinanze. Mi esorta, poi, a entrarvi, e ci mettiamo al riparo. Rimaniamo per un bel po' in silenzio, con solo il temporale che imperversa all'esterno e i nostri respiri affaticati a fare da sottofondo. Mi propone di fare un giro in macchina e, sebbene l'offerta non mi parva avere senso, accetto ugualmente, pur di rimanere ancora un po' con lui. Allacciamo entrambi le cinture e, nel frattempo, mando un messaggio a Colin per metterlo al corrente del fatto che mi accompagnerà direttamente Peter in albergo. Non sono tanto bagnata, perché, fortunatamente, l'automobile di Peter non era tanto lontana da dove ci trovavamo prima. Mi chiedo solo perché non sia voluto tornare nel locale e abbia preferito quest'alternativa. Accende il riscaldamento ma non la radio. Resta, tuttavia, in silenzio. Il tragitto prosegue così. Non capisco perché non accenda la dannata radio, se non ha intenzione di parlarmi. Non ha neppure risposto alla mia provocazione, se proprio vogliamo dirla tutta. Accosta in una zona poco trafficata e con poche luminarie, tira il freno a mano e spegne il motore. Il riscaldamento si chiude automaticamente, i vetri si appannano e, senza nemmeno il motore a rombare, rimane davvero soltanto il temporale a colmare il silenzio.

"Dimmi perché sei qui. Perché sei venuta a cercarmi, perché hai affrontato questo viaggio per ritrovarmi e perché sei venuta, stasera, nonostante ieri notte" mi intima, voltandosi a fissarmi, con una mano sul cambio manuale e l'altra ancora sul volante.

"Perché io un punto non ce l'ho messo, Peter. Su di te non avrei mai potuto mettercene uno. Ci ho messo un punto e virgola. Ti ho messo in pausa. Ma so che sei sempre stato lì. Sono venuta a riprenderti. E forse ci ho messo troppo a rendermene conto, ma ormai è andata come è andata. E ora sono qui. Quindi, a te la palla, perché devi dirmi tu cosa hai intenzione di fare" parlo francamente, osservandolo per tutta la durata del mio discorso.

Non risponde e non mi guarda. Porta il capo all'indietro e posa la nuca contro il poggiatesta del sedile. Chiude gli occhi, e sembra tormentato, mentre stringe il volante con entrambe le mani, per poi sferrargli contro un pugno con una di esse. Sobbalzo per il gesto inaspettato e il ritmo delle mie pulsazioni accelera.

"Sai, questo sarebbe il momento opportuno per dire qualcosa..." lo incito, con una piccola risatina, tentando di metterlo più a suo agio, ma non ottengo alcuna reazione da parte sua.

"Io... Non lo so, Celeste, cazzo! Non lo so! Io... Oddio, non so manco formulare dei pensieri coerenti, in questo preciso istante!" sbotta, levandosi la bandana e passandosi una mano tra i capelli, perseguendo a non guardarmi in viso.

Guidata solamente dall'istinto e da nient'altro, mi slaccio la cintura. Si volta a studiare le mie mosse, e io propendo verso di lui.

"Ora faremo un esperimento, va bene?" gli chiedo, cercando un qualunque cenno di approvazione nei suoi occhi.

Assente, con la testa, e mi lascia fare. Metto entrambe le gambe sul mio sediolino - lasciando, però, la borsa su di esso -, e, in seguito, scavalco la marcia e gli salgo in braccio, a cavalcioni. Ha un piccolo sussulto, e mi osserva con circospezione. Ringrazio Iddio che lui sia piuttosto alto e che, di conseguenza, il sedile non sia attaccato al volante: mi sarei uccisa la schiena, in tal caso.

"Puoi fermarmi quando ti pare. Basta dirlo" lo ragguaglio, ma non sembra recepire le mie parole.

Mi scannerizza il corpo con gli occhi e il suo respiro si fa più pesante. Mi allungo verso destra e reclino il suo sediolino tramite l'apposita manovella laterale. Non protesta, per cui vado avanti, mandando letteralmente all'aria raziocinio e ragione. Gli slaccio la cintura di sicurezza. Gli sbottono lentamente la cerniera del giubbino e glielo faccio scivolare dalle spalle. Non batte ciglio, ma collabora e mi aiuta a farselo sfilare. Lo lancio sui sediolini posteriori. Intanto, le sue mani si agganciano alle mie cosce, coperte dal tessuto umido dei jeans scuri. Sento che il cuore potrebbe esplodermi, per quanto sta battendo rapidamente, e mi chino all'altezza della sua giugulare, depositandovi un bacio lungo ma innocente. Lui inspira ed emette un gemito soffocato. Lo prendo come un invito a continuare. Gli bacio la mascella destra, poggiandogli una mano sul petto, e constato con soddisfazione che anche il suo battito è irregolare. Compio ogni movimento con lentezza, mostrandomi sicura, ma con una paura tremenda che, da un momento all'altro, mi respinga. Lo vedo protendere una mano verso il mio collo, e mi sfiora la catenina della collana con le dita. Gioca con il ciondolo e lo osserva con cautela. Pongo il viso a qualche millimetro di distanza dal suo e gli fisso le labbra. Poi passo ai suoi occhi, a loro volta puntati sulla mia bocca.

"Fermami" mormoro, scandendo ogni lettera e ogni sillaba, pregando il cielo che in realtà lui non lo faccia.

"Non ne ho la minima intenzione" sussurra, e stavolta è lui a sporgersi verso di me e a congiungere le labbra con le mie.

Non lo nascondo: il primo pensiero che attraversa la mia mente in questo momento è: "Oddio, Peter mi sta baciando". Sa di tabacco. E non le so descrivere, le sensazioni che mi assalgono tutte insieme nell'attimo in cui le sue labbra entrano in contatto con le mie e le sue mani mi cingono il collo e mi conducono più vicina a lui. Poso le mie ai lati del suo viso e schiudo le labbra, quando percepisco la sua lingua inumidirmele. È come ricevere una boccata d'aria fresca dopo anni di clausura. C'è una sensazione che mi parte dalla bocca dello stomaco e mi si propaga in tutto il corpo. Il cuore mi batte all'impazzata e mi tremano le mani, mentre il bacio si fa sempre più intenso. Nessuno dei due prende fiato neanche per un millisecondo, è come se ci rigenerassimo con i nostri reciproci respiri. Oh, mio Dio, quanto mi è mancato tutto questo. Quanto mi è mancata l'elettricità, la complicità, che c'è tra di noi, tra i nostri corpi. E so che è sbagliato, so che abbiamo dei seri problemi di comunicazione, che dovremmo parlare, ma non riesco a mettere fine a qualsiasi cosa stia accadendo adesso. Perché questo suo gesto è valso più di mille parole: lui prova ancora qualcosa per me. Volente o nolente, inconsciamente o meno. Non me la può spiegare altrimenti, l'attrazione che aleggia nell'aria in questo istante. Inizia, con una mano, a sbottonarmi i primi bottoni della camicetta nera che sto indossando, e io poggio una mano sulla sua, interrompendo il bacio appassionato. Non perché voglio mettervi fine, ma perché non voglio che lui faccia nulla di cui poi potrà pentirsi: voglio che mi desideri davvero, che abbia un bisogno disperato di fare questa cosa, così come lo sento io adesso.

"Peter..." principio, mentre lui passa a baciarmi il collo e ad accarezzarmi i capelli con la mano che non è sui miei vestiti.

"Lo so - sottolinea, mugolando, baciandomi la mandibola sinistra - Non dovremmo farlo - continua, portandosi il mio polso destro alle labbra e depositando un lungo bacio sul mio tatuaggio, che non so come diavolo abbia fatto a notare - Perché è totalmente e completamente sbagliato - asserisce, sbottonandomi un altro bottoncino della camicia e, spostata di lato quest'ultima, baciandomi una clavicola - Ma non mi interessa: io ti voglio, Celeste. Con tutto me stesso. Può anche essere la cosa più sbagliata del mondo. Non me ne frega" attesta, convinto, bloccandosi e guardandomi negli occhi.

Ho i brividi ovunque e mi si riempiono gli occhi di lacrime, mentre, di slancio, mi fiondo nuovamente sulle sue labbra, che mi accolgono come se non fossero mai state lontane, come se questi sei anni non ci fossero mai stati. Che stupido pensare che non ho fatto altro che cercare Peter negli occhi, nelle labbra, nelle movenze degli altri, invece di impacchettare la mia roba e partire il prima possibile per venire a riprendermelo. Forse, se l'avessi fatto prima, ora le cose sarebbero diverse. Forse non avrebbe mai conosciuto Jane, e io non avrei mai conosciuto Evan. O forse tutto quello che è capitato doveva avvenire lo stesso, proprio per farmi - per farci - diventare le persone che siamo adesso. Mi sistemo meglio su di lui, impaziente, e lui trattiene un gemito. Mi libera rapidamente dalla camicetta e la getta senza curarsene nei meandri del veicolo. Io gli tolgo la maglietta, separando le labbra dalle sue solo quando gliela faccio passare per la testa, e mi dedico alla cintura dei pantaloni. Vero è che fare determinate cose in macchina non è proprio il massimo della comodità. Ma, chissà, forse un giorno rideremo di tutto questo. Gli sbottono la cintura e i jeans, e glieli faccio scendere per le gambe fino alle ginocchia. Lui fa lo stesso con i miei. Non c'è un singolo secondo in cui le nostre labbra si abbandonano, e forse è per questo che siamo entrambi con il fiato corto. Sono del tutto accaldata, e ancora non è successo niente. Per la scomodità della posizione, Peter, con il respiro affannato, suggerisce di spostarci sui sedili posteriori. Accolgo di buon grado la proposta e gli scendo di dosso, andandomi a stendere, poi, sui sediolini di dietro alla bell'e meglio. Mi raggiunge immediatamente, dopo essersi sfilato del tutto i jeans, e si sistema sopra di me, con un ginocchio tra le mie gambe e l'altro al lato della mia coscia destra, e le mani ai lati della mia testa per sorreggersi. Si sofferma a percorrermi tutto il corpo con gli occhi, per poi passarmi il dorso dell'indice destro dall'ombelico allo sterno, provocandomi la pelle d'oca ovunque. Mantiene gli occhi nei miei, e io mi sollevo per unire ancora una volta le nostre labbra, in una connessione di cui non avrò mai abbastanza. Quando ci distanziamo, si abbassa e mi bacia un orecchio.

"Mi sei mancata troppo, Celeste" mi confida, in tono sofferto, bisbigliando.

Mi giro a fissarlo negli occhi, che appuro essere lucidi quanto i miei. L'incertezza e l'insicurezza con le quali mi sta fissando adesso non credo di avergliele mai viste in volto.

"Sono qui per te, Peter. Non andrò più da nessuna parte" lo rincuoro, accarezzandogli il volto con entrambi i pollici delle mani che ho posto attorno al suo viso.

Ricomincia a baciarmi con foga, e pone le mani ai lati dei miei slip nel momento in cui io le metto ai lati dei suoi boxer. Gli ultimi pezzi di stoffa fra noi si ecclissano velocemente, fino a quando non rimangono più barriere a dividerci: i nostri cuori possono tornare finalmente a battere all'unisono, l'uno per l'altra, e io ho la conferma di aver fatto la cosa giusta quando, anni fa, ho affidato a lui il mio. Perché non ritengo possa esistere qualcuno che possa custodirlo meglio di lui. Perché è suo. Nonostante i graffi e le ammaccature. Ma va bene così, perché adesso non vorrei essere da nessun'altra parte se non qui, tra le sue braccia, mentre diventiamo una cosa sola e ci doniamo completamente l'uno all'altra. Mentre affonda in me e cattura ogni mio respiro o gemito tra le sue labbra, e così anch'io. Ed è come un déjà-vu al rovescio. Perché mi sento ritrasportata a sei anni fa, nella camera degli ospiti a casa di mamma e papà, ma allo stesso tempo percepisco la differenza. Perché sono io, a essere diversa. È lui, a essere diverso. Siamo cambiati entrambi, anche e soprattutto per colpa delle ferite che ci siamo inferti a vicenda. È stupefacente appurare che l'unica cosa che è rimasta invariata, a dispetto di tutto, è quel sentimento gigantesco e sovrumano che ci unisce. Se è amore non lo so, però so che non è vero che "in amore vince chi fugge", perché io stavolta ho scelto di restare, di rimanere al suo fianco. Perché sono stanca di scappare e, per una volta, vorrei vedere cosa si prova a rimanere. Perché non sto fuggendo e non lo farò più, e mi sembra di aver vinto comunque. Non credo che domani lascerà Jane per me, così come non credo che non proverà nemmeno un minimo di pentimento per quello che sta accadendo, ma ho deciso di smetterla di pensare e di disconnettere il cervello. Carpe diem. Quello che sarà, sarà. Non ho più diciannove anni, non sono più tanto nevrotica e paranoica da preoccuparmi di ogni più piccola cosa. Se mi vorrà ancora domani, sarò qui. In caso contrario, lo prenderò a ceffoni e lo costringerò a volermi lo stesso. Oltrepassiamo il limite insieme, e alquanto presto, ma non siamo tanto esausti da negarci un secondo, e un terzo round. Sembriamo insaziabili. È come se volessimo colmare sei anni di mancanze tutti in una volta. Ho perso il conto delle volte in cui mi ha ribadito quanto gli sia mancata, così come di quelle in cui ha baciato il mio tatuaggio e lo spazio fra le clavicole sul quale si posa il ciondolo a forma di aeroplanino di carta. Ciò che non avrei dovuto perdere, invece, è la capacità di intendere e volere, e, soprattutto, quella di controllare le cose che dico o mi sfuggono di bocca senza averlo programmato.

"Ti amo, Peter" mi scappa perciò, nel bel mezzo della terza sessione di 'maratona', senza che possa premeditarlo o impedirlo.

"You should know.

Friends just sleep in another
Bed, and friends don't treat
Me like you do. Well, I know
That there's a limit to everything,
But my friends won't love me like you".

N/A

Capitolo breve ma intenso :P

Scusate se non succede nulla di... Ma che dico, Gesù santo, succede eccome, qualcosa di eclatante!

La vera frase dovrebbe essere: "Scusate se non succede nient'altro a parte questo. Ma era d'obbligo dedicare un intero capitolo SOLO a questo evento. Sia perché è abbastanza significativo, sia perché necessitava di attenzione".

Detto ciò, naturalmente attendo tutti i vostri pareri (anche critiche, naturalmente) riguardo il capitolo o la storia in generale e, nel caso, perché no, anche cosa vi aspettate dalla fine :)

Per rispondere ad una delle vostre tante domande: non ci sarà un sequel del sequel. Nel senso che, dopo "Celeste - Lasciati trovare", non ci sarà nessun altro "Celeste", quindi nessun seguito/terza storia.

Tuttavia, è ormai da tempo (e ne sono sempre più convinta) che sto pensando di scrivere, a storia terminata, uno spin-off. Per chi non lo sapesse, e cito Wikipedia per questo, uno spin-off "è - nel mondo dei media - un film, una fiction televisiva, un fumetto, un romanzo o un videogioco ricavati elaborando elementi di sfondo di una serie o di un'opera precedente (o traendo spunto da uno dei suoi personaggi)". Per farla breve, scriverò un'altra storia, che avrà per protagonista uno dei personaggi secondari di questa (lascio a voi l'arduo compito di indovinare su chi sarà). Inoltre, in essa saranno presenti anche molti chiarimenti riguardo delle domande lasciate in sospeso in entrambi i "Celeste", curiosità e "missing moments" (lett. "momenti mancanti").

Che dire... Spaziate con la fantasia e... - 2!!!

Un bacio e a presto,

Rita x

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